Quirino Armellini

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Quirino Armellini
NascitaLegnaro, 31 gennaio 1889
MorteRoma, 13 gennaio 1975
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Italia
Bandiera dell'Italia Italia
Forza armataRegio Esercito
Esercito italiano
ArmaFanteria
Anni di servizio1908 - 1952
GradoGenerale di corpo d'armata
GuerreGuerra italo-turca
Prima guerra mondiale
Guerra d'Etiopia
Seconda guerra mondiale
CampagneCampagna di Macedonia
Comandante di89º Reggimento fanteria
80ª Divisione fanteria "La Spezia"
XVIII Corpo d'armata
IX Corpo d'armata
Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale
Fronte Militare Clandestino
Decorazionivedi qui
Studi militariRegia Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena
Pubblicazionivedi qui
dati tratti da Marte in orbace[1]
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Quirino Armellini (Legnaro, 31 gennaio 1889Roma, 13 gennaio 1975) è stato un generale italiano, gia distintosi nel corso della prima guerra mondiale nelle file del corpo di spedizione italiano in Macedonia.

Dopo lo scoppio della guerra d'Etiopia fu chiamato dal Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio e ricoprire l'incarico di Capo dell'ufficio operazioni del Comando superiore in Africa orientale. Promosso generale di brigata per meriti di guerra rimase in Africa Orientale Italiana fino al 1938. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, avvenuta il 10 giugno 1940, Badoglio lo volle nuovamente al suo fianco come generale addetto presso il Comando Supremo, ma in forza dell'infausto esito delle prime operazioni belliche contro la Grecia, Badoglio fu sostituito da Cavallero nella carica di Capo di stato maggiore generale (6 dicembre 1940), e il generale Alfredo Guzzoni, il quale reggeva ad interim il comando per l'assenza di Cavallero, che aveva di fatto rimpiazzato Ubaldo Soddu in Albania, ed era impegnato sullo scacchiere greco, lo rimosse dall'incarico rimpiazzandolo con Giovanni Magli.

Comandò in successione la 80ª Divisione fanteria "La Spezia", il XVIII e il IX Corpo d'armata, e dopo la caduta del regime fascista la Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale. Dopo la firma dell'armistizio dell'8 settembre 1943 Badoglio lo indicò per assumere il comando di Roma "città aperta" sotto l'occupazione nazifascista, che però venne assunto dal generale Carlo Calvi di Bergolo, ma il 25 gennaio 1944, dopo l'arresto di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, e fino al marzo successivo fu a capo del Fronte Militare Clandestino della Resistenza romana. Sostituito dal generale Roberto Bencivenga, dopo la fine della guerra, resse i comandi militari territoriali di Udine (V) e poi Palermo (XI), nominato poi presidente del Consiglio Supremo delle Forze armate italiane. Fu autore di alcuni libri a carattere storico-militare.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nacque a Legnaro, provincia di Padova, il 31 gennaio 1889, figlio del coltivatore diretto Antonio e di Maria Basso. Arruolatosi nel Regio Esercito frequentò la Regia Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena da cui uscì con il grado di sottotenente nominato con Regio Decreto 30 gennaio 1908.[2]. Partecipò alla guerra italo-turca e, poi alle operazioni di controguerriglia dove, nel marzo 1915, si distinse in forza al II Battaglione "Benadir", venendo decorato con una Medaglia di bronzo al valor militare.

Combatte poi nel corso della prima guerra mondiale,[3] distinguendosi come maggiore addetto allo Stato maggiore della 35ª Divisione, operante sul fronte macedone nel corso del 1918, venendo decorato con una Medaglia d’argento al valor militare. Promosso tenente colonnello, fu comandante del I Battaglione eritreo durante le operazioni di riconquista della Libia, venendo decorato con una seconda Medaglia di bronzo al valor militare per le operazioni nel Gebel cirenaico, avvenute tra il 1926 e il 1927.

Nel corso degli anni successivi comandò reparti stanziati sia in Italia, come l'89º Reggimento fanteria, che nelle colonie dell'Africa orientale.[3] Dopo aver ricoperto l’incarico di comandante delle truppe stanziate in Somalia, a partire dal 28 novembre 1935 assunse l'incarico di Capo dell'ufficio operazioni del Comando superiore in Africa orientale, di fatto diventando uno dei più stretti collaboratori[1] del Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio[4] nel corso della guerra d'Etiopia.[5]

Promosso generale di brigata per meriti di guerra il 5 maggio 1936, fino al 1938 ricoprì l'incarico di comandante militare del settore dell'Amara. Nel 1937[3] diede alle stampe per i tipi della Mondadori un libro sulla condotta delle operazioni in Etiopia contro l’esercito imperiale, e poi contro la guerriglia, intitolato Con Badoglio in Etiopia, contenente tra l'altro una corposa prefazione dello stesso generale piemontese. Rientrato in Italia assunse il comando della fanteria della 32ª Divisione fanteria "Marche", e nel 1939 della Brigata "Piave". Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, avvenuta il 10 giugno 1940, Badoglio lo volle nuovamente al suo fianco come generale addetto presso lo Stato Maggiore Generale (poi divenuto Comando Supremo) da lui diretto.[3]

Nel periodo immediatamente successivo alla sostituzione di Badoglio dalla carica di Capo di stato maggiore generale con Ugo Cavallero, avvenuta il 6 dicembre 1940, dovuta all'insuccesso iniziale della campagna italiana di Grecia, il generale Alfredo Guzzoni,[3] al quale era affidato l'interim del comando stante l'assenza di Cavallero, che aveva di fatto rimpiazzato Ubaldo Soddu[N 1] ed era impegnato sullo scacchiere greco, lo rimosse dall'incarico rimpiazzandolo con Giovanni Magli, già comandante della 131ª Divisione corazzata "Centauro". Assunto l’incarico di comandante della 80ª Divisione fanteria "La Spezia", passò successivamente al comando[6] del XVIII Corpo d'armata,[7] di stanza in Dalmazia e Croazia, sostituendo il generale Gabriele Nasci.

Nella primavera del 1942 andò in aperto urto con il governatore della Dalmazia Giuseppe Bastianini, a causa del ridimensionamento delle forze armate italiane presenti nell’area,[7] venendo sostituito, per decisione di Mussolini il 25 luglio con il generale Umberto Spigo (tale soluzione era stata suggerita a Mussolini dal Capo di stato maggiore dell’esercito, Mario Roatta, che aveva provato, inutilmente a ricomporre il dissidio sorto tra Armellini e Bastianini).[7] Il 1º dello stesso mese era stato elevato al rango di generale di divisione. Divenne poi comandante del IX Corpo d'armata di Bari, mantenendo l’incarico fino al luglio 1943.[5] Dopo la caduta del Fascismo, avvenuta il 25 dello stesso mese,[1] a la destituzione di Mussolini da Capo del governo, rimpiazzato da Badoglio, quest’ultimo lo nominò comandante della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale[1] che lui provvide a sciogliere, integrando gli uomini nell'esercito.[8]

Dopo l'annuncio dell'armistizio, sembrò esser stato incaricato, sulla base delle indicazioni espresse da Badoglio, a dirigere il comando di Roma "città aperta" sotto l'occupazione nazifascista.[1] Questo ruolo, nelle ore che seguirono il trasferimento da Roma verso Pescara del Re Vittorio Emanuele III, dei vertici militari e del Governo, venne assunto dal generale Carlo Calvi di Bergolo[9] ed allora egli lasciò la Capitale per raggiungere la colonna reale a Pescara, arrivandovi quando quest'ultima si stava imbarcando a bordo della corvetta Baionetta. Non potendo salire a bordo della nave, ritornò a Roma, e il 25 gennaio 1944, dopo l'arresto[N 2] di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo,[9] e fino al marzo successivo[5] fu a capo del Fronte Militare Clandestino[9] della Resistenza romana.[1] Sostituito dal generale Roberto Bencivenga, dopo la Liberazione di Roma, e la fine della guerra, resse i comandi militari territoriali di Udine (V) e quindi di Palermo (XI)[5] venendo poi nominato presidente del Consiglio Supremo delle Forze armate italiane.[3]

Subito dopo la fine delle ostilità pubblicò due opere, La crisi dell'esercito - un duro atto d’accusa contro la riforma dell’esercito voluta dal generale Federico Baistrocchi[4] - e Diario di guerra. 9 mesi al Comando Supremo,[5] in cui ricostruiva le vicende italiane relative al secondo conflitto mondiale.[N 3] Decorato, nel corso della carriera, della Croce di Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia e di quattro medaglie al valor militare, due d'argento e due di bronzo, nel corso del 1952 fu collocato in posizione di riserva per raggiunti limiti di età. Nel 1956 fu insignito del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana. Si spense a Roma il 13 gennaio 1975 dopo aver svolto per alcuni anni una prolifica attività pubblicistica quale collaboratore, su temi di politica militare, di vari quotidiani e settimanali nazionali.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia - nastrino per uniforme ordinaria
— Regio Decreto 6 gennaio 1941[10]
Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Nelle funzioni di ufficiale di stato maggiore addetto al comando di una colonna speciale incaricata di marciare celermente da Kruscevo su Sop per sbarrare al nemico la strada Monastir-Kicevo, dava prova di singolare ardimento e coraggio, portandosi nei vari punti della linea, impegnata in vivace combattimento, incitandoli con la voce e con l’esempio, per fornire al comandante precisi ragguagli sulla situazione. Macedonia Serba-Cer-Sop, 28-29 settembre 1918
Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Durante un difficile periodo organizzava e dirigeva in Roma, con fede ed entusiasmo inesauribili, la rete informativa ed il movimento patriota della zona. Con operosa sagace attività, eludendo la vigilanza avversaria, forniva per più mesi preziose informazioni operative al Comando Supremo Italiano e Alleato. Con il suo esempio animatore manteneva viva nei patrioti la volontà di resistere e la fede nella rinascita della Patria. Roma, gennaio-marzo 1944
Medaglia di bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Per bella prova di accortezza e di ardimento data operando isolatamente con la sua centuria sul fianco della colonna che ripiegava in ritirata, e per fermezza d’animo dimostrata dopo di essere rimasto ferito. Kuscia, 13 marzo 1915
Medaglia di bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante di un gruppo di manovra durante un lungo ciclo di operazioni ha saputo guidarli in numerosi combattimenti in modo da conseguire i maggiori successi, dimostrando sempre belle doti militari. Abiar bu Sfeia, 2 gennaio 1927-Gebel Centrale (Cirenaica), ottobre 1926-maggio 1927
Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria
Grande Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria
— Regio Decreto 22 aprile 1941[11]
Commendatore dell'Ordine coloniale della Stella d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria
avanzamento per merito di guerra - nastrino per uniforme ordinaria
avanzamento per merito di guerra
«Ufficiale di stato maggiore tra i più eletti, provato nelle più svariate circostanze di guerra, durante la preparazione della campagna e sul campo di battaglia, validamente collaborando con il comandante in capo, dimostrò eccezionali doti di intelletto e di valore. È uno dei principali benemeriti della vittoria. Campagna italo-etiopica, Scacchiere nord, dicembre 1935-maggio 1936.»
— Regio Decreto 6 luglio 1936[13]

Pubblicazioni[modifica | modifica wikitesto]

  • Con Badoglio in Etiopia, A. Mondadori Editore, Milano, 1937.
  • La crisi dell’esercito, Edizioni Priscilla, Roma, 1945.[1]
  • Diario di guerra. 9 mesi al Comando Supremo, Garzanti, Milano 1946.[5]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Scrisse il generale Armellini, in merito al messaggio di Soddu a Mussolini sul suo diario: Soddu però dimentica di dire che uno dei responsabili è lui. Dimentica il giorno in cui era fuori della grazia di dio perché Badoglio – che considerava nella posizione di un cuscinetto – faceva un ultimo tentativo, andando dal Duce con i tre Capi di stato maggiore, per dimostrare che l'operazione contro la Grecia non si poteva fare. Dimentica di aver criticato aspramente Roatta quando faceva il computo delle forze, sostenendo che non si poteva numericamente paragonare un greco ad un italiano perché questo vale non so quanti di quelli.
  2. ^ Dopo l’arresto di Cordero Lanza di Montezemolo, il generale Armellini propose, inutilmente, a Badoglio di scambiarlo con un prigioniero tedesco di pari importanza.
  3. ^ In queste due pubblicazioni cercò di scagionare da ogni responsabilità i vertici militari, e particolarmente lo Stato Maggiore, sull'entrata in guerra e sulla direzione del conflitto.

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g Ilari, Sema 1988, p. 143.
  2. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n.37, 14 febbraio 1908, pag.760.
  3. ^ a b c d e f http://www.treccani.it/enciclopedia/quirino-armellini_(Dizionario-Biografico)
  4. ^ a b Ilari, Sema 1988, p. 216.
  5. ^ a b c d e f Ilari, Sema 1988, p. 217.
  6. ^ Talpo 1990, p. 1428.
  7. ^ a b c Becherelli 2012, p. 39.
  8. ^ Ilari, Sema 1988, p. 334.
  9. ^ a b c Cazzullo 2010, p. 107.
  10. ^ a b Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.
  11. ^ Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n.806, 30 dicembre 1941, pag.21.
  12. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n.103, 1 maggio 1934, pag.2187.
  13. ^ Registrato alla Corte dei Conti addì 13 luglio 1936, registro n.24, foglio 193.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Alberto Becherelli, Italia e stato indipendente croato, 1941-1943, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2012, ISBN 88-6134-780-0.
  • Giorgio Boatti, Armellini, Quirino, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 34, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1988. Modifica su Wikidata
  • Alberto Cavaciocchi e Andrea Ungari, Gli italiani in guerra, Milano, Ugo Mursia Editore s.r.l., 2014.
  • Aldo Cazzullo, Viva l'Italia!: Risorgimento e Resistenza : perché dobbiamo essere orgogliosi della nostra nazione, Milano, A. Mondadori Editore, 2013.
  • Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia. Tripoli bel suol d'amore. 1860-1922, Bari, Laterza, 1986.
  • Charles Delzell, I nemici di Mussolini: Storia della Resistenza armata al regime fascista, Roma, Lit Edizioni, 2013, ISBN 8-86826-710-1.
  • Virginio Ilari e Antonio Sema, Marte in Orbace. Guerra, Esercito, e Milizia nella concezione fascista della nazione, Ancona, Casa Editrice Nuove Ricerche, 1988.
  • (EN) Philip S. Jowett e Stephen Andrew, The Italian Army Vol.1, Botley, Osprey Publishing Company., 2000, ISBN 1-78159-181-4.
  • (EN) Philip S. Jowett e Stephen Andrew, The Italian Army, 1940-45. Vol.2, Botley, Osprey Publishing Company, 2001, ISBN 1-85532-865-8.
  • (EN) Philip S. Jowett e Stephen Andrew, The Italian Army 1940-1945. Vol.3, Botley, Osprey Publishing Company, 2001, ISBN 1-85532-866-6.
  • Gianni Oliva, Soldati e ufficiali. L'esercito italiano dal Risorgimento a oggi, Milano, Oscar Mondadori, 2012, ISBN 88-520-3128-6.
  • (EN) Charles D. Pettibone, The Organization and Order of Battle of Militaries in World War II Volume VI Italy and France Including the Neutral Countries of San Marino, Vatican City (Holy See), Andorra, and Monaco, Trafford Publishing, 2010, ISBN 1-4269-4633-3.
  • Oddone Talpo, Dalmazia Una cronaca per la storia 1942, Roma, Ufficio Storico Stato Maggiore dell'Esercito, 1990.
  • Federica Saini Fasanotti, Etiopia 1936-1940 le operazioni di polizia coloniale nelle fonti dell'esercito italiano, Roma, Stato maggiore dell'esercito, Ufficio storico, 2010.

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Predecessore Comandante generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale Successore
Benito Mussolini 25 luglio - 8 settembre 1943 Renato Ricci
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