Genocidio: differenze tra le versioni

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== Origine ed etimologia ==
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Il termine "genocidio" è una [[parola d'autore]] coniata da [[Raphael Lemkin]], giurista [[Polonia|polacco]] di origine [[Ebreo|ebraica]], studioso ed esperto del [[genocidio armeno]], introdotta per la prima volta nel 1944, nel suo libro ''Axis Rule in Occupied Europe'',<ref name=Lemkin79>{{cita|Lemkin, 1944|p. 79}}.</ref><ref name=Leotta3-10>{{cita|Leotta|pp. 3 e 10}}.</ref> opera dedicata all'[[Europa]] sotto la dominazione delle [[Potenze dell'Asse|forze dell'Asse]].<ref name=Leotta76>{{cita|Leotta|pp. 76-77}}.</ref><ref>R. Borsari 2007</ref> L'autore vide la necessità di un [[neologismo]] per poter descrivere l'[[Olocausto]] e dei fenomeni di persecuzione e distruzione di gruppi nazionali, razziali, religiosi e culturali, in particolare alla ricerca di idonei strumenti, nel diritto internazionale, a garantire la tutela di tali gruppi.<ref name=Leotta46-47>{{cita|Leotta|pp. 46-47}}.</ref>
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La parola, derivante dal [[lingua greca|greco]] ''γένος'' (''ghénos'', "razza", "stirpe") e dal [[lingua latina|latino]] ''caedo'' ("uccidere"), è entrata nell'uso comune e ha iniziato ad essere considerata come indicatrice di un crimine specifico, recepito nel [[diritto internazionale]] a partire dal secondo [[dopoguerra]] e quindi nel diritto interno di molti paesi.<ref name=Leotta76/>
La parola, derivante dal [[lingua greca|greco]] ''γένος'' (''ghénos'', "razza", "stirpe") e dal [[lingua latina|latino]] ''caedo'' ("uccidere"), è entrata nell'uso comune e ha iniziato ad essere considerata come indicatrice di un crimine specifico, recepito nel [[diritto internazionale]] a partire dal secondo [[dopoguerra]] e quindi nel diritto interno di molti paesi.<ref name=Leotta76/>

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Con genocidio, secondo la definizione adottata dall'ONU, si intendono «gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso».

Forni crematori nazisti.

Descrizione

Negli studi giuridici, storici, politici e sociologici, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, il concetto di genocidio, sviluppatosi in origine nell'ambito del diritto internazionale, è stato utilizzato in diversi contesti e con diverse accezioni:[1]

  • accezione giuridica, con una definizione necessariamente precisa per poterne ricomprendere la fattispecie nell'attività d'indagine e processuale;
  • accezione socio-politica per designare specificatamente i genocidi del XX secolo;
  • accezione storiografica, con un significato generale che ricomprende fenomeni di sterminio ricorrenti nella storia universale, in società anche molto diverse tra loro.

Il genocidio fa parte dei crimini internazionali, insieme ai crimini di guerra, i crimini contro l'umanità, la tortura, l'aggressione e il terrorismo, per i quali vale la regola della giurisdizione internazionale e l'istituzione di giudici sovranazionali.[2]

Origine ed etimologia

Il termine "genocidio" è una parola d'autore coniata da Raphael Lemkin, giurista polacco di origine ebraica, studioso ed esperto del genocidio armeno, introdotta per la prima volta nel 1944, nel suo libro Axis Rule in Occupied Europe, opera dedicata all'Europa sotto la dominazione delle forze dell'Asse.[3][4][5] L'autore vide la necessità di un neologismo per poter descrivere l'Olocausto e dei fenomeni di persecuzione e distruzione di gruppi nazionali, razziali, religiosi e culturali, in particolare alla ricerca di idonei strumenti, nel diritto internazionale, a garantire la tutela di tali gruppi.[6]

La parola, derivante dal greco γένος (ghénos, "razza", "stirpe") e dal latino caedo ("uccidere"), è entrata nell'uso comune e ha iniziato ad essere considerata come indicatrice di un crimine specifico, recepito nel diritto internazionale a partire dal secondo dopoguerra e quindi nel diritto interno di molti paesi.[5]

Raphael Lemkin, ideatore del termine "genocidio".

Il primo utilizzo del termine in ambito giudiziario avviene un anno dopo il lavoro di Lemkin durante il processo di Norimberga celebrato a partire dall'autunno del 1945. Anche se non espressamente menzionata nella carta di Londra, l'accordo stipulato dalle nazioni Alleate per dar vita al Tribunale Militare Internazionale chiamato a giudicare i crimini commessi dalle forze dell'Asse durante la seconda guerra mondiale, la parola "genocidio" è presente nell'atto di accusa degli imputati del 18 ottobre, non come crimine specifico, ma come termine descrittivo seppur con riferimento ai crimini di guerra e non ai crimini contro l'umanità:[7]

(EN)

«[The defendants] conduct deliberate and systematic genocide, viz., the extermination of racial and national groups, against the civilian populations of certain occupied territories in order to destroy particular races and classes of people and national, racial or religious groups, particulary Jews, Poles, and Gypsies and others.»

(IT)

«[Gli imputati] conducono un deliberato e sistematico genocidio, vale a dire lo sterminio di gruppi razziali e nazionali, contro le popolazioni civili di determinati territori occupati al fine di distruggere particolari razze e classi di persone e gruppi nazionali, razziali o religiosi, in particolare ebrei, polacchi e zingari e altri.»

Come ricordato dallo stesso Lemkin, il primo ministro britannico Winston Churchill, durante una trasmissione radiofonica del 24 agosto 1941 in cui presentava l'accordo stipulato con il presidente statunitense Roosevelt noto come Carta Atlantica, definì le azioni commesse dal regime nazista come "crimine senza nome":[9]

(EN)

«As his armies advance, whole districts are being exterminated. Scores of thousands, literally scores of thousands of executions in cold blood are being perpetrated by the German police troops upon the Russian patriots who defend their native soil. Since the Mongol invasions of Europe in the sixteenth century there has never been methodical, merciless butchery on such a scale or approaching such a scale. And this is but the beginning. Famine and pestilence have yet to follow in the bloody ruts of Hitler's tanks. We are in the presence of a crime without a name.»

(IT)

«Man mano che i suoi eserciti avanzano, interi distretti vengono sterminati. Decine di migliaia, letteralmente decine di migliaia di esecuzioni a sangue freddo vengono perpetrate dalle truppe di polizia tedesche contro i patrioti russi che difendono la loro terra natale. Sin dalle invasioni mongole dell'Europa nel XVI secolo non c'è mai stata una macellazione metodica e spietata su una scala simile o avvicinabile a una tale scala. E questo è solo l'inizio. Carestia e pestilenza devono ancora seguire i solchi sanguinosi dei carri armati di Hitler. Siamo in presenza di un crimine senza nome.»

Definizione ufficiale delle Nazioni Unite

L'11 dicembre 1946 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 96 (I), definì il genocidio come «una negazione del diritto all'esistenza di interi gruppi umani, poiché l'omicidio è la negazione del diritto alla vita dei singoli esseri umani». La risoluzione precisava inoltre che «molti casi di tali crimini di genocidio si sono verificati quando gruppi razziali, religiosi, politici e di altro genere sono stati distrutti, in tutto o in parte»[11][12]

Il 9 dicembre 1948 fu adottata, con la risoluzione 260 A (III), la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio scritta con il contributo dello stesso Lemkin anche sulla scorta dell'esperienza del processo di Norimberga.[13] L'articolo II della Convenzione definisce esplicitamente il genocidio nell'ambito del diritto internazionale:[14][15]

«Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:

  • (a) uccisione di membri del gruppo;
  • (b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
  • (c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
  • (d) misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo;
  • (e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.»

Uso del termine nel diritto internazionale

Le fasi di un processo presso il Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia a L'Aia nel 2017.

La definizione contenuta nella Convenzione sul genocidio è stata ripresa e utilizzata come base dello statuto del Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia (International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia, ICTY) instituito dalle Nazioni Unite il 25 maggio 1993 con la risoluzione 827 del Consiglio di sicurezza.[16] Si trattò del primo caso di istituzione di un tribunale speciale per crimini di guerra dalla seconda guerra mondiale. La corte, creata in seguito agli eventi avvenuti nelle guerre jugoslave iniziate nel 1991 e poi nei conflitti in Kosovo e in Macedonia fino al 2001, fu chiamata a giudicare, oltre ai reati legati a eventuali gravi infrazioni alla convenzione di Ginevra del 1949, a crimini contro l'umanità e a violazioni delle consuetudini e delle leggi di guerra, anche per il reato di genocidio.[17]

L'anno successivo, con la risoluzione 955, fu istituito il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (International Criminal Tribunal for Rwanda, ICTR), anch'esso chiamato a giudicare sui fatti che hanno portato al genocidio ruandese.[18][19] Nel 1997 fu creato anche uno speciale tribunale (United Nations Assistance to the Khmer Rouge Trials, UNAKRT) chiamato a giudicare quanto avvento in Cambogia tra il 1976 e il 1979, mentre erano al potere gli khmer rossi di Pol Pot.[20]

Dopo l'esperienza dei tribunali speciali, nel 1998 con lo Statuto di Roma, è stata istituita la Corte penale internazionale (International Criminal Court, ICC), tribunale permanente per crimini internazionali con sede all'Aia, nei Paesi Bassi, operativo dal 2002 e separato dalle Nazioni Unite.[21] Lo statuto prevede che la corte abbia competenza su crimini di genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra e di aggressione.[15] L'articolo 6 è dedicato espressamente al "Crimine di genocidio'" e riprende letteralmente la definzione della Convenzione del 1948.[22]

Il genocidio negli ordinamenti nazionali

Le nazioni aderenti all'ONU hanno in gran parte aderito alla Convenzione sul genocidio facendo propria la definizione di genocidio in essa contenuta.[23]

L'Italia ha ad esempio aderito con la Legge 11 marzo 1952, n.153.[24] Nel 1967 una legge costituzionale ha stabilito la possibilità di estradizione degli stranieri per il reato di genocidio e lo stesso anno è stata promulgata una legge che disciplina nell'ordinamento italiano le pene e le competenze per materia nei casi di genocidio.[25][26] La Francia ha incluso il reato di genocidio nel suo codice penale del 1994 seguendo in gran parte la definizione dell'ONU, ma l'ha esteso non solo agli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale, ma anche ai danni di «un gruppo determinato sulla base di qualsiasi altro criterio arbitrario».[27]

Genocidi riconosciuti

Con l'approvazione della Convenzione sul genocidio e attraverso l'azione dei tribunali speciali appositamente istituiti e della Corte penale internazionale, i casi storici in cui è stato riconosciuto il crimine di genocidio a livello internazionale sono in particolare:[15]

A questi si devono aggiungere l'Olocausto per il quale fu avviato il processo di Norimberga e che ebbe come conseguenza la redazione stessa della Convenzione e il genocidio armeno è stato il primo caso moderno di persecuzione sistematica e di sterminio pianificato di un popolo per il quale è stata avviata da parte della comunità internazionale una analisi processuale sulle responsabilità individuali e politiche. Il genocidio armeno, inoltre, è stato preso ad esempio per la definizione stessa del crimine di genocidio.[15]

Guerre nella ex-Jugoslavia

La definizione di genocidio contenuta nella Convenzione fu utilizzato per la prima volta nel dopoguerra in occasione dell'insediamento del Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia (ICTY), organo giudiziario delle Nazioni Unite, a cui fu affidato il compito di perseguire le persone (e non gli stati o altre organizzazioni) responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nel territorio della ex-Jugoslavia a partire dal 1991. Il Tribunale fu una corte ad hoc con sede all'Aia nei Paesi Bassi, istituita il 25 maggio 1993 con le risoluzioni 808 e 827 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.[16] I reati perseguiti e giudicati secondo lo statuto furono:[28]

Esumazione a Srebrenica nel 1996.

La giurisdizione della corte fu limitata alle sole persone fisiche e non a stati, partiti politici o altre organizzazioni.[28] Il Tribunale ha esaminato 161 casi, con 90 condanne e 18 assoluzioni. Per 37 imputati le accuse sono state ritirate o sono morti a processo ancora in corso; 13 imputati sono stati deferiti alle rispettive corti nazionali e mentre 3 casi sono stati trasferiti presso il Meccanismo residuale per i Tribunali Penali Internazionali (MTPI), l'organo creato appositamente per succedere congiuntamente ai tribunali internazionali per l'ex-Jugoslavia e per il Ruanda.[29]

Molti degli imputati furono accusati di genocidio, oltreché di crimini di guerra e contro l'umanità. Solo alcuni furono però condannati per questo crimine o per complicità. Radovan Karadžić, presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina dal 1992 al 1996, condannato all'ergastolo in appello nel 2019, e il generale Ratko Mladić, comandante dell'esercito della neo-costituita repubblica, furono ad esempio riconoscituti colpevoli di genocidio per il massacro di Srebrenica durante il quale furono uccise circa 8 000 persone, ma assolti per tale crimine per il complesso delle azioni criminali avvenute in Bosnia fra il 1991 e il 1995 ai danni delle popolazioni musulmane della Bosnia, in quanto non è stato provato che il genocidio fosse l'obiettivo di tali azioni.[30][31][32] La prima persona ad essere condannata dal Tribunale per il crimine di genocidio fu Radislav Krstić, generale dell'esercito serbo-bosniaco, a cui nel 2001 furono inflitti 46 anni di carcere (poi ridotti a 35 in appello nel 2004) per i fatti di Srebrenica.[33]

Anche la Corte internazionale di giustizia, principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, nel 2007 ha stabilito in una sua sentenza che il massacro di Srebrenica, essendo stato commesso con lo specifico intento di distruggere il gruppo etnico dei bosgnacchi, costituisce un genocidio. La Corte ha argomentato circa il coinvolgimento non solo delle persone fisiche coinvolte, ma anche degli stati, in particolare della Repubblica di Serbia.[34] La Corte ha esaminato i fatti che si sono svolti nella ex-Jugoslavia negli anni novanta nell'eventualità che potessero essere definiti come genocidio. Pur avendo stabilito che atrocità e massicce uccisioni erano state perpetrate durante il conflitto in tutto il territorio della Bosnia ed Erzegovina, ha riscontrato che questi atti non erano accompagnati dall'intento specifico che definisce il crimine di genocidio, cioè l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, il gruppo protetto. Tuttavia ha stabilito che le uccisioni a Srebrenica nel luglio 1995 erano state commesse con l'intento specifico di distruggere in parte il gruppo dei musulmani bosniaci di quella zona e quindi con l'intento di genocidio. La Corte ha poi riscontrato l'esistenza di prove che indicano che la decisione di uccidere la popolazione maschile adulta della comunità musulmana di Srebrenica era stata presa dagli alti gradi dell'esercito serbo-bosniaco (VRS) e che la Repubblica di Serbia aveva violato l'articolo 1 della Convenzione sul genocidio circa la mancata prevenzione del genocidio di Srebrenica.[35]

Fu durante le guerre jugoslave che si iniziò ad utilizzare in ambito politico, giudiziario e giornalistico l'espressione "pulizia etnica" per descrivere il tentativo di creare aree geografiche etnicamente omogenee attraverso la deportazione, lo spostamento forzato o l'uccisione di persone appartenenti a particolari gruppi etnici.[36]

Nel 2015 vi fu un tentativo di riconoscere a livello internazionale il massacro di Srebrenica come genocidio, anche per quanto stabilito dal Tribunale penale internazionale, quando una bozza di risoluzione in tal senso fu votata dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU.[37] La bozza non fu però approvata per il veto posto dalla Russia.[38][39]

Genocidio del Ruanda

Resti delle vittime del genocidio ruandese che mostrano sfregi e segni di violenze. Memoriale del genocidio di Murambi.

Un anno dopo l'istituzione del Tribunale per l'ex-Jugoslavia fu creata una analoga corte speciale per l'esame dei crimini commessi in Ruanda nel 1994 quando centinaia di migliaia di persone, fino a un milione secondo alcune fonti, prevalentemente di etnia Tutsi, furono uccise in modo sistematico al culmine del conflitto interno che li vedeva contrapposti alla maggioranza Hutu.[19] Il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (ICTR, International Criminal Tribunal for Rwanda) fu istituito, su richiesta del governo ruandese, dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con la risoluzione 955 dell'8 novembre 1994, «al solo scopo di perseguire le persone responsabili di genocidio e altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario nel territorio del Ruanda e dei cittadini ruandesi responsabili del genocidio e di altre violazioni del genere commessi nel territorio degli stati limitrofi, tra il 1º gennaio 1994 e 31 dicembre 1994.» Secondo lo statuto i crimini perseguibili dal Tribunale erano il genocidio, nella definizione della Convenzione, e i crimini contro l'umanità, intesi come crimini distinti. In particolare furono considerati punibili il genocidio, la cospirazione per commettere genocidio, l'incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio, il tentativo di commettere genocidio e la complicità in genocidio. Nell'ambito dei crimini contro l'umanità, furono considerati perseguibili: l'omicidio, lo sterminio, l'asservimento, la deportazione, la reclusione, la tortura, lo stupro, la persecuzione per motivi politici, razziali e religiosi e altri atti disumani.[18]

Il Tribunale fu insediato a Arusha in Tanzania, città già sede della Comunità dell'Africa orientale, organismo di cooperazione economica di cui faceva parte anche il Ruanda.[40] A Arusha fu realizzata anche la prima prigione costruita dalle Nazioni Unite (UNDF, United Nations Detention Facility) nella quele furono reclusi circa 80 imputati e nella cui struttura furono ospitati i testimoni durante i processi.[19]

Fino al termine del suo mandato alla fine del 2015, il Tribunale ha incriminato 93 persone, con 63 condanne, 14 assoluzioni e 10 casi riviati alla giurisdizione nazionale.[41][42] Come nel caso della ex-Jugoslavia, alcuni casi sono stati trasferiti presso il Meccanismo Residuale per i Tribunali Penali Internazionali (International Residual Mechanism for Criminal Tribunals) istituito nel 2010 per occuparsi del residuo dell'attività dei tribunali internazionali.[43]

Il primo processo per genocidio iniziò il 9 gennaio del 1997, a carico di Jean-Paul Akayesu, all'epoca dei fatti sindaco di Taba, condannato l'anno dopo all'ergastolo per il massacro di circa duemila Tutsi che si erano rifugiati nel municipio della città ruandese, per lo stupro collettivo delle donne Tutsi e per la partecipazione diretta a diversi omicidi.[44] Akayesu fu riconosciuto colpevole il 2 settembre 1998 in 9 capi d'imputazione su 15 tra cui genocidio e crimini contro l'umanità (per tortura, omicidio, sterminio, stupro e altri atti disumani).[45] La sentenza fu la prima in cui fu emesso, da un tribunale internazionale, un giudizio per genocidio secondo la definizione della Convenzione del 1948. Nella stessa sentenza il Tribunale ha anche definito per la prima volta il crimine di stupro nel diritto penale internazionale e ha riconosciuto lo stupro come mezzo per perpetrare il genocidio.[19][46]

Il 4 settembre 1998 si concluse con la condanna all'ergastolo il processo nei confronti dell'ex-primo ministro ruandese Jean Kambanda che era entrato in carica ad interim due giorni dopo l'attentato contro l'aereo del presidente Juvénal Habyarimana e fino al luglio dello stesso anno. Fu durante la sua presidenza che si svolsero gli eventi più tragici e i maggiori crimini ai danni della popolazione Tutsi.[44] Kambanda, che aveva ammesso le sue responsabilità, fu riconosciuto pienamente colpevole per tutte le fattispecie di genocidio previste e per crimini contro l'umanità (omicidio e sterminio).[47]

Genocidio cambogiano

Foto di vittime dei khmer rossi allineate sulle pareti del museo di Tuol Sleng.

Tra il 1975 e il 1979, sotto la dittatura comunista di Pol Pot, fu avviato in Cambogia un processo di epurazione della popolazione volto a trasformare il paese in una repubblica socialista agraria, fondata sui principi del maoismo.[48] Il conto delle vittime degli khmer rossi ha prodotto risultati che variano da un minimo di 800.000 a un massimo di 3.300.000 morti, tra i morti per esecuzioni, per carestie e per l'assenza di cure mediche.[49] Caduto nel 1979 il regime della Kampuchea Democratica, il nome ufficiale dato allo stato dopo la salita al potere dei khmer rossi, il dittatore Pol Pot, in esilio, fu processato in contumacia insieme all'ex-primo ministro Ieng Sary da una corte cambogiana e condannato per genocidio. Fu il primo processo per genocidio nel dopoguerra benché istruito a livello locale.[50]

Nel 1997 il governo cambogiano chiese l'assistenza alle Nazioni Unite per l'ìstituzione di un tribunale competente, sul modello di quelli che stavano operando per i casi della ex-Jugoslavia e del Ruanda, per giudicare i fatti commessi tra il 1975 e il 1979 e perseguire i responsabili degli eccidi, alcuni dei quali erano stati da poco arrestati.[51] Dopo lunghi negoziati e il lavoro di una commissione di studio, si stabilì nel 2003 di creare tribunali misti, sotto il controllo dell'ONU, frutto di un accordo con il governo locale.[52][53] Fu quindi creato un tribunale speciale costituito dalle Camere speciali nelle Corti della Cambogia (Extraordinary Chambers in the Courts of Cambodia, ECCC), una corte speciale istruita nel 2001 che opera secondo il sistema giudiziario locale, con il contributo tecnico di un organismo denominato Assistenza delle Nazioni Unite ai processi sugli khmer rossi (United Nations Assistance to the Khmer Rouge Trials, UNAKRT).[54][55] Secondo l'accordo, le Camere speciali applicano la legge cambogiana, integrata dalla legislazione internazionale. Alle Camere straordinarie è stata affidata la giurisdizione sul crimine di genocidio come definito nella Convenzione del 1948, sui crimini contro l'umanità per come definiti nello Statuto di Roma del 1998 di Roma e su gravi violazioni della Convenzioni di Ginevra del 1949 e su altri crimini definiti nel Capitolo II della legge cambogiana di istituzione delle Camere straordinarie promulgata il 10 agosto 2001 e emendata nel 2004.[53][56]

Il primo caso di cui si occuparono le Camere speciali fu quello di Kaing Guek Eav (conosciuto col nome di battaglia '"Duch"), importante esponente degli khmer rossi ed ex-direttore del campo di tortura ed esecuzione S-21. Ritenuto morto dopo la caduta del regime nel 1979, riuscì invece a fuggire e, rifugiatosi dapprima in Thailandia e poi tornato in Cambogia, fu scoperto dal fotoreporter Nic Dunlop nel 1999 e rilascò una intervista al giornalista Nate Thayer e allo stesso Dunlop per il Far Eastern Economic Review. A seguito dell'intervista si arrese alle autorità cambogiane. Dopo una lunga fase investigativa, durante la quale "Duch" collaborò con le autorità per far luce sui misfatti compiuti da lui stesso e dal regime, il processo iniziò il 17 febbraio 2009 e si concluse il 26 luglio 2010, con la condanna di Kaing Guek Eav a 35 anni di reclusione per crimini contro l'umanità e gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra, ma non per genocidio. In appello la condanna è stata commutata in ergastolo.[57]

In seguito furono processati per crimini contro l'umanità, gravi violazioni della Convenzione di Ginevra e per genocidio altri esponenti del regime. Tra questi Nuon Chea ("Fratello Numero 2"), primo ministro della Kampuchea Democratica, secondo nella catena di comando dopo Pol Pot e tra i principali ideologi dei khmer rossi, e Khieu Samphan, capo di stato della Kampuchea Democratica, entrambi condannati, dopo varie fasi del procedimento, all'ergastolo. Le Camere iniziarono i processi anche nei confronti di Ieng Sary ("Fratello Numero 3"), terzo nella catena di comando e vice-primo ministro, accusato degli stessi crimini. Sary morì nel 2013 in prigione a 87 anni prima che il procedimentosi fosse concluso e senza condanna. Sua moglie Ieng Thirith, accusata di vari reati, fu liberata nel 2012 perché ritenuta inadatta a sostenere il processo per motivi di salute e morì nel 2015.[58]

Con la morte di Nuon Chea nel 2019, all'età di 93 anni, mentre era ancora in corso l'iter dei ricorsi in appello sul suo caso, e vista l'età avanzata dei pochi accusati ancora in vita senza che la maggior parte dei procedimenti si fosse concluso, si è posto il problema della reale efficacia dell'azione delle Camere speciali. In particolare il dibattito verte sulla reale validità dei giudizi già emessi e sull'efficacia giuridica delle condanne con procedimenti penali non ancora definitivamente conclusi.[59][60]

Altri tribunali speciali

Kosovo

Nell'ambito della Missione di Amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo, UNMIK), creata nel 1999 per fronteggiare la crisi umanitaria e politica creatasi durante la guerra del Kosovo, furono creati dei collegi giudicanti misti composti da giudici internazionali e locali. La giurisdizione per i reati più gravi, come il genocidio, rimasero in capo al Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia (ICTY). Si trattò comunque della prima esperienza di tribunale internazionale misto.[61][62]

Timor Est

In seguito alla crisi di Timor Est del 1999, dopo il referendom per l'indipendenza dall'Indonesia, la popolazione civile subì violenti attacchi e repressioni da parte delle milizie filo-indonesiane. Le Nazioni Unite istituirono una forza d'interdizione, denominata Forza Internazionale per Timor Est (International Force for East Timor, INTERFET), composta per la maggior parte da personale militare australiano e dispiegata a Timor Est per ristabilire l'ordine pubblico e mantenere la pace.[63] Il 25 ottobre 1999 il controllo del paese passò all'Amministrazione Transitoria delle Nazioni Unite a Timor Est (United Nations Transitional Administration in East Timor, UNTAET) che, tra i suoi primi atti, diede vita alle Sezioni speciali della corte del distretto di Dili, tribunale misto consistente in camere speciali costituite da due giudici internazionali e uno locale, col mandato di perseguire i responsabili dei gravi crimini commessi tra il 1º gennaio e il 25 ottobre 1999, con riferimento ai crimini di genocidio, secondo la definizione della Convenzione, crimini di guerra, crimini contro l'umanità e altri reati, e con il supporto di una Unita per Gravi Reati (Serious Crimes Unit, SCU).[52][64][65][66]

Il primo processo presso gli Special Panels iniziò nel 2001. In totale si svolsero 55 processi per 88 persone accusate e 84 condanne, 24 dei quali dichiaratisi colpevoli. Con la definitiva indipendenza del paese nel 2002 e con il termine delle missioni ONU, gli Special Panels conclusero la loro attività nel 2005 con centinaia di casi ancora da affrontare.[52][63] L'Indonesia scelse di procedere autonomamente istituendo un tribunale ad hoc per i diritti umani, come base per processare i responsabili delle violazioni dei diritti umani a Timor Est nel 1999.[67] Il tribunale indonesiano ha perseguito alcuni alti funzionari con l´accusa di genocidio e crimini contro l'umanità.[68]

La giurisdizione dei tribunali è stata limitata ai fatti avvenuti dal 1999 e non dei fatti avvenuti in precedenza durante l'occupazione indonesiana di Timor Est. Nel 1975 il regime di Suharto invase l'ex-colonia portoghese provocando la morte di decine di migliaia di persone. Due risoluzioni delle Nazioni Unite del 1975 e del 1978 condannarono l'Indonesia per l'invasione.[69][70] Secondo la Commissione per l'accettazione, la verità e la riconciliazione di Timor Est (Comissão de Acolhimento, Verdade e Reconciliação de Timor Leste, CAVR), dal 1974 e durante l'occupazione indonesiana terminata nel 1999 sono state uccise più di 183 000 persone.[71] La situazione di Timor Est giunse all'attenzione internazionale solo il 12 novembre 1991, quando più di 250 giovani furono uccisi durante il massacro al cimitero di Dili.[72] In tal senso da più parti è stata avanzata la richiesta di istituire un tribunale internazionale indipendente per perseguire i responsabili e stabilire la verità su quei fatti per i quali, secondo alcuni osservatori, si può parlare di genocidio nei confronti della popolazione di Timor Est.[73]

Sierra Leone

La Corte speciale per la Sierra Leone (Special Court for Sierra Leone, SCSL) fu creata nel 2002 con un accordo tra le Nazioni Unite e il governo della Sierra Leone per perseguire i responsabili di gravi violazioni delle leggi umanitarie internazionali a partire dal 1996 durante la guerra civile che insanguinò il paese africano negli anni novanta, ma nel suo statuto non fu previsto il crimine di genocidio.[74][75]

Altri genocidi riconosciuti

Molti eventi violenti, avvenuti soprattutto nel XX secolo, sono stati riconosciuti come genocidi da parte di singoli stati o da instituzioni internazionali, pur senza essere stati oggetto di iniziative penali e giuridiche locali o sovranazionali.[76]

Genocidio armeno

Le deportazioni e le uccisione di massa, perpetrate dall'Impero ottomano nel suo territorio ai danni degli armeni tra il 1915 e il 1916, evento per molto tempo definito "l'olocausto dimenticato", causarono circa 1,5 milioni di morti secondo le stime più condivise.[77][78][79]

All'inizio degli anni venti del XX secolo vi furono i primi tentativi di organizzare tribunali penali internazionali per perseguire crimini di guerra e contro l'umanità commessi nel corso del primo conflitto mondiale. In particolare il trattato di pace di Sèvres, firmato tra le nazioni vincitrici e l'Impero ottomano il 10 agosto 1920, obbligava i turchi a consegnare alle potenze alleate «le persone la cui resa può essere richiesta da queste ultime in quanto responsabili dei massacri commessi durante la continuazione dello stato di guerra sul territorio che faceva parte dell'Impero turco il 1° agosto 1914.» I responsabili dei massacri avrebbero dovuto essere processati da appositi tribunali istituiti dagli Alleati, salvo che nel frattempo la Società delle Nazioni non avesse creato un tribunale competente a giudicarli.[80] Il trattato non entrò mai in vigore perché non riconosciuto dal nuovo governo guidato da Mustafa Kemal Atatürk che prese il posto di quello ottomano al termine della Guerra d'indipendenza turca che ridefinì i confini e lo status della moderna Turchia come repubblica. Ciò costrinse le potenze alleate a tornare al tavolo dei negoziati e alla sottoscrizione di un nuovo trattato di pace. Il Trattato di Losanna, firmato il 24 luglio 1923, annullava il trattato di Sèvres, stipulato peraltro con il non più esistente Impero ottomano, e non impegnava più la nuova Turchia sul tema della consegna dei responsabili dei massacri.[81][82] La mancata applicazione del tratto di Sèvres vanificò l'ipotesi di ricorrere al giudizio di un tribunale penale sovranazionale per lo sterminio del popolo armeno e rappresentò un fallimento della Società delle Nazioni.[83] La questione rimase irrisolta e dimenticata per decenni fino agli anni settanta quando, in seguito alla invasione turca di Cipro, la comunità internazionale, a partire dagli Stati Uniti, iniziò ad utilizzare la questione armena come mezzo di pressione politica nei confronti del governo di Ankara richiamandolo alle sue eventuali responsabilità per quello che iniziava a essere definito come "genocidio armeno".[81]

Il primo paese a riconoscere come genocidio il massacro degli armeni fu l'Uruguay nel 1965 a cui seguirono molti altri stati, soprattutto europei e sudamericani, fino ad un primo riconoscimento da parte del Parlamento europeo con una risoluzione del 18 giugno 1987.[84] Nel 2015, in occasione del centesimo anniversario, il Parlamento europeo confermò con un'altra risoluzione il riconoscimento del genocidio armeno esortando la Turchia «a fare i conti con il proprio passato».[85] Il problema armeno e il suo mancato riconoscimento da parte del governo turco come genocidio è sempre stato uno degli elementi di maggior frizione tra Ankara e gli altri paesi. In particolare la procedura per un eventuale ingresso della Turchia nell'Unione europea è stata frenata fino a rendersi impossibile proprio in virtù della mancata assunzione di responsabilità da parte delle autorità turche. In Italia in genocidio armeno è stato riconosciuto con una risoluzione della Camera dei deputati del 17 novembre 2000. In Francia il negazionismo sul genocidio armeno, insieme a quello degli ebrei, è addirittura considerato reato e punibile col carcere.[86]

Le Nazioni Unite non hanno mai riconosciuto esplicitamente il caso armeno come genocidio, ma in un documento della Sottocommissione per la prevenzione della discriminazione e la protezione delle minoranze del 2 luglio 1985, lo hanno affiancato ai grandi genocidi del XX secolo, paragonandolo all'Olocausto e definendolo come «massacro ottomano degli armeni nel 1915-1916».[76]

Il genocidio, che gli armeni chiamano Medz Yeghern ("grande crimine"), viene commemorato il 24 aprile, data in cui nel 1915 vennero eseguiti i primi arresti tra l'élite armena di Costantinopoli e a cui seguirono massicce deportazioni verso l'interno dell'Anatolia fino al massacro sistematico di una larga fetta della popolazione armena nei mesi successivi.[77]

Dibattito sul genocidio

Proposte di aggiornamento

A partire dalla definizione ufficiale contenuta nella Convenzione sul genocidio del 1948, alcuni autori hanno iniziato a studiare gli eventi storici precedenti e successivi per identificarne la natura genocidiaria. Le analisi hanno portato a numerose proposte di modifica, ritenendo non soddisfacente la definizione dell'ONU, soprattutto in ambito sociologico, storico e geopolitico.[87][88]

Nel 1959 il giurista Pieter N. Drost, professore olandese di diritto e esperto di storiografia coloniale, propose l'estensione del concetto di genocidio definendolo come «la deliberata distruzione della vita fisica di singoli esseri umani a causa della loro appartenenza a qualsiasi collettività umana in quanto tale». Drost, infatti, riteneva che la definizione delle Nazioni Unite fosse insufficiente poiché in essa non erano ricomprese tra le cause dei crimini quelle politiche o l'appartenenza delle vittime a un qualunque gruppo sociale.[89][90] Nel 1976 il sociologo statunitense Irving Louis Horowitz propose una definizione ancora più estesa di genocidio come «la distruzione strutturale e sistematica di persone innocenti da parte di un apparato burocratico statale». Secondo Horowitz una società totalitaria è condizione necessaria ma non sufficiente per lo svolgersi di un genocidio, ritenendo che la cultura nazionale giochi un ruolo ancora più importante rispetto all'ideologia dello stato.[91][92]

La sociologa statunitense Helen Fein ha dedicato molti scritti al tema del genocidio. Ha proposto un paradigma per il rilevamento del genocidio che include le seguenti condizioni:[87][93]

  • un attacco prolungato o continuità di attacchi da parte del persecutore per distruggere fisicamente i membri del gruppo;
  • il persecutore dev'essere collettivo o organizzato, tipicamente lo stato, o un comandante dell'organizzazione;
  • la selezione delle vittime avviene attraverso la loro appartenenza a una data collettività;
  • le vittime sono indifese o vengono uccise indipendentemente dal fatto che si siano arrese o abbiano opposto resistenza;
  • la distruzione dei membri del gruppo è stata intrapresa con l'intento di uccidere e l'omicidio è stato sancito dal persecutore.

Seguendo un approccio sociologico definì nel 1982 il "genocidio" come «l'omicidio calcolato di una parte o di un intero gruppo, definito al di fuori dell'universo dell'obbligo del persecutore, in risposta a una crisi causata o attribuita alle vittime» e suggerì una classificazione del tipo di genocidio:[94][95]

  • "genocidio di sviluppo'" se le vittime ostacolano un progetto economico;
  • "genocidio dispotico" se le vittime sono oppositori reali o potenziali;
  • "genocidio retributivo" quando due gruppi condividono lo stesso spazio in una società multietnica
  • "genocidio ideologico'" se le vittime sono al di fuori dell'universo percepito come sede degli obblighi (per motivi religiosi o nei totalitarismi ideologici).

In seguito lo definì come «un'azione intenzionale sostenuta da un persecutore per distruggere fisicamente una collettività, direttamente o indirettamente, attraverso l'interdizione alla riproduzione biologica e sociale dei membri del gruppo, sostenuta indipendentemente dalla resa o dalla mancanza di minaccia offerta dalle vittime.» In tal senso Helen Fein fu tra i primi a estendere il concetto di genocidio anche a persecuzioni e stragi storiche, come quelle perpetrate ai danni degli aborigeni americani e del Pacifico da parte degli europei, ma anche il massacro degli armeni.[95][96]

Frank Chalk e Kurt Jonassohn, docenti all'Università Concordia di Montréal e membri del Montreal Institute for Genocide and Human Rights Studies, insoddisfatti della definizione adottata nella Convenzione, nel 1990 ne proposero una diversa e più generale: «Il genocidio è una forma di omicidio di massa da parte in cui uno stato o altra autorità tesa a distruggere un gruppo, per come quel gruppo e l'appartenenza ad esso sono definiti dal persecutore.» La principale differenza consiste nel non limitare in alcun modo il tipo di gruppo da includere, sottolinenado, come osservato da altri, che la definizione del "tipo" è unicamente determinato dalla visione del persecutore.[97][98]

Lo storico franco-canadese Gérard Prunier, esperto di tematiche centro-africane, in un suo testo sul caso ruandese del 1995 definì il genocidio come il «tentativo coordinato di distruggere un gruppo razziale, religioso o politico predefinito nella sua interezza» sottolinenado che il genocidio, a differenza della pulizia etnica, ha come obiettivo la distruzione del gruppo vittima per intero.[99]

Alternative

Nell'ambito del dibattito sono stati valutati altri termini come "etnocidio", derivante dal greco ἔθνος (ethnos, "nazione") e dal latino caedo ("uccidere"), inteso come la distruzione della cultura più che l'eliminazione fisica delle persone. Il termine fu proposto dallo stesso Raphael Lemkin nel suo Axis Rule in Occupied Europe in alternativa a "genocidio".[3] Altro neologismo utilizzato in ambito socio-politico è "politicidio" (o "policidio"), inteso come «l'uccisione o lo sterminio di un particolare gruppo a causa delle sue convinzioni politiche o ideologiche», utilizzato per la prima volta nel 1968 in relazione al supposto obbiettivo degli Arabi di distruggere lo stato di Israele.[100]

Il politologo statunitense Rudolph Joseph Rummel ha coniato il termine "democidio", di accezione ampia, per indicare «l'assassinio di qualsiasi persona o popolo da parte di un governo, inclusi genocidio, politicidio e omicidio di massa.» Secondo Rummel «il significato necessario e sufficiente del democidio è quello dell'uccisione intenzionale da parte del governo di una o più persone disarmate. A differenza del concetto di genocidio, è limitato all'uccisione intenzionale e non si estende ai tentativi di eliminare culture, razze o persone con mezzi diversi dall'uccidere persone. Inoltre, il democidio non si limita alla componente omicida del genocidio, né al politicidio, all'omicidio di massa o al massacro o al terrore. Li include tutti e anche ciò che escludono, purché tale uccisione sia un atto intenzionale, una politica, un processo o un'istituzione di governo.»[101]

Identificazione del genocidio

Alcuni autori ritengono genocidio un sinonimo di pulizia etnica e di etnocidio, mentre secondo altri si tratta di un fenomeno diverso, almeno per gradazione. Secondo Gérard Prunier, la pulizia etnica è lo sterminio di massa di una parte della popolazione per allontanare i sopravvissuti ed occupare il territorio, mentre nel genocidio "vero" non esistono vie di fuga: anche i gruppi religiosi e politici non possono salvarsi attraverso la conversione o la sottomissione.

Un fattore considerato importante è l'intenzione genocida, il desiderio di distruggere la popolazione vittima in quanto tale (spesso assieme alla sua memoria culturale) e non solo quello di assicurarsi il controllo di territori o risorse economiche eliminando gli oppositori reali o potenziali. Nel genocidio, il massacro è un fine e non un mezzo. È facile constatare tale intenzione se è esplicita e sistematica e accompagnata da prove documentarie prodotte dall'aggressore, mentre è difficile se è implicita e tendenziale.

«Il genocidio va oltre la guerra perché l'intenzione dura per sempre, anche se non è coronato dal successo. È un'intenzione finale.»

Il criterio quantitativo (la distruzione in tutto o in parte) pone problemi nello stabilire eventuali soglie "numeriche" assolute o relative e rischia di viziare gli aspetti morali e più delicati. Benjamin A. Valentino[102] fa riferimento preciso a soglie numeriche e definisce omicidio di massa "L'intenzionale uccisione di almeno 50.000 non combattenti nell'arco di 5 anni".

Molti distinguono fra un "crimine motivato" politico e un "crimine immotivato" razziale, quindi fra vittime uccise "per quello che fanno" e "per quello che sono". Tale distinzione tende però a scomparire nella logica genocidiaria, in cui il nemico viene demonizzato e comunque aggredito per quello che è[103]. Il gruppo vittima è identificabile a priori e con certezza su base razziale, ma non su base politica, sociale o economica, in quanto gli stessi criteri di identificazione variano nel corso degli eventi (si consideri ad esempio la difficoltà di definire i Kulaki). Tale difficoltà non riduce l'intenzione dell'aggressore che, una volta identificate le singole vittime "per quello che fanno", ne decreta l'eliminazione, anche fisica, "per quello che sono", stigmatizzandole come "altro da sé" su base ideologica (come sottolinea la citazione di Bernard Bruneteau). Importante è dunque la definizione che l'aggressore stesso fa del gruppo vittima, aspetto che sottende alla menzionata definizione di Chalk e Jonasshon. Tale definizione ha il pregio di non escludere a priori nessun gruppo umano.

Se il dibattito in rapporto ad avvenimenti remoti assume soprattutto un valore accademico, quando riguarda eventi recenti (per i quali è possibile perseguire i colpevoli) o addirittura contemporanei, si riveste di aspetti molto drammatici fino a condizionare lo stesso evolversi del presunto o reale genocidio. Il genocidio ruandese è stato riconosciuto come tale tardivamente (si trattò in realtà di un ritardo di appena 2 mesi, ma che fu sufficiente all'attuazione del genocidio stesso), a causa dell'indugiare dell'ONU e della diplomazia statunitense, e fu fermato solo dall'intervento di milizie locali quando metà delle vittime predestinate erano già state uccise. Il Conflitto del Darfur, attualmente in corso, è stato definito dal Segretario di stato americano Colin Powell come genocidio nel dicembre del 2004, ma ad oggi non è ancora stato riconosciuto come tale dall'ONU. Nessuna forza di pace è stata dispiegata in Darfur ed alcuni movimenti di cittadini lamentano in tutto il mondo la scarsità di attenzione dedicata al conflitto, sia a livello diplomatico che mediatico.

Segue una tipologia dei principali genocidi secondo Bernard Bruneteau:

Genocidio Gruppo vittima Intenzione Modalità di distruzione Numero di vittime Contesto interno Contesto internazionale
Armenia (1915) Nazionale e religioso (Armeni ottomani) Eradicazione territoriale totale Deportazione, carestia, malattia, esecuzione 1.400.000 (70%) Politica di ridefinizione etnonazionalista dello Stato Prima guerra mondiale
Holodomor (1932-33) Nazionale e sociale (contadini ucraini) Sottomissione politica ed eradicazione sociale parziale Carestia pianificata 7.000.000 (25%) Politica di coercizione totalitaria Indifferenza della comunità internazionale
Shoah (1941-45) Razzializzato (Ebrei europei) Eradicazione universale totale Deportazione, malattia, esecuzione. 6.000.000 (65%) Politica di eugenetica razzista Seconda guerra mondiale
Persecuzione dei serbi in Jugoslavia (1941-1945) 1.000.000 Seconda guerra mondiale
Cambogia (1975-79) Politico e sociale ("nuovo popolo") Sottomissione politica ed eradicazione sociale parziale Deportazione, carestia, malattia, esecuzione 1.800.000 (40%) Politica di coercizione totalitaria Indifferenza della comunità internazionale
Ruanda (1994) Razzializzato (Tutsi) Eradicazione territoriale totale Esecuzione, stupro di massa pianificato 800.000 - 1.000.000 (70-80%) Politica di ridefinizione etnonazionalista dello Stato Attendismo della comunità internazionale
Bosnia (1992-95) Nazionale e religioso (musulmani bosniaci) Eradicazione territoriale parziale Deportazione, esecuzione 100.000 - 120.000 (6%) Politica di ridefinizione etnonazionalista dello Stato Attendismo della comunità internazionale

* La percentuale è calcolata rispetto al gruppo vittima potenziale.

Uso del termine in ambito storico

Il problema della definizione del genocidio nell'ambito del diritto, e conseguentemente nell'azione dei tribunali, ma anche in ambito storico e socio-politico, ha impegnato gli studiosi dalla seconda metà del Novecento in particolare nella comparazione di taluni eventi con il caso emblematico della Shoah, vero punto di svolta, che ha portato a riconsiderare l'approccio dell'analisi anche a casi in precedenza non definiti come genocidio, come il caso armeno.[1] Il XX secolo è stato definito da alcuni studiosi come "il secolo dei genocidi".[104] Giovanni Paolo II ha però definito il massacro armeno come "il primo genocidio del XX secolo" in una dichiarazione del 2001 durante un viaggio apostolico in Armenia intentendo quindi che di genocidio si potesse parlare anche per eventi avvenuti in precedenza.[105]

Il XX secolo è definibile come "secolo dei genocidi" sia per la varietà dei fenomeni genocidari, per l'intenzionalità totalitaria e ideologica che li ha connotati, ma anche per la dimensione quantitativa. Il numero di vittime dovute ai genocidi nel XX secolo varia, a seconda delle stime, tra 40 e 169 milioni di uomini e donne.[106] In tal senso il Novecento è considerato «il periodo più sterminazionista ed eliminazionista di massa che l'umanità abbia mai conosciuto.»[107] Cionondiméno il genocidio è considerato da molti studiosi un fatto ricorrente nella storia umana.[1] Altri sostengono che, benché la storia umana sia costellata di massacri su larga scala, in particolare in caso di guerre o di processi di colonizzazione, riferirsi ad essi con il termine genocidio secondo la definizione giuridica messa a punto nel XX secolo, sarebbe anacronistico.[108]

Lo stesso Raphael Lemkin, pur avendo coniato il suo neologismo con chiaro riferimento ai crimini del nazismo e del totalitarismo nazionale moderno, affermò che «la storia ci ha fornito altri esempi di distruzione di intere nazioni e di gruppi etnici e religiosi», esemplificando come «chiaro esempio di genocidio» eventi storici come la distruzione di Cartagine al termine della terza guerra punica, la distruzione degli Albigesi e dei Valdesi, le crociate, la distruzione dei cristiani sotto l'Impero ottomano, il massacro degli Herero, lo sterminio degli Armeni, degli Assiri, la distruzione dei Maroniti, i pogrom contro gli ebrei nella Russia zarista e in Romania.[109][110][111]

Epoca coloniale

Il colonialismo moderno, che prese il via nel XV secolo con le prime scoperte geografiche e la prima espansione portoghese e spagnola e si sviluppò soprattutto dopo la scoperta dell'America nei primi decenni del secolo successivo, provocò un drastico calo demografico delle popolazioni indigene che nel tempo venivano soppiantate dai conquistatori e dagli immigrati europei, per effetto delle guerre di conquista, dello sterminio diretto di interi gruppi, delle malattie importate dall'Europa e per l'impoverimento e le carestie conseguenti.[112][113][114]

Alcuni autori hanno ravvisato come appropriato l'utilizzo del termine genocidio in rapporto alle conseguenza della colonizzazione europea nell'età moderna, in particolare per quanto concerne i nativi americani e i popoli indigeni dell'Oceania.[115]Il dibattito sulla fondatezza dell'utilizzo dell'espressione nel contesto coloniale è ancora aperto.[116] Alcuni autori, come il linguista e saggista Noam Chomsky, parlano di "genocidio coloniale", ponendo l'accento sugli atti di sterminio deliberato volti a eliminare le popolazioni indigene e favorire quindi l'espansionismo europeo, altri ritengono che le principali cause del declino demografico siano indirette, facendo riferimento ad esempio alle epidemie o a fattori sociali, tra cui la superiorità tecnologica e organizzativa dei colonizzatori.[112][113][117] Se il concetto di genocidio presuppone la presenza di un gruppo prevalente che unilateralmente opprime e attua azioni di distruzione verso il gruppo più debole, il concetto di guerra si rifà invece alla presenza di due gruppi contrapposti. Nel caso delle guerre di conquista coloniale, la disparità tecnologica tra gli europei e i popoli indigeni viene invece considerato un elemento derimente nel considerarle come azioni genocidiarie.[114]

File:Surviving Herero.jpg
Herero sopravvissuti al massacro con la fuga attraverso l'arido deserto di Omaheke

Genocidio dei nativi americani

Lo stesso argomento in dettaglio: Genocidio dei nativi americani.
  • Durante la colonizzazione europea delle Americhe i popoli nativi americani, che contavano all'origine circa più di 80 milioni di individui, vennero ridotti del 90%; soprattutto del Nord America ci furono numerosi casi di eliminazione sistematica, mentre nel Centro e Sudamerica la maggioranza delle morti furono dovute alle malattie importate dagli europei. Le varie etnie, genericamente denominate indiani d'America, Pellerossa, Amerindi, Amerindiani, Prime Nazioni, Aborigeni americani, Indios, popolanti il sud e nord del continente, vennero soppiantate quasi ovunque dagli europei, e dai discendenti delle popolazioni forzatamente prelevate dall'Africa tra il 1500 e i primi anni del 1900[118].
  • Patagonia - negli anni settanta del 1800 il governo argentino, principalmente per mano del generale Julio Argentino Roca, intraprese la cosiddetta conquista del deserto per strappare la Patagonia al controllo delle popolazioni indigene. Che tale campagna possa essere considerata un genocidio, è recentemente materia di dibattito.

Genocidio dei popoli d'Africa

  • Congo - la politica del re belga Leopoldo II, avrebbe provocato la morte di 10 milioni di persone (metà della popolazione) attraverso la militarizzazione del lavoro forzato (con donne e bambini presi in ostaggio) e un duro sistema di quote di produzione e crudeli punizioni (amputazione delle mani).
  • Costa d'Avorio - tra il 1900 e il 1911, la popolazione si è ridotta da 1,5 milioni a 160.000
  • Sudan - sotto il dominio inglese (1882 - 1903) la popolazione si è ridotta da 9 a 3 milioni.
  • Herero - fra il 1904 e il 1906 i tedeschi sono stati responsabili, nella regione dell'attuale Namibia, di uno sterminio che è oggi considerato da molti come un vero e proprio genocidio: dal 50 all'80% degli Herero e il 50% dei Nama sono stati uccisi o fatti morire, per un totale che varia da 24.000 a 75.000 vittime.

Genocidio dei popoli asiatici

  • Afghanistan - in seguito all'opposizione del popolo Hazara alla dittatura di Abdullah Mankan, l'emiro decise di dare il via libera al loro sterminio. Il 60% degli Hazara (circa 2,5 milioni)[119] che abitavano l'Afghanistan perse la vita.

Razzismo scientifico occidentale

Con riferimento alla questione dell'intenzione genocida, il comportamento dei colonizzatori è stato influenzato da forme di razzismo diffuso, giustificato sia moralmente che scientificamente dalla dottrina del darwinismo sociale di Herbert Spencer, dal famoso libro La lotta delle razze di Ludwig Gumplowicz, dalle teorie eugenetiche di Francis Galton e dalla Gerarchia delle razze umane di Ernst Haeckel. Tali dottrine hanno alimentato l'idea di una missione colonizzatrice dell'"uomo bianco", destinato dalle leggi naturali a sottomettere e sostituire le "razze inferiori" e, si esprimeranno in modo estremo nell'ideologia nazista (interi brani di La lotta delle razze sono presenti nel Mein Kampf di Adolf Hitler).

XX secolo

Il XX secolo è stato definito "il secolo dei genocidi" o "il secolo dei totalitarismi" ed è in genere considerato come un periodo in cui la violenza, lo sterminio di massa e la guerra raggiungono livelli senza precedenti. Lo stesso termine genocidio è stato pensato da Lemkin per descrivere la nuova realtà dell'Olocausto.

Il secolo si apre all'insegna dell'etnocentrismo nazionalista. Ormai tutti, dai nazionalisti ai socialisti, pensano in termini di "nazione", "etnia", "diritto di autodeterminazione" dei popoli. Con la Prima guerra mondiale (1914-1918) l'Europa viene riorganizzata su basi etniche, sia all'interno che all'esterno dei confini nazionali.

Fu poi con la Conferenza di pace di Parigi del 1919, successiva alla guerra mondiale, che il principio di avere stati nazionali etnicamente omogenei, tanto caro al presidente degli Stati Uniti d'America Woodrow Wilson (autore dei famosi Quattordici punti), prese il sopravvento, aprendo - secondo lo storico britannico di origini ebraiche Eric Hobsbawm - la via alle pulizie e ai genocidi etnici del XX secolo[120].

Il genocidio degli Armeni del 1915 è forse il primo e sicuramente più famoso genocidio etnico del Novecento. Il genocidio dei Cristiani di Rito Assiro-Caldeo-Siriaco, avvenuto nello stesso periodo, assieme a quello contro i greci rimasero in ombra. L'Impero Ottomano, tradizionalmente abituato ad azioni di dura repressione (vedi, per esempio, gli atti di sterminio contro il popolo armeno degli anni 1896-1897, cfr. massacri hamidiani), raggiunge così livelli inediti di estremismo.

Le guerre mondiali sono espressione di un nuovo tipo di "guerra totale" in cui "tutto è permesso" e in cui il maggior numero di vittime si conta fra i civili, che subiscono massicci bombardamenti e sono considerati come parte integrante del "nemico" da distruggere.

I grandi sistemi totalitari (il Terzo Reich e i regimi comunisti) concepiscono il nemico come un'entità demonizzata e in quanto tale destinata all'eliminazione da leggi naturali o storiche, che fanno da sfondo ad un'ideologia totalitaria basata su distinzioni razziali, economiche o sociali:

  • L'Olocausto è riconosciuto come genocidio all'unanimità e da alcuni come una forma estrema di genocidio o addirittura come un fenomeno unico nella storia (soprattutto perché tutti gli elementi che caratterizzano il genocidio sono presenti contemporaneamente e in forma estrema)
  • Nel regime sovietico si possono riconoscere "comportamenti genocidiari" già ai tempi di Lenin[121]; l'Holodomor è considerato da molti come un genocidio vero e proprio; si possono individuare parallelismi fra l'uso che Hitler e Stalin fanno dei concetti di "razza" e "classe", "razza ariana" e "popolo", "sub-umani" (o "Ebrei") e "nemici del popolo"[122].
  • Cina: Mao Zedong. Le stime del numero di vittime totali del periodo 1949-1976 sono molto discordanti fra loro e variano da 20 a 80 milioni: comprendono da 2 a 5 milioni di contadini durante il terrore della riforma agraria nel 1951-1952, da 20 a 40 milioni per la carestia del 1959, alcuni milioni per i laogai e da 1 a 3 milioni per la Rivoluzione Culturale.

Europa

12 aprile 1945, le Boelcke-Kaserne (baracche Boelcke) a sud-est della città di Nordhaushen, bombardate fra il 3 e il 4 aprile 1945 dall'aviazione britannica causando la morte di 1300 prigionieri. Le baracche costituivano un sottocampo del campo di Mittelbau-Dora. Vi venivano reclusi i moribondi del campo e a partire dal gennaio del 1945 il loro numero crebbe da qualche centinaio a oltre seimila, con una mortalità che arrivava a cento persone al giorno.
Vittime in una delle fosse comuni di Katyn' riesumate dai tedeschi nel 1943.
  • Unione Sovietica - durante il regime bolscevico e lo stalinismo, furono compiuti gravi massacri.
    • Holodomor - nel 1932, il popolo ucraino fu sterminato per carestia indotta; il numero di vittime è molto incerto e varia da 1,5 a 10 milioni. Diverse parti (fra cui l'Ucraina, l'Italia e gli USA) riconoscono l'Holodomor come genocidio a causa dell'aggressione specifica del popolo ucraino volta a spezzarne le aspirazioni indipendentiste.
    • I Kulaki furono deportati a milioni in Siberia e nei gulag e si stima che circa 600.000 (un terzo)[124] morì o fu ucciso. Nonostante esistano diversi elementi a favore (eliminazione dei Kulak in quanto tali, azione unilaterale e pianificata burocraticamente), lo sterminio dei kulaki non può essere definito genocidio a causa dell'incertezza e della variabilità con cui le vittime venivano classificate come Kulaki e a causa del fatto che l'eliminazione, non era considerata un fine ma un mezzo. Per motivi analoghi (non un fine ma un mezzo), anche la deportazione di milioni di persone appartenenti a diversi gruppi etnici (soprattutto ai confini dell'URSS), che ha prodotto centinaia di migliaia di vittime, non può essere definita genocidio. Analogamente, le "purghe" del partito e le deportazioni nei gulag degli anni trenta, che videro la morte di centinaia di migliaia di prigionieri politici, non possono essere definite genocidio in quanto colpirono un gruppo politico.
    • Massacro di Katyn' - il 22 marzo 2005, il Camera dei deputati della Polonia (parlamento) polacco ha approvato all'unanimità un atto con il quale si richiede alla Russia di classificare il massacro di Katyn come genocidio. Il massacro, infatti, era volto a indebolire la Polonia, in quanto venne eliminata una parte importante dell'intellighentsja polacca, poiché il sistema di coscrizione prevedeva che ogni laureato divenisse un ufficiale della riserva.
  • Una pulizia etnica era stata tentata anche dalle autorità militari italiane durante la seconda guerra mondiale ai danni degli sloveni nelle zone conquistate in Jugoslavia dall'esercito italiano. L'attuazione di tale progetto portò alla deportazione di circa 35.000 civili sloveni, di cui circa 3.500 persero la vita nei campi di concentramento allestiti a tale scopo dall'esercito italiano[125]. Le istruzioni di attuazione della bonifica etnica venivano impartite, su istruzioni di Benito Mussolini[126], direttamente dal comandante dell'esercito italiano nella provincia di Lubiana generale Mario Roatta[127] e dal comandante dell'XI Corpo d'Armata, generale Mario Robotti[128].
  • Italia - Il caso delle uccisioni e delle foibe ad opera delle forze alleate partigiane slave e italiane in Jugoslavia contro i nazifascisti in Istria, Venezia Giulia e Dalmazia nel 1943 viene da taluni identificato per genocidio sostenendo che le uccisioni non vennero fatte durante una lotta di Resistenza contro il nazifascismo ma allo scopo presunto di far "scomparire la componente etnica italiana da quelle zone"[129].
  • Pulizia etnica ai danni dei serbi durante la seconda guerra mondiale - Durante la seconda guerra mondiale il regime fascista croato guidato dagli Ustascia di Ante Pavelić organizzò il massacro sistematico delle minoranze etniche (soprattutto serbi, ebrei e zingari) provocando circa mezzo milione di vittime.
  • Romania - Nicolae Ceaușescu e la moglie furono condannati a morte il 25 dicembre 1989, dopo tre giorni di prigionia, da un "tribunale volante" militare con l'accusa principale di genocidio per la strage di Timișoara[130][131][132] e con l'aggravante di aver condotto la popolazione rumena alla povertà. Successive ricerche giornalistiche mostrarono come il numero dei morti riportato inizialmente dai media (decine di migliaia in Romania di cui diverse migliaia solo a Timisoara), oltre che alcune immagini riprese dalla televisione, fossero in realtà dei falsi, costringendo anche alcuni quotidiani (tra cui Liberation) a scusarsi con i lettori per l'acriticità con cui erano state riportate le notizie.[133][134][135] Al termine della rivoluzione, secondo i dati del ministero della Salute rumeno, i morti saranno 1104 (di cui solo 93 a Timisoara, 20 dei quali avvenuti dopo il giorno della cattura di Ceaușescu) e 3321 i feriti. Complessivamente la maggior parte delle vittime si avranno comunque a Bucarest[136] con 564 morti (di cui 515 dopo il 22 dicembre, data in cui Ceaușescu fu catturato).
  • Georgiani in Abcasia - Alcuni usano il termine genocidio per descrivere i massacri e le espulsioni forzate di migliaia di abitanti di etnia georgiana dell'Abcasia durante la guerra abkhazo-georgiana (1991-1993). Tra i 10.000 e i 30.000 georgiani furono uccisi dai separatisti abkhazi, dai mercenari stranieri e dalle forze della Federazione russa. Tra le vittime si ebbero anche alcuni greci, estoni, russi e abkhazi moderati.[137]
  • Kosovo - Negli anni compresi tra 1996 e 1999, gli atti di violenza (inclusi massacri, rapimenti, stupri e altro) sono considerati un genocidio, Slobodan Milosevic causò la deportazione forzata di oltre 800.000 civili kosovari di etnia albanese. Il numero di vittime del genocidio condotto da Miloŝeviĉ e Mercenari come Arkan, si stima intorno alle 10.000 persone.[138][139]

Africa

  • Zanzibar - nel gennaio 1964, durante la Rivoluzione di Zanzibar che portò alla caduta del Sultanato di Zanzibar, furono sterminati da 5.000 a 12.000 arabi (su un totale di 22.000), con modalità che assunsero i tratti del genocidio.
  • Nigeria - nel 1966, il governo centrale nigeriano reagì duramente ai tentativi secessionisti del popolo Igbo, che aveva proclamato la nascita della Repubblica del Biafra. La guerra civile (e la conseguente carestia) ha causato migliaia di morti ed è stata considerata da diverse parti, fra cui i leader del Biafra, come un genocidio.
  • Burundi - nel 1972, nel teatro dei conflitti etnici della regione intorno al Ruanda, 150.000 Hutu furono massacrati dal governo Tutsi.
  • Etiopia - tra il 1977 e il 1991, il governo di Mengistu Haile Mariam uccise da 500.000 a 2 milioni di oppositori politici, durante il cosiddetto Terrore rosso.
  • Ruanda - il peggiore genocidio africano avvenne nel 1994 in Ruanda da parte di milizie e bande Hutu contro la minoranza Tutsi e tutti coloro che erano sospettati di favorirli. Le vittime, circa un milione, furono spesso uccise barbaramente con armi rudimentali. Nel 1962, 100.000 Tutsi erano già stati massacrati per gli stessi motivi che avrebbero portato al genocidio del 1994, inoltre, massacri occasionali si verificarono per tutta la seconda metà del Novecento, anche dopo il 1994. La storia spesso si dimentica di citare le vittime del genocidio perpetuato dalle armate Tutsi nella riconquista del Rwanda verso la popolazione Hutu nelle fasi finali della guerra del 1994. Tuttora[Quando?] la popolazione Hutu viene vessata tramite Gacaca, tribunale popolare allestito per giudicare i crimini della guerra del 1994, in cui l'accusato deve smentire le accuse mosse portando prova di innocenza, mentre l'accusa non necessita di provare la colpevolezza dell'accusato.
  • La regione del Darfur (nel Sudan occidentale) dal 2003 è teatro di un conflitto che gli Stati Uniti e alcuni media e studiosi considerano come genocidio. I Janjawid, gruppo di miliziani appoggiati dal governo, uccidono sistematicamente i gruppi etnici Fur, Zaghawa e Masalit. Le diverse fonti riferiscono di un numero di morti che varia da 200.000 a 400.000 e di 2 milioni di profughi.

Asia

America Latina

Commemorazioni

Nel settembre 2015 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite stabilì il 9 dicembre come Giornata internazionale per la commemorazione e per la dignità delle vittime di genocidio, data in cui si celebra l'anniversario dell'adozione della Convenzione sul genocidio del 1948.[140]

Oltre al museo Yad Vashem in Israele, il memoriale che conferisce il titolo di Giusto tra le nazioni ai non-ebrei che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita e senza interesse personale per salvare anche un solo ebreo dal genocidio nazista della Shoah, sono sorti in varie località del mondo luoghi di commemorazione delle personalità che si sono adoperate per contrastare i genocidi, a partire da quello ebraico. Il primo fu il Giardino dei giusti di Gerusalemme inaugurato nel 1962.[141] In seguito l'esempio fu seguito in molte nazioni ampliando il riconoscimento di Giusto anche a persone che hanno operato nell'ambito dei genocidi armeno, ruandese e bosniaco, come quello di Milano o quello di Padova in Italia.

Il Giorno della Memoria è la ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno per commemorare le vittime dell'Olocausto. Fu istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 60/7 il 1º novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria, e adottata con la Legge n. 211 del 2000 dal Parlamento italiano. La data fu scelta perché in quel giorno del 1945 le truppe dell'Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.[142][143]

Note

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  126. ^ Nel suo discorso tenuto a Gorizia il 31 luglio 1942 il Capo del Governo Italiano Benito Mussolini, pronunciò le seguenti parole: -Bisogna sterminare tutti gli uomini di questa stirpe, maledetta–. Fonte: Alojz Zidar, Il popolo sloveno ricorda e accusa, Editrice Lipa, Capodistria 2001
  127. ^ Il generale Mario Roatta dispose tra l'altro...(…) l'internamento può essere esteso… sino allo sgombero di intere regioni, come ad esempio la Slovenia. In questo caso si tratterebbe di trasferire, al completo, masse ragguardevoli di popolazione… e di sostituirle in loco con popolazioni italiane - Fonte: Angelo Del Boca, Italiani, brava Gente?, pagina 241, Neri Pozza editore, Vicenza 2005, ISBN 88-545-0013-5 - Fonte: N. 08906 di prot. dell'8 settembre 1942 indirizzata al Comando Supremo, in Alojz Zidar, Il popolo sloveno ricorda e accusa, pagina 231, Založba Lipa, Koper 2001, ISBN 961-215-040-0
  128. ^ Verbale della riunione a Kocevje in data 2 agosto 1942, riportato nel libro di Tone Ferenc, La provincia italiana di Lubiana, pagina 486, Istituto Friulano per la storia del movimento di liberazione, Udine 1994: -…sgombrare tutti gli uomini validi ad Arbe… Ricordarsi che per infinite ragioni questi elementi possono trasformarsi in nostri nemici. Quindi sgombero totalitario… Resta inteso che il provvedimento dell'internamento non elimina il provvedimento di fucilare tutti gli elementi colpevoli o sospetti di attività comunista… Le autorità superiori non sono aliene dall'internare tutti gli sloveni e mettere al loro posto degli italiani.
  129. ^ Raoul Pupo e Roberto Spazzali, Foibe, Milano, Bruno Mondadori, 2003, p. 111.
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La "mappa dei teschi" raffigura la Cambogia al museo di Tuol Sleng
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Per la bibliografia sugli specifici genocidi, si vedano le relative voci.

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