Utente:Hindukusc/Sandbox/Abbazia di San Salvatore Maggiore

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Abbazia di San Salvatore Maggiore
Abbazia di San Salvator Maggiore (RI)
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneLazio
LocalitàPratoianni (Concerviano)
ReligioneCattolica
TitolareSanto Salvatore
OrdineBenedettino
Consacrazione735
Sconsacrazione1979
FondatoreLucerio di Moriana
Stile architettonicoRomanico
Sito webwww.sansalvatoremaggiore.it.

San Salvatore Maggiore è un'abbazia benedettina, fondata dell'VIII secolo e soppressa nel XVII secolo, sorta sull'altopiano del monte Letenano, nella dorsale della catena dei rilievi che formano lo spartiacque tra i bacini del Salto e del Turano. Storicamente nell'Alta Sabina, nel territorio reatino, ai margini della regione del Cicolano, attualmente il complesso monumentale è nel territorio di Pratoianni, frazione del comune di Concerviano nella provincia di Rieti. Il centro abitato più vicino è il paese di Vaccareccia, frazione, anch'essa, del comune di Concerviano.

«Un chiostro deserto, ricoperto d'ellera e di fiori campestri, un vecchio tempio quasi abbandonato sulla spianata d'un colle tutto cinto all'intorno dai monti dell'Appennino Reatino, una torre campanaria tozza e massiccia, decapitata più volte della sua corona, ecco quanto rimane del famoso monastero «Domini et Salvatoris in Laetenano, seu in Boiano», in seguito detto anche Maggiore, a distinguerlo da un altro, eretto nel secolo XI sulla via Quintia, non lungi da Trebula Mutuesca.»

Storia[modifica | modifica wikitesto]

«Chi non si illumina pensando alle grandi abbazie del Lazio, per limitarci a quelle più vicine, Montecassino, Subiaco, Casamari, Farfa? Ma quella di S. Salvatore Maggiore è ignorata dai più, non esistono note storiche recenti e bisogna cercare più a fondo, risalire nel tempo. Allora sì che si trova, non molto, ma certamente vengono alla luce dati e informazioni densi di significato e con riferimenti sensazionali. La ricerca di queste informazioni, dei riferimenti, dei collegamenti, pur incompleta, è stata appassionante e ancor più lo sarebbe stato se si fosse potuto leggere quello che il monumento rinserra tra le pietre. I segni della vita che vi si è svolta, gli avvenimenti che vi sono accaduti, le impronte lasciate dalle persone che lo hanno abitato; qualcosa si vede, qualcosa si sa, qualcos'altro si intuisce, ma quanto ancora vi è celato?»

L'archivio di San Salvatore Maggiore, se mai ve ne fu uno[1], è ormai scomparso e disperso. La storia dell'abbazia, dopo la sua soppressione, è stata parzialmente ricostruita tramite le notizie raccolte qua e là negli archivi di altre istituzioni, in particolare della vicina abbazia di Farfa, ove gli storici si sono imbattuti in nozioni e menzioni sporadiche e frammentarie circa il monastero. Le notizie raccolte sono tanto più preziose quanto più rare[2].

Alto Medioevo[modifica | modifica wikitesto]

Età Longobarda[modifica | modifica wikitesto]

Lapide di Sesto Tadio Nepote

L'abbazia sorse sulle rovine di una preesistente villa romana, come testimoniato da materiali riutilizzati nella costruzione del complesso abbaziale tra i quali il più evidente e senz'altro la Lapide di Sesto Tadio, parte di un sarcofago utilizzato come vasca di un fontanile all'interno del complesso abbaziale. Altri indizi strutturali, evidenziati dai recenti restauri[3], confermano l'origine romana della costruzione. E' probabile che la villa sulle cui vestigia venne edificata l'abazia fosse proprio quella del senatore Tadio Nepote il cui cursus honorum fu descritto in maniera concisa e puntuale sulla lapide (CIL IX, 04119) dalla moglie Mulvia Placida.

La fondazione dell'abbazia avvenne nel 735[4] durante il regno longobardo di Liutprando ad opera di Lucerio da Moriana, compagno di Tommaso da Moriana, che nel 721 aveva rifondato l'abbazia di Farfa, alle pendici del monte Acuziano in Sabina. Lucerio era accompaganto da altri monaci franchi i quali, in quanto guargangi, ovvero stranieri nel regno dei longobardi, godevano di particolari privilegi che favorirono lo sviluppo del cenobio[5]. La fondazione del monastero avvenne sul monte Letenano[6] ad ottomila passi da Farfa[7].

Già a partire dall'VIII secolo la fama di santità della vita dei monaci del Letenano si sparse rapidamente ed altrettanto rapidamente si accrebbero le donazioni ricevute dall'abbazia: oltre ai lasciti testamentari[8] erano semplici privati a trasferire i loro beni al monastero così come nobili o uomini di stato ed alti ufficiali della corte longobarda di Spoleto o di quella papale di Roma che ricorrevano a donazioni per sollecitare il loro ingresso nella comunità monastica. L'abbazia vide così accrescere i propri beni[9] che furono confermati già da papa Stefano III (752-757)[10].

L'abbazia all'epoca era tanto potente che, sotto il regno di Desiderio (757-774), fu tra i protagonisti della congiura ordita ai danni dell'antipapa Costantino dal primicerio Cristoforo e dal figlio Sergio, sacellario papale, i quali, decisi ad invocare contro di lui l'aiuto di re Desiderio (757-774), onde rimuovere da loro ogni sospetto, simularono di voler abbandonare la politica e il mondo per ritirarsi a condurre vita penitente nel monastero del Salvatore[11].

Età Carolingia[modifica | modifica wikitesto]

Alla caduta di re Desiderio nel 774, Carlo Magno, già re dei franchi, si proclamò rex Francorum et Langobardorum. Il cambio di dominazione non pregiudicò la fama e e gli interessi materiali dei monastero, che dopo d'aver goduto la protezione dei sovrani longobardi passò a seguire la politica pontificia, tutta ispirata a favorire i franchi, così che San Salvatore Maggiore, insieme con Farfa e Sant' Andrea sul Soratte, venne annoverato tra i monasteri regi nel nuovo regno carolingio[12].

Quando poi, nel natale dell'800, Carlo Magno in persona soggiornò a Farfa durante il suo viaggio a Roma per essere incoronato imperatore del Sacro Romano Impero, l'abate di San Salvatore era lì insieme a quello di Farfa ad omaggiare l'imperatore il quale concesse alle due abbazie il titolo di abazie imperiali ponendole di fatto, da allora, sotto la "defensio imperialis"[13].

Ulteriore testimonianza della vicinanza del cenobio al favore imperiale è la testimonianza, all'epoca, della corrispondenza intercorsa tra l'abate di San Salvatore e Alcuino di York, il potente maestro di palazzo di Carlo Magno[14].

IX secolo[modifica | modifica wikitesto]

Anche dopo la morte di Carlo Magno l'abbazia accrebbe ancora il suo potere tanto che il Liber Pontificalis ricorda come Pasquale I (817-824) offrì al monastero ricchi doni:

(LA)

«Fecit in monasterio Salvatoris Domini nostri lesu Christi sito in territorio Reatino vestem de Chrysoclavo cum historia qualiter idem Dominus noster lesus Christus cum Archangelis et Apostolis in coelo coruscat, mira pulchritudine, diversis ornatam margaritis. Item in jam dicto Monasterio ad ornatum sacri Altaris aliam obtulit vestem de fundato, habentes cruces de blatthin byzantea et perichysim de Chrysoclavo, mirifice ornatam.»

(IT)

«Nel monastero del Salvatore nostro Signore Gesù Cristo, situato nel territorio di Rieti, [ il papa ] fece [ in dono ] un drappo di Chrysoclavus istoriato con nostro Signore Gesù Cristo in cielo in coro con gli Arcangeli e gli Apostoli, adornato con una meravigliosa bellezza e diverse perle. Allo stesso modo, in detto monastero, fu offerto un altro drappo per l'ornamento del sacro altare, fatto di tessuto di fondato, con croci di lino di Bisanzio e perichysium di Chrysoclavus, magnificamente decorato.»

Il fatto che il papa, in segno di omaggio, offrisse in dono due distinti drappi ricamati d'oro per gli altari, testimonia una volta di più del prestigio e del potere raggiunti nel IX secolo dal monastero e del fatto che, nel periodo di massimo splendore dell'abbazia, esistessero nel monastero addirittura due basiliche: una intitolata al Salvatore ed un'altra a San Pietro Apostolo[15].

Per aumentare ulteriormente l'importanza dell'abbazia anche gli abati di San Salvatore parteciparono tra l'VIII ed il IX secolo, alla spoliazione dei cimiteri suburbani romani, orami abbandonati, per assicurarsi delle preziose reliquie ottenendo la traslazione sul Letenano del corpo del martire Ippolito.[16]

Il culto del beato Ippolito martire, antipapa e genio della chiesa, è una delle tante particolarità[17] dei monaci del Letenano che, fedeli alle proprie origini franche e perciò considerando il loro rito speciale, quasi una gloria della loro badia che andava gelosamente conservata come una parte assai importante del patrimonio liturgico latino nel periodo pregregoriano, si rifiutavano ancora nel IX secolo di aderire al rito romano introdotto già da papa Gregorio Magno (590-604) tanto che Leone IV (847-855), propugnando l'assoluta uniformità rituale, in una lettera all'abate di San Salvatore Onorato, minacciò di scomunica l'intero monastero del Salvatore[18].

Il seguire regole indipendenti, fin dall'abbigliamento con un copricapo, una berretta, che gli valse il nome di berrettanti[19], insieme al loro tradizionale accordo con il potere civile, più volte, nei secoli a seguire, sarebbe valso ai monaci del Letenano continue accuse di insubordinazione e deviazionismo da parte dei pontefici[20].

Nel IX secolo la comunità di San Salvatore Maggiore, come quella di Farfa, continuò a godere di privilegi ducali, papali e imperiali, come dimostra quello concesso nell’872[21] da Ludovico II (855-875) il quale, dopo la sconfitta riportata a Benevento per causa del principe Adelchi, era ricorso al papa per ottenere la corona imperiale e con essa il diritto sul ducato beneventano[22]. In visita a Farfa, durante la festività della Pentecoste, Ludovico II[23] ricevette l'omaggio anche dell'abate Anastasio[24] di San Salvatore e concesse a entrambe le abbazie privilegi e guarentigie[25], mantenne però l'obbligo delle abbazie al fodrum verso l'imperatore (tale obbligò verrà annullato dal successore di Ludovico II, Carlo il Calvo, ma dovette essere in seguito ripristinato tanto che se ne trova menzione, riguardo alle due abbazie sabine, ancora nell'XI secolo)[26].

X secolo[modifica | modifica wikitesto]

Distruzione ad opera dei Saraceni (891)[modifica | modifica wikitesto]

Alla fine del IX secolo anche l'altopiano del Letenano, così come le vallate della Sabina, fu scosso dalle scorrerie dei predoni saraceni che nell'891 incendiarono e distrussero il complesso abbaziale[27]. I mori si acquartierarono per decenni nel territorio dell'abbazia di San Salvatore[28] e solo dopo la definitiva cacciata dalla Sabina ad opera degli armati reatini capitanati da Tachiprando nella battaglia di Trebula Mutuesca (914), prima della decisiva vittoria riportata da Giovanni X sul Garigliano (915) che pose fine alla minaccia dei Saraceni in Italia, l'abbazia venne ricostruita[29]: la chiesa abbaziale di San Salvatore fu riconsacrata solo nel 974, ben cinquant'anni dopo quella di Farfa[30]. Da allora i monaci di San Salvatore cominciarono a festeggiare annualmente, oltre alla data della prima consacrazione della basilica del Salvatore nel 735, il 17 Gennaio, anche quella della consacrazione dopo la sua ricostruzione del 974, il 4 luglio[31].

Si aprì allora un nuovo periodo di fervida ricostruzione[32]e anche il monastero del Salvatore ricominciò a recuperare ed accrescere il proprio patrimonio, sotto l'intervento diretto, nel 972, dell'imperatore Ottone II e di sua moglie, la nipote dell'imperatore romano d'oriente, Teofano[33].

Basso Medioevo[modifica | modifica wikitesto]

XI secolo[modifica | modifica wikitesto]

I rapporti con Farfa[modifica | modifica wikitesto]

Già dall'VIII secolo il patrimonio del monastero di San Salvatore Maggiore, favorito dai gastaldi di Rieti, dai duchi di Spoleto e dai papi, contava proprietà nei dintorni dell'abbazia, sull'altopiano del Letenano, nel territorio detto delle Plage, situato tra la Valle del fiume Salto e quella del fiume Turano verso Rieti, nella piana reatina, in Sabina, nell'Abbruzzo e nelle Marche.

Le donazioni all'abbazia di San Salvatore erano spesso in territori contigui alle donazioni fatte nello stesso periodo all'abbazia di Farfa[34] tanto che non solo in Sabina i beni di San Salvatore e quelli di Farfa erano frastagliati ed intersecati tra loro[35]. Non stupisce allora che nel regesto farfense si trovino dei documenti che testimonino degli accordi[36] tra le due abbazie per evitare conflitti[37] e, a parte rari casi di dispute nell'attribuzione di proprietà[38], le due comunità monastiche vissero per più secoli in assoluta concordia[39] tanto da considerarsi come un'unica famiglia, memori della comune fondazione da parte degli stessi monaci franchi e tanto da scambiarsi visite reciproche[40] se non addirittura favorire lo scambio di membri tra le due comunità: nella storia delle due abbazie si ricorda, infatti, anche il caso di abati di San Salvatore passati a guidare il cenobio farfense[41].

L'apice delle relazioni tra Farfa e San Salvatore Maggiore si raggiunse tra la fine del IX e l'inizio del secolo X, sotto la guida degli abati Ugo I di Farfa e Landuino di San Salvatore come dimostrato dalle missive intercorse tra le guide dei due monasteri conservate negli archivi farfensi[42] che documentano degli accordi e delle consuetudini tra i due monasteri ed i loro abati uniti da una vero e proprio rapporto di amicizia[43].

La cortesia da parte degli abati di San Salvatore verso quelli di Farfa in materia di possedimenti e attribuzioni di chiese, monasteri e dei relativi benefici non venne però estesa ai vescovi della diocesi di Sabina[44] né a quelli della diocesi reatina. Negli archivi pontifici, in quelli della Sabina dell'Abruzzo e delle Marche, ove si trovavano i possedimenti dell'abbazia, numerose sono le tracce delle dispute che gli abati di San Salvatore dovettero affrontare nei secoli per conservare ed accrescere i propri domini e non sempre l'abate di San Salvatore giocava il ruolo di difensore: capitava anche, infatti, che, in virtù dei privilegi loro concessi, gli abati cercassero di eludere i diritti dei vescovi nel territorio dei quali si trovavano i loro possedimenti[45].

Lo Scriptorium di San Salvatore Maggiore[modifica | modifica wikitesto]

Dalla corrispondenza tra le due abbazie si intuiscono molte informazioni come il fatto che l'archivio di Farfa doveva essere stato d'aiuto anche agli abati di San Salvatore per ricostruire la propria storia e forse per prevalere nelle dispute sul possedimento di beni in cui periodicamente erano coinvolti. Sebbene dell'archivio di San Salvatore si siano perse le tracce, questo non deve far pensare che i monaci del Letenano non coltivassero la scrittura al pari degli altri monasteri benedettini del loro tempo: tutt'altro. Altre fonti documentali, infatti, lasciano intendere come anche sul Letenano esistesse, almeno a partire dall'XI secolo, uno scriptorium e che i codice in esso prodotti avessero diffusione nelle chiese di Roma e negli altri monasteri della penisola se non del resto d'Europa[46] come anche il fatto che addirittura i pontefici si valessero dello scriptorium del monastero di San Salvatore[47].

XII secolo[modifica | modifica wikitesto]

Lotte tra papato ed impero[modifica | modifica wikitesto]

Nel XII secolo si assistette nelle terre dell'abbazia, come nel resto d'Europa alle lotte tra impero e papato, conclusesi con il predominio di quest'ultimo dopo il concordato di Worms nel 1122.

L'esito dello scontro tra il partito papale e quello imperiale non poté non avere ripercussioni sull'abbazia di San Salvatore così come su quella di Farfa che dalla defensio imperialis passarono alla subiectio papalis. Il processo fu lungo e tormentato come tormentati furono per le abbazie gli anni a cavallo tra l'XI ed il XII secolo[48].

Federico I Barbarossa (1155-1190) - I normanni e la definizione della linea di confine[modifica | modifica wikitesto]

La situazione nelle terre dell'abbazia di San Salvatore Maggiore si complicò alla metà del XII secolo allorquando, da una parte la conquista normanna del meridione d'Italia giunse proprio alle porte del monastero[49], e dall'altra, l'elezione ad imperatore di Federico I Barbarossa (1155-1190) rinfocolò le speranze del partito imperiale.

Federico I, nel suo passaggio a Roma del 1155, segnando una nuova fiammata filoimperiale, volle trattare Farfa e San Salvatore Maggiore come sempre gli imperatori avevano trattato le due abbazie: offrendo protezione e domandando in cambio fedeltà. E' possibile, dunque, che l'Imperatore si sia rivolto all'abbazia di Farfa e a quella di San Salvatore Maggiore perché concedessero delle terre loro sottoposte a membri di famiglie nobili a lui fedeli[50]: questi sarebbero quindi divenuti feudatari o almeno concessionari delle abbazie con lo scopo di militarizzare il territorio limitrofo alle abbazie, edificando tutta una serie di castra che dovevano contrastare eventuali incursioni normanne da sud e da est.

Già prima della morte dell'imperatore Barbarossa, nel 1185, la questione della definizione del confine meridionale delle terre imperiali avrebbe trovato la sua soluzione attraverso la diplomazia con un'accorta politica matrimoniale: l'unione tra Enrico VI, figlio del Barbarossa e Costanza d'Altavilla, figlia del re normanno Ruggero II[51]. Proprio per l'importanza diplomatica che rivestiva in assenza dello sposo, accorso in Germania per la morte improvvisa della madre, il matrimonio venne celebrato per procura, a Rieti, prima città in territorio imperiale al di là del confine.

Con la morte dell'imperatore Barbarossa i piatti della bilancia tornarono a pendere dalla parte della curia papale per cui anche a San Salvatore, come a Farfa riprese il processo di riconoscimento del monastero come Romanae ecclesiae immediate subiectum.

Il patrimonio del monastero venne perciò, da allora in poi, confermato dai pontefici attraverso delle bolle papali a partire da quella del 1191[52], con cui il papa Celestino III pose San Salvatore Maggiore sotto la protezione papale, confermandone allo stesso tempo i beni: per la prima volta, si sanciva per intero il possesso dell'Abbazia sui luoghi ad essa immediatamente adiacenti ovvero su tutto il territorio tra il fiume Salto ed il fiume Turano, dal Fosso di Paganico fino al Borgo di Rieti. Si trattava dei territori delle Plage, nucleo territoriale della signoria di San Salvatore Maggiore, che nei due secoli successivi sarebbero stati mira delle conquiste dei potentati circostanti, dal Comune di Rieti ai conti Mareri[53] nel Cicolano alle altre famiglie della nobiltà Romana, come gli Orsini e i Savelli.

Già nel 1211 cominciano a sorgere contrasti per l'elezione del nuovo abate per cui fu il papa Innocenzo III a dover intervenire[54] ma i possedimenti del monastero rimasero al sicuro nel decennio seguente tanto che papa Onorio III nel 1221 confermò la bolla di Celestino III[55] del 1191.

La Signoria di San Salvatore Maggiore (1251-1447)[modifica | modifica wikitesto]

I territori dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore tra la morte di Federico II (1251) e l'istituzione della commenda di San Salvatore Maggiore (1447)

XIII secolo[modifica | modifica wikitesto]

Federico II (1220-1250)[modifica | modifica wikitesto]

Col l'elezione ad imperatore di Federico II (1220-1250), si aprì una nuova fase turbolenta nella vita dell'abbazia che fu coinvolta negli scontri tra Federico II e Gregorio IX. Il papa ordinò nel 1239 la realizzazione di nuove difese nei castelli dell'abbazia[56]: ciò non bastò e nel 1241 i territori dell'abbazia vennero occupati e l'abbazia ritornò temporaneamente sotto il controllo imperiale, amministrata da funzionari federiciani (vedi Tommaso Mareri e la sua fortuna).

Nel 1249 papa Innocenzo IV da Lione prese provvedimenti[57][58] per scacciare Federico II ma non ve ne fu bisogno: l'anno successivo, nel 1250, con la morte dell'imperatore svevo, l'abbazia tornò definitivamente sotto la subiectio papalis.

I primi conflitti (1251-1290)[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la morte di Federico II si aprì un conflitto di competenze con l’episcopato reatino per il controllo dei benefici sul territorio che l'abbazia amministrava già dall'XI secolo ma che, prima di allora, erano di competenza del vescovo di Rieti.

Fu il vescovo Tommaso di Rieti, nominato nel 1252, ad avviare (e vincere? secondo Leggio, secondo De Sanctis vinse l'abate), nel 1253, un processo contro l'abate di San Salvatore per l'attribuzione dei diritti e l'esercizio della giurisdizione ecclesiastica nei riguardi di alcune chiese e cappelle nel territorio dell'abbazia. Fu questo il principio di una serie di iniziative rivolte all'indebolimento del monastero[59]: (Grappa): A partire dalla metà del sec. XIII l’abbazia fu investita da profondi sconvolgimenti sociali che provocarono continue tensioni tra i monaci ed i vassalli ad essi sottoposti, tanto che nel 1255 dovette intervenire lo stesso pontefice Alessandro IV (1254-1261) per costringere quest’ultimi a prestare atto di fedeltà al nuovo abate Gentileno, la cui elezione era stata approvata da Innocenzo IV (1243-1254); successivamente (1279), il pontefice Niccolò III (1277-1280) incaricò il vescovo di Spoleto di visitare il monastero e di procedere ad una riforma.

Nel 24 aprile 1281 Onorio IV confermò i beni del monastero insieme alla sua protezione[60] su di esso ma ciò non bastò a placare la bramosia del Comune di Rieti che nel 1282 tentò di sottomettere il territorio della signoria abbaziale nel tentativo di ampliare il proprio districtus, spingendo alcuni castelli dell'abbazia a chiedere l’annessione alla città per liberarsi dagli obblighi feudali verso l'abate di San Salvatore, cui erano sottoposti, grazie alla cessazione del vincolo di fedeltà garantita dal comune urbano: così il 30 Giugno 1282 i castelli dell'abbazia fecero atto di sottomissione al Comune di Rieti[61]verso il quale il monastero fu costretto ad assumere l’impegno di partecipare al parliamentum e di contribuire economicamente alla costruzione della nuova cinta muraria.[62]

La posizione del monastero continuò ad indebolirsi: i rapporti tra i monaci del convento si deteriorarono al punto che in occasione dell'elezione dell'abate Egidio ci furono disordini e allora papa Onorio IV intervenne, l'11 marzo 1286, per ordinare ai monaci di consegnare il convento a Sabatino vescovo di Tivoli. Il problema trovò una soluzione drastica il 20 dicembre 1290 quando Niccolò IV (1288-1292) chiamò Filippo da S. Andrea del Soratte, ad assumere l'incarico di abate del Salvatore. In più il Papa, tre giorni dopo, nominò il cardinale Matteo d'Acquasparta protettore del monastero, affinché intervenisse per tutelarne i diritti a richiesta dell'abate contro le pretese dei vassalli.[63][64]

XIV secolo[modifica | modifica wikitesto]

L'elezione di Bonus-Iohannes (1307)[modifica | modifica wikitesto]

Gli abati, agli inizi del XIV secolo, si avvicendarono rapidamente tra contrasti e colpi di mano[65], finchè nel 1306, i de Romania tentarono di imporre come abate un loro rappresentante, Francesco, che era già stato abate di Subiaco[66], ma Clemente V (1305-1314) non accolse la richiesta e nel 1307 nominò al suo posto il monaco Bonus Iohannes che era stato incaricato dagli altri monaci di recarsi a Poitiers, ove si trovava allora il papa[67], a perorare la causa di Francesco.[68]Bonus-Iohannes ratificò un debito di 400 fiorini d'oro verso la camera apostolica ed il collegio dei cardinali[69]e si impegno al pagamento, per il 1308, di altri 100 fiorni. Forse furono proprio le misure attuate per il recupero del debito nei domini dell'abbazia, insieme al malcontento dei de Romania[70], a scatenare la rivolta del 1308.

Rivolta dei Castelli dell'Abbazia - Attacco a San Salvatore Maggiore (1308)[modifica | modifica wikitesto]

Tra il 10 gennaio, data dell'elezione ad abate del monaco Bongiovanni, ed il 4 marzo 1308, data dell'incarico a Pandolfo Savelli, un fatto senza precedenti scosse la vita dell'abbazia:

«Questo fatto [ ndr. l'elezione di Bonus-Iohannes ] scatenò la furiosa reazione dei de Romania. Chiamati in aiuto i reatini e altri appartenenti alla aristocrazia rurale locale, [ ndr. i de Romani e altri vassalli dell'abbazia ] sferrarono un duro attacco contro il monastero.[71] Dopo aver messo a ferro e fuoco i castelli e le terre della signoria, assediarono l’abate, i monaci, gli stipendiari e i vassalli asserragliati nelle strutture monastiche. Dopo due giorni di pressione – fractis muris – entrarono con la violenza all’interno, incendiando libri, paramenti sacri, privilegi, carte, istrumenti pubblici e saccheggiando frumento e altri beni. Giunta la notizia, il papa Clemente V, il 4 marzo 1308, incaricò il suo notaio Pandolfo Savelli per indurre alla ragione gli assalitori.[72] Il 15 giugno 1310 il pontefice fu costretto a chiedere da Avignone l’intervento del re di Napoli, Roberto d’Angiò, in qualità di senatore dei romani, affinché i castelli, i villaggi, le terre e tutti i diritti usurpati fossero restituiti per il tramite dei suoi ufficiali all’abate di San Salvatore. In una seconda lettera il papa elencò scrupolosamente questi luoghi, ovvero Mirandella, Lutta, Vallecupola, Guaita, Rocca Vittiana, Poggio Vittiano, Longone, Insegne, Vaccareccia, Magnalardo, i villaggi degli Olmi, di San Benedetto e delle Grotti, Porcigliano – oggi Fassinoro – con il villaggio di Licignano, Cenciara, Rocca Ranieri, Concerviano, Pratoianni e Offeio.[73]»

La crisi di San Salvatore Maggiore, tuttavia, proseguì inarrestabile, tanto che nel 1373 il pontefice Gregorio XI incaricò l’abate di San Lorenzo fuori le Mura a Roma di visitare e riformare il monastero, in profonda decadenza morale e spirituale. Il tentativo di riforma, tuttavia, non ebbe esito favorevole.[74]

L'avvento dei Mareri (seconda metà XIV secolo)[modifica | modifica wikitesto]

Gli eventi del 1308 convinsero i monaci di San Salvatore a porsi, contro le mire della città di Rieti, degli Orsini e dei Savelli[75], sotto la protezione della potente famiglia dei conti Mareri di Petrella che già alla metà del XIV secolo tentava di imporre la propria influenza nello stato della Chiesa puntando ad occupare le cariche religiose più importanti del territorio.

Dal 1382, infatti, è attestata la presenza come abate a San Salvatore Maggiore di Ludovico di Lippo Mareri. Sotto il suo governo l'abbazia continuò a scontrarsi con Rieti e nel corso della soluzione di una lite venne redatto un atto, conservato negli archivi reatini che fornisce un elenco dei castelli soggetti dell'abbazia nel 1385 che comprendevano: Mirandella, Vallecupola, Poggio Vittiano, Guaita, Rocca Vittiana, Longone, Pratoianni, Baccarecce, Antignano, San Silvestro, Rocca Ranieri, Porcigliano, Cenciara, Offeio, Capradosso, San Martino, Verano. Mancava, rispetto all'elenco nella lettera di Clemente V del 1310, Magnalardo, probabilmente ancora in possesso dei Savelli.[76]

Tra il 1382 e il 1387 vi furono ancora continui scontri tra i paesi dell'abbazia e il castello di Guardiola, ancora soggetto al comune di Rieti[77].

Governo di Francesco Carbone (Tommacelli) - Commendatario di Farfa e San Salvatore Maggiore (1399-1405)[modifica | modifica wikitesto]

(Leggio): Alla morte di Ludovico Mareri, risalente al 1393, nel pieno del Grande Scisma la carica di abate di San Salvatore Maggiore fu aspramente contesa, tanto che Rieti provò a intromettersi inviando un’ambasceria a Roma per ottenere che fosse nominato Giannadrea Alfani, abate di San Eleuterio a Rieti e canonico reatino, senza molti risultati. Un intervento parziale, carico di favoritismo, fu compiuto da Bonifacio IX, che alla fine del 1396 nominò il nipote Cecco di Giovannello (da allora noto come Francesco Carbone Tommacelli) amministratore dei monasteri di Farfa e San Salvatore Maggiore, riuniti nell'istituto della commenda nel 1399.[78]

(Grappa): L’istituzione della commenda nel 1399 ad opera del pontefice Bonifacio IX, a beneficio del proprio nipote che la ritenne fino alla sua morte nel 1405, sebbene fu una misura allora temporanea, di fatto consegnò, di li a poco, il patrimonio dell’abbazia nelle mani degli abati commendatari e delle loro famiglie accentuando il declino di San Salvatore Maggiore.[79] Cominciò una lunga decadenza per l'abbazia che si avviò con la secolarizzazione dei monaci, avviliti dalla miseria e visti dai commendatari solo come mezzo a difesa delle proprie rendite fiscali. Prima dell'abbazia di San Salvatore decaddero le sue dipendenze.[80]

XV secolo[modifica | modifica wikitesto]

(Leggio): La lotta per la carica di abate di San Salvatore, successivamente allo Scisma d'Occidente (1378-1418), si restrinse a Battista Orsini, di osservanza pisana, e Antonio Mareri, figlio di Cola IV di Lippo, di osservanza romana che dettero vita a un lungo contenzioso che chiuse il periodo di predominio territoriale delle famiglie locali, aprendo al subentro dei grandi baroni romani nel governo abbaziale[81].

«Si successero, con mire e ambizioni sempre identiche, nipoti e favoriti di papi e cardinali, gli Orsini, i Della Rovere, i Farnesi e i Barberini, nelle cui mani la badia coi cenobiti non ebbe nulla a guadagnare.»

Governo degli Orsini (1435-1503)[modifica | modifica wikitesto]

Dopo un’iniziale prevalenza di Antonio Mareri, ricordato nelle sue attività di governo tra 1427 e 1429, subentrò Battista Orsini almeno dal 1434, che in precedenza nel 1427 ebbe l’abbazia secolare e la chiesa collegiata di San Martino de' Turano, il cui giuspatronato spettava a Giacomo, conte di Tagliacozzo, e nel 1435 era stato locumtenens venerabilis monasterii et abbatie Farfensis per conto dell’abate (ndr.di Farfa) Giovanni Orsini (1437-1476) . L'abate Battista Orsini, morto in abbazia (qui apud sedem eandem diem clausit extremum) intorno al 1447, fu l'ultimo abate eletto dai monaci del Salvatore.[82]

La commenda di San Salvatore Maggiore (1447-1494)[modifica | modifica wikitesto]

Alla morte di Battista Orsini, Niccolò V istituì, come già fatto da Bonifacio IX, la commenda per l'abbazia di San Salvatore togliendo, di fatto, ai monaci, dopo sette secoli, il privilegio di poter eleggere in autonomia la propria guida avocando, invece, al pontefice la scelta sull'assegnazione della carica di Abate di San Salvatore Maggiore.

Il primo ad assumere la carica di abate commendatario di San Salvatore, dopo Francesco Carbone Tommacelli, fu Giovanni Berardi da Tagliacozzo, cardinale vescovo di Palestrina, legato agli Orsini, probabilmente nominato tra la fine del 1447 e gli inizi del 1448. Al momento della sua morte, risalente al 21 gennaio 1449, lo stesso giorno, al suo posto, fu nominato da Niccolò V, Latino Orsini, con la carica che comportava un reddito di 200 fiorini d’oro di camera.[83] Consigliere di Sisto IV della Rovere[84], divenuto camerlengo nel 1471, nel 1477 Latino affidò la commenda a Giovanni Battista Orsini, del ramo di Monterotondo[85].

Gli eserciti mercenari nei territori dell'abbazia[modifica | modifica wikitesto]

Durante tutto il XV secolo la penisola fu attraversata da eserciti di mercenari al soldo dei signori italiani. Anche il territorio dell'abbazia fu interessato da questi eventi durante il governo degli abati Orsini. Nel 1460 quando sì combatté ai confini dello stato pontificio tra il duca Giovanni D'Angiò ed il Re Ferdinando, alleato di papa Pio II: al soldo degli Angiò gli eserciti del capitano Jacopo Piccinino, di passaggio da Cittaducale a Monteleone Sabino, nel settembre 1460[86] attraversarono i territori dell'abbazia incendiando e depredando[87]. Ancora nel 1495 si ricorda nelle fonti il passaggio e la sosta all'abbazia di San Salvatore di 200 soldati di Carlo VIII, re di Francia, dopo aver cercato di saccheggiare il 24 gennaio 1495 Grotti di Cittaducale[88].

Tutti i paesi dell'Abbazia furono coinvolti in questi episodi bellici tanto che in questo periodo vennero definitivamente abbandonate le ville ovvero i centri isolati non fortificati che all'inizio del XV secolo ancora sorgevano nei pressi dei castelli dell'abbazia e facevano parte del loro territorio.[89]

Unione della commenda di Farfa e San Salvatore Maggiore (1494)[modifica | modifica wikitesto]

Papa Borgia, Alessandro VI (1492-1503)[90], nel 1494[91], unì la commenda di San Salvatore Maggiore a quella di Farfa di cui era già investito, dal 1482, lo stesso Giovanni Battista Orsini che la ritenne fino al 1503 anno della sua morte in Castel Sant'Angelo per mano del principe Cesare Borgia dopo il coinvolgimento del cardinale nella congiura della Magione.

Dal 1494, di fatto, il governo delle due abbazie di Farfa e San Salvatore, seguì, fino al XVII secolo, lo stesso destino.

Età Moderna[modifica | modifica wikitesto]

XVI secolo[modifica | modifica wikitesto]

Governo dei della Rovere (1503-1513)[modifica | modifica wikitesto]

La morte del papa Borgia, Alessandro VI nel 1503 e l'elezione al soglio di un nuovo papa della famiglia della Rovere, Giulio II, portarono quest'ultimo a favorire per la carica di abate commendatario di Farfa e San Salvatore Maggiore un suo nipote, Galeotto Franciotti della Rovere che ritenne la commenda dal 1505 per poi consegnarla nelle mani di suo fratello Sisto Gara della Rovere il quale rimase in carica fino al 1513. Durante il governo di quest'ultimo venne restaurato il monastero di Farfa così come vennero intraprese opere in quello di San Salvatore Maggiore: è dovuto a Giulio II il portale della cattedrale di San Salvatore, realizzato nel 1506 da Mastro Luca di Vallecupola e raffigurante le piastrelle con i 24 castelli dell'abbazia di San Salvator Maggiore (16 abitati e 6 diruti).

Governo degli Orsini d'Aragona (1513-1542)[modifica | modifica wikitesto]

Alla morte di Sisto Gala dalla Rovere nel 1513, Giulio II affidò la commenda farfense a Gian Giordano Orsini condottiero sposo in seconde nozze di Felice della Rovere, figlia naturale del papa Giulio II. Il governo di Gian Giordano seppur breve fu segnato da diversi abusi[92].

Nel 1517 fu quindi papa de' Medici Leone X a conferire la commenda a Napoleone Orsini, figlio di Gian Giordano Orsini, in prime nozze, con Maria Cecilia d'Aragona, figlia naturale di Ferdinando I d'Aragona, Re di Napoli (1458-1494): matrimonio avvenuto grazie ai servigi del condottiero Gentile Virginio Orsini, signore di Bracciano e padre di Gian Giordano che, avendo combattuto al soldo del Re di Napoli, aveva ottenuto il privilegio di avere in sposa per il figlio una figlia del re e di far fregiare i loro eredi del titolo "d'Aragona" da aggiungere al proprio nome. I contrasti di Napoleone con i propri famigliari, specie con la matrigna, Felice della Rovere che voleva per il figlio Francesco la rendita mensile di 1000 ducati d'oro[93] della commenda di Farfa, lo portarono alla morte nel 1533. Nel frattempo la commenda passò nel 1530 a Francesco Orsini d'Aragona (1530-1543), Vescovo di Tricarico fratello di Napoleone Orsini d'Aragona, figlio di Gian Giordano Orsini e Felice Della Rovere il quale fece un'ottima riuscita nel governo dell'abbazia[94].

Governo dei Farnese (1546-1589)[modifica | modifica wikitesto]

Alla morte di Clemente VII de' Medici che aveva favorito gli Orsini nella commenda, salì al trono nel 1536 Paolo III Farnese che, nel solco della tradizione tracciata da quanti l'avevano preceduto, investì della commenda, nel 1546, il proprio nipote Ranuccio Farnese che ritenne la carica fino alla sua morte avvenuta nel 1563. Il cardinale Ranuccio Farnese, per rendere più confortevole il proprio soggiorno (e quello dei suoi successori) all’interno del complesso monastico di San Salvatore Maggiore, vi fece eseguire dei lavori di ampliamento e di ristrutturazione. Il cardinal Ranuccio, nelle vesti d’Abate commendatario, donò[95] la Croce Astile di Vallecupola, una croce processionale in lamina d’argento e listata in rame dorato opera della bottega di Jacopo del Duca (1520-1604) assistente di Michelangelo a Roma , alla chiesa arcipreturale di Santa Maria della Neve di Vallecupola e questo, in concomitanza della riconsacrazione, dopo gli ampliamenti apportati, alla chiesa, intorno al 1554, resisi necessari, essendo l’edificio divenuto angusto per una popolazione in crescita.[96] Dopo essere stato insignito della cattedra episcopale di Bologna il cardinale Ranuccio lasciò la commenda di Farfa e di San Salvatore Maggiore al fratello Alessandro Farnese, uomo di cultura e grande mecenate, che la terrà sino alla sua morte nel 1589[97].

XVII secolo[modifica | modifica wikitesto]

La salita al soglio di Sisto V da Grottammare vide elevato alla commenda, come da consuetudine, suo nipote Alessandro Peretti di Montalto (1589-1623) che si mosse per il corpo monastico di San Salvatore Maggiore.

Decadenza della disciplina monastica - Sinodo farfense (1604)[modifica | modifica wikitesto]

La commenda istituita definitivamente nel 1494 aveva avuto l'effetto di far decadere la disciplina monastica dei monaci del Letenano venendo a togliere loro di mano ogni ingerenza e responsabilità nel governo delle terre abbaziali:

«[....] i monaci vennero a rattrappirsi d'ozio e di noia entro quel vecchio edificio screpolato e cadente, senza alcun ideale elevato, senza alcuna prospettiva dinanzi a loro.»

Il 20 giugno 1604, durante il governo del cardinale Alessandro Peretti di Montalto, il vicario e visitatore generale della badia, Bernardino Manasse da Priferno, presiedette il Sinodo che si svolse a Farfa e ne pubblicò gli atti riservando ai monaci di San Salvatore ingiurie piuttosto volgari.[98]

Incorporazione nella Congregazione Cassinese (1609)[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1609 lo zelante cardinale Alessandro Peretti di Montalto, caldo ammiratore della riforma di Farfa per opera della Congregazione Cassinese, tentò d'indurre i monaci di San Salvatore Maggiore ad accettare anch'essi un piano di riforma monacale. Paolo V Borghese, con un breve del 18 novembre 1614, incorporava così alla Congregazione Cassinese, oltre alla abbazia di San Salvator Maggiore, i priorati da essa dipendenti nelle Marche e a Roma.

«L'uditore generale della Camera Apostolica coi vescovi di Fermo e di Montalto vennero incaricati di eseguire la volontà pontificia, la quale tanto più stava a cuore al commendatario, perché tutte le rendite e la collazione dei benefizi ecclesiastici della badia venivano sottratte a qualsiasi ingerenza dei monaci e riservate a lui solo. Non sappiamo con quali criteri venisse eseguita la divisione patrimoniale delle due mense.»

Cacciata dei Cassinesi (1623)[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1623, Francesco Orsini, succeduto al cardinale di Montalto, fece revocare da Gregorio XV, l'atto pontificio, con cui Paolo V aveva introdotto a San Salvatore Maggiore i cassinesi, considerando l'atto lesivo dei suoi interessi poiché, in teoria, il Montalto aveva affidata la commenda all'Orsini, già dal 1620, sotto il pontificato di Paolo V Borghese. La revoca suscitò cosi una lite tra i commendatari di San Salvatore e la Congregazione Cassinese che durò per oltre una trentina d'anni.[99]

«Scacciati i Cassinesi riformatori senza nessun preavviso ufficiale o consenso da parte loro a sciogliere la stabilita unione, i Salvatoriani tornarono a inselvatichire sotto il regime dei commendatari che v'istituirono dei priori amovibili, che poco o nulla ne migliorarono le sorti.»

Dopo cinque anni di governo, nel 1627, il commendatario Francesco Orsini entrò nella Compagnia di Gesù lasciando la commenda.

Governo dei Barberini (1627-1738)[modifica | modifica wikitesto]

Venne così la volta, al governo della commenda, della potente famiglia, di origine toscana, dei Barberini. Papa Barberini, Urbano VIII, eletto al soglio nel 1623, come di consuetudine, scelse come commendatario per le due abbazie, suo nipote, il cardinale Francesco Barberini, che resse la commenda per oltre trent'anni, dal 1627 al 1660.

«[....] San Salvatore, che aveva retto all'impeto dei barbari, ora non poté reggere all'urto dei Barberini che avidamente agognavano alle sue spoglie.»

Soppressione dell'abbazia (1629)[modifica | modifica wikitesto]

Sotto il governo di Francesco Barberini suonò l'ultima ora per i monaci di San Salvatore i quali, dopo la cacciata dei cassinesi, erano stati affidati alle cure di vari priori rimasti in carica tre anni ognuno non riuscendo però a riformare la disciplina dei monaci del monastero che "usavano financo vesti poco diverse da quelle dei secolari. Il popolo li chiamava «berrettanti» dal largo berretto clericale che li distingueva, ma Urbano VIII ne aveva un concetto cosi triste, che li giudicava inadatti a qualsiasi riforma".

«Il commendatario ne voleva ad ogni costo le pingui rendite, e innanzi alle cupide brame del cardinal nepote convenne cedere, cosi che Urbano VIII con un tratto di penna soppresse l' abbazia con bolla del 1629. [...] Alla lite già lunghi anni pendente colla Congregazione Cassinese viene imposto il silenzio cosi che arbitrati, sentenze di Tribunali, decisioni rotali o pontificie, nulla insomma possa essere invocato centro l'onnipotente cardinal nepote, il quale dové ereditare senza disturbo d'alcun competitore tutta la potenza, i diritti e le ragioni dell'abbazia.»

Fu così che, in forza della bolla Singulari diligentia, del 12 settembre 1629, Urbano VIII, su richiesta di suo nipote Francesco Barberini, soppresse, unendola all'abbazia di Farfa, l'antica abbazia di San Salvatore Maggiore: dopo quasi nove secoli i monaci furono costretti ad abbandonare l'edificio sul monte Letenano e così 34 monaci benedettini, per la maggior parte originari dei territori dell'abbazia, testimoni e custodi delle tradizioni religiose e civili del territorio vennero cacciati dal monastero, ridotti a clero secolare e forniti di una pensione annua di 10 scudi mentre i priorati dipendenti nelle diocesi di Fermo e di Montalto dovevano essere convertiti in altrettante collegiate canonicali, riservando alla diretta giurisdizione del commendatario le monache di Santa Vittoria, che altra volta dipendevano dal priore di quel cenobio.[100]

La cupidigia dei Barberini verso i beni della Chiesa non si fermò alla commenda di Farfa e San Salvatore Maggiore. Anche il resto della Sabina divenne fonte di rendita per la famiglia romana: alla doppia commenda per il nipote Francesco Barberini Seniore, papa Urbano ottavo aggiunse anche il governatorato pontificio di Poggio Mirteto e delle altre torri e castelli, già separati dai monasteri di Farfa e di San Salvatore e fino a quel tempo soggetti alla Congregazione del Buon Governo e della Consulta.[101]

  • L'arazzeria dei Barberini a Roma e la lana della commenda di San Salvatore Maggiore.
Istituzione del Seminario a Toffia (1629)[modifica | modifica wikitesto]

La soppressione dell'abbazia nel 1629 per opera del pontefice Urbano VIII avveniva assecondando il desiderio dell’allora abate commendatario Francesco Barberini, che voleva farne la sede di un seminario: il cardinale Francesco Barberini, fu incaricato di utilizzare gli stabili e i beni del monastero per l’istituzione di un seminario e fu affiancato da un vicario foraneo che provvedesse all’amministrazione dei castelli.

Di fatto il cardinale Barberini, istituì a Toffia un seminario, mettendo a frutto i beni stabili lasciati in eredità da don Marzio Ruffetti ed unì a esso le rendite di San Salvatore. Un breve d'Urbano VIII del 6 luglio 1637 approvò questo stato di cose.[103]

Nel 1660 il cardinale Francesco Barberini Seniore cedette la commenda in favore del nipote, cardinale Carlo Barberini (1654-1703).

Sinodo farfense (1685)[modifica | modifica wikitesto]

Carlo Barberini proclamò un sinodo a Farfa nel 1685 durante il quale venne nuovamente confermato dal cardinale e da tutta l'assemblea lo stato di cose ordinato precedentemente dal potente zio cardinale Francesco Barberini.

Il governo dei Barberini nella commenda terminò con Francesco Barberini Iuniore che prese possesso della commenda alla morte di Carlo nel 1703, per tenerla, per oltre trent'anni, fino alla propria morte, avvenuta nel 1738.

XVIII secolo[modifica | modifica wikitesto]

Alla morte di Benedetto XIII Orsini (1724-1730), con la salita al soglio del fiorentino papa Corsini, Clemente XII, nel 1730, assunse il titolo della commenda, il 26 Settembre 1738, per soli 15 giorni, suo nipote, il cardinale Giovanni Antonio Guadagni il quale la rimise in favore del cardinale, appena eletto, Domenico Passionei, porporato insigne per dottrina e altre virtù, segretario dei brevi[104] legatissimo allo storico, abate Pier Luigi Galletti[105]. Il cardinale Passionei ritenne la commenda per otto anni fino al 1746.

Governo dei Lante Montefeltro della Rovere (1746-1817)[modifica | modifica wikitesto]

Il bolognese papa Lambertini, Benedetto XIV (1740-1758), passò la commenda a Marcello Federico Lante (1746-1763), della famiglia pisana dei Lante Montefeltro della Rovere, figlio di Antonio Lante Montefeltro della Rovere, marchese di Rocca Sinibalda[106]e barone di Antuni[107].

Trasferimento del seminario a San Salvatore (1746)[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1746 il cardinale Federico Marcello Lante decise di trasferire nel vecchio monastero di San Salvatore Maggiore, dopo opportuni interventi di restauro, il seminario che nel 1629 il cardinale Francesco Barberini aveva istituito a Toffia con parte delle rendite della appena soppressa Abbazia di San Salvatore Maggiore.[108] Trovava così compimento l'intenzione di istituire un seminario a San Salvatore Maggiore che era stata l'idea, prima causa della dismissione dell'abbazia, più di un secolo prima.

Nel 1769 al cardinale Federico Lante della Rovere successe il pronipote Antonio Lante Montefeltro della Rovere (1763-1817).

Campagna d'Italia e Repubblica Romana (1796-1799)[modifica | modifica wikitesto]

Alla fine del settecento, durante il governo del cardinale Antonio Lante Montefeltro della Rovere, furono gli eserciti della rivoluzione francese a portare scompiglio nella penisola italiana tanto che gli effetti della rivoluzione ebbero eco fin nei territori dell'abbazia. Nel 1796, in coincidenza della Campagna d'Italia del generale Bonaparte, fu indetta, nei territori dello Stato Pontificio, la leva generale: ogni paese dell'abbazia doveva fornire un soldato ogni 100 abitanti[109]. Alcuni degli abitanti dei borghi del territorio dell'abbazia, fedeli al regime papale, provvidero anche a fornire dei beni propri per l'acquisto di armamenti per la campagna dell'esercito pontificio del 1796[110].

Durante la breve esperienza della Repubblica Romana, tra il 1798 e il 1799, il territorio dell'abbazia fu assegnata al Dipartimento del Clitunno - Cantone di Castelvecchio[111]. Dopo l'occupazione di Roma da parte dell'esercito borbonico e lo sbarco degli inglesi a Civitavecchia, nel giugno del 1800, le terre delle Stato Pontificio tornarono sotto il controllo di Papa Pio VII.

XIX secolo[modifica | modifica wikitesto]

Governo napoleonico (1809-1814)[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la nuova entrata dei francesi a Roma nel febbraio del 1809 e l'annessione di Lazio e Umbria all'Impero francese nel maggio del 1809, sotto il governo napoleonico, le terre dell'abbazia, come il resto dell'Alta Sabina, furono incluse nel Dipartimento di Roma - Arrondissment di Rieti. Nel 1809 Roccaranieri faceva parte del Dipartimento del Tevere - Circondario di Rieti - Cantone di Monteleone. Nel 1812 la Comune di Roccaranieri apparteneva alla Prefettura di Rieti - Percezione di Longone.

Governo della Camera Apostolica (1814-1861)[modifica | modifica wikitesto]

Al termine del periodo napoleonico, già nel 1814 le terre abbaziali tornarono sotto il governo della Camera Apostolica. Nel 1816 il governo dei domini papali fu tuttavia riorganizzato e i territori dell'abbazia confluirono nell'allora creata Delegazione Apostolica di Rieti . Nel 1817 Roccaranieri divenne appodiato (frazione) di Belmonte. Dal 1853 Roccaranieri divenne quindi appodiato (frazione) di Longone insieme ai paese di Porcigliano e San Silvestro.

Nell'ottocento si successero alla commenda col titolo di Abati di Farfa e San Salvator Maggiore altri alti prelati della curia romana quali Luigi Ercolani (1818-1825), creato cardinale nel 1816 da Pio VII, il cardinale Belisario Cristaldi (1826-1831), già rettore de' La Sapienza (1817-1828), il cardianele Giacomo Giustiniani (1832-1833) ed infine il cardinale Luigi Lambruschini (1834-1841), cardinal segretario di Stato dal 1836 al 1846.

1821 Francesco Massi insegnante di Latino a S.Salvatore https://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-massi_%28Dizionario-Biografico%29/

Trasferimento del seminario a Toffia e smembramento dei territori delle Abbazie (1841)[modifica | modifica wikitesto]

Fu il cardinale Lambruschini nel 1841, considerando eccessivo l'isolamento in cui si trovava il seminario di San Salvatore a rispetto del 1738, data in cui vi era stato spostato da Toffia, a motivazione anche del degrado del complesso, a decidere di spostare nuovamente il seminario prima a Toffia e poi a Poggio Moiano.

Con bolla di Gregorio XVI del 24 novembre 1841 vennero, poi, smembrati i territori delle due abbazie di Farfa e di San Salvatore Maggiore: alcune delle terre vennero restituite alla diocesi di Rieti, a cui appartenevano prima dell'attribuzione all'abbazia nullius diocesis, cioè non sottoposta ad alcuna diocesi, di San Salvatore Maggiore, altre vennero attribuite all'appena costituita diocesi di Poggio Mirteto[112]. Il titolo di Abate di San Salvatore passava al titolare della Cattedra di Poggio Mirteto.

Residenza estiva dei seminari di Poggio Mirteto e Rieti (1841-1960)[modifica | modifica wikitesto]

Già dal 1839, prima dello spostamento del seminario a Toffia nel 1841, l’abbazia fu affidata ai padri passionisti fino al 1854.

Nel frattempo i paesi dell'abazia furono riorganizzati, nel 1853, secondo la nuova divisione amministrativa dello Stato Pontificio divisi, come appodiati, tra i comuni limitrofi di nuova creazione: Longone, Rocca Sinibalda, etc (vedi Descrizione Comarca, 1854).

Nel 1855, il fabbricato dell'abbazia, ormai in rovina fu ceduto dal pontefice al vescovo di Poggio Mirteto e nel 1880 l’uso del fabbricato venne concesso da papa Leone XIII al vescovo di Rieti. Nel 1880 il vescovo di Rieti, il domenicano Egidio Mauri, concordò con Angelo Rossi, vescovo di Poggio Mirteto, la concessione in enfiteusi perpetua, di un’ala del complesso abbaziale che fu utilizzato, dopo opportuni lavori di ristrutturazione, come casa di villeggiatura per i seminaristi delle due diocesi contermini.[113]

XX secolo[modifica | modifica wikitesto]

Prima del 1914 il complesso dell'abbazia fu visitato dall'allora priore dell'abbazia di San Paolo fuori le mura a Roma Ildefonso Schuster che pubblicandone la storia in un articolo ne descrisse, con amarezza[114], lo stato di abbandono.

In Altis Sabinae Montibus (1925)[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1925, la costituzione apostolica di papa Pio XI In altis Sabinae montibus riunì alla diocesi di Rieti le parrocchie di Roccaranieri, di San Silvestro e di Cenciara, e quelle di Pratoianni, Vaccareccia, Longone, Vallecupola, Rocca Vittiana, Poggio Vittiano e Varco che erano state annesse, in precedenza, nel 1841, alla appena creata Diocesi di Poggio Mirteto.

Dopo il terremoto di Avezzano del 1915, per interessamento del parroco di Longone Sabino Don Sisto Fiori che a lungo, con estrema passione, si prodigò per il recupero dell'abbazia, tramite l'intercessione del Vescovo di Rieti Massimo Rinaldi, con il patrocinio del cardinal ........, negli anni tra 1926 e il 1932, l’abbazia venne restaurata, con lavori mal condotti e tecnicamente scorretti, ad opera del Genio Civile; successivamente, nel 1950, essa divenne residenza estiva dei Salesiani, cui si devono preziosi interventi di manutenzione. Nel 1960 il complesso abbaziale venne definitivamente abbandonato.

L'abbandono ed il saccheggio (1960-1986)[modifica | modifica wikitesto]

Lasciata in balia dei predoni l'abbazia venne spogliata di molti dei beni architettonici in essa contenuti: fregi, iscrizioni, lapidi marmoree come documentato dalle rare foto di chi visitò l'abbazia nella seconda metà del novecento.

L'acquisizione da parte del Comune di Concerviano (1986)[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1979 il vescovo di Poggio Mirteto Marco Caliaro e il vescovo di Rieti Dino Trabalzini provvidero alla vendita dei ruderi dell’abbazia a un privato (Crudelini, studente romano 22 enne), la cui famiglia, nel 1985, li cedette al Comune di Concerviano, allora sotto la guida del sindaco Damiano Buzzi, che li acquistò con fondi della Comunità montana del Salto-Cicolano.

XXI secolo[modifica | modifica wikitesto]

Il restauro[modifica | modifica wikitesto]

Attualmente di proprietà del comune di Concerviano, l'abbazia è stata restaurata, in varie fasi, a partire dalla metà degli anni novanta, grazie a fondi europei, dalla Sovraintendenza dei Beni Culturali del Lazio sotto la guida della Prof.ssa Fiorani. Il restauro è stato occasione di studio ed ha permesso di ampliare le conoscenze sull'origine del complesso monastico.

Il presente[modifica | modifica wikitesto]

Il complesso viene saltuariamente reso visitabile e fruibile dal comune di Concerviano, per lo svolgersi di visite, mostre, convegni e spettacoli musicali e teatrali.

I possedimenti dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore[modifica | modifica wikitesto]

Fin dalla sua fondazione nell'VIII secolo, l'abbazia di San Salvatore Maggiore, favorita dai gastaldi di Rieti e dai duchi di Spoleto raccolse le donazioni di quanti, nobili di origine romana o longobarda, le affidavano i propri beni accrescendo così i propri possedimenti. Nei secoli successivi le proprietà dell'abbazia vennero più volte riconosciute dall'autorità imperiale e pontificia.

La signoria di San Salvatore Maggiore[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Signoria di San Salvatore Maggiore.

Il patrimonio del monastero si concentrava, per lo più, nei dintorni dell'abbazia, sull'altopiano del monte Letenano, nel territorio detto delle Plage, situato tra la Valle del fiume Salto e quella del fiume Turano dal fosso di Paganico (fosso dell'Obìto) fino al borgo di Rieti. Questa era la parte più rilevante del patrimonio abbaziale che, per secoli, costituì una solida unità amministrativa definita in seguito la Signoria di San Salvatore Maggiore.

I Castelli della Signoria di San Salvatore Maggiore[modifica | modifica wikitesto]

Portale della Chiesa di San Salvator Maggiore (1506) conservato alla Biblioteca apostolica vaticana nel Codice Vat.Lat. 9136, folio 274r.

A partire dal XII secolo, più volte sono citati nei documenti medioevali degli abitati soggetti all'Abbazia di San Salvatore Maggiore. Questi elenchi, nei secoli, videro scomparire alcuni dei nomi che si riferivano ormai a realtà scomparse o a castelli diruti. Altri nomi comparvero a volte per poi scomparire nei decenni seguenti. La maggior parte di questi abitati, però, situati nei pressi dell'abbazia, costituiva il nucleo dell'unità territoriale dell'abbazia e, per secoli, rimasero associati al nome di San Salvatore Maggiore.

Ancora nel XVII secolo erano ricordati nel Catalogus Oppidorum, Castellorum et Villarum sub iurisdictione Abbatiali in Corpore Abbatiae S.Salvatoris Maioris contenuto a pag.1069 del Synodus[115], enumerati in ordine alfabetico, come i sedici castelli in Corpore Abbatiae Sancti Salvatoris Maioris:

Altre proprietà dell'abbazia[modifica | modifica wikitesto]

Carta dei luoghi soggetti alle Abbazie di Farfa e San Salvatore Maggiore contenuta nel Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ordo S. Benedicti del 1685

Il monastero contava proprietà anche nella piana reatina, in Sabina, nell'Abbruzzo e nelle Marche[116]. I monaci del Letenano erano addirittura titolari a Roma della chiesa di San Salvatore in Campo e della attigua chiesa di San Martino nel rione Arenula.[117]

Cronotassi degli abati[modifica | modifica wikitesto]

Abati di San Salvatore Maggiore (735-1399)[modifica | modifica wikitesto]

Serie di abati di San Salvatore Maggiore riportata da Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, p.63:

  • Adroaldo † (documentato dal 772 al 775)
  • Usualdo † (documentato nel 794)
  • Leufo † (documentato nell'817)
  • Onorato † (documentato tra l'847 e l'855)
  • Anastasio † (documentato nell'872)
  • Landuino † (documentato dal 1001 al 1017)
  • Perenesio † (documentato nel 1049)
  • Pietro † (documentato nel 1057)
  • Adenolfo † (documentato nel 1124)[118]
  • Ranuzio † (documentato nel 1221)
  • Egidio † (documentato nel 1286)
  • Filippo † (documentato nel 1290)
  • Pietro II † (documentato tra il 1290 e il 1306)
  • Cambio † (documentato nel 1306)
  • Bono (o Giovanni) † (documentato nel 1307)

Abati commendatari di San Salvatore Maggiore (1399-1841)[modifica | modifica wikitesto]

Serie degli abati commendatari di San Salvator Maggiore[119]:

Orsini (1449-1503)[modifica | modifica wikitesto]

Della Rovere (1505-1513)[modifica | modifica wikitesto]

Orsini d'Aragona (1513-1542)[modifica | modifica wikitesto]

Farnese (1546-1589)[modifica | modifica wikitesto]

  • Francesco Orsini (1623-1627): entrato nella compagnia di Gesù nel 1627.

Barberini (1627-1738)[modifica | modifica wikitesto]


Lante Montefeltro della Rovere (1746-1817)[modifica | modifica wikitesto]

Il complesso Abbaziale[modifica | modifica wikitesto]

Posizione geografica[modifica | modifica wikitesto]

L’abbazia di San Salvatore Maggiore, sorge, isolata, su di un pianoro situato sull'altopiano del Letenano, ad 830 m s.l.m., nel territorio montuoso che divide la Valle del Salto da quella del Turano. Il complesso abbaziale si trova nel comune di Concerviano poco distante dall'abitato di Vaccareccia a nord-ovest, da cui la divide la valle scavata dal Fosso di Fonte che si origina da una sorgente prossima all'abbazia, detta la Fonte del Cardinale, e da quello di Pratoianni, poco più distante, verso nord-est.

La struttura del complesso abbaziale[modifica | modifica wikitesto]

Monastero e Chiesa di San Salvatore Maggiore. Tavola di Francesco Antonio Bufalini contenuta nel  Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ordo S. Benedicti del 1685.

L'abbazia si presente come una costruzione imponente di quattro corpi di fabbrica, la chiesa e tre edifici, sviluppati con fasi costruttive e connotazioni architettoniche diverse, che hanno, nel tempo, ricoperto funzioni diverse. I corpi di fabbrica presentano la consueta disposizione monasteriale attorno ad un cortile quadrato di 50×50 metri:

  • la chiesa abbaziale: a sud, sviluppandosi lungo l'asse est-ovest si trova a navata unica, con cappelle laterali e presbiterio rialzato sul cui fianco alla destra del portale di ingresso si trova un'imponente torre campanaria.
  • l'ala est: annessa alla chiesa abbaziale da cui si accedeva tramite un ingresso su un lato del transetto è, insieme alla chiesa, la parte più antica del complesso. Accoglieva, in origine, gli spazi comuni, come il refettorio, il capitolo, le cucine e gli ambienti del dormitorio monastico. Lungo il corridoio che porta al refettorio, accanto alle cucine, sulla parete verso est, un fontanile convogliava le acque della vicina fonte; a mo' di vasca vi si può ancora scorgere la lapide di Sesto Tadio.
  • L’ala nord, in direzione dell'abitato di Pratoianni, nata con funzioni fortificatorie, di ricovero e di deposito, nel rinascimento venne destinata a residenza.
  • L’ala ovest, in direzione dell'abitato di Vaccareccia, ha avuto funzioni amministrative e di rappresentanza, quali Curia e Tribunale, e una parte più moderna, nata in fase post conventuale e destinata a cappella e a dormitorio per i seminaristi.

La chiesa e l'ala est datano all'VIII secolo, probabilmente sui resti di una villa romana del I-II sec.d.C. Vennero ampliate tra l'VIII ed il IX secolo per poi essere ricostruite, dopo la devastazione dei saraceni dell'891, nel X secolo quindi di nuovo ampliate e trasformate più volte tra l'XI ed il XIII secolo a mezzo di continui lavori di riadattamento e ricostruzione ebbero luogo anche in seguito, a causa di eventi eccezionali, come l'assedio del 1308, e danni accidentali.

Con l’istituzione della commenda, verso la fine del XVI secolo, il complesso cominciò a trasformarsi in fortilizio e il cardinale Ranuccio Farnese fece riadattare l’intera ala nord come propria residenza, aumentando lo spessore del corpo di fabbrica e realizzando il nuovo prospetto verso il cortile.

Interventi di riadattamento più limitati sono poi dovuti al cardinale Francesco Barberini nel XVII secolo.

L’abbandono dei monaci e la nuova destinazione a sede del seminario diocesano provocò l’ultima grande trasformazione del complesso, che tra 1600 e 1700 aggiunse un nuovo corpo di fabbrica nell’ala ovest e fu riadattato per la nuova funzione di seminario cui fu destinato fino al 1841.

I padri passionisti, cui il monastero fu affidato dal 1839 al 1854, limitarono la rovina con interventi di manutenzione quindi, affidato alla diocesi di Poggio Mirteto, dal 1855 al 1880 l'edificio versò nell'abbandono. Quando nel 1880 fu adattato a residenza estiva dei seminari di Rieti e Poggio Mirteto si provvide di nuovo a qualche lavoro di manutenzione. Lesionato dal terremoto di Avezzano del 1915, il complesso venne interessato da un intervento del Genio Civile, negli anni Trenta, che causò un vero e proprio scempio delle strutture, vetuste, ma ancora resistenti, comportando numerosi crolli e distruzioni, soprattutto nell'ala est, quella di più antica costruzione.

Dagli inizi del novecento si consumò un degrado sempre più evidente e un’accelerata distruzione, mitigata solo da qualche intervento dovuto ai Salesiani a cui il complesso venne affidato tra il 1950 ed il 1960.

Dagli anni sessanta sino alla metà degli anni ottanta, il monastero fu completamente abbandonato a sé stesso, vittima di crolli e saccheggi che lo resero un rudere fino all’intervento  del Comune di Concerviano, guidato dal sindaco Damiano Buzzi, che lo acquistò nel 1986 e che successivamente si prodigò per avviarne la valorizzazione e il restauro cominciando dalla chiesa per poi passare all'ala est e quindi a quella nord e a quella ad ovest.

La Chiesa abbaziale del Salvatore[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa, che in un’incisione del sec. XVII figura preceduta da un portico aperto da cinque archi (uno centrale di dimensioni maggiori e quattro più piccoli disposti in coppia alle due estremità), presenta una facciata barocca su cui si apre un semplice portale; sul fianco destro, in prossimità del transetto, si erge la massiccia torre campanaria, a pianta quadrata. Nell’interno, a navata unica con cappelle laterali, sono visibili tracce di affreschi medievali; la zona presbiteriale, probabilmente riferibile alla costruzione medievale (secc. X-XI), risulta fortemente rialzata rispetto al piano della navata.

Nel sinodo farfense del 1685 la chiesa di San Salvatore Maggiore é cosi descritta[121]:

(LA)

«Ecclesia monasterio contigua, antiqua et magnifica structura, constat unica longa nave cum quinque ab uno, et sex ab altero latere capellis decenter fornicatis. Altare maius in extrema Ecclesia pavimento celsiore elevata, religiose et speciose ornatum eminet; post quod est chorus cum antiqua sede abbatiali et reliquo monastico choragio; a cornu epistolae est sacrarium supellectile sacra et Sanctorum Reliquiis aliunde ditatum. In hac ecclesia praefati presbyteri Sacra quotidie celebrant et Sacramenta Poenitentia et SS. Eucharistiae Fidelibus eo praecipue ad solemniora anni festa ex Abbatiae Castellis confluentibus ministrant.»

(IT)

«La chiesa adiacente al monastero è un'antica e magnifica struttura, composta da un'unica lunga navata con cinque cappelle su un lato e sei sull'altro, elegantemente arcuate. L'altare maggiore, elevato su un piano superiore al pavimento della chiesa, spicca con la sua sacralità e il suo splendore. Subito dopo si trova il coro con un antico seggio abbaziale e il resto del coro monastico. Sul lato destro si trova il sacello, arricchito di suppellettili sacre e ricco di reliquie dei Santi provenienti da altre fonti. In questa chiesa, i predetti sacerdoti celebrano quotidianamente i Sacramenti e amministrano i Sacramenti della Penitenza e della Santissima Eucaristia ai fedeli, soprattutto durante le solennità annuali, a coloro che affluiscono dai Castelli dell'Abbazia.»

Nei secoli successivi, seguendo le sorti del resto dell'abbazia, anche la chiesa cadde in rovina. Lo Schuster, a seguito della sua visita all'inizio del novecento, così descrive lo stato della chiesa e dell'abbazia:

«[....] di tante ricchezze oggi San Salvatore non ha più nulla;[....] l'antica cattedrale della badia é tutta deturpata e quasi chiusa al culto. Dell' altare maggiore vagamente adorno, del coro e della cattedra marmorea dell'abbate in fondo all'abside, ricordati anche dal Marocco, non esiste quasi più nulla; le preziose reliquie e le suppellettili sacre sono andate disperse da lunghi anni, l'archivio (che però non riguarda altro che la diocesi e comincia solo col secolo XV) è stato incorporato con quello farfense, nella Curia vescovile di Poggio Mirteto.»

I dintorni dell'abbazia[modifica | modifica wikitesto]

Poco a monte dell'abbazia una copiosa fonte d'acqua, detta Fonte del Cardinale, genera un torrente che, dopo aver attraversato la gola sotto il paese di Vaccareccia, ove si trovava la mola del paese, prende il nome di Rio di Fonte ed affluisce alla sinistra del fiume Salto a valle della diga artificiale formante il Lago del Salto presso la località di Bivio Concerviano nel comune di Concerviano. Presso quella stessa fonte, nei pressi del monastero si trovava il mulino del monastero.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (Schuster pag 16): giacché fin dall'undecimo secolo l'abbate Landuino si rivolgeva ad Ugo abbate di Farfa per ricercare in quel tabulario i documenti relativi alta loro mutua famigIia.
  2. ^ Schuster pag.9.
  3. ^ Donatella Fiorani, Giancarlo Palmerio, Amedeo Riccini, San Salvatore Maggiore sul monte Letenano a Concerviano. Restauro dell'abbazia imperiale, Gangemi, 2010.
  4. ^ Schuster, pag.7: cfr. RF II, 12 "Anno DCCXXXV, indictione iii, coenobium Domini Salvatoris aedificatur in Laetaniis". La nota, interpretata poco esattamente dal cronista, che scambiò il «Laetenanum» con "colle litanie", deriva sicuramente da una fonte più antica, e nulla vieta di ritenere esatta la cronologia.
  5. ^ (Schuster pag.7): Ho già trattato altrove delle condizioni giuridiche dei monasteri imperiali d' Italia nel periodo carolingio, facendo derivare lo «ius palatii» sulle badie palatine dal patronato longobardo sugli edifici cultuali e dal mundio regio o ducale che gravava sui guargangi, stranieri alla città longobarda. Infatti, il più delle volte l'imperialismo monasteriale costituisce l'ultimo termine dell' evoluzione giuridica degli istituti sacri nel regno dei Longobardi, onde non sarebbe un' ipotesi troppo arrischiata se, in mancanza d'altri documenti, dal carattere imperiale di San Salvator Maggiore noi attribuissimo la fondazione a qualche nobile guargango franco, o a qualche esule monaco savoiardo, o dell' Aquitania venuto a pellegrinare in Italia. Anche Farfa, per oltre un secolo, reclutò i suoi primi abbati tra questi nobili rampolli delle più celebri famiglie franche, sospinte in Italia più ancora dalla devozione e dalia poesia che dalla guerra, che desolava il loro paese; ed è notevole che i monasteri fondati da quegli esuli guargangi abbiano ritrovato nel mundio regio o ducale le condizioni più favorevoli per raggiungere un alto grado di potenza e di ricchezza, mentre gli altri fondati da cittadini longobardi, e quindi immuni dalia tutela del sovrano, non hanno lasciato quasi traccia della loro breve esistenza. Farfa, San Salvatore, Sant'Andrea sul Soratte, San Vincenzo al Volturno, Monte Cassino sono tutti monasteri eretti o risuscitati da guargangi e che perciò vennero considerati come palatini ed imperiali, mentre San Pietro di Ferentillo tuttoché fondato dal duca Faroaldo di Spoleto, San Pietro di Classicella eretto dal duca Trasmondo per sua madre, San Giorgio di Spoleto, fondato dai duchi Lupo ed Ermelinda, per non dire di molti altri, non poterono mai giungere a tale grado d' onore e di potenza.
  6. ^ (Schuster pag.7): La collina tra Longone e Vaccareccia, su cui s'eleva la badia, nei documenti del secolo VIII chiamata «Laetenanum» o «Boianum», doppia nomenclatura che indicava forse la località e il «fundus» a cui apparteneva.   
  7. ^ Mabillion, 740. 1 passo 150 cm quindi a circa 12 km da Farfa (e 8 da Rieti).
  8. ^ Chisari cit. Schuster pag.10 La ricca biblioteca di Farfa, che custodisce preziosi documenti, conserva anche il testamento di tale Teuderacius (RF II,72) che, dovendo partire per la Lombardia al seguito di Adelchi e di Desiderio nell'anno 768, dispone dei suoi beni per il caso che non torni dalla guerra contro i Franchi. Gran parte delle sue proprietà sono destinata a Farfa, ma al monastero del Salvatore attribuisce "casalem nostrum in Villa Veneria, quem habemus prope Alipertum et Teuderadum germanos, cum terris et silvis in intergrum".  
  9. ^ Chisari: [...] Il fatto è che del gruppo facevano parte sia aquitani che longobardi; le ricchezze del cenobio si spiegano solo con la generosità dei possidenti dell'epoca verso i propri parenti e consaguinei che avevano scelto la vita religiosa, e in quel periodo storico franchi e longobardi erano i padroni dell'Italia centrale.
  10. ^ Il “Liber Pontificalis” ricorda l’abbazia nella vita dei pontefici.
  11. ^ (Schuster pag. 11:) Disgraziatamente non tutti i candidati alta vita cenobitica s' ispiravano allora al più sublimi ideali; e poco mancò che la badia non fosse coinvolta nella congiura che, verso questo stesso tempo, si ordì in Roma contro l'antipapa Costantino......  
  12. ^ Chisari. Il favore del re dei franchi si giustifica con la presenza nel cenobio di monaci franchi se non addirittura di consanguinei di Carlo Magno.
  13. ^ Chisari: La condizione di "abbazia imperiale" aveva riflessi notevoli: da un lato il monastero doveva intrattenere con l'imperatore particolari rapporti di vassallaggio, inviargli parte dei prodotti delle proprie terre (fodrum), pagare a lui un tributo e questo significava carovane che si recavano periodicamente alla corte imperiale, in Francia o in Germania o a Roma, a seconda di dove in quel periodo si trovava l'imperatore; significava corrispondenza (risulta che Alcuino, l'influente consigliere di Carlo Magno, scrisse più d'una volta all'abate di S. Salvatore) e significava infine, autorizzazioni per l'elezione dell'abate. Dall'altra parte, nei confronti del papa c'era d'altronde un riguardo non solo formale; anzi S. Salvatore, come le altre abbazie più importanti, era "nullius", cioè non soggetta ad alcuna autorità diocesana, e dal punto di vista ecclesiastico dipendeva direttamente dal pontefice.
  14. ^ (Schuster pag.13 da Alcuini Epistulae...) Da una lettera di Alcuino al monaci del Letenano rileviamo che la fama della loro osservanza monacale era celebre anche al di là del monti, giacché il potente maestro di Carlo Magno dopo d' aver sollecitato una prima volta in suo favore le loro preghiere per mezzo dell' arcivescovo Angilranno di Metz (m. 791), qualche anno dopo scrisse una nuova lettera in termini assai affettuosi, in cui, facendo gli elogi della loro vita, Ii esorta a rendersi sempre pii degni del titolo di «monachi Sancti e Salvatoris», come si chiamavano. I cenobiti del Letenano non mancarono da parte loro di trarre profitto delle benevole disposizioni d' Alcuino, giacché dalla medesima lettera sappiamo - che egIi avevano spedito un messo a cagione d'alcuni negozi che avevano ,con Carlo Magno, e che iI maestro aveva interposto già in loro favore ad opera dell' imperatrice Luitgarda.
  15. ^ (Chisari) (Schuster.pag.20) giustifica il doppio importante donativo con l'esistenza di due chiese nel monastero del Salvatore: una dedicata appunto al Salvatore la cui ricorrenza era ricordata il 16 Kal. febr., l'altra intitolata a S. Pietro e ricordata il 4 Kal. oct. .
  16. ^ (Schuster pag. 20): in quel periodo di traslazioni dei corpi dei martiri inaugurato da Paolo I e poi seguito sotto Pasquale I, quando, a cagione dell'abbandono dei cimiteri suburbani, papi, vescovi ed imperatori s'affrettarono a chi potesse più arricchire le proprie chiese di sacre reliquie, anche i monaci di San Salvatore ebbero la loro parte in quelle pie devastazioni delle Catacombe ed ottennero il corpo del martire Ippolito, già sepolto in una speciale basilica nell' agro Verano per tale motivo nel monastero si festeggiava anche il 7 id. maji, come la data della traslazione del corpo di S. Ippolito martire.
  17. ^ Chisari: È curioso che di questo martire, di cui si ignora la tomba, scrive Schuster, siano coperte dal mistero non solo le reliquie ma anche la figura. È stato il primo degli antipapi e tuttavia era venerato come martire e vescovo, e riconosciuto genio del cristianesimo.
  18. ^ (Schuster pag. 18): Lettera Leone IV all'abate Onorato di San Salvatore (847-855), nella quale il pontefice si lamenta che la badia dei Salvatore sia ancora riluttante a sostituire i propri riti liturgici, importati forse dai primi fondatori franchi, col Sacramentario e le melodie Gregoriane, introdotte oramai dappertutto.
  19. ^ Chisari: "A Bireti de Laonensi nuncupatos" si legge sulla bolla del 12 settembre 1629 di Urbano VIII.
  20. ^ Chisari: Certo è che, per essere dei religiosi "regolari", seguivano proprio delle regole del tutto indipendenti. Chisari: Questi monaci, aquitani e longobardi, andavano tanto d'accordo con il potere civile che dai papi furono continuamente accusati di insubordinazione e deviazionismo. Chisari: Che peccato che di questi benedetti benedettini berrettanti non si trovino che poche notizie e così indirette!
  21. ^ Micheli (cfr. Muratori, cfr. Chronicon anno 872)
  22. ^ (Schuster pag. 21-22): Le fonti farfensi ricordano la visita dell' abbate Anastasio a quel monastero nella Pentecoste dell'anno 872 in circostanze assai importanti per la storia d'Italia. Ludovico II, dopo la sconfitta riportata a Benevento da Adelchi, a riparare l'onta sofferta era ricorso al papa, per ricevere da lui in forma solenne insieme colla corona dell' impero di Cario Magno anche la pienezza della potestà cesarea sul ducato beneventano. I preliminari della cerimonia della consacrazione non dovevano svolgersi senza quaiche difficoltà, onde l'accorto principe, visto che l'ambiente romano per lui era tutt'altro che sicuro, mentre ancora pendevano le trattative col papa pel sacro rito, si diresse alta volta di Farfa, ove trascorse coi monaci le feste delta Pentecoste. Fu qui che, tra gli altri, ricevé anche gli omaggi dell'abbate Anastasio e dei monaci di San Salvatore, di che l'Augusto li rimeritò pochi giorni dopo da Roma con un diploma in data del 28 maggio 872, in cui consacra il ricordo di quella solennità trascorsa nella badia di Farfa.
  23. ^ Micheli annota (cf. Muratori Rerum Italiarum Scriptores tomo II. part. II, col.403 - ) che l'imperatore Ludovico nell'867, dopo aver visitato Farfa aveva anche visitato il monastero di San Salvator Maggiore.
  24. ^ Chisari: Sull'identificazione dell'Abate Anastasio di San Salvatore con l'Anastasio Bibliotecario scomunicato da papa Leone IV (che minacciò il monastero di scomunica ai tempi dell'abate Onorato).
  25. ^ (Schuster pag. 21-22): Oltre la conferma dei beni di Farfa e di San Salvatore, l'imperatore «in medio monachorum collegio, astante quoque fidelium nostrorum multitudine» e alta presenza dei due abbati Anastasio e Giovanni di Varva rinnovò loro gli antichi mundiburdi imperiali, determinando che le loro azioni legali ne godessero tutte le guarentigie. Vennero annullati i contratti onerosi conclusi dai monaci del Letenano sotto l'abbate Onorato col vescovo Pietro di Rieti, e i diritti di pedaggio, le tasse sui mercati e le decime che solevano riscuotersi alta porta dei due cenobi a servizio della foresteria e dello «xenodochium» furono nuovamente ratificati.
  26. ^ (Schuster pag. 24): Tanta generosità da parte di Ludovico II, stremato altresì di forze e di danaro, ha pure il suo caratteristico retroscena che ci fa meglio intendere lo scopo delta sua visita a Farfa e delta presenza colà delle due comunità monastiche. Infatti, dall'anonimo libello «De imperatoria potestate in Urbe» rileviamo il vero significato del carattere imperiale di Farfa, di San Salvatore e del Soratte, che, perdutosi di vista l'antico concetto del guargangato e del mundio longobardo, era divenuto un semplice titolo fiscale che attribuiva alla Corona l'alto dominio sul patrimonio monastico il che praticamente significava che questi monasteri avevano l'alto onore di fare le spese della corte imperiale durante il suo soggiorno nel ducato romano, oltre le altre derrate e tributi che dovevano spedire sino in Francia: (Schuster pag 23) Tale uso si mantenne sin sotto Carlo il Calvo (875-877), il quale, lo riservò al comune romano; o rimise del tutto le gabelle dovute alla regia camera da questi monasteri (di seguito ritroviamo delle tracce di questi diritti fiscali sui monasteri imperiali sin nel secolo XI: anzi un documento dell' agosto 1018, relativo ad un accordo tra gli abbati Ugo di Farfa e Landuino di San Saivatore, ricorda espiicitamente il «fodrum» dell' imperatore.
  27. ^ (Schuster pag.24) Ignoriamo le circostanze dell'assalto dei Saraceni alla badia e dell'incendio che vi appiccarono circa l'anno 981. I Fasti farfensi contengono solo di seconda mano quest'arida notizia: «Anno DCCCXCI, md. Iuli, «Guido imperator monasterium Salvatoris a paganis «incenditur» (RF Far. II, 15) ma é probabile che i monaci, dietro l'esempio dei Farfensi, abbiano preveduto a tempo il pericolo ponendosi in salvo nella Marca e nel Reatino, dove il loro patrimonio é ricordato in una carta del 3 ottobre 936.
  28. ^ Tofani, Rampazzi: Sul toponimo Paesi Mori alle pendici del Monte Aquilone nel territorio di Longone Sabino.
  29. ^ (Leggio): Dopo la presa e l’incendio dell’891 ad opera dei saraceni, l’abbazia di San Salvatore Maggiore fu ricostruita grazie all’impulso dato da Ottone II (973-983) e Teofano, sua moglie.  
  30. ^ (Schuster pag.25): Trascorsero tuttavia lunghi anni prima che sul monte Letenano scomparisse ogni traccia del fuoco appiccato dai Musulmani, giacché i Fasti farfensi riferiscono che la nuova basilica del Salvatore venne riedificata solo nel 974, circa mezzo secolo dopo che era stata riparata quella di Farfa: «DCCCCLXXIIII, md. u, ecclesia Domini Salvatoris aedificatur in Boianno 13° anno. Domus Papa».  (Schuster pag.25 RF II,17)
  31. ^ Schuster pag.25
  32. ^ (Schuster pag.25): ....onde successe un periodo d'intenso lavorio di riordinamento e di restauro di quanto era stato distrutto dai Pagani. Le cronache e i regesti dappertutto ci parlano di riforme e di riedificazioni di chiese e di monasteri; da principio si toglie danaro a imprestito a pagare architetti e pittori, ma dopo pochi anni gli antichi patrimoni episcopali e monastici vengono ricostituiti e reintegrati tutti i loro diritti, sicché dopo gli orrori del ferro e del fuoco, notiamo succedersi un periodo di ringiovanimento sociale, un rigoglio e un' esuberanza di forze che prelude alla «vita nuova» del secolo XIII al tempo dei Comuni.
  33. ^ Leggio.
  34. ^ Addirittura in più documenti nel regesto farfense certificanti donazioni al monastero di Farfa, si trovano, nello stesso documento, esempi di privati che facevano con lo stesso atto donazione di beni a Farfa e a San Salvatore.
  35. ^ (Schuster pag.15): ....Cosi un po' alla volta il patrimonio territoriale venne ad ingrandirsi considerevolmente, tanto che troviamo estendersi il suo possesso non pur in Sabina, dove possedeva, in condominio coi Farfensi, Arci, l'intera Celia Nova, delle terre a Quinto, il Gualdum «Novum Mizinum», Formello reatino, l'enfiteusi del casale «Sepicianum», le chiese di San Giovanni a Rieti, Sant'Andrea, Santa Maria di Poggio Moiano, San Giovanni «de Toche», San Giuliano «prope Tiberim», la «curtis» di San Pietro in Meana, dei beni a Terni e negli Abruzzi, un gran numero di «pagi» in Sabina, donde poi sorse la diocesi di San Salvator Maggiore, e una quantità di castelli, monasteri e borgate nella Marca di Fermo. In seguito passarono a San Salvatore quasi tutti i possedimenti dei Farfensi nelle Marche (cf. Synodus edita sub Carolus Barberinus, pp. 999-1023).
  36. ^ (Schuster pag.17): Il Salvatore aveva beni e vassalli entro la «massa de Bucciniano» a un trarre d'arco da Farfa, mentre questa possedeva il castello di Longone, di Malialardo, i pagi di Senia, Celia Nova e San Benedetto quasi alle porte di San Salvatore. Verso il 1017 l'abbate Ugo propose a Landuino, abbate del Letenano, una permuta, in vista appunto della reciproca difficoltà che recavano loro l'amministrazione di quei possedimenti; ma nulla ci assicura che il suo corrispondente abbia secondato quei progetti.
  37. ^ (Schuster pag.8): Ciò che è certo é che il monastero di San Salvatore Maggiore, favorito sin dai primordi dai gastaldi di Rieti, dai duchi di Spoleto e dai papi, nel secolo VIII possedeva già un patrimonio tanto vasto che, ad impedire una collisione coi farfensi, i quali aspiravano a dilatarsi nell' Umbria e nelle Marche, convenne stipulare degli accordi e delle permute di fondi, di cui il Regesto Farfense ci ha conservato soltanto qualche carta .
  38. ^ (Schuster pag .14): Lite del 807 risolta a Rieti dal Gastaldo Lupo tra l'abate Benedetto di Farfa e l'abate Leufo di San Salvatore Maggiore) per l'attribuzione di una proprietà che entrambi rivendicavano come propria.
  39. ^ (Schuster pag.17): Nelle carta di Farfa i beni di San Salvatore appariscono tutti frastagliati e intersecati da quelli farfensi, e l'osservare che veramente sorsero tra le due badie dello contestazioni a cagione di tale vicinanza, é la miglior conferma dello tradizionali relazioni di antica amicizia che ci descrive l'abate Ugo di Farfa. Libero ognuno d'estendere quanto più potesse i propri domini senza pregiudicare all'altro, farfensi e salvatoriani s'intesero a meraviglia insieme per più secoli.
  40. ^ (Schuster pag. 2?): Nonostante la distanza ed il cammino disastroso che le separava, le due comunità si erano sempre considerate come un'unica famiglia, cosi che spesso si scambiavano delle visite reciproche, specialmente in occasione dello feste più solenni, e concedevano assai facilmente ai loro monaci il passaggio dall' uno all' altro monastero (RF V). L'uso dei Farfensi di trasferirsi d'estate sulle alture del Letenano si é conservato sino a quest'ultimi tempi, ma all'infuori della notizia contenuta nel documento citato non sapevano nulla della consuetudine dei monaci del Salvatore di trascorrere a Farfa una parte dell' inverno, onde sfuggire si rigori del freddo. (Cf. Episitula ad Dominum Landuinum venerab. abb. monast. Domini Salvatori).
  41. ^ E' il caso dell'abate Adinolfo, figlio di Rinaldo, che nell'XI secolo passò alla guida dell'abbazia di Farfa.
  42. ^ (Schuster pag.26): Verso la fine del secolo X le relazioni tra i] monastero di Farfa e di San Salvatore furono piú intense che mai, in grazia soprattutto del celebre abbate Ugo I, che strinse amicizia col nostro Landuino. [........] Fu verso il 1014 che Ugo I rientrato in possesso dei castelli abbaziali di Tribuco e di Bocchignano, già occupati dai Crescenzi, ottenne da Benedetto VIII il «districtum et placitum» su quelle terre, come l'esercitavano altra volta i «Comites» di Sabina. Altri vasti possedimenti del monastero di San Salvatore a San Pietro di Alearia, rientrando nella circoscrizione comunale di Bocchignano, sarebbero stati perciò soggetti all' abbate di Farfa, ma Landuino, giovandosi delle sue buone relazioni con Ugo, lo pregò a concedere ai suoi vassalli di quelle torre un'ampio privilegio di larga esenzione, perché non riconoscessero altra autorità all' infuori di quella di San Salvatore. Ugo, inteso a favorir l'amico, acconsenti, e nelI'agosto 10i8 emanò un Costituto, in cui esimeva dalia giurisdizione di Farfa i coloni di Meana, tranne il caso che dovesse rilevarsi II «fodro» per l'imperatore. L' abbate farfense inoltre si obbilgò a difendere i vassalli del Salvatore, come i suoi propri, ma Landuino a sua volta accondiscese che essi venissero iscritti tra i castellani di Bocchignano, adempiendo fedelmente all'obbligo di montar la guardia alla fortezza e di prestare omaggio di fedeltà all' abbate di Farfa, come suoi veri sudditi feudali. In caso di delitto, d'adulterio, stupro, omicidio, incendio o tradimento della piazza forte, i coloni di Meana dovevano sottostare al tribunale dell'abbate di Farfa, ma quello del Letenano aveva diritto d' assistere in persona o per mezzo d'un messo; ad ogni modo egli ritirava la metà delle multe. (Schuster pag.27): L' atto generoso di Ugo fu approvato a maggioranza di voti dai suoi monaci, il che formò motivo a Landuino di stringere sempre più i vincoli d'antica amicizia che univano le due grandi badie imperiali, incaricando il Farfense di farne delle ricerche in proposito in quel copioso archivio. Ugo gli rispose dopo qualche tempo, annunciandogli l'ottima impressione prodotta nella comunità per quel loro accordo. Quanto alle ricerche istituite, dalle «cartas, tomos sive membrana, nostrae ecclesiae autentica munimina et antiquissima» risultava che sin da principio tra Farfa e San Salvatore era esistita una corrente di mutua simpatia, tanto che era assai facile al monaci il passaggio dall'una all'altra coinunità. D'estate quei di Farfa solevano recarsi in gran numero sulle alture del Letenano, mentre d'inverno i Salvatoriani scendevano nel piano lambito dal garrulo fiume Farfa, ove le due comunità trattavansi con ogni riguardo di familiarità ed amicizia.
  43. ^ (Schuster pag.27): La presenza dell' abbate Anastasio a Farfa quando Lodovico II neIl'872 visita la badia, aveva fornito l'occasione che l'imperatore comprendesse in un unico diploma, concesso in comune agli abati Giovanni farfense ed Anastasio, la conferma dei rispettivi patrimoni abbaziali; e infatti la storia dello svolgimento della potenza territoriale farfense dimostrava che mai era sorto alcun alterco coi monaci del Letenano a cagione d' interessi pecuniari e amministrativi. Lo stato di Farfa si prolungava sin quasi alle porte stesse di San Salvatore ove possedeva Longone, San Benedetto, Malialardo, Celia Nova e Lesenie, ma questi beni che facevano parte del patrimonio farfense sin dall'VIII secolo intralciavano l'amministrazione della badia che difficilmente poteva sorvegliare la loro coltivazione a cosi grande distanza. San Salvatore si trovava nelle identiche condizioni, onde Ugo I terminò a sua lettera a Landuino richiedendogli se una permuta di quei fondi non fosse vantaggiosa ad entrambi (Non sappiamo nulla se Landuino abbia aderito alla proposta, ma ne dubitiamo assai, giacché in un elenco dello usurpazioni subite dai monaci di Farfa e presentato verso iI 1116 a Pasquale II, ritroviamo ricordati gli stessi possedimenti descritti da Ugo nella sua lettera a Landuino).
  44. ^ (Schuster pag.18): Tanto disinteresse però i Salvatoriani non lo mostravano punto coi vescovi di Sabina, coi quali anzi talora furono in aspra lite.
  45. ^ (Schuster pag.30): Talora però monaci da oppressi divenivano alla loro volta invasori, in ispecie quando si trattava dei diritti episcopali che cercavano d'eludere e di diminuire coi loro privilegi papali, a col dilatare i loro possedimenti, immuni per legge dalia giurisdizione episcopale. In un tempo quando i rispettivi diritti s'intralciavano e si collidevano a vicenda, non era difficile che tra gli episcopi e le badie sorgessero delle aspre contestazioni patrimoniali, che si protraevano acremente per lunghi anni. La storia di Farfa offre più d'un esempio di queste liti, non di rado selvagge, ove le parti sostenevano a mano armata la causa loro, incendiando, saccheggiando e menando strage del territorio dell'altra. La storia dei litigi fra Pietro, vescovo di Abbruzzo e l' abbate di San Salvatore, anch' esso di norne Pietro, è rimasta tristemente famosa. Ci rimangono solo i documenti da parte del vescovo. Nel 1057 in un placito raccolto nello stesso cenobio controverso alla presenza di Eniardo «missus» imperiale, e dei vescovi Bernardo di Vicenza ed Ottone di Novara, cancelliere dell'imperatore, l'abate fu costretto a cedere alle ragioni del vescovo Pietro.
  46. ^ (Schuster pag.30-31): In una lettera di san Pier Damiani (1007-1072) al cardinale IIdebrando a proposito del suo libro «Gomorrianus», rileviarno che Alessandro II, ad impedire la diffusione di questo scritto, alta presenza dell' autore simulò di voler consegnare il codice all' abbate di San Salvator Maggiore perché glielo facesse trascrivere. II Damiani, non sospettando di nulla, diede il manoscritto porche se ne prendesse copia nel monastero del Letenano, ma invece nella notte seguente il pontefice fece trasportare il codice negli archivi papali, lasciando che l'autore minacciasse e protestasse a suo grado contro quel tradimento orditogli in nome dell'amicizia. Non é forse senza importanza che Alessandro II, mentre in Roma non mancavano delle buone scuole calligrafiche, sia ricorso all'abbate del Salvatore per far copiare il Gomorriano, e la meraviglia cresce quando si riflette che una particolare famiglia di martirologi rappresentata da uno già in uso a Monte Cassino, a S.Maria in Trastevere a Roma, a San Ciriaco in Via Lata e altrove dipenda da un archetipo del monte Letenano. Non é il caso da questi scarsi elementi di giungere subito sino ad intuire una speciale scuola Salvatoriana che avrebbe diffuso in tutto il ducato romano il culto delle lettere e delle arti, ma corto qualche cosa pur vi dove' esser, quantunque ora per noi sia impossibile di determinarne le condizioni.
  47. ^ Chisari: Ma Anastasio, bibliotecario o meno, a San Salvatore deve aver istituito o quanto meno dato impulso all'attività di trascrizione di testi e codici che in quel periodo le migliori abbazie già svolgevano. Questa attività, di cui Farfa traeva grande vanto, era ovvio dovesse esistere anche a S. Salvatore per i noti legami tra i due cenobi, ma Schuster riferisce un episodio che indirettamente fornisce la prova. Papa Alessandro II (1061-1073), volendo sottrarre a S. Pier Damiani (1007-1073) il manoscritto "Gomorrianus"(ed.1051) non intendendo farlo diffondere, gli disse che lo mandava all'abbazia di S. Salvatore per farlo copiare (mentre poi lo fece chiudere negli archivi del Vaticano). Il riferimento alla "copisteria" del Letenano, non mancando a Roma e nei dintorni, e in particolare a Farfa, altri celebri scriptoria, non può che confortare l'ipotesi che in quella abbazia esistesse una scuola nota e ben valutata. Da questa scuola sono usciti lavori (martirologi) che sono serviti da riferimento e da esempio per le successive compilazioni sullo stesso tema. Dall'archetipo del Letenano sono stati tratti i martirologi in uso a Montecassino, a S. Ciriaco in via Lata, a S. Maria in Trastevere (c'entra forse Anastasio bibliotecario?) e altrove.
  48. ^ Nella pubblicazione del 1914, lo Schuster include l'Abate Adinolfo, personaggio rilevante nel XII secolo alla guida di Farfa, come abate di San Salvatore, per poi appurare, nel suo scritto su San Salvatore Minore del 1918 che Adinolfo, prima di essere stato abate di Farfa era stato abate nel monastero di San Salvatore Minore a Scandriglia e non sul Letenano. Nella pubblicazione del 1914, quindi, lo Schuster racconta che all'inizio del XII secolo era abate di San Salvatore Adinolfo, figlio del conte Rinaldo, signore di Rocca Sinibalda ((Schuster pag.35): Intanto sul monte Letenano i monaci trascorrevano i loro giorni lietamente tranquilli sotto il saggio governo d'Adinolfo figlio del conte Rinaldo, una delie famiglie più illustri e potenti della Sabina - Chisari: Nel 1183, al tempo di Guglielmo II, tra i titolari di feudi della regione sabina è elencato Rinaldo di Sinibaldo, signore di Mareri, il quale possiede anche alcuni feudi di S. Salvatore Maggiore. Ndr. Deve essere il figlio di Rinaldo padre di Adinolfo (fratello di Adinolfo)), vassallo dell'imperatore Enrico V che al pari di altri vassalli della Sabina, pur dovendo fedeltà all'imperatore e quindi alle abbazie a lui legate, non si faceva scrupolo di difendere i propri interessi nel caso questi confliggessero con quelli delle abbazie ((Schuster pag.34): II padre in quel funesto dissidio tra Chiesa e Stato professavasi devoto agli ideali cesarei e diceva di voler mantenere onorevolmente la fede giurata ad Enrico V; il che tuttavia non gIi impediva di trovarsi sovente in discordia cogli imperialisti farfensi, in ispecie quando v'era di mezzo l'iteresse, o trattavasi di restituire loro i beni abbaziali da lui, o dal padre, o dal nonno suo ingiustamente usurpati.). L'azione di governo a San Salvatore di Adinolfo doveva aver ereditato l'impronta bellicosa paterna essendo stata tutta improntata al recupero dei beni usurpati al monastero dalle pretese dei vescovi fedeli al papa. In questo tormentato periodo le sorti di San Salvatore di legarono ancor di più a quelle di Farfa: già prima del concordato di Worms la curia papale aveva tentato di imporre la sua ingerenza sull'abbazia di Farfa promuovendo alla guida del monastero l'abate Guido III. I monaci del capitolo farfense, però, scontenti del governo di Guido, volevano porre a capo del monastero l'abate Adinolfo di San Salvatore perché risollevasse anche a Farfa , come aveva fatto sul Letenano, le sorti del monastero, in balia delle prepotenze dei vescovi e dei signori della Sabina appoggiati del pontefice. I desideri dei monaci di Farfa si scontravano con le preoccupazioni del padre dell'abate Adinolfo, il conte Rinaldo, il quale, non volendo perdere l'appoggio dell'imperatore Enrico V prestando suo figlio al governo di un'abbazia ormai verso il partito papale, impedì l'elezione del figlio ad abate di Farfa, trattenendolo presso di sé. Nulla poté la visita del papa Callisto II a Farfa il quale non potendo eleggere Adinolfo a nuovo abate confermò Guido III alla guida dell'abbazia. Conclusa la pace tra Callisto II e Enrico V i monaci di Farfa dovettero sopportare il governo di Guido III e le angherie a cui erano sottoposti dal nuovo potere, in quanto tradizionalmente avversi al partito papale e nonostante le suppliche a papa Callisto II dovettero attendere la sua morte e la venuta del suo successore Onorio II per poter accogliere come nuovo abate Adinolfo da San Salvatore Maggiore nel febbraio del 1125. ((Schuster pag.36): Lo spirito guerriero ora come nel sangue dei Rinaldi, onde anche Adinolfo trascorse i suoi primi anni di governo a San Salvatore in continue guerre. Così che, risollevata la potenza della badia, i nobili non osarono più d'invaderne i possedimenti come avevano fatto per lo innanzi. Le mutate condizioni dei tempi, ora che le badie imperiali del ducato romano erano anche divenute una potenza politica di prim'ordine, avevano imposto il mantenimento d'un piccolo esercito permanente, il quale, mal retribuito dai monaci, viveva sul bottino di guerra. II governo titubante e debole di Guido III a Farfa era stato in questo senso un vero disastro per le soldatesche, onde quando nel monastero si sollevò quasi universalmente la rivolta centro l'inetto prelato, i cavalieri sostennero la candidatura di Adinolfo, nella speranza d'inaugurare sotto di lui un periodo più bellicoso. I capitolari si scissero in diversi partiti, alcuni osservavano che tutta la prosapia dei Rinaldi era stata ostile a Farfa, ma i più vecchi facevano intravedere che Adinolfo, nutrendo pensieri affatto diversi, poteva salvare il monastero e riparare così le colpe dei suoi maggiori. Per mala ventura la candidatura dell'abbate del Salvatore più che da ogni altro era sostenuta dallo stesso Guido III, il quale, non riuscendo a vincere la riluttanza dei capitolari, ricorse a Callisto II, perché colla forza delle armi imponesse ai monaci Adinolfo per abbate. Ma l'affare non fu potuto tener cosi secreto che non giungesse a notizia del conte Rinaldo, il quale, per non compromettersi con Enrico V, fece arrestare durante un viaggio il figlio e sotto buona custodia lo trattenne presso di sé, frattanto che il giorno di San Giovanni (24 giugno 1122) Callisto II, entrava con un grande esercito nella badia deserta. All' avvicinarsi del pontefice i monaci avevano tutti abbandonato il monastero, onde essendo fallito il coipo il papa se ne ritornò confuso a Roma, lasciando che Guido III spadroneggiasse liberamente sul patrimonio abbaziale. Dopo conclusa la pace tra Enrico V e Callisto II per mezzo del concordato di Worms (1022) il Concilio Lateranense scomunicò nel 1123 (18 marzo) l' abbate Berardo, il competitore imperiale di Guido, onde i monaci, perduto l'appoggio d'Enrico V, furono costretti a ritornare a Farfa sotto l'ubbidienza di Guido che descritto in un'altra opera i giorni tristi che s'inaugurarono allora per la badia desolata: l' oppressione più tirannica, la fame, gli scherni, non fu risparmiato nulla centro i cenobiti, i quali, vinti da tanti mali, inviarono venti di loro ai piedi di papa Callisto, alfin di muoverlo a pietà della badia. Gregorio di Catino, che faceva parte della deputazione, racconta che il pontefice non si lasciò vincere né da suppliche né da pianti, onde i farfensi, non potendone ottenere alcun conforto, se ne partirono tutti confusi dal Vaticano e tornarono al monastero. Seguirono altri due anni di desolazione e di rovina nel frattempo Callisto II uscì di vita il 13 decembre 1124, ed Onorio II che gli successe si mostrò di più miti sentimenti verso i poveri monaci, tanto che questi s' accordarono insieme per proporgli la candidatura d'Adinolfo. Alla presenza dei messi papali e di gran numero di cavalieri e di nobili, Guido, in segno di rinunzia, depose lo scettro abbaziale sull'altare della Madre di Dio, e dopo, sciolto dal giuramento di fedeltà il popolo e le milizie, ritornò ad assidersi all'antico posto che già occupava altra volta quand'era sacrista del monastero. Dichiarata vacante la cattedra, i capitolari pregarono i cardinali a conceder loro da parte del papa libera licenza di eleggere Adinolfo, ed avutala, sottoscrissero il decreto di sua elezione e l'intronizzarono solennernente sulla sede abbaziale il lunedi di carnevale 6 febbraio 1125. La storia di Adinolfo come abbate di Farfa esce dai limiti dell' argomento, tanto più che ne ho già trattato altrove. Il suo governo fu tra i più agitati che egli più volte dovette prendere la via dell'esilio, mentre che gli avversari trionfanti depredavano a man salva il patrimonio, ma la sua figura sia come abbate, quando divenne la colonna più forte dell' ortodossia al tempo dello scisma tra Innocenzo II e l'antipapa Anacleto II, sia come cardinale e legato papale é tra le più gloriose della badia; cosi che, giusta quanto se ne ripromettevano i suoi elettori, egli può veramente considerarsi come un altro fondatore del monastero.) Nonostante Adinolfo sia ricordato come difensore dell'ortodossia nel monastero farfense, molte volte, nell'ambito delle lotte tra i due partiti, papale ed imperiale, venne allontanato dal monastero farfense. Non stupisce perciò che nel 1125 il monastero del Salvatore, dove la situazione era relativamente più tranquilla, fosse indicato ai monaci di Farfa come esempio da seguire. (Schuster pag.33): Mentre a Farfa cominciano dei tumulti si indica il monastero del Salvatore come esempio. Anche altri autori successivi, che si sono occupati dopo dello Schuster di san Salvatore Maggiore, non si sono ravvisati di questa svista iniziale dello Schuster, continuando ad attribuire a San Salvatore Maggiore il governo dell'abate Adinolfo: (Chisari) nel 1125 l'abate Adenolfo di Farfa, già abate di S. Salvatore, amico di S. Bernardo di Chiaravalle, gli chiede di intervenire presso l'abate Pietro Bernardo, che nel 1145 diverrà papa Eugenio III, affinché un gruppo di monaci cistercensi potesse andare al monastero del S. Salvatore, dove evidentemente i religiosi scarseggiavano. Ancora una volta la collaborazione tra Farfa e S. Salvatore emerge con precisi riferimenti. Al contrario nulla si sa di come l'abbazia abbia vissuto il periodo delle Crociate, se e in quale misura i monaci si siano impegnati per convincere le persone a parteciparvi, i vassalli a partire per la Terra Santa. Gli avvenimenti di quel periodo non sono certo passati sopra il monte Letenano senza lasciare traccia, anche se la stessa non è per ora rilevabile. Si dovrà cercare forse in fondo alle cripte oppure tra i rovi del chiostro, ma i monaci del Salvatore sono certamente stati in Palestina al seguito dell'imperatore. (Grappa) In questo periodo Il monastero fu sottoposto a radicali lavori di ampliamento e di  ristrutturazione; sempre in questo periodo (1138 ca.) l’abate Baldovino, monaco di Clairvaux, tentò, senza successo (anche per l’opposizione della locale nobiltà rurale), d’introdurvi la riforma cistercense. La riforma fu affidata al cisterciense abate Bernardo – il futuro pontefice Eugenio III, regnante dal 1145 al 1153 – a cui si aggiunse più tardi il provvedimento di nomina di un abate commendatario) - (NOTA: La riforma dei monaci berrettanti non fu però efficace, tanto che nel corso dei secoli furono numerosi gli interventi dell’autorità pontificia nei confronti dell’abbazia di San Salvatore, fino alla soppressione decretata da papa Urbano VIII con un breve emanato il 12 settembre 1629.)
  49. ^ Chisari: Denso di avvenimenti per il Salvatore è l'anno 1149, allorché Ruggero il Normanno, re di Sicilia, prende le armi contro il papa e dopo il saccheggio di Roma si dirige sulle città del Lazio, impadronendosi anche di Rieti che affida in feudo ai suoi.
  50. ^ cfr. Leggio I conti di Cunio in Sabina circa la presenza in Sabina, all'epoca del Barbarossa, di membri della numerosa famiglia romagnola dei Conti di Cunio e la fondazione del Castrum Plagiarum e della fortificazione di Rocca Ranieri sulla valle del Salto.
  51. ^ Sposato in terze nozze nel 1151 con Beatrice di Rethel, nelle Ardenne, figlia del conte di Rethel e di Beatrice di Namur (a sua volta terza figlia del conte Goffredo I di Namur). Quindi Beatrice di Rethel, nipote del conte Goffredo di Namur, era la nonna di Federico II di Svevia, figlio di Costanza d'Altavilla ed Enrico VI di Svevia, figlio di Federico I Barbarossa.
  52. ^ (cf. e' il documento di Maglioni del 1191 che attesta il dominio si S. Salvatore sul terriotorio delle Plage da Paganico al Borgo di Rieti).
  53. ^ Chisari: Una fazione di questa famiglia, fedele alla causa imperiale tedesca subisce le conseguenze della sconfitta inflitta da Tancredi a Enrico VI nel 1191. Un altro ramo dei Mareri, avverso a Federico II, perde nel 1241 i beni del Lazio e dell'Abruzzo, ma alla morte di Federico il papa Innocenzo IV reintegra i discendenti nelle terre già appartenute alla loro famiglia sia nel regno pontificio sia in Abruzzo. Altri Mareri seguono la causa di Corradino. A seguito della sconfitta subita a Tagliacozzo nel 1268 e alla conseguente incarcerazione di Corradino, essi sono spogliati dei beni che nel 1277 vengono assegnati a Stefano Colonna. I Mareri beneficiano di un'altra reintegrazione per opera di Roberto Re di Napoli il 19 febbraio 1323, ma nel 1510 l'intera famiglia è sterminata da mani assassine e l'unica superstite, Costanza, si disfa della contea vendendola nel 1532 al cardinale Pompeo Colonna.
  54. ^ (Leggio) Nel momento della fase espansiva del papato i problemi esplosero agli inizi del XIII secolo, quando nel 1211 intervenne Innocenzo III, visti i contrasti sull’elezione del nuovo abate.
  55. ^ (Schuster pag.38-39): II 24 aprile 1221 un'altra bolla di Onorio III (1216-1227) all'abbate Ranuzio di San Salvator Maggiore venne a garantire nuovamente i possedimenti del monastero a cui da tutte le parti si tendevano insidie. Vi si confermano in particolare i beni abbaziali situati nel Reatino tra i flumi Salto e Turano, dal rivo Paganico alla pianura di Rieti coi castelli di San Martino, Poggio Sant' Angelo, Palerofo e Campolanio; tra le dipendenze salvatoriane a Roma sono ricordate le chiese di San Salvatore «de Dompni Campo» e di San Martino «in Panerella» nel rione Arenula; in Sabina vengono confermati i monasteri di San Giuliano, di San Giovanni in Tocia, di Sant'Andrea, San Vittore, Santa Maria a Poggio Moiano; nel vescovado di Rieti la chiesa di San Giuliano a Trebula, il monastero di Santa Cecilia, di San Salvatore «in Vacungno», Sant' Angelo «in casa muca» col suo castello, il cenobio di San Paolo in Roiano e di San Bartolorneo «in Scopeto». Nella Marsica San Salvator Maggiore possedeva ii monastero di Santa Maria «in Valle Maecuiana» e di San Salvatore in Paterno. Nelia diocesi di Furcona quellio di Sant' Angelo de Mera, oltre un' altra lunga lista di beni nella diocesi di Valva. 
  56. ^ Maglioni
  57. ^ (Chisari): Innocenzo IV il 15 aprile 1249 da Lione attribuisce a Pietro diacono, cardinale di S. Giorgio al Velabro, autorità "in spiritualis et temporalibus" su un gran numero di monasteri in tutta l'Italia centrale, compreso il nostro S. Salvatore, con pieni poteri, allo scopo di esperire trattative con il Regno di Sicilia. È interessante conoscere alcune delle ampie potestà affidate al cardinale Pietro, il quale tra l'altro poteva assoldare eserciti e con essi entrare nelle regioni pontificie, consacrare e sconsacrare laici e chierici, promettere benefici, contrarre mutui fino a 10 mila marchi d'argento e per 10 mila once d'oro, chiedere aiuto ai cavalieri Templari e agli altri ordini religiosi e persino di consentire a 50 persone di diventare religiosi in difetto di legittimi natali! E siamo nel vivo della lotta con Federico II, ma i pieni poteri del cardinale anche sull'abbazia del Salvatore costituirono un pericoloso precedente.
  58. ^ (Schuster pag.40 in nota): Già le lotte tra il pontefice e Federico II avevano avuto il loro contraccolpo anche negli stati badiali di San Salvatore, quando il 7 aprile 1249 Innocenzo IV da Lione scrisse ai monaci di «S. Salvatoris de Reate», annunziando la legazione del card. Pietro di S. Giorgio, rettore della Marca e del Ducato, allo scopo di liberare i popoli di Sicilia oppressi da Federico. Il 15 aprile successivo il pontefice concesse al legato facoltà di esercitare il proprio ufficio anche sul territorio dell'abbazia di San Salvator Maggiore).
  59. ^ (Leggio) Recuperato il controllo sull’abbazia da parte papale, le tensioni ebbero una brusca accelerazione subito dopo la nomina del vescovo Tommaso alla sede di Rieti, nel 1252. Il processo contro San Salvatore Maggiore fu avviato solennemente tra 16 e 17 settembre 1253 e fu negativo per l’abbazia, poiché i diritti episcopali e l’esercizio della giurisdizione ecclesiastica nei riguardi delle cappelle monastiche furono attribuiti al vescovo ordinario reatino. (1253 Causa contro S. Salvatore - Elenco delle chiese soggette al vescovo di Rieti da cui richiedere i Benefici -> Documento Parigino del 1253 in cui molti castelli e chiese si trovano nominati per la prima volta). Dopo questi fatti, la situazione di San Salvatore divenne più debole segnando un momento profondo di crisi.
  60. ^ Chisari: [...] Era l'effetto della vittoria del papato sull'impero e il risultato della sottomissione dell'abbazia all'autorità pontificia come avvenuto per Farfa con il privilegio di Urbano IV del 23 febbraio 1282. Il documento con cui Onorio IV garantisce i beni del S. Salvatore è del 24 aprile 1281 e pertanto la defensio imperialis sui due cenobi deve essere cessata negli anni immediatamente precedenti.
  61. ^ Maglioni, pag.34
  62. ^ (Leggio)
  63. ^ Chisari
  64. ^ (Schuster pag.40): Sembra tuttavia che anche sul monte Letenano l'elezione dell'abbate Egidio sia stato come il pomo di discordia tra i monaci e la cosa andò si oltre che dové intervenirvi Onorio IV (1285-1287). Ci sfuggono i motivi della controversia tra il prelato (ndr.il papa Onorio IV) e i cenobiti, ma dal Regesto di questo pontefice rileviamo che egli l'11 marzo 1296 (deve essere 1269 vedi dopo) scrisse agli abbaziali che consegnassero le rocche e le castella di San Salvatore a Sabatino, vescovo di Tivoli, il quale doveva prendere pure l'amministrazione del monastero fintanto che fosse stata definita la lite. Il 15 marzo successivo Onorio IV comunicò al vescovo l'incarico commesso alla sua esperienza, mentre con un altro breve diretto all'abate Egidio e al monaci s'intimava di fare a Sabatino la consegna dei beni cosi immobili che mobili di San Salvatore. II processo fini col ritiro dell'abbate che venne ridotto a dimettersi, onde il 20 dicembre 1270 Nicolò IV (1288-1292) destinò a succedergli Filippo, già abbate del monastero di Sant' Andrea e di San Silvestro sul Monte Soratte. Il nuovo eletto non s'illuse un istante sulla difficoltà della posizione; non erano solo i monaci quelli che ostacolavano l'opera del prelato, ma vi si aggiungevano i vassalli che, intolleranti d'ogni giogo e smaniosi di libertà e di franchigie (Schuster pag. 41-42) erano alla lor volta favoriti dai baroni dei dintorni che spadroneggiavano sul patrimonio di San Salvatore, senza che l'abbate avesse il modo di reprimerne l'audacia. Perciò Filippo si rivolse subito per aiuto al papa, il quale tre giorni dopo la sua elezione (23 dicembre 1290) nominò protettore del monastero il cardinal Matteo d' Acquasparta, perché, a richiesta dell'abbate, ne sostenesse le ragioni contro gli usurpatori e i vassalli ribelli.
  65. ^ (Schuster pag.41): A Filippo dopo qualche anno successe nel governo l'abbate Pietro, il quale ad ogni modo non sedé a lungo, giacché il 28 novembre 1307 già era morto il suo successore a nome Cambio. I capitolari allora entrarono in trattative per ottenere che Francesco, abbate di Subiaco, passasse a San Salvatore, e a tale scopo inviarono a Poitiers alla corte di Clemente V (1305-1314) il monaco Bonus-Iohannes, perché vi trattasse di questa traslazione.
  66. ^ (Schuster pag.41 in Nota): II candidato, di costumi feroci e d' animo prepotente, venne cacciato da Subiaco verso lI 1303, senza tuttavia che egli rinunziasse mai ai suoi pretesi diritti su quella badia. Gli stessi sublacensi non sanno nulla di queste trattative di Francesco coi monaci di San Salvatore, ma gli intrighi del sedicente abbate si spiegano bene quando si tiene conto che essendo succeduto a Subiaco un amministratore apostolico, Nicola da Mileto, Francesco, sentendosi vacillare il suolo sotto i piedi, mediante la candidatura di San Salvatore, cercò d'avere, come dicesi, il piede in due staffe, assicurando la sua posizione.
  67. ^ Cattività Avignonese (1309 -1377). Già dal 1303, Clemente V (1305-13014) era a Poitier.
  68. ^ (Schuster pag.41): Il messo tuttavia disbrigò si bene quest' affare, che il papa, considerando anche lo stato del monastero, «in suis facultatibus et viribus non modicum diminutum» (ndr. it. assai decaduto nelle sue facoltá e diritti) cassò l' elezione dei monaci e lo creò abbate, facendolo consacrare dal cardinal Nicola, vescovo d'Ostia e Velletri. In data del 28 novembre di quest' anno (ndr.1307) Clemente V indirizzò a tale riguardo tre lettere, all' eletto, al capitolo dei monaci e ai vassalli, perché accogliessero colla dovuta ubbidienza il nuovo abbate, e l'aiutassero nel sollevare le sorti dell'avvilita badia.
  69. ^ (Schuster pag.42): Il 10 gennalo successivo (ndr 1308) ritroviamo Bonus-Iohannes ancora a Poitiers, ove in questo giorno ratificò alla Camera Apostolica e al Collegio dei Cardinali il debito di 400 fiorini d'oro (ndr. la rendita dell'abbaia era di 200 fiorni d'oro l'anno. Cf. Leggio - la Signoria di San Salvatore Maggiore) e 5 «servitia» lasciato insoluto dai suo predecessore Pietro, e si obbligò, inoltre, a pagare per suo conto altri 100 fiorini e 5 «servitia» sino alla festa d' Ognissanti. L'odioso sistema fiscale introdotto da Clemente V era tutt'altro che fatto per risollevare San Salvatore al primitivo splendore; ma non contò nulla, e Bonus-Johannes, se volle mettersi al sicuro contro i fulmini della scomunica che gli ufficiali della tesoreria pontificia lanciavano con un'audacia pari alla loro leggerezza, dové di tanto in tanto inviare il suo gruzzolo a Clemente V, mentre proprio ce ne sarebbe stato estremo bisogno sul Letenano che, per concessione stessa del papa, era assai decaduto nelle sue facoltà e diritti.  Bisogna tener conto di tutte le altre contribuzioni imposte dai papi avignonesi alle chiese e ai monasteri, alle decime per le vare guerre, ai «subsidia», alle riserve e alle aspettative dei benefici vacabili per comprendere tutto il danno che cagionarono alla Cristianità da queste forzate contribuzioni pecuniarie.
  70. ^ Probabilmente un'altra famiglia, come i Conti di Cunio, originaria della Romagna se non proprio un ramo dei Conti di Cunio o forse, in ambito locale, i conti di Cunio, originari dei territori romagnoli, venivano semplicemente indicati come "de Romania" ovvero "[Famiglia originaria] della Romagna".
  71. ^ (Schuster pag.43): Il governo di Bonus-Iohannes fu tra i più agitati che conti la storia. Il Comune di Rieti, d'accordo con i nobili dei dintorni, istigò dapprima la ribellione fra i vassalli del monastero, indi, dopo essersi impadronito violentemente del castelli badiali che sorgevano nel territorio reatino, strinse una convenzione cogli abbaziali perché all' ombra del Comune si scuotessero di dosso l'inviso giogo di San Salvatore. Colle idee che già bollivano in quei capi di montanari non vi volle molto ad aizzarli alla rivolta, e rafforzare le loro file da altre turbe di mercenari, corsero in armi sul monte Letenano minacciando ai monaci l'ultimo sterminio. L' assedio durò due giorni, ma alla fine quelle orde furibonde riuscirono a penetrare nel monastero attraverso le mura smantellate e vi rinnovarono le atrocità del Saraceni quattro secoli prima.
  72. ^ (Schuster pag.44): Insieme con le granaglie e le diverse derrate nel magazzini, quei forsennati appiccarono il fuoco anche al paramenti sacri della basilica, ai codici della biblioteca e alle carte dell' archivio che andarono distrutte: i monaci probabilmente si misero in salvo con la fuga, giacché non si ha alcuna notizia che venisse loro recato danno nella persona, ma il Comune di Rieti approfittò tosto di quel primo momento di sgomento per confiscare a proprio vantaggio quasi interamente lo stato abbaziale. Le castella vennero adunque concesse ai diversi capitani e agli ufficiali di Rieti e l'usurpazione violenta fu sostenuta innanzi al popolo con si valide ragioni in favore del Comune, che i suoi diritti su quelle terre sembrarono irrefutabili. I monaci tuttavia ricorsero a Clemente V che risiedeva allora a Poitiers, donde il 4 marzo 1308 diresse un breve a Pandolfo de' Savelli «praeposito chableyarum in ecciesia Sancti Martini Turonensis» e notaio apostolico, in cui, fatta la storia della controversia tra San Salvatore e il Comune di Rieti, gil ordina d'annullare le convenzioni stipulate tra i nobili e i badiali, con ordine ai Reatini di ritirare dentro un determinato tempo le loro soldatesche dai castelli del monastero.  
  73. ^ (Schuster pag.45): Clemente V incaricó tosto a viva voce il cardinal Giovanni del titolo dei Santi Pietro e Marcellino, perché istituisse sul luogo un' inchiesta sommaria e ne riferisse poscia in concistoro. Furono chiamati a deporre parecchi testimoni, dai quali risultó che il monastero aveva sernpre esercitato giurisdizione cosi ecciesiastica che civile sui castelli di Mirandelie, Lutta, Valle Cupola, Guaiata, Rocca, Poggio Vittiano, Longone, Insenie, Visiola, Vaccareccia, Malialardo, Villa de Ulmis, San Benedetto, Cripte, Porciliano, Licingiano, Genzalia, Rocca Raneria, Colcerviano, Pratoianne e Offedio, onde la relazione del cardinale fu interamente favorevole ai monaci. Clemente V comprese egregiamente tutta la difficoltà delle circostanze, giacché trattavasi di restituire a San Salvatore quasi intero il suo stato temporale contra le pretese dei potenti Reatini. V'era a temere che gli stessi monaci non avrebbero avuto la forza necessaria per esigere tale restituzione; onde, deliberata la casa in concistoro coi cardinali, il 15 giugno 1310 il pontefice ordinò al Comune l'immediata consegna delle usurpate castella all'abbate affidando l'esecuzione di questa sentenza a Napoleone Orsini e ai vescovi dei Marsi e di Valva. A garantire meglio i diritti di San Salvatore, il medesimo giorno scrisse a re Carlo d'Angiò, costituendolo «defensor» della badia.
  74. ^ (Grappa)
  75. ^ Maglioni, Pag. 26
  76. ^ (Leggio): Ebbe invece successo il tentativo dei Mareri, i quali alla metà del XIV secolo avevano mutato strategia, puntando come detto a occupare le cariche religiose più importanti del territorio e a espandere la loro influenza nello Stato della Chiesa. Durante il 1300 e nei primi anni del 1400 i frati dell'abbazia di San Salvatore si misero sotto la protezione dei potenti conti Mareri di Petrella per poter difendere il loro territorio dalle insidie che continuamente erano ordite a loro danno dal comune di Rieti e dai principi delle più importanti famiglie nobili del tempo quali gli Orsini e i Savelli Dal 1382, infatti, è attestata la presenza come abate a San Salvatore Maggiore di Ludovico di Lippo Mareri. Nello stesso anno scoppiò una controversia con Lucarello Savelli per il castello di Capradosso. Nel 1385 fu Rieti a scontrarsi con l’abate e Lippo (ndr. Lippo Mareri, il padre dell'abate Ludovico) per un sequestro di grano. La disputa fu risolta rapidamente con un accordo di pace tra le parti. Di rilievo è l’elenco dei castelli dell’abbazia fornito dalle carte reatine. L’elenco era stato redatto da due notai, Antonius Petructii Iacobi di Petrella e Oddonus Berardi di Concerviano de Abbatia, così come si definiva comunemente il territorio della signoria, e comprendeva i seguenti insediamenti denominati genericamente castra a prescindere dalle forme dell’insediamento: Mirandella, Vallecupola, Poggio Vittiano, Guaita, Rocca Vittiana, Longone, Pratoianni, Baccarecce, Antignano, San Silvestro, Rocca Ranieri, Porcigliano, Cenciara, Offeio, Capradosso, San Martino, Verano. Mancava Magnalardo, probabilmente ancora in possesso dei Savelli (ndr. Rispetto all'elenco nella lettera di Clemente V del 1310).
  77. ^ Oltre che con il comune dei Rieti nel territorio delle Plage, scontri avvennero anche con il castello di Grotti nei territori del Regno (Maglioni, pag.26).
  78. ^ (Schuster pag.46-47): Il Comune di Rieti venne costretto a restituire il mal tolto, ma i torbidi che durante questo periodo sconvolsero lo stato pontificio non poterono a meno di non ripercuotersi sulle sorti del cenobio che andò sempre scemando in dignità e potenza. Dopo l'esilio d'Avignone, alio scoppiare dello scisma d' Occidente, San Salvatore e Farfa associarono la propria fortuna a quella d'Urbano VI, e alla costui morte, quando nel 1389 gli successe Pietro Tomacelli (ndr. Bonifacio IX), i beni d'ambedue le badie fecero naturalmente le spese del nepotismo pontificio e della politica papale, che mirava a restaurare iI proprio dominio nell'antico Patrimonio di S. Pietro. Francesco Carbone, già monaco cisterciense, indi vescovo di Monopoli e cardinale, doveva tener soggetta la Sabina e le Marche allo zio pontefice; onde dopo essergli state commesse delle importanti legazioni contro la regina Giovanna di Napoli, fu creato vescovo sabinese, vicario pontificio della Campania, Tuscia, Umbria e Sabina, commendatario di Farfa e di San Salvator Maggiore, penitenziere maggiore e arciprete della basilica Lateranense. A Todi, a Narni e a Foligno il Carbone ottenne dei successi assai importanti in favore deIl'autorità pontificia, e sotto di lui anche le due abbazie sabine goderono d'una relativa tranquillità, senza essere più bersaglio di tutti í soprusi dei nobili della campagna reatina. A Farfa il Carbone comínciciò l'opera di restauro della fabbrica delia chiesa e del monastero, e in grazia sua i pellegrinaggi tornarono nuovamente ad affluire lungo le garrule rive del «Farfarus» oraziano.
  79. ^ (Schuster pag.49):L' autorità della badia si era molto ristretta anche in Sabina, ove i monaci vivevano ristretti tra le mura del cenobio senza più esercitare alcun influenza sociale sul popolo. infatti sin dal 1399 Bonifacio IX aveva trasferita la dignità abbaziale nel proprio nipote Francesco Tomacelli, monaco cisterciense, che creò primo commendatario del monastero di San Salvatore.
  80. ^ (Schuster pag.48): Ma così a Farfa che a San Salvatore il rimedio veniva troppo tardi; per colpa d' un complesso di circostanze, la stessa vita cenobitica vi s' era come secolarizzata, per non avere altro scopo che di custodire il censo e la posizione sociale acquistata nei primi secoli del medio evo. Onde nonostante tutte le commende e le troppo interessate protezioni della Curia, sembrava che pei due cenobi si fosse inaugurato come una specie di ridente autunno che prelude tristamente al gelido novembre, quando all'infuriar dei venti gli alberi si dispogliano delle foghe ingiallite. Prima della rovina definitiva di San Salvatore precedé quella delle sue dipendenze. Nel 1507 il priorato di San Catervo di Tolentino, che altra volta dipendeva da San Salvatore, sotto la commenda del chierico Gian-Battista de Rutilionibus, nobile del luogo, non ricoverava più che alquanti chierici e pochi monaci, i quali coll' assegno di 15 ducati annui trascinavano a stento una vita priva di qualsiasi significato e avvilita dalla miseria. Anche a Roma le ragioni dei monaci sulle loro chiese di San Martino e di San Salvatore «dompni Campi» nell' Arenula, non riscuotevano maggior rispetto. II Bovio ricorda che quest'ultima, prima che sotto Urbano venisse demolita, era a tre navi e sembrava antichissima poi passata a Farfa. Nel 1742 veniva demolita e vi si ritrovavano degli scheletri, forse dei monaci uccisi dai saraceni nel IX secolo.
  81. ^ (Leggio)
  82. ^ Leggio, Maglioni.
  83. ^ Leggio: Tutto questo si evince dalla bolla di nomina emanata da Niccolò V.
  84. ^ Durante il conclave del 1471 non riuscendo a far convergere la maggioranza dei voti sulla sua candidatura, Latino Orsini indirizzò i propri consensi su Francesco Della Rovere che uscito eletto prese il nome di Sisto IV, da cui in riconoscimento del suo appoggio ebbe la prestigiosa nomina di camerlengo (1471) e nel 1472 fu nominato arcivescovo di Taranto; rimanendo fedele consigliere e arbitro di gran parte degli affari curiali del pontefice, fino alla morte avvenuta dopo quasi trenta anni di cardinalato nella sua residenza di Monte Giordano, dove lo stesso Sisto IV si era recato con parte del Sacro Collegio a visitarlo tenendovi Concistoro. Fu sepolto nella chiesa del convento di San Salvatore in Lauro a Roma che lui aveva fatto edificare. Grazie al matrimonio della nipote Clarice, figlia della sorella Maddalena, andata in sposa a Lorenzo de' Medici (1468-1469), questi ultimi poterono ottenere con l'inizio del pontificato di Sisto IV, l'amministrazione delle decime papali e le due famiglie Orsini e Medici, strinsero un'alleanza famigliare destinata a durare nei secoli successivi.
  85. ^ Latino Orsini ricevette nel 1477 anche la commenda di Farfa a cui rinunciò nello stesso anno in favore del nipote Cosma Orsini che la ritenne fino al 1481.
  86. ^ Jacopo Piccinio su CondottieridiVentura.it, su condottieridiventura.it. URL consultato l'11 febbraio 2023.
  87. ^ Maglioni, Pag.26
  88. ^ Sebastiano Marchesi, Compendio Storico di Cittaducale (dall'origine al 1592), Rieti, Tipografia Trinchi, 1875.
  89. ^ Maglioni, Pag.26 Così, ad esempio, le località abitate di Villa di Venis, Villa Rabelli e Villa di Colle Imperatore, nel territorio di Roccaranieri, abitate fino al 1429 vennero, probabilmente, disabitate in seguito a questi eventi della seconda metà del XV secolo così come Villa Cignani (Villa Li Cignani da Villa Liciniani dal toponimo Licinianum citata nel documento degli archivi reatini del 1285) a cui sopravvisse la chiesa rurale di Santa Maria dei Cignali presso Porcigliano, oggi Fassinoro.
  90. ^ Schuster, pag.49(Schuster pag.49): Alessandro VI unì in perpetuo la commenda di San Salvatore a quella di Farfa, di cui era investito il cardinal Gian Battista Orsini che fini i suoi giorni in Castel Sant' Angelo; indi Sisto V sottrasse ai commendatari la giurisdizione civile sulle terre del monastero che attribuì invece alla Camera Apostolica.
  91. ^ Maglioni
  92. ^ Sperandio pag.146.
  93. ^ Murphy 2005, pp. 214–215.
  94. ^ Sperandio pag.146
  95. ^ Francesca Sammarco, La croce astile torna nella “sua” Vallecupola, su https://www.ilpuntoquotidiano.it/, 22 agosto 2021.
    «[...] Maglioni lancia un dubbio su chi abbia effettivamente pagato i lavori della croce: “Ranuccio Farnese la commissionò, ma non venne mai qui e ho ragione di credere che i soldi provenissero dai tanti lasciti testamentari di persone importanti. Uno dei testamenti che ho consultato parla di 5 fiorini per un calice d’argento da donare alla chiesa di Santa Croce: per avere un’idea del valore corrispondente, pensate che con due fiorini all’epoca si compravano due buoi che avevano un grande valore nell’economia agrosilvopastorale”.»
  96. ^ Alberto Crielesi, Il cardinale Ranuccio Farnese e la croce di Vallecupola, su https://www.controluce.it, gennaio 2003.
  97. ^ L'altro fratello dei due cardinali Farnese, nipoti di Papa Paolo III, il secondogenito di Pier Luigi Farnese e Gerolama Orsini, era Ottavio Farnese che a 15 anni, nel 1538, venne sposato da Papa Paolo III Farnese, nella cappella Sistina, con Margherita d'Austria, figlia naturale, sedicenne, dell'imperatore Carlo V, più tardi conosciuta come la Madama d'Austria, governatrice prima dei possedimenti farnesiani d'Abbruzzo, quindi dei Paesi Bassi ed infine duchessa di Parma e Piacenza.
  98. ^ (Schuster pag.52):Nel sinodo farfense celebrato il 20 giugno 1604 a tempo ancora del cardinale di Montalto, Bernardino Manasse da Priferno, vicario e visitatore generale della badia, il quale presiedeva l'assemblea e ne pubblicò gli atti, fu cosi indelicato verso quei poveri ruderi d'un istituto già così benemerito e glorioso, che non esitò a rivolgere sul loro conto delle ingiurie abbastanza volgari.
  99. ^ (Schuster pag.51): La disciplina monastica v'era già decaduta da lunghi anni, e i monaci, specialmente dopo che la commenda venne a togliere loro di mano ogni ingerenza e responsabilità nel governo dello torre abbaziali, vennero a rattrappirsi d'ozio e di noia entro quel vecchio edificio screpolato e cadente, senza alcun ideale elevato, senza alcuna prospettiva dinanzi a loro. Verso il 1609 lo zelante cardinale Alessandro da Montalto, caldo ammiratore della riforma di Farfa per opera della Congregazione Cassinese, tentò d'indurre i monaci ad accettare anch'essi un piano di riforma monacale, ispirato bensì alla disciplina dei Cassinesi, ma senza alcuna incorporazione della badia a quella Congregazione. Ottenutane pertanto licenza da Paolo V, con facoltà di rimandar con Dio i recalcitranti, il commendatario si pose all'opera che sulle prime non mancò di dare ottime speranze. Alcuni se ne ritornarono alle loro case con una discreta pensione, ma la maggior parte vi si adattò alla meglio, cosi che il Montalto ottenne da Paolo V un breve del 18 novembre 1614, col quale il pontefice incorporava alla Congregazione Cassinese oltre la badia di San Salvator Maggiore, i priorati da essa dipendenti nelle Marche e a Roma. L'uditore generale della Camera Apostolica coi vescovi di Fermo e di Montalto vennero incaricati di eseguire la volontà pontificia, la quale tanto più stava a cuore al commendatario, perché tutte le rendite e la collazione dei benefizi ecclesiastici della badia venivano sottratte a qualsiasi ingerenza dei monaci e riservate a lui solo. Non sappiamo con quali criteri venisse eseguita la divisione patrimoniale delle due mense, del cardinale e dei monaci, ma rileviamo da una bolla di Urbano VIII che la riforma in realtà non comprese che San Salvatore ed uno dei priorati dipendenti. Avvenne intanto che al Montalto nel 1623 successe Francesco Orsini, il quale, tolto il pretesto che l'annessione della badia alla Congregazione ledeva i suoi interessi, e che la bolla del novembre 1615 era invalida, giacché non era stato interpellato in proposito, mentre II Montalto gli aveva ceduto la successione alla commenda fin dal 1613, fece revocare l'atto pontificio da Gregorio XV, suscitando cosi una lite con la Congregazione Cassinese che durò per oltre una trentina d' anni.
  100. ^ (Schuster pag.54): Dopo cinque anni di governo, nel 1627 iI commendatario Francesco Orsini entrò nella Compagnia di Gesù, e gli succedé il cardinale Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII che resse la badia dal 1627 al 1660, quando abdicò in favore del proprio fratello Carlo. Fu appunto sotto Francesco Barberini che suonò l'ultima ora pel troppo decaduto San Salvatore; giacché essendosene partiti i Cassinesi, i priori triennali che ne moderarono le sorti non valsero a riformare i monaci, che usavano financo vesti poco diverse da quelle dei secolari. Il popolo li chiamava «berrettanti» dal largo berretto clericale che Ii distingueva, ma Urbano VIII ne aveva un concetto cosi triste, che li giudicava inadatti a qualsiasi riforma. E' vero che la la bolla di Paolo V nel 1615 conteneva come una smentita anticipata aIl'opinione avversa dei Barberini, ma v'erano in giuoco troppi interessi, troppi calcoli pecuniari, perché si potesse realmente volere il restauro morale di San Salvatore. Il commendatario ne voleva ad ogni costo le pingui rendite, e innanzi alle cupide brame del cardinal nepote convenne cedere, cosi che Urbano VIII con un tratto di penna soppresse l' abbazia (che i 34 monaci che ancora facevano parte della comunità venissero secolarizzati, previo l'assegno dell'annua pensione di 10 scudi. I priorati dipendenti nelle diocesi di Fermo e di Montalto dovevano essere convertiti in altrettante collegiate canonicali, riservando alla diretta giurisdizione del commendatario le monache di Santa Vittoria, che altra volta dipendevano dal priore di quel cenobio; ma perché il servizio parrocchiale non ricevesse danno dalia mancanza dei Salvatoriani, in ciascun monastero é stabilito un vicario abbaziale coll'assegno annuo di 60 scudi, oltre un fondo speciale pel mantenimento degli edifici sacri. Alla lite già lunghi anni pendente colla Congregazione Cassinese viene imposto silenzio cosi che arbitrati, sentenze di Tribunali, decisioni rotali o pontificie, nulla insomma possa essere invocato contro l'onnipotente cardinal nepote, il quale dové ereditare senza disturbo d'alcun competitore tutta la potenza, i diritti e le ragioni dell'abbazia.
  101. ^ (Schuster pag.50): Quando nel 1627 Urbano VIII conferì la doppia commenda a suo nipote Francesco Barberini, con due brevi del 7 ottobre 1627 e 21 luglio 1628 lo creò in pari tempo governatore pontificio di Poggio Mirteto e delle altre torri e castelli, già separati dai monasteri di Farfa e di San Salvatore e fino a quel tempo soggetti alla Congregazione del Buon Governo e della Consulta. La potenza dei nobili congiunti del papa trovò cosi nella Sabina un solido appoggio e una fonte punto dispregevole di danaro; ma queste mire ambiziose non fecero che affrettare l' ultima ora della povera badia, onde San Salvatore, che aveva retto all'impeto dei barbari, ora non poté reggere all'urto dei Barberini che avidamente agognavano alle sue spoglie.
  102. ^ Schuster, pag. 343.
  103. ^ (Schuster pag.56): Del resto delle rendite, giusta la bolla del 1629, avrebbero dovuto fondarsi alcuni seminari per l'educazione del giovane clero abbazia, ma il disegno presto svanì; il breve de 1632 ne fece deporre del tutto il pensiero con tutto ciò l'idea del seminario abbaziale che era stato il genio nefasto che aveva ispirato la rovina di San Salvatore al cardinal Barberini, seguitò ancora per lunghi anni a turbare i quieti sonni dei commendatari. In sul principio il Barberini ne apri uno a Toffia, poco lungi da Farfa, nelle case del suo vicario generale Marco Ruffetti, e lo dotò in parte coll'eredità lasciatagli a tale scopo dal vicario, in parte coi proventi rilevati sui (Schuster pag.57):benefici ecclesiastici della Commenda, aggiungendovi da ultimo la famosa «quadam residua portione reddituunt mensae convertualis» (rimanendo intatta, s'intende, quella assai più pingue del commendatario) «Monasterii Sancti Salvatoris Maioris» (ma il resto dov'era andato?) e a San Salvatore si contentò di stipendiarvi un vicario foraneo e un sacerdote che v'insegnasse grammatica ai futuri candidati del seminario. Un breve d'Urbano VIII del 6 luglio 1637 approvò questo stato di cose, che poi nel sinodo farfense del 1685 venne nuovamente confermato dal cardinal Carlo Barberini e da tutta l'assemblea;
  104. ^ Sperandio, pag. 144
  105. ^ Autore della perizia che smascherò i falsari Serafini nella causa Serafini-Olgiati del 1762.
  106. ^ Lante Montefeltro della Rovere, su nobili-napoletani.it.
  107. ^ I feudi di Rocca Sinibalda e Antuni erano stati aquistati da Don Ippolito nel 1678, dalla Famiglia dei Mattei, e rivenduti da Don Filippo per acquistare il feudo di Cantalupo con il titolo di Principe e quello di Santa Croce di Magliano con il titolo di Duca.
  108. ^ (Schuster pag.58) Nel 1746 il cardinale (1738-1769) trasferì il seminario presso la sede abbaziale di San Salvatore dove rimase sin verso il 1841, non mancando d'educare alla Chiesa degli ecclesiastici di gran merito e di scienza non comune.
  109. ^ Maglioni, pag. 43
  110. ^ Ottava nota delle offerte, ossia doni gratuiti fatti in seguito della Notificazione pubblicata in data degli 8 Ottobre corrente per il Nuovo Armamento, Roma, Stamperia della Reverenda Camera Apostolica, 1796, pp. 6-7.
    «Il Signor Vincenzo Ferrari di Roccaranieri, ha dato una posata d'argento, dal peso di once 4 e mezzo e un cerchio d'oro [...] Domenica Catasta di Roccaranieri, ha dato un anello d'argento.»
  111. ^ Filippo Brunone Fidanza, Costituzione della Repubblica romana colle leggi ad essa relative e con indice alfabetico ragionato del cittadino dottor Filippo Brunone Fidanza, 1798, p. 77.
  112. ^ Le parrocchie di Roccaranieri, di San Silvestro e di Cenciara, già nel territorio di San Salvatore Maggiore, furono annesse nel 1841 alla Diocesi di Poggio Mirteto per poi tornare con Costituzione Apostolica «In altis Sabinae montibus» del 3 giugno 1925, alla Diocesi di Rieti.
  113. ^ (Schuster pag.58): Dopo un breve soggiorno dei Passionisti sul deserto colle Letenano (1839-1854), quando il commendatario Lambruschini (1834-1841) ottenne da Gregorio XVI lo smembramento delle due diocesi abbaziali di Farfa e di San Salvator Maggiore (1841), con le terre di quest'ultima badia venne costituita in parte la nuova diocesi vescovile di Poggio Mirteto (1841), i di cui prelati hanno il titolo di abbati di San Salvatore, ne percepiscono gli ultimi rimasugli delle antiche rendite in favore del seminario diocesano. La destinazione dell'edificio monasteriale a residenza estiva dei giovani chierici delle diocesi di Rieti e di Poggio Mirteto (1880) fece si che la badia non venisse compresa entro gli ultimi decreti d'indemaniamento dell'asse ecclesiastico; ma, rispettata dalle leggi, non lo fu egualmente dagli uomini e dal tempo, si che oggi gli abbandonati chiostri, la basilica, le aule e gli ambulacri screpolati e deserti minacciano irreparabile rovina.
  114. ^ (Schuster: pag.59-60) Esortazione finale. Si erigono in Italia tanti tempi e monasteri nuovi; perché non viene a nessuno il pensiero di risuscitare l'antica tradizione storica del monte Letenano, restituendo alla Sabina il monastero di San Salvator Maggiore, nuovo focolare d'ideali religiosi fra il popolo e centro di progresso e di civiltà?
  115. ^ Antonius Hercules, Oppida, Castra et Villae sub iurisdictione Abbatiae S.Salvator Maioris, in Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ord. S. Benedicti, Roma, Tipografia Barberini, 1686, p. 1069.
  116. ^ Maceroni, pag. 143-145
  117. ^ Schuster pag.38: II 24 aprile 1281 un'altra bolla d'Onorio III all'abbate Ranuzio di San Salvator Maggiore venne a guarantire nuovamente i possedimenti del monastero a cui da tutte le parti si tendevano insidie. Vi si confermano in particolare i beni abbaziali situati nel Reatino tra i fiumi Salto e Turano, dal rivo Paganico alla pianura di Rieti coi castelli di San Martino, Poggio Sant' Angelo, Palerofo e Campolanio; tra le dipendenze salvatoriane a Roma sono ricordate le chiese di San Salvatore «de Dompni Campo » e di San Martino «in Panerella» nel rione Arenula; in Sabina vengono confermati i monasteri di San Giuliano, di San Giovanni in Tocia, di Sant'Andrea, San Vittore, Santa Maria a Poggio Moiano; nel vescovado di Rieti la chiesa di San Giuliano a Trebula, il monastero di Santa Cecilia, di San Salvatore «in Vacungno», Sant' Angelo «in casa muca» col suo castello, il cenobio di San Paolo in Roiano e di San Bartolorneo «in Scopeto (ndr. Scoppito)».
  118. ^ L'abate Adenolfo, documentato a Farfa nel 1125, già abate di San Salvatore, riportato dallo Schuster nel suo scritto del 1914 era in realtà abate del monastero di San Salvatore Minore di Scandriglia, come si intende dallo scritto dello stesso Schuster proprio sull'Abbazia di San Salvatore Minore e la Massa Torana, del 1918. Molti di quanti hanno scritto su San Salvatore Maggiore sono incorsi nell'errore di attribuire l'abate Adenolfo (o Adinolfo) alla guida dell'abbazia di San Salvatore Maggiore. Tra questi anche l'attento Chisari ed il Grappa.
  119. ^ Moroni, Sperandio, Tofani, Leggio (2022).
  120. ^ a Farfa Giordano Orsini (1435-1503): creato cardinale da Innocenzo VII. Giovanni Battista Orsini (1435-1428): fratello di Giordano, arcivescovo di Trani. Cosma Orsini Farfa (1477-1482).
  121. ^ (Schuster Pag.59).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Pagina del Titolo del Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ordo S. Benedicti del 1685 - Copia della Biblioteca Pubblica Bavarese
  • Paolo Desanctis, Notizie storiche del monastero di S. Salvator Maggiore e del Seminario di Rieti, Rieti, 1884.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]