Cinque giornate di Milano

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Cinque giornate di Milano
parte del Risorgimento e della Primavera dei popoli
Episodio delle cinque giornate (Combattimento presso il Palazzo Litta) di Baldassare Verazzi. Si noti la scritta "W Pio IX" sul muro alla destra dell'uomo intento a mirare col fucile e il suo cappello "alla calabrese"
Data18-22 marzo 1848
LuogoMilano, capitale del Regno Lombardo-Veneto
EsitoVittoria degli insorti e formazione del Governo provvisorio di Milano
Schieramenti
Insorti milanesiBandiera dell'Impero austriaco Impero austriaco
Comandanti
Effettivi
sconosciutiinizialmente 8.000 18.000/20.000 poi[1]
Perdite
409/424 morti[2][3]
600 feriti[3]
181 morti[4]
235 feriti[3]
150/180 prigionieri[4]
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Le cosiddette Cinque giornate di Milano sono un episodio di insurrezione armata avvenuto tra il 18 e il 22 marzo 1848 nell'allora capitale del Regno Lombardo-Veneto, che portò alla temporanea liberazione della città dal dominio austriaco.

Fu uno dei moti liberal-nazionali europei del 1848-1849, nonché uno degli episodi della storia risorgimentale italiana del XIX secolo, preludio all'inizio della prima guerra d'indipendenza italiana: la rivolta, infatti, influenzò le decisioni del re di Sardegna Carlo Alberto che, dopo aver a lungo esitato, approfittando della debolezza degli Austriaci in ritirata, dichiarò guerra all'Impero austriaco.

Contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1848 Milano era capitale del Regno Lombardo-Veneto, parte dell'Impero austriaco. Nella città il malcontento era diffuso da tempo, come dimostrarono nel 1846 le scene di gioia seguite all'elezione al soglio pontificio di papa Pio IX, le cui prime decisioni politiche (come l'introduzione di una maggiore libertà di stampa[5]) sembrarono incarnare una svolta politica e sociale, rispetto ai papi precedenti e ai criteri della Restaurazione.[6]

La tensione tra milanesi e austriaci (gli 8.000 soldati della guarnigione austriaca erano agli ordini dell'ottantaduenne generale Josef Radetzky, comandante anche di tutte le truppe austriache nel Lombardo-Veneto)[7], crebbe con il passare dei mesi: ogni gesto della parte avversaria veniva interpretato negativamente, come una provocazione, come se fosse stato aggressivo (come furono molte azioni ordinate dal poliziotto austriaco Luigi Bolza) o come un segno di debolezza se, al contrario, i gesti risultassero di natura pacifica e moderata.[8]

Nel settembre 1847 fece il suo ingresso in città il nuovo arcivescovo Carlo Bartolomeo Romilli, che sostituiva l'austriaco Karl Kajetan von Gaisruck; i festeggiamenti per la nomina di un arcivescovo italiano, con un insistente canto dell'inno a Pio IX, provocarono la reazione della polizia, che caricò la folla in piazza Fontana, uccidendo un milanese e ferendone altri[9]. Nello stesso periodo gli animi iniziarono ad infiammarsi in seguito all'arrivo di notizie circa i moti di ribellione calabresi e divenne di moda indossare cappelli tronco-conici detti alla calabrese[10] o anche all'Ernani[11], rifacendosi al protagonista dell'opera di Verdi letta in chiave antiaustriaca[12].

Nei primi giorni del gennaio 1848, per protestare contro l'amministrazione austriaca, i milanesi decisero di non fumare più, volendo in tal modo colpire le entrate erariali provenienti dalla tassa sul tabacco. Per tutta risposta il comando austriaco ordinò ai soldati di andare per strada fumando ostentatamente sigari[8], aggredendo i passanti e forzandoli a fumare. I soldati furono anche provvisti di abbondanti razioni di acquavite e negli alterchi con i cittadini non esitarono ad usare le daghe. Al termine di tre giorni di reazione austriaca allo sciopero, si contarono 6 morti e oltre 80 feriti fra i milanesi.[9] Il militare austriaco Karl Schönhals, nelle sue memorie, riferisce che le prime violenze, che fecero degenerare il clima di tensione dovuto alle minacce che si rivolgevano a chiunque osasse fumare o giocare al lotto, vennero avviate il 3 gennaio dai membri del club gravitante intorno alla Pasticceria Cova. Questi passarono dall'insultare fino all'assalire con le pietre i militari che andavano in giro a fumare i sigari, in particolare i granatieri italiani che ne fumavano allegramente due alla volta.[13] A scontri ultimati, Josef Radetzky ricevette da Gabrio Casati un resoconto in cui si tentava di far passare i cittadini come pacifici e i soldati come provocatori, pretendendo che questi ultimi smettessero di fumare per strada, ma il Feldmaresciallo respinse quella pretesa.[13]

La rivolta di Palermo del 12 gennaio e la conseguente decisione del re Ferdinando II di concedere la Costituzione, cui seguirono ai primi di febbraio la promulgazione dello Statuto Albertino e la concessione di costituzioni nel Granducato di Toscana e nello Stato Pontificio, fecero salire a livelli ancora più alti la tensione a Milano.[14] Proseguendo le manifestazioni di malcontento nel vicereame, il 22 febbraio venne promulgata in tutto il Lombardo Veneto la Legge Stataria, che rimuoveva le garanzie per gli imputati ai processi e, secondo l'articolo 10, prescriveva che "non ha luogo né ricorso né supplica di grazia" contro la sentenza del giudice. Tuttavia le manifestazioni proseguirono, e a Radetzky fu impedito di utilizzare le truppe per ripristinare l'ordine a causa dei sanguinosi fatti legati alla repressione dello sciopero del fumo.

I moti del 1848 toccarono anche la stessa Vienna (ove il 15 marzo Ferdinando I firmò una costituzione), Berlino e, soprattutto Budapest, lasciando intravedere ai milanesi che era possibile un radicale cambiamento anche nel Regno Lombardo-Veneto. Mentre a Milano si diffondevano le notizie della concessione di alcune riforme nei diversi Stati della penisola, il governatore Spaur e il viceré Ranieri Giuseppe si spostarono nella più tranquilla Verona.[15]

Prime tensioni[modifica | modifica wikitesto]

Venerdì 17 marzo si diffuse in città la notizia delle dimissioni di Metternich a seguito della insurrezione popolare a Vienna. La notizia spinse a decidere di approfittare dell'occasione per organizzare il giorno successivo una grande manifestazione pacifica davanti al palazzo del governatore (nell'attuale piazza Mercanti) per richiedere alcune concessioni tese a dare maggiore autonomia a Milano e alla Lombardia: abrogazione delle leggi più repressive, libertà di stampa, scioglimento della polizia, deferimento al comune di Milano della responsabilità sull'ordine pubblico e istituzione di una Guardia Civica agli ordini della municipalità.[14]

Primi scontri[modifica | modifica wikitesto]

Barricata eretta per bloccare una strada e i rivoltosi in armi a suo presidio (stampa d'epoca)
Combattimento in un cortile fra i milanesi e i "Cacciatori Tirolesi"(stampa d'epoca)
Acquerello di Felice Donghi del 1848 che mostra una delle barricate erette a Milano durante le Cinque giornate

Il 18 marzo 1848 la manifestazione pacifica ben presto si trasformò in un assalto:[16] O'Donell[17], rappresentante del governatore Spaur, venne costretto a firmare una serie di concessioni e in tutta Milano cominciarono i combattimenti in strada.[18]

Colto alla sprovvista, Radetzky si rinchiuse con i suoi 8.000 uomini nel Castello Sforzesco (allora poco più che un grande quadrato senza il perimetro esterno demolito da Napoleone e separato dalla città da uno spiazzo vuoto) e ordinò di riprendere il palazzo del governatore, sperando anche di catturare in esso i capi della rivolta, che invece si erano trasferiti in una casa di via Monte Napoleone, motivo per cui fallì anche una retata nella sede dell'arcivescovado. Radetzky comunque non era assediato; poteva infatti muovere i suoi uomini (saliti col tempo a 18.000/20.000), isolando la città dall'esterno; era inoltre in possesso di quasi tutti gli edifici pubblici, delle caserme, degli uffici di polizia e del Duomo, dal cui tetto gli Jäger sparavano ai rivoltosi che capitavano nella loro area di tiro.[7]

La situazione degli Austriaci non era comunque delle migliori. Già il 19 marzo i milanesi avevano allestito circa 1.700 barricate, difese anche dalle finestre e dai tetti delle abitazioni, che a volte vennero private dei muri per creare vie di comunicazione più veloci. La scarsità di armi da fuoco portò i milanesi a usare i fucili esposti nei musei e ad assegnarli solo ai tiratori più esperti, come l'ex soldato della Legione straniera francese Giuseppe Broggi[19]. Le strade vennero dissestate e cosparse di ferri e vetri per rendere impossibile l'azione della cavalleria. Il 20 marzo Radetzky diede ordine a tutti i distaccamenti sparsi per Milano di trincerarsi nel castello e di mantenere il controllo della cinta muraria[20], permettendo così a Luigi Torelli e Scipione Bagaggia di salire sul Duomo per porre simbolicamente il tricolore italiano sulla guglia della Madonnina.[21]

Governo provvisorio[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Governo provvisorio di Milano.
Manifesto con appello alla gioventù milanese emesso dal Comitato di difesa il 20 marzo

Il 20 marzo si fondò un consiglio di guerra, con sede a Palazzo Taverna (per iniziativa di Enrico Cernuschi, Giulio Terzaghi, Giorgio Clerici e Carlo Cattaneo), che prese il comando effettivo delle operazioni e, nella notte tra il 21 e il 22 marzo, nacque il Governo provvisorio presieduto dal podestà Gabrio Casati (il segretario era Cesare Correnti)[21]. La resistenza fu organizzata costruendo mongolfiere per poter inviare in tutta sicurezza messaggi fuori le mura; agli astronomi fu detto di sorvegliare il nemico da torri e campanili, gli impiegati del catasto e gli ingegneri vennero consultati per sapere come meglio muoversi in città, e divennero famosi i Martinitt ("piccoli martini", dal nome dell'orfanotrofio in cui vivevano), che funsero da staffette portaordini.[22]

Tra la fine del terzo giorno di lotta e l'inizio del quarto la situazione era entrata in stallo: le truppe austriache salde sulle loro posizioni (ma senza edifici capaci di ospitare tutti i soldati e consci che la perdita di una sola porta avrebbe vanificato l'assedio)[23] e i milanesi relativamente sicuri per le strade, ma a corto di rifornimenti. Radetzky inviò quindi un'offerta di tregua, che divise il Consiglio di guerra tra moderati e democratici.

Casati e i nobili chiedevano ad alta voce l'accettazione dell'armistizio e la chiamata in causa del re di Sardegna Carlo Alberto (con cui già aveva parlamentato il conte Enrico Martini, il quale riferì al Consiglio, il 21 marzo, di averne ricevuto una risposta interlocutoria)[24]; il sovrano aveva già radunato l'esercito a Novara, pronto a muoversi non appena le personalità milanesi più influenti avessero firmato una petizione che reputava necessaria per giustificare, di fronte alle diplomazie internazionali, l'entrata delle truppe nel Lombardo-Veneto.[25]

A detta dei moderati, l'intervento delle truppe sabaude era necessario per sconfiggere l'esercito austriaco in una vera e propria campagna militare (secondo loro impraticabile dagli inesperti rivoltosi) e per prevenire eventuali degenerazioni rivoluzionarie; alcuni proposero anche che, se il futuro regno fosse stato lombardo-piemontese, il suo baricentro sarebbe stato Milano, a scapito di Torino.[26] Diversa era invece la posizione dei democratici, con in testa Cattaneo: contrari ad ogni petizione e ad ogni armistizio, erano convinti che la rivoluzione avrebbe trionfato anche senza ricevere aiuti; un'alleanza con il Re di Sardegna sarebbe stata possibile solo se in posizione di parità.[27]

Alla fine prevalse il punto di vista dei democratici, l'armistizio fu rifiutato e si tornò a combattere.[23] Il 21 marzo il calzolaio Pasquale Sottocorno riuscì ad incendiare la porta del palazzo del Genio in via Monte di Pietà, permettendo ai milanesi guidati da Luciano Manara, Enrico Dandolo ed Emilio Morosini di impossessarsi della struttura.[21]. Durante l'attacco restò ucciso Augusto Anfossi, uno dei capi militari della rivolta.

Vittoria dei milanesi[modifica | modifica wikitesto]

Documento del Consiglio di guerra del 20 marzo 1848 in cui si invitano i milanesi a conquistare una porta, firmato da Cattaneo e Cernuschi

La mattina del 22 marzo le strade cittadine erano sotto il controllo degli insorti, mentre gli Austriaci controllavano le mura spagnole ed il Castello Sforzesco, chiudendo la città in una cerchia; tuttavia nella campagna circostante le strade erano bloccate dalla popolazione in rivolta e agli Austriaci mancava la possibilità di ricevere rifornimenti e rinforzi; perciò Radetzky decise di prepararsi ad abbandonare la città, ma conservando le posizioni (per garantirsi una ordinata ritirata delle sue truppe). Gli scontri proseguirono quindi con i milanesi che attaccarono per forzare il blocco e unirsi con gli insorti della campagna; le armi ai rivoltosi ormai non mancavano, grazie a quelle catturate in combattimento e a quelle rinvenute nelle caserme austriache abbandonate.

Un primo attacco fu tentato la mattina contro Porta Comasina e quindi Porta Ticinese, entrambi respinti; ebbe infine successo un terzo assalto a Porta Tosa (in seguito per questo motivo chiamata Porta Vittoria), guidato da Manara[23]. La porta fu conquistata a notte fonda sotto la luce degli incendi che divampavano nelle case adiacenti, la bandiera tricolore fu issata sulle rovine della porta da Francesco Pirovano, un garzone di panetteria di diciassette anni. La conquista di Porta Tosa segnò la vittoria della rivolta.

La ritirata degli austriaci dal dazio di Porta Tosa (oggi piazza Cinque Giornate) la notte del 22 marzo 1848 Tempera su carta di Carlo Bossoli

Porta Tosa comunque fu temporaneamente ripresa dagli Austriaci[21], in quanto da questa posizione iniziava la strada che forzatamente avrebbero dovuto percorrere in ritirata per raggiungere le fortezze del Quadrilatero seguendo la via dell'Adda. Radetzky, infatti, considerata anche la possibilità di rimanere bloccato tra milanesi e piemontesi, preferì ritirarsi la notte tra il 22 e il 23 marzo 1848 verso il "Quadrilatero"[28], con 19 ostaggi.[21]

L'idea vincente per assaltare le posizioni fortificate austriache arrivò da Antonio Carnevali, professore di scuola militare ed ex ufficiale della Guardia di Napoleone nella campagna di Russia, che propose di avvicinarsi usando delle barricate mobili costituite da fascine di tre metri di diametro, bagnate per prevenire incendi, che i milanesi avrebbero dovuto far rotolare davanti a sé per ripararsi dai proiettili austriaci. Nonostante l'ormai certa vittoria sul campo, sul piano politico Cattaneo fu sconfitto al consiglio di guerra; fu infatti inviato a Torino un messaggero che portava la petizione con cui i milanesi chiedevano a Carlo Alberto di entrare in Lombardia.[23][29] Terminata la battaglia nacque infine l'organo ufficiale del governo provvisorio milanese che, in ricordo di quel giorno, ebbe come nome Il 22 marzo. Il giornale iniziò le sue pubblicazioni il 26 marzo 1848 dalla sede di Palazzo Marino, sotto la direzione di Carlo Tenca.[21]

La sera del 22 i milanesi abbatterono il portone della Scuola militare Teuliè e fecero prigioniero il presidio. I cadetti di origine milanese furono riportati presso le famiglie, mentre la scuola fu chiusa e trasformata in "Scuola di Artiglieria e Genio" sotto la direzione del maggiore Antonio Carnevali[30]. Terminati i combattimenti, il 6 aprile la cacciata degli austriaci fu celebrata con un "Te Deum" solenne celebrato nel Duomo. In prima fila, assieme alle autorità cittadine, due posti furono riservati alla patriota Luisa Battistotti Sassi e a Pasquale Sottocorno, distintisi nei combattimenti.[31]

Una volta terminati gli scontri, i corpi dei caduti vennero tutti inumati presso la cripta della chiesa della Beata Vergine Annunciata, adiacente all'Ospedale Maggiore, dove rimasero fino al 1895. In seguito i resti vennero traslati ed inumati in forma definitiva in un ossario realizzato sotto il Monumento alle Cinque Giornate.

Intervento sabaudo e controffensiva austriaca[modifica | modifica wikitesto]

Vignetta antiaustriaca: soldato croato, raffigurato come l'incrocio fra un maiale e un ratto
Richiesta d'intervento dell'esercito piemontese; tra i firmatari si trova il nome dello scrittore Alessandro Manzoni

Il 23 marzo, giorno successivo alla fine dei combattimenti a Milano, il Regno di Sardegna dichiarò guerra all'Austria, ma il Re Carlo Alberto non diede nessun ordine di muovere le truppe. Il 25 marzo il generale Giuseppe Passalacqua, inviato quale uomo di fiducia del Regno di Sardegna presso il governo provvisorio di Milano, scrisse al ministro della guerra "creda eccellenza che se vogliamo riuscire a qualcosa di onorevole bisogna assolutamente che la nostra armata cerchi il nemico"; come risposta alle sollecitazioni venne ordinato ad un'avanguardia di passare il Ticino, ma solo il 29 marzo le truppe piemontesi cominciamo a dirigersi verso Milano.[32] L'estrema lentezza con cui si mosse l'esercito sabaudo diede modo agli austriaci di ritirarsi senza rilevanti perdite nel Quadrilatero. Le uniche resistenze che l'esercito sabaudo trovò furono sui tre ponti, quello di Goito (9 aprile), Monzambano e a Valeggio a Pastrengo (30 aprile). Circa un mese dopo, i sardo-piemontesi si impadronirono della fortezza di Peschiera del Garda, per cercare di liberare la quale Radetzky sconfisse i volontari toscani a Curtatone e Montanara, venendo però egli stesso bloccato di nuovo a Goito.[33]

L'incapacità di assumere l'iniziativa da parte piemontese diede modo agli austriaci di ricevere i rinforzi che permisero loro di riconquistare Vicenza il 10 giugno[34] e di riprendere l'offensiva, battendo l'esercito sardo-piemontese in una serie di scontri passati alla storia come prima battaglia di Custoza (22-26 luglio).[35]

Il 10 giugno Carlo Alberto ricevette una delegazione guidata dal podestà di Milano, Casati, la quale recava l'esito trionfale del plebiscito che sanciva l'unione della Lombardia al Regno di Sardegna. La situazione dell'esercito sardo-piemontese era però compromessa, ed il re ordinò una ritirata verso l'Adda e Milano, dove i piemontesi vennero accolti da una città fredda e deserta, delusa di aver offerto una vittoria per poi trovarsi senza colpe in una sconfitta.[36] Il re, sebbene avesse inizialmente respinto ogni proposta di abbandonare la città, decise il 4 agosto di porre fine alla guerra, scatenando l'ira dei milanesi che si ammassarono attorno alla sua residenza. Questo il resoconto della nobildonna Cristina di Belgioioso, che partecipò attivamente ai moti di Milano (e in seguito prese parte alla difesa della Repubblica Romana (1849) dai Francesi):

«...Una deputazione della guardia nazionale salì ad interrogare Carlo Alberto sul motivo della capitolazione. Egli negò, ma fu costretto a seguire, suo malgrado, quei deputati al balcone da dove arringò al popolo, scusandosi della sua ignoranza dei veri sentimenti dei Milanesi; e compiacendosi di vederli così pronti alla difesa, promise solennemente di battersi alla loro testa sino all'ultimo sangue. Qualche colpo di fucile partì contro Carlo Alberto. Alle ultime parole del suo discorso, il popolo sdegnato gridò: 'Se è così lacerate la capitolazione'. Il re allora levò di tasca un pezzo di carta, lo tenne in alto affinché il popolo lo vedesse, e poi lo fece a pezzi.[37][38]»

Nella sera i bersaglieri sgomberarono la folla e scortarono Carlo Alberto fuori dalla città.[39]

Il 5 agosto fu firmata la capitolazione. Il giorno dopo gli austriaci rientrarono a Milano, da dove nel frattempo la maggior parte dei partecipanti alla lotta di liberazione era fuggita. Come nuovo governatore fu posto Felix Schwarzenberg.[21]

I gruppi insurrezionali[modifica | modifica wikitesto]

Ricostruzione di una barricata durante le celebrazioni del centenario delle Cinque giornate

I milanesi ostili al dominio austriaco potevano considerarsi suddivisi in tre gruppi, ideologicamente separati per ispirazione politica ed obiettivi perseguiti, ed erano spesso fra loro in disaccordo, mancando in quel momento coordinazione. I tre gruppi si componevano di:

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Carlo Bossoli: L'armeria del cavaliere Ambrogio Uboldo invasa dagli insorti milanesi per provvedersi delle armi il 19 marzo 1848
  • Con delibera del 7 gennaio 1884 del consiglio comunale la città di Milano istituì una medaglia commemorativa delle Cinque giornate per insignire «i superstiti combattenti di quella lotta gloriosa».[40]
  • Con regio decreto del 18 marzo 1898 fu assegnata alla città di Milano una medaglia d'oro come benemerita del Risorgimento nazionale «a ricordare le azioni eroiche compiute dalla cittadinanza milanese nelle cinque giornate del 1848».[41]
  • Il 15 marzo 1948 fu conferita alla città di Milano la medaglia d'oro al valor militare, con esplicito riferimento anche alle Cinque giornate.[42]

Commemorazioni[modifica | modifica wikitesto]

Citazioni e riferimenti[modifica | modifica wikitesto]

Palla di cannone sulla facciata di palazzo Acerbi

Luoghi e intitolazioni[modifica | modifica wikitesto]

  • Sulla facciata di palazzo Acerbi è tuttora presente una palla di cannone con una targa che indica la data "20 marzo 1848".
  • Su un portale di Casa De Maestri in Corso di Porta Venezia 13 è presente una sbrecciatura con l'indicazione "Marzo 1848".
  • Su palazzo Bigli fu posta una lapide a ricordo della sede del comitato centrale dell'insurrezione.[47] Nel 1934 in via Boschetti fu posta una lapide a ricordo di Luigi Torelli.[48]
  • A Milano è presente piazza Cinque Giornate, Corso XXII Marzo; alcune vie cittadine sono intitolate a protagonisti delle Cinque Giornate: Via Augusto Anfossi, Via Enrico Cernuschi, Via Macedonio Melloni, via Luisa Battistotti Sassi e Via Pasquale Sottocorno. Ad altri protagonisti maggiori furono eretti monumenti pubblici: a Carlo Cattaneo (1901), a Cesare Correnti (1901) e a Luciano Manara (1894).
  • In via Melchiorre Gioia è presente la caserma "Cinque giornate", sede della Guardia di Finanza.
  • Nel settembre 1943 il gruppo militare partigiano costituito dal colonnello Carlo Croce, protagonista della Battaglia del San Martino contro l'occupante tedesco, prese il nome di "Gruppo Militare Cinque Giornate Monte di San Martino di Vallalta-Varese".

Cinema e televisione[modifica | modifica wikitesto]

Narrativa[modifica | modifica wikitesto]

Giulio Terzaghi

  • Una pazza felicità romanzo di Jean Giorno del 1955, pubblicato in italiano da Guanda nel 1996. Angelo, già protagonista de L'ussaro sul tetto, nel Marzo 1848 fugge clandestinamente dal Piemonte per partecipare alla sollevazione di Milano contro gli Austriaci.

Musica[modifica | modifica wikitesto]

  • Le sanguinose giornate di Marzo, ossia La Rivoluzione di Milano, poema sinfonico-organistico di Padre Davide da Bergamo.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Scardigli 2011, p. 86; gli austriaci erano 14.000 secondo Montanelli, Cervi 1980.
  2. ^ Paul Ginsborg, Daniele Manin and the Venetian revolution of 1848–49, Bristol, 1979.
  3. ^ a b c Wilhelm Rüstow, Der italienische Krieg von 1848 und 1849, Zürich, 1862.
  4. ^ a b Wilhelm Meyer-Ott, Wilhelm Rüstow, Die Kriegerischen Ereignisse in Italien in den Jahren 1848 und 1849, Zürich, 1850.
  5. ^ Per la precisione il Papa semplificò le procedure censorie affidandole a uomini più tolleranti, contro cui ora si poteva far ricorso, e ridusse i poteri del Sant'Uffizio. Si veda Murialdi 2000, p. 45.
  6. ^ Scardigli 2011, p. 74.
  7. ^ a b Scardigli 2011, pp. 83-84.
  8. ^ a b Scardigli 2011, p. 81.
  9. ^ a b Moiraghi, pp. 11-11.
  10. ^ pag. 52 in Carlo Pagani, Uomini e cose in Milano, L. F. Cogliati, 1906>
  11. ^ Vedi pag. 235 in Ferdinando Augusto Pinelli, Storia militare del Piemonte in continuazione di quella del Saluzzo, cioè dalla pace d'Aquisgrana sino ai dì nostri, 1748-1850 , Volume 3, Tipografia De Giorgis, Torino, 1855
  12. ^ Vedi pag 158, Marco Maria Lacasella, Il melodramma tra Romanticismo e Risorgimento,La Capitanata, Anno XLIX (2011) - Numero 26, Biblioteca Provinciale di Foggia online
  13. ^ a b Karl Freiherr von Schönhals, Memorie della guerra d'Italia degli anni 1848-1849, Tipografia Guglielmini, 1852. URL consultato il 2 gennaio 2018.
  14. ^ a b Scardigli 2011, p. 82.
  15. ^ Scardigli 2011, pp. 80-82.
  16. ^ Secondo i racconti popolari la contessa Suardi chiese ad un uomo di combattere gli austriaci al suo posto e questi l'accontentò, accoltellando un soldato. In realtà, nel clima eccitato del momento, non era necessario l'invito della donna per arrivare allo scontro. Si veda Scardigli 2011, p. 83.
  17. ^ Secondo l'Accademia austriaca delle Scienze, si tratterebbe del conte Heinrich O'Donell von Tyrconell (1802-1872), (DE) [1]. Lo storico Lucio Villari conferma questa versione: Bella e perduta. L'Italia del Risorgimento, Bari, Laterza, 2009, p. 155
  18. ^ Scardigli 2011, p. 83.
  19. ^ Adriano Monti Buzzetti Colella, 1800-1897 Da Marengo a Kabul, Le più grandi battaglie della storia, Vol. IV (Aprile 2017), Focus Storia, Mondadori, pp. 43.
  20. ^ Scardigli 2011, pp. 84-86.
  21. ^ a b c d e f g Storia di Milano dal 1841 al 1850, su storiadimilano.it. URL consultato il 26 gennaio 2012..
  22. ^ Scardigli 2011, pp. 85-86.
  23. ^ a b c d Scardigli 2011, p. 89.
  24. ^ Non si sa come il Martini riuscì ad uscire e a rientrare a Milano eludendo la sorveglianza austriaca. Scardigli 2011, p. 86.
  25. ^ Scardigli 2011, pp. 86-87.
  26. ^ Scardigli 2011, pp. 87-88.
  27. ^ Scardigli 2011, p. 87.
  28. ^ ,la zona fortificata compresa fra le quattro città di Verona, Legnago, Mantova e Peschiera del Garda
  29. ^ A ricordo delle giornate dell'insurrezione milanese fu eretto il monumento opera dello scultore Giuseppe Grandi nell'attuale Porta Vittoria.
  30. ^ Ferdinando Rusconi, 19 anni di vita d'un garibaldino, ovvero da Murazzone 1848 a Mentana 1867. Racconto Storico, Aneddotico e Popolare, Firenze 1870, pp. 7-13. Le fonti austriache riferiscono che "molti giovinetti italiani avrebbero preferito restare al fianco dei diletti maestri, fedeli alla bandiera. Il comandante della scuola ricevette ambascerie da parte delle famiglie milanesi perché i cadetti italiani fossero rilasciati in quanto "erano forzati a far fuoco contro i propri genitori". A. Luzio, Le Cinque Giornate di Milano nelle narrazioni di fonte austriaca, Roma 1899, pp. 82-83,114-115.
  31. ^ Paolo Pulina Luisa Battistotti Sassi, la protagonista delle Cinque giornate di Milano, citata anche in un romanzo di Carolina Invernizio 6 maggio 2011
  32. ^ Scardigli 2011, p. 101.
  33. ^ Scardigli 2011, pp. 103-104.
  34. ^ Scardigli 2011, pp. 141-143.
  35. ^ Scardigli 2011, pp. 146-156.
  36. ^ Scardigli 2011, p. 160.
  37. ^ C. Belgioioso, La rivoluzione lombarda del 1848 a cura di A. Bandini Buti, Universale Economica, Milano, 1950
  38. ^ Scardigli 2011, p. 161.
  39. ^ Scardigli 2011, pp. 161-162.
  40. ^ Città di Milano, Le Cinque giornate del marzo 1848[collegamento interrotto], Milano, 1885.
  41. ^ Decreto n. 98 18 marzo 1898, in Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, n. 80, 6 aprile 1898, p. 1237.
  42. ^ Milano, su Presidenza della Repubblica.
  43. ^ P. Ghinzoni, La colonna di Porta Vittoria a Milano, Milano, 1887, pp. 67-68.
  44. ^ Notizie varie, in Gazzetta Ufficiale, 19 marzo 1895, pp. 1299-1300. URL consultato il 2 ottobre 2019 (archiviato dall'url originale il 2 dicembre 2017).
  45. ^ Festa del 25 aprile: le modifiche del servizio, su ATM, 23 aprile 2010.
  46. ^ Palazzo Marino. Le iniziative per il 175º anniversario delle Cinque giornate di Milano, su Comune di Milano. URL consultato il 22 marzo 2023.
  47. ^ Scheda del palazzo Bigli Ponti, su LombardiaBeniCulturali.
  48. ^ Le Cinque Giornate di Milano - Civiche raccolte storiche - Comune di Milano, su Civiche raccolte storiche. URL consultato il 22 marzo 2023.
  49. ^ Sceneggiati e Fiction 1970-1973, su Rai Teche.
  50. ^ Cinque giornate di Milano, su Cinematografo, Fondazione Ente dello Spettacolo.
  51. ^ Sceneggiati e Fiction 2003-2005, su Rai Teche.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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