Squadre d'azione

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Squadre d'azione
Squadra d'azione di Lucca nel 1922
Attiva1919 - 1923
NazioneItalia (bandiera) Italia
ContestoSquadrismo
IdeologiaFascismo
Sansepolcrismo
Nazionalismo rivoluzionario
Corporativismo
Anticomunismo
AlleanzeSempre Pronti per la Patria e per il Re
Affinità politicheFasci italiani di combattimento
Componenti
Componenti principaliRoberto Farinacci
Italo Balbo
Emilio De Bono
Cesare Maria De Vecchi
Michele Bianchi
Attività
Azioni principaliMarcia su Roma
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Le squadre d'azione furono un insieme di organizzazioni paramilitari sorte in Italia nel 1919 allo scopo di reprimere le rivolte del "biennio rosso". Facevano riferimento ai Fasci italiani di combattimento. Il 1º febbraio 1923 il governo Mussolini istituzionalizzò le squadre d'azione facendole confluire nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

Attività paramilitari

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Lo stesso argomento in dettaglio: Squadrismo.

La pratica delle spedizioni punitive venne basata sulle tecniche d'assalto e sulle tattiche degli arditi, confluiti in massa nelle squadre d'azione. La definizione venne mutuata dalla celebre, ma fallimentare, Strafexpedition austriaca sul fronte degli Altopiani nel 1916 e indica un concentramento di uomini contro un solo obiettivo: di norma, una sede socialista o sindacale (più raramente di altri movimenti rivali, come i popolari o i repubblicani). L'azione spesso era condotta anche con metodi spettacolari o goliardici, tesi non solo a impaurire l'avversario, ma anche a scoraggiare eventuali suoi sostenitori più tiepidi, nonché a suscitare simpatia nell'ampia "area grigia" che non intendeva schierarsi inizialmente né con l'una né con l'altra parte.

Gli squadristi si avvicinavano a bordo di camion aperti (generalmente i BL 18 in dotazione all'Esercito), cantando inni e mostrando le armi e i manganelli, quindi assalivano l'avversario praticando una sistematica devastazione: si colpivano le sedi e i luoghi di aggregazione dei partiti (principalmente il partito socialista), le Camere del Lavoro, le sedi di cooperative e leghe rosse. Queste venivano danneggiate o, spesso, completamente devastate, le suppellettili e le pubblicazioni propagandistiche bruciate nella pubblica piazza, gli esponenti o i militanti delle fazioni avverse bastonati e costretti a bere olio di ricino. Tali azioni di norma davano luogo a scontri fisici o con bastoni; spesso però, specialmente nelle fasi più calde del conflitto, diventava frequente l'uso di armi da fuoco e persino da guerra, cosicché le azioni terminavano con feriti e morti, sia tra le diverse fazioni in campo, sia tra le forze dell'ordine.

Solo in certi episodi, gli scontri fra gli squadristi e i loro avversari politici avvenivano per iniziativa di questi ultimi, e in particolare dei comunisti, che ambivano a porsi come avanguardia e a prendere il posto dei socialisti; perciò, in alcune località, dimostrando aggressività e intransigenza, si ponevano a capo dei proletari esacerbati dalle incessanti violenze squadriste e dall'ingiustizia degli interventi polizieschi; quasi sempre, però, la responsabilità dei conflitti era da attribuirsi ai fascisti, il cui obiettivo era di smantellare completamente le organizzazioni operaie e di intralciare con la violenza il corretto svolgimento delle consultazioni elettorali[1].

Giacomo Matteotti, in un discorso parlamentare del 10 marzo 1921, tracciò la seguente vivida descrizione delle "spedizioni punitive" squadriste nel suo collegio elettorale:

«Mentre i galantuomini sono nelle loro case a dormire, arrivano i camions di fascisti nei paeselli, nelle campagne, nelle frazioni composte di poche centinaia di abitanti; arrivano accompagnati naturalmente dai capi dell'agraria locale, sempre guidati da essi, perché altrimenti non sarebbe possibile conoscere nell'oscurità in mezzo alla campagna sperduta la casetta del capolega o il povero miserello ufficio di collocamento, si presentano davanti alla casetta e si sente l'ordine: "Circondate la casa!" Sono venti, sono cento persone armate di fucili e rivoltelle. Si chiama il capolega e gli si intima di scendere; se il capolega non discende, gli si dice: "Se non scendi ti bruciamo la casa, tua moglie, i tuoi figlioli". Il capolega discende: se apre la porta lo pigliano, lo legano, lo portano sul camion, gli fanno passare le torture più inenarrabili, fingendo di ammazzarlo, di annegarlo, poi lo abbandonano in mezzo alla campagna, nudo, legato ad un albero. Se il capolega è un uomo di fegato e non apre e adopera le armi per la sua difesa, allora è l'assassinio immeditato che si consuma nel cuore della notte. Cento contro uno. Questo è il sistema del Polesine.»

È da evidenziare che le squadre d'azione non erano costituite solo da attivisti (come ad esempio Dino Grandi, Italo Balbo, Giuseppe Bottai, nomi di spicco dello squadrismo), poiché all'interno di esse andarono a inserirsi personaggi con un passato personale discutibile e precedenti penali anche gravi (come l'omicidio)[3] e dediti allo sfogo della propria indole violenta.[4]

Gli squadristi per ogni eventualità avevano a loro disposizione un coltello per la lotta corpo a corpo, ma anche armi da fuoco (generalmente pistole) e, in alcuni casi, bombe a mano sipe e thévenot. L'esperienza delle trincee e il legame di cameratismo, assieme soprattutto alla struttura fortemente gerarchizzata[5] e alla superiorità numerica e di armamento erano un atout delle squadre sugli avversari. Le fazioni più estreme di comunisti e anarchici opposero una forte resistenza e si organizzarono negli Arditi del popolo e nelle formazioni di difesa proletaria, riuscendo in alcuni casi a fronteggiare i fascisti (Fatti di Parma).

Gli avversari politici, quando erano troppo inferiori in numero per affrontare le squadre d'azione a viso aperto, si contrapponevano con azioni di guerriglia, che scatenavano reazioni molto dure da parte dei fascisti, i quali consideravano tali azioni come "vili".[6] Gaetano Salvemini ha scritto che tra l'ottobre 1920 e l'ottobre 1922 si ebbero 406 morti fra "bolscevichi", socialisti massimalisti e comunisti e 303 tra i fascisti[7] oltre a un elevato numero di morti fra le forze dell'ordine e i cosiddetti crumiri.

Organizzazione

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Roberto Farinacci, capo dello squadrismo intransigente

Le squadre normalmente nascevano raccogliendosi attorno a un caposquadra, che spesso emergeva grazie al proprio carisma e alla spregiudicatezza; spesso si trattava di un reduce decorato della Grande Guerra.[8]

La presenza di ex arditi con il loro culto del capo[9] rendeva le squadre estremamente disciplinate verso il caposquadra e il federale.

Maggiori esponenti

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Un quadrunvirato ebbe il compito di guidare le squadre d'azione fasciste durante la Marcia su Roma:

Capi Squadre d'azione

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Tra i più importanti capi, personalità e intellettuali dello squadrismo troviamo:

Agrari-squadristi

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A testimoniare dell'importanza assunta dallo squadrismo agrario, ci sono i casi di proprietari terrieri che non si limitano a finanziare lo squadrismo, ma diventano essi stessi personalità di spicco del movimento e spesso partecipano in prima persona alle azioni.

Uno dei primi gagliardetti fascisti. Questo di Trieste riporta il motto dannunziano "Quis contra nos?"

Le squadre d'azione solitamente si riunivano in bar al di fuori della sede del Fascio dove costituivano il loro punto di raccolta. Qui erano anche raccolti i trofei sottratti agli avversari, in particolare le bandiere rosse simbolo dei socialisti, spregiativamente chiamate "stracci", che venivano esposte al pubblico. Allo stesso modo si comportavano i socialisti e poi i comunisti, infatti molte delle risse che scoppiavano avvenivano solitamente nei pressi dei locali frequentati dall'una o dall'altra parte. L'abituale e costante frequentazione di particolari bar creava un grande spirito di coesione e di "cameratismo" tra gli avventori. Perquisizioni effettuate dalla polizia nei locali degli squadristi rinvennero numerosi manganelli e anche qualche rivoltella, questo armamento serviva all'abbisogna sia per difendere il locale da probabili assalti degli avversari sia di scorta durante le spedizioni punitive.

Le squadre avevano come simbolo un gagliardetto nero, con sopra un motto o il nome. Questo era affidato a un portabandiera e la sua difesa era considerata come il massimo dovere. In seguito il gagliardetto veniva portato in corteo e, lungo la strada, salutato dagli squadristi e dalla popolazione a costo di qualche scapaccione a chi non lo facesse (il famoso "giù il cappello!"). Simbolo degli squadristi era il teschio mutuato dagli arditi.

Poco a poco, a partire dalle squadre d'azione del ferrarese, si diffuse anche l'uso di indossare la camicia nera. Italo Balbo si vantò in seguito di aver guidato a Ferrara la prima spedizione in cui tutti gli squadristi indossavano una camicia nera.

Grande importanza assunse il culto dei martiri fascisti, tanto da dare vita a rituali ben precisi come quello del "Presente!" di dannunziana memoria, scandito tre volte dal gruppo sugli attenti dopo la pronuncia del nome del caduto. Mussolini, ad esempio, durante l'orazione funebre del fascista Franco Baldini ucciso da militanti comunisti, parlò del defunto definendolo non una vittima ma, appunto, un martire.[10] Nelle cerimonie funebri dei caduti fascisti si usava disporre numerose bandiere tricolori e cercare la partecipazione di associazioni di arma e di reduci di guerra. Alla cerimonia intervenivano anche moltissimi fascisti di altre città portando appresso i gagliardetti della propria squadra.

Tra i caduti più importanti si ricordano Rino Daus e Giovanni Berta, insigniti del titolo di martiri della rivoluzione fascista e condotti a simbolo della guerra civile.

Un momento di grande passione nazionale al quale parteciparono gli squadristi fu la translazione della salma del Milite Ignoto il 4 novembre 1921, in alcune città le manifestazioni in onore del Milite Ignoto furono promosse dai locali Fasci e, in alcune città come Grosseto, causarono scontri con i repubblicani[11]. A questo tipo di celebrazione solamente socialisti e comunisti non aderirono.

Fu adottata anche una "patrona degli squadristi", la Madonna del manganello[12].

Nomi più ricorrenti delle squadre d'azione

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Il sedicenne Gastone Bartolini, ex legionario fiumano e squadrista ucciso a Sarzana

Il nome della squadra era deciso direttamente dagli appartenenti alla medesima. Ricorrono più spesso: nomi legati alla storia nazionale, come Giuseppe Garibaldi; termini e nomi relativi a vicende recenti come l'Impresa di Fiume, che porta a intitolazioni alla città di Fiume e a Gabriele D'Annunzio; ma si sceglievano anche nomi goliardici, di norma truci o spavaldi, il più frequente dei quali sembra essere "La Disperata". Dopo la morte dei primi fascisti vennero intitolate squadre ai caduti, come Gastone Bartolini, deceduto dopo uno scontro a fuoco tra squadristi e regi carabinieri noto come i "Fatti di Sarzana".

  1. ^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925, Torino, Einaudi, 1966, p. 88: "In alcuni casi la responsabilità immediata dei conflitti risaliva ai comunisti che, con un atteggiamento intransigente ed aggressivo, che in certe località corrispondeva ai sentimenti delle masse proletarie esasperate dalle continue violenze fasciste e dalla parzialità delle forze di polizia, cercavano di soppiantare i socialisti [...]. Nella stragrande maggioranza dei casi la responsabilità era però dei fascisti che in tal modo si proponevano di distruggere sin le ultime vestigia del 'potere rosso' e di impedire col terrore la libera espressione della volontà popolare nelle elezioni".
  2. ^ Mimmo Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, Milano, Mondadori, 2003, pp. 80-81. Con alcune varianti (ad es. "immediato" anziché "immeditato") questo discorso di Matteotti è riportato anche in Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo. L'Italia dal 1918 al 1922, Bari, Laterza, 1965, p. 213.
  3. ^ Tra i nomi più noti, Sandro Carosi, farmacista e sindaco di Vecchiano, organizzatore di spedizioni punitive, si vantava di essere responsabile di 11 omicidi; dopo la marcia su Roma, viene fermato dai Carabinieri mentre viaggia con due valigie contenenti il cadavere sezionato dell'amante da lui uccisa. Condannato all'ergastolo, viene graziato dal regime e torna a fare il farmacista. Altro pluriassassino è Amerigo Dumini, ardito e guardia del corpo di Mussolini: è stato tra l'altro uno degli esecutori materiali dell'omicidio Matteotti (in Massimo Franzinelli, “Squadristi, protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922”, Mondadori editore, 2003).
  4. ^ Franzinelli.
  5. ^ Reichardt, p. 302.

    «Specialmente per i componenti delle milizie fasciste l'evento carico di violenza della guerra rappresentò un pilastro fondamentale del loro habitat mentale, che si ripercosse nel profondo significato da loro attribuito alla violenza, alla disponibilità al sacrificio e all'eroismo, all'autoritarismo militare e al cameratismo»

  6. ^ Franzinelli, p. 50.

    «Gli avversari degli squadristi, incapaci di reggere lo scontro frontale e di prevalere in campo aperto, contrapposero alla spedizione collettiva il metodo guerrigliero dell'imboscata, comportamento giudicato vile dai fascisti, che in simili casi reagivano con irruenza ingigantita dall'indignazione»

  7. ^ Fabio Fabbri, Le origini della guerra civile, Utet, 2009.
  8. ^ Franzinelli, p. 48.

    «I comandanti erano nella quasi totalità decorati al valore militare; fra di essi spiccavano nobili decaduti [...] e rampolli di possidenti terrieri»

  9. ^ Giorgio Rochat: Gli arditi della Grande Guerra
  10. ^ "Non sei una vittima, sei un martire. La tua memoria rimarrà incisa per sempre nel profondo dei nostri cuori e tu ci sarai di sprone, di monito, d'insegnamento"
  11. ^ Reichardt, p. 305.

    «In alcune città di provincia le cerimonia in onore del Milite Ignoto promosse dai fascisti locali provocarono contrasti fra le parti politiche, come per esempio a Grosseto dove si verificarono scontri tra fascisti e repubblicani»

  12. ^ Franzinelli, p. 250.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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