Piero Calamandrei: differenze tra le versioni

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Contrario all'ingresso dell'[[Italia]] nella [[seconda guerra mondiale]] a fianco della [[Germania]], nel [[1941]] aderì al movimento ''[[Giustizia e Libertà]]'' {{citazione necessaria}} ed un anno dopo fu tra i fondatori del [[Partito d'Azione]] {{citazione necessaria}} insieme a [[Ferruccio Parri]], [[Ugo La Malfa]] ed altri. In questo periodo (1939-1945) tenne un diario, pubblicato nel 1982.
Contrario all'ingresso dell'[[Italia]] nella [[seconda guerra mondiale]] a fianco della [[Germania]], nel [[1941]] aderì al movimento ''[[Giustizia e Libertà]]''<ref>{{Cita|Dizionario Biografico degli Italiani}}</ref> ed un anno dopo fu tra i fondatori del [[Partito d'Azione]] {{citazione necessaria}} insieme a [[Ferruccio Parri]], [[Ugo La Malfa]] ed altri. In questo periodo (1939-1945) tenne un diario, pubblicato nel 1982.


Nel maggio 1943 Calamandrei - accusato di [[disfattismo]] da un suo collega appena rientrato dal fronte - fu convocato in questura per un interrogatorio. Calamandrei negò gli addebiti e interessò del fatto il nuovo ministro di Grazia e Giustizia [[Alfredo De Marsico]], che gli garantì protezione<ref>Alfredo De Marsico "nelle sue memorie gli rimproverò di non aver poi testimoniato in suo favore dopo la caduta del fascismo": così Antonio Carioti, ''Calamandrei e quel codice del Ventennio'' (Corriere della Sera, 26 gennaio 2006),secondo cui nell'elaborazione del codice "tutti i giuristi furono cooptati dal regime. E lo stesso Calamandrei all'epoca si sentiva più afascista che antifascista. Tanto che poi il figlio [[Franco Calamandrei|Franco]] gli rimproverò il suo atteggiamento passivo durante il Ventennio".</ref> presso lo stesso Mussolini<ref name="cita|Barbera|p. 48"/>. Lo stesso [[Arrigo Serpieri]], rettore dell'Università di Firenze, il 17 maggio inviò anch'esso una lettera al [[ministero dell'Educazione Nazionale]], invitando il Ministro a non prendere decisioni affrettate nel caso relativo a Calamandrei<ref name="cita|Barbera|p. 49">{{cita|Barbera|p. 49}}</ref>.
Nel maggio 1943 Calamandrei - accusato di [[disfattismo]] da un suo collega appena rientrato dal fronte - fu convocato in questura per un interrogatorio. Calamandrei negò gli addebiti e interessò del fatto il nuovo ministro di Grazia e Giustizia [[Alfredo De Marsico]], che gli garantì protezione<ref>Alfredo De Marsico "nelle sue memorie gli rimproverò di non aver poi testimoniato in suo favore dopo la caduta del fascismo": così Antonio Carioti, ''Calamandrei e quel codice del Ventennio'' (Corriere della Sera, 26 gennaio 2006),secondo cui nell'elaborazione del codice "tutti i giuristi furono cooptati dal regime. E lo stesso Calamandrei all'epoca si sentiva più afascista che antifascista. Tanto che poi il figlio [[Franco Calamandrei|Franco]] gli rimproverò il suo atteggiamento passivo durante il Ventennio".</ref> presso lo stesso Mussolini<ref name="cita|Barbera|p. 48"/>. Lo stesso [[Arrigo Serpieri]], rettore dell'Università di Firenze, il 17 maggio inviò anch'esso una lettera al [[ministero dell'Educazione Nazionale]], invitando il Ministro a non prendere decisioni affrettate nel caso relativo a Calamandrei<ref name="cita|Barbera|p. 49">{{cita|Barbera|p. 49}}</ref>.

Versione delle 14:33, 3 feb 2017

«[...] morti e vivi collo stesso impegno / popolo serrato intorno al monumento / che si chiama / ora e sempre / RESISTENZA»

Piero Calamandrei

Capogruppo all'Assemblea Costituente
del Partito d'Azione
Durata mandato25 giugno 1946 –
31 gennaio 1948
PresidenteAlcide De Gasperi
Predecessorenessuno
Successorenessuno

Deputato dell'Assemblea Costituente
Gruppo
parlamentare
Autonomista
CoalizioneCLN (1942-1947)
CollegioCollegio Unico Nazionale
Incarichi parlamentari
  • Componente della Giunta delle elezioni
  • Componente della Commissione per la Costituzione
  • Componente della Seconda Sottocommissione
  • Componente del Comitato di redazione
  • Componente della Sottocommissione per l'esame del disegno di legge sulla stampa
  • Componente della Commissione degli "Undici"
  • Componente della prima commissione per l'esame dei disegni di legge
  • Componente del Comitato consultivo per l'esame della riforma del Codice di Procedura Civile
Sito istituzionale

Deputato della Repubblica Italiana
LegislaturaI
Gruppo
parlamentare
US-PSU-PS, PSDI, Misto
CoalizioneUnità Socialista (1948)
CollegioCollegio Unico Nazionale
Incarichi parlamentari
  • Vicepresidente della Giunta delle elezioni
  • Componente della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio
  • Componente della III Commissione (Giustizia)
  • Componente della Commissione speciale per l'esame dei provvedimenti relativi ai danni di guerra (nn. 1348 e 2379)
  • Componente della Commissione speciale per l'esame dei provvedimenti relativi alla Corte Costituzionale (n. 469 e 1292)
  • Componente della Commissione parlamentare di vigilanza sulle condizioni dei detenuti negli stabilimenti carcerari
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoUN (1924-1926)
Pd'A (1942-1947)
UdS (1948-1949)
PSDI (1949-1953)
UP (1953-1955)
vicino al PR (1955-1956)
Titolo di studiolaurea in giurisprudenza
Professioneavvocato, docente universitario e scrittore

Piero Calamandrei (Firenze, 21 aprile 1889Firenze, 27 settembre 1956) è stato un politico, avvocato e accademico italiano, nonché uno dei fondatori del Partito d'Azione.

Biografia

Origini e formazione

Allievo del giurista Carlo Lessona[1] si laureò in Giurisprudenza all'Università di Pisa nel 1912. Si trasferì quindi a Roma dove dal dicembre 1914 iniziò a frequentare Giuseppe Chiovenda[1] e partecipò a vari concorsi universitari finché nel 1915 fu nominato professore di procedura civile all'Università di Messina. Successivamente (1918) fu chiamato all'Università di Modena e Reggio Emilia per poi passare a quella di Siena diventandone ordinario nel 1919 in seguito alla morte di Lessona[2]. Della commissione incaricata a valutarne le capacità faceva parte il giurista Alfredo Rocco[2]. Infine, nel 1924, scelse di passare alla nuova facoltà giuridica di Firenze, dove ha tenuto fino alla morte la cattedra di diritto processuale civile.

Prese parte alla prima guerra mondiale come ufficiale volontario[2] nel 218º reggimento di fanteria; ne uscì col grado di capitano e fu successivamente promosso tenente colonnello, ma preferì lasciare l'esercito per proseguire la propria carriera accademica.

Il ventennio fascista e l'attività di giurista

Quando nel 1924 fu istituita la Commissione per la riforma dei codici, Calamandrei fu inserito nella sottocommissione incaricata di riformare il codice di procedura penale[3]. La commissione terminò il proprio compito nel 1926, ma le proposte rimasero sulla carta

Dopo il delitto Matteotti entrò a far parte del movimento Unione Nazionale, un partito liberale e antifascista fondato da Giovanni Amendola, entrando nel consiglio direttivo. Partecipò, insieme con Dino Vannucci, Ernesto Rossi, Carlo Rosselli e Nello Rosselli alla direzione di Italia Libera, un gruppo clandestino di ispirazione azionista. Nel 1925 sottoscrisse il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Durante il ventennio fascista fu uno dei pochissimi professori e avvocati a non chiedere la tessera del Partito Nazionale Fascista[4] e collaborò con la testata Non Mollare, ma nel 1931 giurò fedeltà al regime fascista[3].

Negli anni seguenti vi furono altri tentativi da parte dei ministri Pietro De Francisci prima e del nuovo ministro Arrigo Solmi di riformare i codici ma non ebbero sviluppo pratico[3]. Nel 1939 divenne nuovo ministro di Grazia e Giustizia il bolognese Dino Grandi che riprese in mano l'idea di riformare i codici. Grandi affidò subito l'incarico al magistrato Leopoldo Conforti e decise inoltre di coinvolgere in maniera diretta i più importanti studiosi di procedura civile dell'epoca che erano Enrico Redenti, Francesco Carnelutti e Calamandrei[3]. Il 16 ottobre 1939 il ministro Grandi in un celebre discorso indicò quali erano le linee in base alle quali avrebbe dovuto svolgersi la riforma dei codici poi tramite il suo capo gabinetto richiese il parere dello stesso Calamandrei il quale svolse una relazione prettamente tecnica mentre il 13 novembre tutti e tre i giuristi furono invitati ad esprimere il proprio parere sul precedente lavoro di riforma effettuato da Conforti. Calamandrei fu poi invitato insieme a Carnelutti e Redenti ad una riunione insieme con il ministro Grandi che si tenne tra il 18 e il 21 dicembre[3].

Nel corso del 1940 Grandi, nel frattempo diventato Presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni decise di privilegiare il rapporto con lo stesso Calamandrei che infatti convocò il 26 aprile 1940[5]. In questa occasione, come lo stesso Calamandrei annotò sul proprio diario, Grandi gli riferì di un colloquio avuto con Mussolini in cui gli aveva detto che dei tre giuristi coinvolti nel progetto "il più fascista è il non fascista Calamandrei", Calamandrei perplesso domandò "Tutto sta a vedere che significato Lei dà alla parola fascista", ma Grandi lo tranquillizzò replicando "In senso buono" allora Calamandrei rispose "Allora me ne compiaccio"[5]. All'inizio della seconda guerra mondiale Calamandrei fu richiamato al fronte ma ottenne una dispensa per intervento di Grandi che lo aveva incaricato nel frattempo di svolgere l'ultima revisione del codice di procedura civile[5].

Nella relazione preparata per il Re Calamandrei espose come nel nuovo codice di procedura civile fossero presenti i principi legislativi cui si erano ispirati e come le più importanti innovazioni di quei principi avessero trovato attuazione[5]. Calamandrei indicò inoltre come propria fonte di ispirazione il giurista Giuseppe Chiovenda[5]. Il nuovo codice di procedura civile fu promulgato il 28 ottobre 1940 ed entrò definitivamente in vigore il 21 aprile 1942. Per il proprio lavoro subito dopo la promulgazione del codice Calamandrei fu decorato dallo stesso ministro Grandi con le insegne di cavaliere di Gran Croce[6]. Il codice di procedura civile emanato nel 1942 è in parte ancora in vigore in Italia. Nel 1941 il "Centro di studi giuridici" lo coinvolse nel progetto di pubblicare cinque volumi sul pensiero giuridico italiano e il suo intervento intitolato "Gli studi di diritto processuale civile in Italia nel Ventennio fascista" fu inserito nel primo volume della collana[6].

Calamandrei partecipò anche ai lavori preparatori per il nuovo codice civile di cui partecipò attivamente alla stesura del VI° libro[5]. Si dimise da professore universitario per non sottoscrivere una lettera di sottomissione al duce che gli venne chiesta dal rettore del tempo[senza fonte].

I lavori sul nuovo codice di procedura civile

Secondo lo stesso Calamandrei, nel nuovo codice di procedura civile trovano formulazione legislativa gli insegnamenti fondamentali della scuola di Chiovenda. A riprova di ciò, Alessandro Galante Garrone (Calamandrei, Garzanti 1987) evidenziò che la relazione del Guardasigilli al Re, scritta in uno stile inconfondibilmente scorrevole e piano, è opera dello stesso Calamandrei. E immediatamente dopo l'entrata in vigore del codice, Conforti in alcuni scritti giuridici e lo stesso Grandi nel suo epistolario con Calamandrei affermarono in maniera esplicita di essersi richiamati all'insegnamento di Giuseppe Chiovenda.

Secondo rielaborazioni più recenti (vedi a proposito Piero Calamandrei e la procedura civile, miti leggende interpretazione documenti di Franco Cipriani, Edizioni Scientifiche Italiane 2007), il codice di procedura civile non aveva nulla di chiovendiano (Calamandrei sarebbe stato addirittura avversario di Giuseppe Chiovenda), poiché era un codice autoritario, tipico frutto di un regime liberticida. Autoritario soprattutto per quanto riguarda l'autorità del giudice, concetto dietro cui si nascondeva il forte autoritarismo e l'inquisitorietà della figura del magistrato nella conduzione del processo (in particolare in fatto di ammissione delle prove), che riprendeva con pochissime modifiche la bozza Solmi del 1939. Da guardasigilli, lo storico del diritto Arrigo Solmi aveva portato avanti i lavori sul codice di procedura civile avvalendosi di una commissione cui l'unico membro proveniente dal mondo accademico era Redenti. In pratica i lavori furono portati avanti senza l'ausilio della dottrina, che rispose in maniera molto critica alle opzioni autoritarie insite in quella bozza.

Ad esempio lo stesso Calamandrei fu molto critico rispetto ad essa, ma solo sul piano tecnico, sapendo di non poter contrastare il fascismo sul piano dei principi. Grandi, che succedette a Solmi nel 1939 ed era un fine politico, si avvalse principalmente dell'apporto di Carnelutti e Calamandrei, che insieme a Redenti erano gli esponenti più autorevoli della scienza processualcivilistica del tempo. Sempre secondo Cipriani, Calamandrei sarebbe stato l'unico ad accettare di buon grado la collaborazione, probabilmente pensando che fosse l'unico modo per influire sulla bozza del codice ed arginare le tendenze autoritarie che Grandi, avendo l'obiettivo di rielaborare con poche modifiche la bozza Solmi, stava imprimendo alla riforma. Calamandrei tentò di sabotare l'operazione con sottili proposte tese a neutralizzare l'autoritarismo del codice, ma con risultati marginali. A quel punto, provò a creare una base ideologica per il codice nella relazione al Re, puntando sui principi di Chiovenda (quest'ultimo, evento unico, è citato ben sette volte nella relazione al re, mentre sono spariti i riferimenti a Lodovico Mortara, probabilmente espunti dallo stesso Grandi), in verità del tutto assenti nel codice, o inserendo idee che in realtà non erano state accolte nel nuovo testo.

La tesi secondo la quale il codice di procedura civile del 1942 sarebbe stato un codice "chiovendiano" riuscì a influenzare tutta la dottrina successiva, fino ai giorni nostri. Tant'è che la "novella" con cui nel 1950 il codice fu allineato su principi del testo previgente fu accolta dai processualisti vicini a Calamandrei come una vera e propria "controriforma".

La seconda guerra mondiale

«La libertà è come l'aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare»

Contrario all'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale a fianco della Germania, nel 1941 aderì al movimento Giustizia e Libertà[7] ed un anno dopo fu tra i fondatori del Partito d'Azione [senza fonte] insieme a Ferruccio Parri, Ugo La Malfa ed altri. In questo periodo (1939-1945) tenne un diario, pubblicato nel 1982.

Nel maggio 1943 Calamandrei - accusato di disfattismo da un suo collega appena rientrato dal fronte - fu convocato in questura per un interrogatorio. Calamandrei negò gli addebiti e interessò del fatto il nuovo ministro di Grazia e Giustizia Alfredo De Marsico, che gli garantì protezione[8] presso lo stesso Mussolini[6]. Lo stesso Arrigo Serpieri, rettore dell'Università di Firenze, il 17 maggio inviò anch'esso una lettera al ministero dell'Educazione Nazionale, invitando il Ministro a non prendere decisioni affrettate nel caso relativo a Calamandrei[9].

Il 31 agosto 1943, subito dopo la caduta del fascismo, fu nominato Rettore dell'Università di Firenze, ma dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 precauzionalmente lasciò Firenze, trasferendosi prima a Treggiaia e successivamente dimettendosi da Rettore il 2 ottobre. In seguito si trasferì a Colcello Umbro dove rimase fino alla liberazione di Roma[9]. Dopo la liberazione di Firenze ritornò nella sua città nell'estate[9] e riprese nel settembre successivo ad esercitare il suo ruolo di rettore dell'Università. Nel frattempo era anche stato colpito da mandato di cattura da parte delle autorità della Repubblica Sociale Italiana. Suo figlio Franco fu un partigiano attivo durante questo periodo, nel Partito Comunista Italiano[10]. Calamandrei fu inoltre autore di numerose poesie ed epigrafi celebrative del mito della resistenza.

Il dopoguerra e l'attività politica

Calamandrei in una foto del 1946

Nel 1945 fu nominato membro della Consulta Nazionale in rappresentanza del Partito d'Azione e successivamente venne eletto all'Assemblea Costituente[11]. Partecipò attivamente ai lavori parlamentari come componente della Giunta delle elezioni della commissione d'inchiesta e della Commissione per la Costituzione italiana. I suoi interventi nei dibattiti dell'Assemblea ebbero larga risonanza: specialmente i suoi discorsi sul piano generale della Costituzione, sui Patti lateranensi, sulla indissolubilità del matrimonio, sul potere giudiziario.

Calamandrei propose una repubblica presidenziale con "pesi e contrappesi", come negli Stati Uniti, o un sistema di premierato sul modello Westminster britannico, per evitare la debolezza dei governi, come si verificò poi puntualmente durante la storia della repubblica, e, allo stesso tempo, impedire la deriva autoritaria insita sia nel troppo potere, sia nel disordine delle istituzioni, come era avvenuto col fascismo[12]. Retrospettivamente, fu suo il giudizio sulla Costituzione "tripartitica", "di compromesso", nella quale le forze di destra per compensare quelle di sinistra per "una rivoluzione mancata" concessero loro "una rivoluzione promessa"[13]. Nonostante ciò, difese sempre la repubblica parlamentare e la Costituzione, così come erano uscite dal dibattito democratico nella Costituente.

Quando il Partito d'Azione si sciolse, entrò a far parte del Partito Socialista Democratico Italiano, con cui fu eletto deputato nel 1948. Definito dall'Economist come the most impressive private member in the House[14], fu contrario alla «legge truffa»: quando fu votata anche con l'appoggio del suo partito, fondò dapprima il movimento politico Autonomia Socialista e, nel 1953, prese parte alla fondazione del movimento di Unità Popolare con il vecchio amico Ferruccio Parri: nonostante l'esiguo risultato ottenuto, ciò fu decisivo affinché la Democrazia Cristiana e i partiti suoi alleati non raggiungessero la percentuale di voti richiesta dalla nuova legge per far scattare il premio di maggioranza.

Avvocato di fama, fu presidente del Consiglio Nazionale Forense dal 1946 alla morte. Accademico nazionale dei Lincei, direttore dell'Istituto di diritto processuale comparato dell'Università di Firenze, fu direttore della Rivista di diritto processuale, de Il Foro toscano e del Commentario sistematico della Costituzione italiana. Non erano queste le sue prime esperienze giornalistiche: nell'aprile del 1945 aveva infatti fondato il settimanale politico-letterario Il Ponte. Memorabile il suo "Elogio dei giudici scritto da un avvocato" in cui condensa l'esperienza professionale e accademica di 40 anni di attività. Collaborò inoltre con la rivista Belfagor.

Il 26 gennaio 1955 tenne a Milano un famoso discorso[15][16] presso la Società Umanitaria di Milano, rivolto ad alcuni studenti universitari e delle scuole medie superiori che avevano autonomamente organizzato un ciclo di conferenze sulla Costituzione italiana nonostante la contrarietà delle loro scuole e anche la contestazione fisica di altri studenti organizzati dalla destra sui principi della Costituzione Italiana e della Libertà, il cui finale è rimasto celebre:

«Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione»

Nello stesso periodo compì anche un viaggio in Cina, con altri giuristi ed esponenti socialdemocratici e liberalsocialisti, tra cui Norberto Bobbio.[17]

Gli ultimi anni e la morte

Nel febbraio del 1956, il pacifista Danilo Dolci organizza a Trappeto lo "sciopero alla rovescia" per opporsi pacificamente alla cronica mancanza di lavoro per i braccianti siciliani del tempo, organizzando la sistemazione di una strada comunale abbandonata all'incuria. Durante i lavori di sterramento ed assestamento la manifestazione viene repressa da una carica della polizia. Dolci viene arrestato e sarà Calamandrei che ne prenderà le difese in un seguitissimo processo. In accordo con Dolci, Calamandrei incanalò il processo in un dibattito sul quarto articolo della Costituzione. Nella sua arringa dichiarò: "Aiutateci, signori giudici, colla vostra sentenza, aiutate i morti che si sono sacrificati e aiutate i vivi a difendere questa Costituzione, che vuole dare a tutti i cittadini del nostro Paese pari giustizia e pari dignità".

Morì a Firenze qualche mese dopo[18], il 27 settembre 1956, a 67 anni, per le complicazioni di un intervento chirurgico.[19]

È sepolto nel cimitero fiorentino di Trespiano.

Il dibattito sulla figura

Citazioni

Il suo discorso al III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale, Roma, 11 febbraio 1950, in difesa della scuola pubblica, e in particolare la parte «Facciamo l'ipotesi»,[20] è stato spesso citato nel 2008 contro le politiche in materia d'istruzione del governo Berlusconi e del ministro Mariastella Gelmini.[21] Il discorso è stato ripreso anche da Tullio De Mauro, in un suo articolo.[22]

Il ruolo di giurista

Della sua vasta produzione giuridica, è da ricordare soprattutto l'Introduzione allo studio delle misure cautelari del 1936 una trattazione all'avanguardia, che farà compiere un vero e proprio balzo in avanti alla scienza processuale italiana. Gli spunti di questo lavoro sono interamente confluiti nel libro quarto del codice di procedura civile del 1942, e segnatamente nel capo terzo (articoli da 670 a 702 del vecchio testo). La giurisprudenza e le novelle successive all'entrata in vigore del codice ricalcheranno fedelmente il percorso tracciato da Calamandrei, secondo cui "compito della scienza del diritto è quello di suggerire nuove prospettive avendo la consapevolezza che tutto ciò che ne verrà fuori, in termini di teoria e di riflessioni dottrinali, risulterà sempre incompatibile con la verità, la certezza e la conoscenza"; ciò perché Calamandrei "porta avanti una battaglia intellettuale contro il formalismo kelseniano (...) e contro tutti coloro che, al pari di Francesco Carnelutti, pensano i concetti del diritto come solide verità. Le costruzioni astratte della scienza giuridica per Calamandrei non potrebbero ambire a traguardi surreali, come la pretesa di individuare certezze metafisiche volte ad accompagnare dall’alto i ritmi storici e revisionabili del diritto positivo"[23].

I rapporti col fascismo

I rapporti tra Calamandrei e il fascismo, negli ultimi anni, sono stati oggetto di un acceso dibattito tra gli studiosi del diritto processuale civile. In particolare autori come Franco Cipriani, da un lato hanno contestato l'effettiva adesione di Calamandrei a Giustizia e Libertà ed al Partito d'Azione[24], dall'altro hanno evidenziato la stretta collaborazione del maestro fiorentino con Dino Grandi nella redazione del codice di procedura civile (v. infra). Secondo tale orientamento Calamandrei, pur restando sempre antifascista, tenne - ad onor del vero al pari di quasi tutti gli intellettuali italiani - una condotta relativamente ambigua, dal momento che si trovò a diventare uno dei più stretti collaboratori di Grandi nella redazione di un codice "fascista", ed arrivando a predisporre il testo della stessa Relazione ministeriale, firmata poi dallo stesso Guardasigilli[25]. Secondo altra dottrina i rapporti tra Calamandrei e il fascismo, ed in particolare tra Calamandrei e Grandi (ed il conseguente apporto del giurista alla redazione del codice di rito), andrebbero letti come un tentativo di - per così dire - "limitare il più possibile i danni"; evitare, cioè, che la legislazione italiana (e quel che più conta l'imminente codice processuale) imboccasse una deriva nazionalsocialista[26]. In ogni caso, il regime fascista lo sorvegliò come antifascista sin dal 1931, registrando il suo nominativo nel Casellario politico centrale.[27]

L'epigrafe a Kesselring

Un suo testo particolarmente noto è l'epigrafe dedicata ad Albert Kesselring.

Kesselring, che durante il secondo conflitto mondiale fu il comandante delle forze armate germaniche in Italia, a fine conflitto (1947) fu processato e condannato a morte per i numerosi eccidi che l'esercito nazista aveva commesso ai suoi ordini (Fosse Ardeatine, Strage di Marzabotto e molte altre). Successivamente la condanna fu commutata in ergastolo, ma egli venne rilasciato nel 1952 per le sue presunte gravi condizioni di salute. In realtà Kesselring visse altri otto anni libero nel suo Paese, ove divenne quasi oggetto di culto negli ambienti neonazisti della Baviera.

Tornato libero, Kesselring sostenne di non essere affatto pentito di ciò che aveva fatto durante i 18 mesi nei quali tenne il comando in Italia ed anzi dichiarò che gli italiani, per il bene che secondo lui aveva loro fatto, avrebbero dovuto erigergli un monumento. Fu in risposta a queste affermazioni che Piero Calamandrei scrisse la celebre epigrafe, dedicata a Duccio Galimberti, "Lo avrai, camerata Kesselring...", il cui testo venne posto sotto una lapide ad ignominia di Kesselring stesso, deposta dal comune di Cuneo, e poi affissa anche a Montepulciano, in località Sant'Agnese, a Sant'Anna di Stazzema, ad Aosta, ai piedi del faro di Prarostino, all'ingresso delle cascate delle Marmore e a Borgo San Lorenzo, sull'antico palazzo del Podestà.

Opere principali

  • Opere giuridiche, a cura di Mauro Cappelletti, 10 voll., Morano Napoli
  • Scritti e discorsi politici, a cura di Norberto Bobbio, La Nuova Italia, Firenze 1966
  • Lettere, Firenze, 2 voll., La Nuova Italia 1968.
  • Scritti ed inediti celliniani, Firenze, La Nuova Italia, 1971.
  • La burla di primavera con altre fiabe, Palermo, Sellerio, 1987.
  • In difesa dell'onestà e della libertà della scuola, Palermo, Sellerio, 1994.
  • Diario (1939-1945), a cura di Giorgio Agosti e Alessandro Galante Garrone Firenze, La Nuova Italia, 1982 (riedizione 1997).
  • Elogio dei giudici, scritto da un avvocato, Firenze, Ponte alla grazie, 1999.
  • La Costituzione e leggi per attuarla, Milano, Giuffré, 2000.
  • Inventario della casa di campagna, edizione privata 1941 e Roma, Tumminelli, 1945.Riedito da Edizioni storia e letteratura, Roma. Firenze 2013.
  • Costruire la democrazia. Premesse alla Costituente, Montepulciano (SI), Le Balze, 2004.
  • Futuro prossimo. Testi inediti 1950, Montepulciano (SI), Le Balze, 2004.
  • Costituzione e le leggi di Antigone, Firenze, Sansoni, 2004.
  • Ada con gli occhi stellanti - lettere 1908-1914, Palermo, Sellerio 2005.
  • Uomini e città della resistenza, Roma-Bari, Laterza 2006.
  • Zona di guerra - Lettere e scritti, (1915-1924), Roma- Bari, Laterza 2007.
  • Una famiglia in guerra - Lettere e scritti (1939-1956), con Franco Calamandrei, Roma-Bari, Laterza, 2008.
  • Fede nel diritto, Roma-Bari, Laterza, 2008.
  • Per la scuola, Palermo, Sellerio, 2008.
  • Lo Stato siamo noi, Milano, Chiarelettere, 2011. Raccolta di interventi e scritti dal 46' al 56'
  • Non c'è libertà senza legalità, Roma-Bari, Laterza 2013
  • Il fascismo come regime della menzogna, Roma.Bari, Laterza 2014.
  • Diario (1939-45), edizione integrale riscontrata su manoscritto, Edizioni di storia e letteratura, Roma-Firenze 2015.

Note

  1. ^ a b Barbera, p. 44
  2. ^ a b c Barbera, p. 45
  3. ^ a b c d e Barbera, p. 46
  4. ^ Dell'intero Ordine degli avvocati di Firenze, solo tre iscritti non chiesero la tessera del partito fascista: oltre allo stesso Calamandrei, Adone Zoli e Ugo Feri
  5. ^ a b c d e f Barbera, p. 47
  6. ^ a b c Barbera, p. 48
  7. ^ Dizionario Biografico degli Italiani
  8. ^ Alfredo De Marsico "nelle sue memorie gli rimproverò di non aver poi testimoniato in suo favore dopo la caduta del fascismo": così Antonio Carioti, Calamandrei e quel codice del Ventennio (Corriere della Sera, 26 gennaio 2006),secondo cui nell'elaborazione del codice "tutti i giuristi furono cooptati dal regime. E lo stesso Calamandrei all'epoca si sentiva più afascista che antifascista. Tanto che poi il figlio Franco gli rimproverò il suo atteggiamento passivo durante il Ventennio".
  9. ^ a b c Barbera, p. 49
  10. ^ Sui rapporti tra Piero e Franco Calamandrei, si veda Sergio Luzzatto, Calamandrei, quando il figlio educa il padre, in Corriere della Sera, 18 aprile 2008.
  11. ^ Calamandrei, oltre ad essere stato «uno dei padri fondatori e, insieme, dei critici più avvertiti della Costituzione del 1948», si è rivelato «uno dei maggiori rappresentanti del liberalismo sociale di matrice azionista»: così F. SBARBERI, Piero Calamandrei: la rivoluzione democratica come discontinuità dello Stato, in L’utopia della libertà eguale. Il liberalismo sociale da Rosselli a Bobbio, Bollati Boringhieri, 1999, p. 115.
  12. ^ Roberto Bin, Giovanni Pitruzzella, Diritto costituzionale
  13. ^ Piero Calamandrei, Costruire la democrazia, Vallecchi.
  14. ^ "De Gasperi's Dilemma." Economist [London, England] 10 Jan. 1953: 66+. The Economist Historical Archive, 1843-2012.
  15. ^ a b Testo del discorso.
  16. ^ Audio del discorso: parte prima, parte seconda, parte terza.
  17. ^ Il drago e la farfalla: immagini di Cina a Montepulciano
  18. ^ "Prof. P. Calamandrei." Times [London, England] 28 Sept. 1956: 13.
  19. ^ Pannello PDF: da un viaggio in Cina a un mondo meno chiuso, cit.: "1956, settembre, a Firenze, a seguito di un intervento chirurgico, muore improvvisamente Piero Calamandrei"
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Bibliografia

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