Epatite autoimmune

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Epatite autoimmune
Immagine microscopica di plasmacellule e linfociti nello spazio di Disse in corso di epatite autoimmune
Specialitàgastroenterologia e epatologia
Classificazione e risorse esterne (EN)
MeSHD019693
MedlinePlus000245
eMedicine172356
Sinonimi
Epatite cronica autoimmune

L'epatite autoimmune è una forma aggressiva di epatite, infiammazione cronica del fegato, a eziologia sconosciuta e a patogenesi autoimmunitaria. Confusa in passato con diverse altre forme di epatite, è stata definitivamente riconosciuta da Mackay[1].

Epidemiologia[modifica | modifica wikitesto]

Viene colpito prevalentemente il sesso femminile (71%) generalmente prima dei 40 anni di età ed è presente in tutti i gruppi etnici. Poiché la sua prevalenza è stimata tra 0,5 e 1/100.000[2] è considerata malattia rara.

Essendo una malattia autoimmunitaria, spesso si associa ad altre comuni patologie su base autoimmune come la rettocolite ulcerosa, l'artrite reumatoide, il diabete mellito di tipo 1, la sindrome di Sjögren o tiroiditi autoimmuni[3].

Eziopatogenesi[modifica | modifica wikitesto]

L'eziologia è sconosciuta, tuttavia l'ipotesi patogenetica più accreditata è che diversi fattori ambientali, virali (Morbillivirus, CMV, EBV, HCV) o farmacologici (minociclina, atorvastatina, trazodone) possano agire come fattori scatenanti in individui geneticamente predisposti con il meccanismo del cosiddetto mimetismo molecolare. Omologie, nella sequenza degli aminoacidi, tra proteine virali o farmacologiche e proteine degli epatociti sarebbero in grado di causare e mantenere una reazione immunitaria contro le strutture stesse dell'epatocita secondo un meccanismo autoimmunitario[4].

Sul piano genetico è significativa l'associazione con il complesso maggiore di istocompatibilità, la cui sovraespressione, in particolar modo degli alleli DRB1*0301 e DRB1*0401 nella etnia caucasica, provocherebbe alterazioni nelle proteine della membrana degli epatociti che stimolerebbero le cellule presentanti l'antigene iniziando una reazione autoimmunitaria cellulo-mediata; l'aumento dei linfociti T citotossici e la diminuzione di quelli soppressori, uniti all'aumentata produzione di IL-2, INF-γ e TNF-α, arrivano a provocare la morte per necrosi degli epatociti[4].

Anche l'immunità umorale è coinvolta, dal momento che le stesse cellule presentati l'antigene stimolano i linfociti B e le plasmacellule a produrre citochine e immuglobuline costituite da anticorpi aspecifici e autoanticorpi. Questi fattori immunitari, unitamente ai prodotti della necrosi epatocitaria, come in tutte le epatopatie croniche stimolano la formazione di fibrociti che modificano l'architettura stessa del tessuto epatico e iniziano il processo irreversibile della cirrosi epatica. Nell'epatite autoimmune questo processo è molto accelerato e si compie, senza trattamento, in 2-5 anni[4].

Classificazione[modifica | modifica wikitesto]

Generalmente si riconoscono due sottotipi maggiori e un terzo minore[5][6]:

  1. La forma classica, anticorpi antinucleo (ANA) e antimuscolo liscio (SMA) positiva, con grande aumento delle gammaglobuline, presente al 75% nel sesso femminile e ben responsivo alla terapia steroidea;
  2. Forma positiva agli anticorpi antimicrosomi epatici e renali (LKM), suddivisibile in tre sottotipi, presente tipicamente nelle giovani donne (95%), con prognosi più severa e con scarsa risposta agli steroidi;
  3. Forma positiva agli anticorpi antiantigene solubile epatico (SLA-LP), ritenuta da alcuni autori una variante più severa delle prime due forme.

Clinica[modifica | modifica wikitesto]

Segni e sintomi[modifica | modifica wikitesto]

La malattia si presenta con un quadro clinico di epatite acuta associata a febbre, nausea e anoressia, cefalea, epatomegalia e ittero. Se non viene riconosciuta e trattata, evolve come una malattia cronica del fegato con dimagrimento, amenorrea e presenza di angiomi stellati. Possono coesistere, inoltre, i sintomi e i segni delle malattie associate, quali dolori articolari, emorragia gastrointestinale e sindrome sicca[7].

Esami di laboratorio e strumentali[modifica | modifica wikitesto]

Le indagini di laboratorio possono mostrare elevazione della concentrazione plasmatica di bilirubina, transaminasi e, talvolta, dell'alfa-feto proteina. Le gammaglobuline sono superiori al 30% al protidogramma e sono presenti gli autoanticorpi che permettono di distinguere tra le varie forme di malattia (vedi paragrafo "Classificazione"); nella seconda forma può essere presente viremia da HCV in caso di infezione. Indagini utili nelle fasi avanzate della malattia sono l'albuminemia e gli esami per la valutazione della situazione coagulativa, in particolar modo piastrinemia e protrombinemia[7].

Diagnosi differenziale[modifica | modifica wikitesto]

Il criteri diagnostici non sono codificati, ma le diagnosi differenziale con le altre forme di Epatite cronica si basano su:

  1. Precoce e costante aumento della concentrazione plasmatica di transaminasi (ALT, AST) di 5-10 volte e di immunoglobuline del 30%, soprattutto IgG policlonali, rispetto ai valori normali;.
  2. Presenza di infiltrato linfo-plasmacellulare negli spazi portali con erosione della lamina limitante e sconfinamento periportale, cui segue rigenerazione epatocitaria in forma di "rosette";
  3. Presenza di autoanticorpi specifici per il tipo di epatite;
  4. Esclusione di altre patologie epatiche a eziologia nota.

Trattamento e prognosi[modifica | modifica wikitesto]

Il trattamento si basa sul controllo dell'infiammazione tramite l'utilizzo di corticosteroidi e altri immunosoppressori, quali azatioprina, tacrolimus, micofenolato mofetile e budesonide. L'80% dei casi in forma classica risponde alla terapia[8]. In caso di mancata risposta o se sopraggiunge un'insufficienza epatica grave, può rendersi necessario un trapianto di fegato[9], che risulta efficace nel 74-94% dei casi, con la possibilità di recidiva ridotta dal trattamento antirigetto[4].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ IR. Mackay, Chronic active hepatitides., in Front Gastrointest Res, vol. 1, 1975, pp. 142-87, PMID 50993.
  2. ^ (IT) Orphanet: Epatite cronica autoimmune.
  3. ^ F. Alvarez, PA. Berg; FB. Bianchi; L. Bianchi; AK. Burroughs; EL. Cancado; RW. Chapman; WG. Cooksley; AJ. Czaja; VJ. Desmet; PT. Donaldson, International Autoimmune Hepatitis Group Report: review of criteria for diagnosis of autoimmune hepatitis., in J Hepatol, vol. 31, n. 5, novembre 1999, pp. 929-38, PMID 10580593.
  4. ^ a b c d Durazzo, Rizzetto, pp. 291-298, 2010.
  5. ^ DP. Bogdanos, P. Invernizzi; IR. Mackay; D. Vergani, Autoimmune liver serology: current diagnostic and clinical challenges., in World J Gastroenterol, vol. 14, n. 21, giugno 2008, pp. 3374-87, PMID 18528935.
  6. ^ CP. Strassburg, MP. Manns, Autoantibodies and autoantigens in autoimmune hepatitis., in Semin Liver Dis, vol. 22, n. 4, novembre 2002, pp. 339-52, DOI:10.1055/s-2002-35704, PMID 12447706.
  7. ^ a b EL. Krawitt, Autoimmune hepatitis., in N Engl J Med, vol. 354, n. 1, gennaio 2006, pp. 54-66, DOI:10.1056/NEJMra050408, PMID 16394302.
  8. ^ MP. Manns, CP. Strassburg, Therapeutic strategies for autoimmune hepatitis., in Dig Dis, vol. 29, n. 4, 2011, pp. 411-5, DOI:10.1159/000329805, PMID 21894012.
  9. ^ McPhee, Papadakis, pp. 596, 2009.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • D.L. Longo, A.S. Fauci, D.L. Kasper, S.L. Hauser, Harrison - Principi di medicina interna, 16ª ed., Milano, McGraw-Hill, 2005, ISBN 88-386-2999-4.
  • M. Durazzo, M. Rizzetto, Epatite autoimmune, in Unigastro (a cura di), Manuale di Gastroenterologia, Roma, EGI, 2010, ISBN 978-88-6315-095-7.
  • S.J. McPhee, M.A. Papadakis, Current medical diagnosis and treatment, McGraw-Hill Medical, 2009, ISBN 978-0-07-159124-9.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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