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La ballata del Cavallo Bianco[modifica | modifica wikitesto]

La ballata del Cavallo Bianco
Statua d'Alfredo in Inghilterra
1ª ed. originale1911
Generepoema epico
Lingua originaleinglese
AmbientazioneInghilterra, nel IX secolo
ProtagonistiAlfredo il Grande
AntagonistiGutrumo
Altri personaggiEldredo, Marco, Colano, Aroldo, Elfo, Uggeri, la donna della foresta, la Vergine Maria

La ballata del Cavallo Bianco (The Ballad of the White Horse) è un poema epico dello scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton, pubblicato nel 1911. È una narrazione fantastica della storia d'Alfredo il Grande, re inglese altomedievale, e della sua lotta contro gli invasori danesi.

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

La Ballata è aperta da una prefazione dell'autore, che spiega scopo e caratteri dell'opera.

Il testo poetico si compone di quasi 2700 versi; è ripartito in una dedica e otto parti numerate, chiamate «libri».

La Ballata è composta quasi tutta di strofe nelle tre forme metriche XaXa, XaBBa e XaBBBa, indicando con X i versi non rimati e con le lettere minuscole i versi più brevi. Le eccezioni a queste forme strofiche sono rare. La lunghezza dei versi è variabile.

Contenuto[modifica | modifica wikitesto]

Prefazione[modifica | modifica wikitesto]

L'autore spiega che la Ballata non intende essere storicamente precisa: pur basandosi in gran parte su fatti storici, infatti, «come facevano gli autori delle antiche ballate» vuole dare la precedenza alle tradizioni, i racconti, le leggende come si sono tramandati popolarmente, e sono arrivati fino a lui per «sentito dire».

Non mancano alcune critiche all'apparato accademico degli storici, i cui metodi, secondo Chesterton, sono a volte troppo «austeri» per poter giudicare bene su certe questioni.

Infine, l'autore spiega che introduce i tre capi locali alleati d'Alfredo (Eldredo, Marco, Colano) come simbolo delle origini miste dell'Inghilterra, e della battaglia contro il «nichilismo pagano» portata avanti in quella terra da molti popoli.

«Immagino che la Vessessia d’Alfredo avesse infatti un sangue molto eterogeneo; ma, in ogni caso, il valore precipuo della leggenda è di mescolare i secoli mantenendo inalterato il sentimento; di vedere tutte le epoche in una sorta di splendido scorcio. È questa l’utilità della tradizione: rende telescopica la storia.[1]»

Dedica[modifica | modifica wikitesto]

Frances Blogg, la moglie di Chesterton, alla quale è dedicato il poema

Alfredo è ricordato come vicenda vaga e lontana, confusa, d'un tempo remoto; e insieme concreta, una storia vera d'un essere umano come noi moderni, con le stesse difficoltà e gli stessi interrogativi della condizione umana. Si mostra il carattere religioso della vicenda storica e dell'opera, e il poema è dedicato a Frances Blogg, la moglie di Chesterton, che con la sua fede viva l'aveva riavvicinato al cristianesimo. La Ballata è presentata come un dono in memoria d'un viaggio insieme dei coniugi Chesterton.

Libro I: La visione del re[modifica | modifica wikitesto]

Il libro si apre con il Cavallo Bianco, enorme opera preistorica e simbolo dai molti significati nella Ballata, presentato come una sorta di testimone della storia inglese, dagli albori preumani fino al tempo della narrazione.

Siamo nell’alto Medioevo: Roma è caduta, ne resta il ricordo glorioso ma il suo mondo è in rovina. Privo d’un centro ordinatore, l’occidente si è disfatto in una moltitudine di prospettive locali e isolate, mentre le invasioni di popolazioni barbariche minacciano non solo i resti della civiltà romana ma la stessa religione cristiana. Tutto è pervaso da una sensazione di perdita della cultura, di crollo della civiltà, di fine del mondo: ancor più nella periferica Gran Bretagna, essa stessa un estremo del mondo conosciuto. Sono i «secoli bui».

Il gioiello d'Alfredo[EN], che nella Ballata Alfredo getta ai piedi della Madonna

La storia ha inizio in medias res. L’Inghilterra è stata invasa dai pagani danesi, che seminano distruzione e si moltiplicano, impadronendosi di tutto. Alfredo, re d’un regno anglosassone, è solo, nascosto in una palude, affranto. Ha cercato di scendere a patti coi nemici, ha guidato la resistenza in molte battaglie, ma ogni sforzo è stato vano: i danesi sembrano invincibili. Nel momento della disperazione, ha una visione: gli appare la Madonna, che gli profetizza un futuro ancora più terribile, e insieme lo invita a una gioia e una speranza paradossali, anche di fronte all’avvenire più nero. La visione sparisce, e Alfredo resta solo, udendo soltanto le voci dei danesi, che cantano di atti scellerati.

Libro II: La raccolta dei capi[modifica | modifica wikitesto]

Alfredo parte alla ricerca di alleati per la sua battaglia, portando le parole della visione a tre capi locali, che mostrano la composizione multietnica dell'Inghilterra: Eldredo, un sassone della costa; Marco, un romano; e Colano, un principe celtico. I sentimenti con cui è accolto vanno dallo scetticismo deluso all'irrisione aperta; ma alla fine tutti accettano di aiutarlo.

Libro III: L'arpa d'Alfredo[modifica | modifica wikitesto]

Alfredo, sotto mentite spoglie, canta nell'accampamento nemico

Alfredo vaga da solo e suona l'arpa. Nella valle del Cavallo Bianco osserva con tristezza l'antica opera, che gl'invasori hanno abbandonato al decadimento. Una truppa di danesi ubriachi lo trova e, credendolo un cantore errante, lo conduce al loro accampamento.

Qui Alfredo, fingendosi un uomo comune, canta al cospetto dei capi danesi. Uno ad uno, poi, quelli cantano a loro volta, esprimendo ognuno la propria visione del mondo, in una sorta di scala filosofica in cui ognuno smentisce la visione di chi lo ha preceduto.

Il primo danese a cantare è Aroldo, il giovane nipote del re danese Gutrumo, che celebra l'edonismo e i piaceri terreni, irridendo Roma, che comandò il mondo ma senza gioirne, e gli uomini "effemminati" dal cristianesimo.

Segue quindi Elfo, un artista raffinato, che commuove i presenti con un racconto mitico e sentimentale, chiudendo sulla fragilità dell'amore e la sua bellezza tragica.

Viene poi Uggeri, guerriero anziano e rabbioso, che esprime una visione distruttiva, nichilistica e brutale, che trova gioia nella distruzione, il sacrilegio, il massacro.

È quindi il turno di Gutrumo, il re danese, anch'egli anziano, mostrato come un sapiente intellettuale. Con parole strazianti e bellissime, egli canta la visione dell'ateo colto e disilluso, che trova breve conforto nell'estasi della battaglia, ma sa che l'universo è vanità e la morte attende tutte le cose.

(EN)

«“For this is a heavy matter,
    And the truth is cold to tell;
Do we not know, have we not heard,
The soul is like a lost bird,
    The body a broken shell.

[...]

“There comes no noise but weeping
    Out of the ancient sky,
And a tear is in the tiniest flower
    Because the gods must die.»

(IT)

«Già, questa cosa ci grava il pensiero,
e, a pronunciarlo, è molto freddo il vero;
non sappiam, non abbiam forse udito?,
l’anima è come un uccello smarrito,
il corpo un guscio nemmeno più intero.

[...]

E lì tra tutti i rumori soltanto
giunge dal cielo antichissimo il pianto;
lacrima è già nel più piccolo fiore
perché persino un dio infine muore.»

Alfredo riprende l'arpa, e cantando con energia quasi irosa afferma il valore della fede cristiana di fronte alla vacuità e tristezza del paganesimo, nelle varie forme cantate dai danesi. Giunto alla fine, tace e si alza in piedi; i gufi ululano, mentre i danesi scoppiano in una lunga e fragorosa risata.

Libro IV: La donna nella foresta[modifica | modifica wikitesto]

L'episodio della donna in un'incisione ottocentesca
La battaglia di Collefrassino, su cui Alfredo riflette all'inizio del libro IV

Alfredo studia l'accampamento nemico e poi, nella notte, s'inoltra nella foresta verso il fiume, luogo stabilito per l'incontro coi suoi alleati. La foresta ha un che di misterioso e spaventoso, ricordando suggestivamente quasi una discesa agli inferi. Giunto sul posto, viene accolto da una donna povera, che lo scambia per un mendicante, e impietosita gli offre del cibo, se in cambio lui l'aiuterà a curare il fuoco. Alfredo, preso da grandi riflessioni su Dio e l'universo, si distrae e brucia il cibo: in uno scatto d'ira, la donna lo colpisce al volto, lasciandogli un segno rossastro. Alfredo per un istante è colto dalla rabbia e pensa di vendicarsi terribilmente; ma in quel momento arrivano le truppe degli alleati (gli uomini d'Eldredo, con animali e provviste; i celti di Colano, cupi e misteriosi come antiche statue; e le truppe multietniche di Marco, il cui ordine marziale ricorda la gloria di Roma), e la rabbia del re si scioglie in una risata. Dall'episodio trae una lezione d'umiltà, e dal fallimento invita al coraggio paradossale dei cristiani.

Libro V: Etanduna – Il primo scontro[modifica | modifica wikitesto]

Gutrumo, esperto stratega, prepara saggiamente la battaglia. I cristiani, nascosti nella foresta, dopo l'entusiasmo notturno sono presi da sconforto. Ognuno, secondo il carattere del proprio popolo, è triste di fronte alla prospettiva della morte imminente, e uno dopo l'altro parlano ad alta voce dei propri sentimenti e fanno una sorta di testamento.

Alfredo piange, e confessa colpe di gioventù, di violenza e lussuria.

Eldredo ricorda "colpe" che mostrano piuttosto la sua umanità buona e il suo cuore generoso, da uomo semplice lontano dalle questioni dei potenti.

Colano mostra ancora una volta il suo carattere orgoglioso, vedendo il proprio come il popolo originario di quelle terre e gli altri come invasori successivi; e richiama i misteri della natura e le radici pagane, in lui sincreticamente fuse con la nuova fede cristiana.

Ultimo, Marco, che con poche parole esprime l'universalismo della visione romana:

(EN)

«A proud man was the Roman,
    His speech a single one,
But his eyes were like an eagle’s eyes
    That is staring at the sun.

“Dig for me where I die,” he said,
    “If first or last I fall—
Dead on the fell at the first charge,
    Or dead by Wantage wall;

“Lift not my head from bloody ground,
    Bear not my body home,
For all the earth is Roman earth
    And I shall die in Rome.”»

(IT)

«Il romano era un uom d’indole altera,
parlava senza giri di parole,
ma il luccicare del suo sguardo era
quello dell’aquila che fissa il sole.

«Per me scavate laddove morrò,
sia se primo o se ultimo cadrò…
sia che il primiero assalto al suol mi spinga
o ch’io muoia appo i mur di Vanetinga;

la mia testa dal sangue al suolo spanto
non s’alzi, non portate la mia soma
a casa, poiché il mondo è tutto quanto
terra romana ed io morirò a Roma».»

L'esercito quindi si rimette in marcia, e cristiani e danesi si schierano in campo aperto, «nella terra prunosa d'Etanduna».

Aroldo viene avanti dal folto delle truppe, deridendo i celti per la povertà dei loro vestiti e il loro equipaggiamento, e afferrato un arco lancia una freccia contro Colano; ma il principe celtico, velocissimo, gli lancia addosso la spada arrugginita, colpendolo alla testa e uccidendolo sul colpo. Il primo sangue è versato, e tinge di rosso le margherite. Tutti sono meravigliati per il gesto di Colano; Alfredo lo vede come un atto simbolico del carattere cristiano, che «tira / il suo cuore oltre ciò ch’è conosciuto / per ottener ciò che il cuore desira»[4], e gli offre la sua spada regale. Per combattere, Alfredo prende una scure.

I nobili danesi hanno sguainato le spade, che splendono come fiamme attorno al comandante morto. Squillano le trombe: ha inizio la battaglia.

Libro VI: Etanduna - L'uccisione dei capi[modifica | modifica wikitesto]

Gli eserciti entrano in corpo a corpo. In una serie concitata di scontri, muoiono vari dei personaggi che abbiamo conosciuto. Eldredo è una forza travolgente che falcia file di soldati, ma la sua spada si spezza ed è ucciso dalla lancia magica d'Elfo, datagli dalle fanciulle del Reno[EN]. I soldati superstiziosi sono impauriti dalla magia, ma Marco, lucido e razionale, uccide Elfo con un colpo solo. Poi Uggeri carica Marco, che gli tiene testa e lo fa cadere a terra: ma la furia del danese è troppo grande, e colpisce a morte Marco. Uggeri si rialza trionfante e celebra la caduta di Roma, il venir meno dell'ordine mediterraneo di fronte all'avanzata distruttiva del paganesimo nordico, la cui discesa si chiude nichilisticamente con un balzo nel nulla alla fine del mondo. Dei capi cristiani, solo Alfredo e Colano rimangono: travolti dalla foga cieca dei danesi, sono costretti a indietreggiare, e si dividono dove il sentiero nel bosco si biforca. Ad Alfredo giunge, come una sensazione lontana, l'ultimo grido di Colano, come il corno d'Orlando a Carlomagno.

Libro VII: Etanduna - L'ultima carica[modifica | modifica wikitesto]

Torniamo a vedere, lontano, il Cavallo Bianco, presso il quale gioca con pazienza gioiosa un piccolo bambino, immagine simbolica di Dio. Dopo tanti secoli, Alfredo è ancora ricordato perché, dei capi cristiani, è quello che era più simile a quel bambino.

La battaglia s'è interrotta. I danesi sono accampati, tranquilli. I pochi cristiani superstiti sono nascosti a breve distanza. Alfredo suona il corno e li rinvigorisce con un breve discorso, sostenendo che è meglio morire per la libertà piuttosto che vivere una vita di sottomissione e nascondimento. I cristiani quindi si lanciano in un'ultima carica disperata. I danesi sono colti alla sprovvista, ma si riprendono. Sopra il tumulto della battaglia, Alfredo vede nuovamente la Madonna, col cuore trafitto da sette spade, e una spada nella mano. Alfredo e Uggeri si scontrano, e Alfredo lo uccide. Le sorti della battaglia sembrano mutare: i cristiani paiono in vantaggio. È squarciata l'insegna col corvo d'Odino: per la prima volta, negli occhi sapienti di Gutrumo compare il dubbio, un'immenso dubbio che mette in discussione tutto. Dal cavallo mena colpi come sempre: ma le redini vengono afferrate da un soldato cristiano. La scena sfuma, fra immagini del bosco, la concitazione, il massacro: Gutrumo è segnato con la croce.

Libro VIII: La sfregatura del Cavallo[modifica | modifica wikitesto]

La Ballata, in coerenza con le fonti storiche, descrive Alfredo come un uomo intellettuale

Nel finale, la narrazione salta in avanti di qualche anno. Gutrumo si è convertito al cristianesimo, e per i danesi è costituito un regno nordoccidentale in terra inglese.

Vediamo gli anni di pace passare velocemente sotto il regno d'Alfredo. C'è un grande lavoro di riforma, e per l'Inghilterra è un'epoca prospera di sviluppo, arricchimento, cultura, esplorazione.

I nobili invitano Alfredo a ridiscendere in campo, replicando la vittoria d'Etanduna ed espandendo la propria sovranità nel settentrione della Gran Bretagna. Ma il re, invecchiato precocemente, li mette in guardia dalle tentazioni dell’imperialismo e dall’idea d'ottenere una vittoria conclusiva.

(EN)

«“When all philosophies shall fail,
    This word alone shall fit;
That a sage feels too small for life,
    And a fool too large for it.

“Asia and all imperial plains
    Are too little for a fool;
But for one man whose eyes can see
The little island of Athelney
    Is too large a land to rule.»

(IT)

«Ogni filosofia sarà fallita,
ma questo ognor fia vero: per la vita
il saggio troppo piccolo si sente,
e invece troppo grande l’insipiente.

L’Asia tutta e ogni impero che si spande
per lo sciocco son cosa troppo stretta;
ma per l’uomo i cui occhi han vista retta,
d’Adelingia la piccola isoletta
per governarla è terra troppo grande.»

Il Cavallo Bianco di Uffington, che dà il titolo alla Ballata

Il male infatti non è mai sconfitto una volta per tutte, essendo parte intrinseca del mondo, bensì bisogna vigilare per tenerlo costantemente a bada: un lavoro simboleggiato nuovamente dalla figura del Cavallo Bianco, che ha bisogno di periodici restauri per rimanere visibile.

Alfredo profetizza un futuro remoto (l'epoca moderna) in cui il paganesimo ritornerà, non più nella forma d'invasori armati con ferro e fuoco, ma in quella di dottrine intellettuali, che riducono l'uomo a cieco ingranaggio, privo di libertà: materialismo, fatalismo, eugenetica, scientismo, determinismo...

(EN)

«“When is great talk of trend and tide,
    And wisdom and destiny,
Hail that undying heathen
    That is sadder than the sea.»

(IT)

«Quando si fa d’un destino sicuro
e tendenze e saggezza un gran parlare,
salutate il pagano imperituro
che nel suo cuore è più triste del mare.»

Nella sua visione, Alfredo non vede come tornerà il cristianesimo, come torneranno cavalleria e carità; ma comunque, pur nel dubbio, non si sottrae alla battaglia.

Alfredo parte per contrastare una nuova minaccia danese a oriente, e da lontano giungono vaghe notizie della presa di Londra; ma l’erba e le piccole piante sono ignare di guerre e conquiste remote, e crescono tranquille, coprendo a poco a poco, silenziosamente, il Cavallo Bianco.

Temi[modifica | modifica wikitesto]

La Ballata è un'opera dai molti temi e significati, che vengono trattati dall'autore in parte in modo implicito, tramite la narrazione delle vicende, e in parte in modo esplicito, tramite le sezioni dialogiche e i pensieri dei personaggi (come l'ampia riflessione d'Alfredo nel libro IV).

Uno dei temi principali è l'ineluttabilità del ritorno del male, dell'ignoranza, del decadimento, e alla fine della morte, e di come il cristianesimo inviti l'uomo vivo a una speranza e a un'azione paradossali.

Varie questioni filosofiche e religiose della Ballata sono trattate dall'autore anche in opere di saggistica, come Eretici e Ortodossia.

La Ballata è stata studiata e commentata, sia in sé sia nel contesto più ampio delle opere di Chesterton[7].

Sviluppo[modifica | modifica wikitesto]

Chesterton fu un autore estremamente produttivo e veloce, che scriveva quasi di getto, facendo poco lavoro di revisione, capace di pubblicare anche quattro o cinque libri all'anno, oltre a una fiumana d'articoli per giornali, contributi ad altri libri, poesie, eccetera.

Nella sua produzione, La ballata del Cavallo Bianco spicca come un'anomalia, per il suo sviluppo (durato circa un decennio), la ricerca e la cura dei dettagli. Nel 1907 Chesterton aveva pubblicato un Frammento d’una ballata epica su «Alfredo», già molto vicino al testo definitivo: confrontando col testo finale, si nota come il lavoro di limatura del poeta, con solo lievi cambiamenti lessicali e di punteggiatura, renda il prodotto finale più maturo, raffinato.[8]

Maisie Ward[EN], amica e poi biografa di Chesterton, e padre John O'Connor[EN], suo amico e ispirazione per il personaggio di padre Brown, riportano entrambi, pur in modo un po' diverso, che un'ispirazione per il poema sarebbe venuta a Chesterton in sogno, nella forma di una preghiera che nella versione finale della Ballata si trova nel libro V[9].

Accoglienza[modifica | modifica wikitesto]

La ballata del Cavallo Bianco è generalmente considerata uno dei lavori più belli e preminenti della vasta produzione poetica di Chesterton. Secondo Dale Ahlquist, importante studioso di Chesterton, è possibile che lui la considerasse la propria opera migliore[10].

La Ballata di Chesterton è a volte confrontata con La ballata del vecchio marinaio di Coleridge. Secondo Maurice Baring, Chesterton racconta una storia vivida come Coleridge ma senza lasciare che sia il racconto da solo a portare il tema, e per questo l'opera di Chesterton sarebbe meno «autentica». Secondo Garry Wills, invece, su questo punto il Cavallo Bianco

«ha un’indiscutibile superiorità. Il tema di Coleridge non è più complesso o più ispirato di quello di Chesterton, ma è meno “popolare”. Chesterton costruisce a partire dal sentimento popolare, come deve fare una ballata; […] coglie di nuovo […] il momento in cui le ballate primitive furono intessute insieme per diventare epica nazionale.[11]»

Secondo Wills la Ballata è «un capolavoro trascurato di poesia narrativa»[12].

Maurice Evans, nel suo studio su Chesterton, scrive che La ballata del Cavallo Bianco è «certamente» la sua miglior opera poetica[13]. Evans ragiona dettagliatamente delle poesie di Chesterton, senza risparmiare critiche e stroncature; ma afferma che la Ballata «gli darà un posto permanente tra gli scrittori di narrativa»[14].

Mentre un critico, pur lodando il poema, ne trovava eccessiva la lunghezza, il poeta e premio Pulitzer inglese Wystan Hugh Auden rispose che gli sembrava appropriata, e che, per esempio, il confronto filosofico cantato del libro III «non si sarebbe potuto condensare ulteriormente senza perdite»[15].

Sono state osservate affinità tra l'opera di Chesterton e quella di J. R. R. Tolkien, al punto che si è ipotizzato che la Ballata gli sia stata d'ispirazione, ma si è successivamente scoperto che al contrario Tolkien dava della Ballata un giudizio assai negativo: in una lettera inviata al figlio nel 1944, scrisse che «[i]l finale è assurdo. Il luccichio e il fracasso delle parole ed espressioni [...] non possono nascondere il fatto che GKC non sapesse niente di niente riguardo al "nord", pagano o cristiano». Nonostante questo, Joseph Pearce[EN] concorda con Christopher Clausen nel dire che c'è almeno un'influenza indiretta di Chesterton su Tolkien, e che «ci sono collegamenti d'affinità chiaramente individuabili fra i due uomini»[16].

Traduzioni in italiano[modifica | modifica wikitesto]

La ballata del Cavallo Bianco è stata pubblicata in italiano in due traduzioni, quella di Annalisa Teggi[17] e quella di Giulio Mainardi[18].

La traduzione della Teggi usa versi liberi, traducendo quasi parola per parola.

La traduzione di Mainardi, seguendo le idee dell'autore, «notoriamente contrario al verso libero»[19], cerca maggior fedeltà non solo alla lettera ma anche allo spirito del testo, e usa forme metriche tradizionali (endecasillabi canonici rimati) e un linguaggio poetico con tocchi anticheggianti, come la lingua dell'originale inglese.

Un esempio delle due modalità, per la strofa 5 della dedica:

Originale inglese Traduzione della Teggi[20] Traduzione di Mainardi[21]
Stiff, strange, and quaintly coloured
    As the broidery of Bayeux
The England of that dawn remains,
And this of Alfred and the Danes
Seems like the tales a whole tribe feigns
    Too English to be true.
A tinte forti, bizzarre e pittoresche,
come i ricami sull’arazzo di Bayeux,
così l’Inghilterra degli albori resiste,
e questa trama di Alfred e dei Danesi
sembra il racconto che raccoglie la tribù,
troppo inglese per essere vero.
Rigida, strana, e dai colori accesi
come il ricamo di Baioca, resta
di quegli albori l’Inghilterra, e questa
vecchia storia d’Alfredo e dei danesi
par concepita dalla tribù intera,
troppo inglese per esser veritiera.

Edizioni[modifica | modifica wikitesto]

Elenco parziale.

In italiano[modifica | modifica wikitesto]

  • G. K. Chesterton, La ballata del cavallo bianco, traduzione e note di A. Teggi, 3ª edizione, Rimini, Raffaelli, 2013.
  • G. K. Chesterton, La ballata del Cavallo Bianco, traduzione e note di G. Mainardi.

In inglese[modifica | modifica wikitesto]

  • G. K. Chesterton, The Ballad of the White Horse, edited by B. Sheridan, San Francisco, Ignatius, 2001.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Chesterton, p. xx.
  2. ^ Chesterton, p. xx.
  3. ^ Chesterton, p. xx.
  4. ^ Chesterton, p. xx.
  5. ^ Chesterton, p. xx.
  6. ^ Chesterton, p. xx.
  7. ^ Chesterton, p. xx.
  8. ^ Chesterton, p. xx.
  9. ^ Chesterton, p. xx.
  10. ^ Ahlquist.
  11. ^ Chesterton, p. xx.
  12. ^ Sheridan, p. xxix.
  13. ^ Evans, p. 120.
  14. ^ Evans, pp. 132–133.
  15. ^ Sheridan, p. xxix.
  16. ^ Milne, pp. 38–39.
  17. ^ Teggi.
  18. ^ Chesterton.
  19. ^ Chesterton, p. xx
  20. ^ Teggi, p. 25
  21. ^ Chesterton, p. xx

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

[[Categoria:Opere di Gilbert Keith Chesterton] [[Categoria:Poemi epici]

appoggio 2[modifica | modifica wikitesto]

Mondo arabo/mussulmano[modifica | modifica wikitesto]

Voci non in italiano da mettere a posto

Fatte[modifica | modifica wikitesto]

Da fare[modifica | modifica wikitesto]

Altre cose[modifica | modifica wikitesto]

(EN)

«A proud man was the Roman,
    His speech a single one,
But his eyes were like an eagle’s eyes
    That is staring at the sun.

“Dig for me where I die,” he said,
    “If first or last I fall—
Dead on the fell at the first charge,
    Or dead by Wantage wall;

“Lift not my head from bloody ground,
    Bear not my body home,
For all the earth is Roman earth
    And I shall die in Rome.”»

(IT)

«Il romano era un uom d’indole altera,
parlava senza giri di parole,
ma il luccicare del suo sguardo era
quello dell’aquila che fissa il sole.

«Per me scavate laddove morrò,
sia se primo o se ultimo cadrò…
sia che il primiero assalto al suol mi spinga
o ch’io muoia appo i mur di Vanetinga;

la mia testa dal sangue al suolo spanto
non s’alzi, non portate la mia soma
a casa, poiché il mondo è tutto quanto
terra romana ed io morirò a Roma».»


Sportello informazioni

[ Rientro] Tornando alla questione di partenza, vi propongo le cose seguenti:

  • Nella tabella, riportare nella colonna di sinistra sia la legatura sia la scrittura con archetto, separate con una virgola e uno spazio (es. «ʦ, t͡s»). Nelle note, spiegare la faccenda con tutti i vari dettagli necessari, aggiungendo che oltre alle due grafie si può trovare anche una terza senz'archetto, ambigua/«ortografica». Spiegare la logica diversa delle trascrizioni foniche e fonematiche, al momento confuse nella nota attuale. Un accenno ai due modi (mono- e bifonematico) d'interpretare le doppie in italiano e all'accento.
  • Nelle trascrizioni impiegate nelle voci, farei la scelta "coraggiosa" ma razionale e comoda di seguire il DiPI (e indirettamente il DOP) e usare le legature, dandone adeguata spiegazione. Mi sembra la soluzione più logica, facile e chiara per tutti, a prescindere dalla competenza linguistica.
  • Circa la divisione sillabica per l'accento fonematico, non ho idee forti, essendo una pura convenzione; dal punto di vista logico, la migliore è quella del Devoto-Oli, ma è anche la meno intuitiva. (Ancora meglio, ovviamente, sarebbe accentare direttamente la vocale).

Nel caso approviate entrambi questi punti, la nota 1 potrebbe essere riscritta così:

Proposta di riscrittura della nota 1
Consonanti doppie

Foneticamente, le consonanti doppie si trovano interpretate (e dunque trascritte graficamente) come due fonemi in sequenza (/CC/) o come un unico fonema lungo (/Cː/): per esempio fatto trascritto come /ˈfatto/ o /ˈfatːo/. Nella versione di Wikipedia in lingua italiana si è convenuto di seguire la prima interpretazione, che appare più diffusa[2] e più giustificabile dal punto di vista teorico[3].

Consonanti affricate

Le consonanti affricate si possono trovare indicate con una legatura (per esempio: marcia /ˈmarʧa/), oppure coi due caratteri distinti e congiunti da un archetto sopra o sotto (/ˈmart͡ʃa/, /ˈmart͜ʃa/) oppure ancora coi due caratteri distinti senza nessun archetto (/ˈmartʃa/).

La scrittura in caratteri disgiunti senz'archetto può essere causa di ambiguità ed è discutibile in linea di principio: il fonema /ʧ/ non equivale al fonema /t/ seguito dal fonema /ʃ/, e lo stesso vale per le altre affricate. Un'ulteriore complicazione viene da una frequente confusione fra foni e fonemi nella rappresentazione delle affricate geminate: si possono trovare trascrizioni come «/ˈfattʃa/» per faccia, con grafia ripresa dalla trascrizione fonetica [ˈfattʃa]. Una scrizione come «/ttʃ/» per /ʧʧ/ è poco giustificabile fonematicamente e logicamente, non corrispondendo a una sequenza /t/ + /t/ + /ʃ/ e avvicinandosi quindi alle «ortografie» delle lingue naturali, nelle quali le lettere rappresentano fonemi diversi a seconda di come sono combinate. Alla confusione fra foni e fonemi si aggiunge la difficoltà tipografica di inserire l'archetto nei moderni testi digitali, per cui è frequentemente omesso.

Le legature non fanno più parte dell'AFI ufficiale secondo l'Associazione Fonetica Internazionale, ma continuano a essere usate in fonti lessicografiche importanti[4].

In considerazione del fatto che le legature consentono una rappresentazione immediata e univoca dei fonemi, senza le difficoltà concettuali e tipografiche delle altre soluzioni, nella Wikipedia di lingua italiana si è convenuto di usarle come soluzione preferenziale per la rappresentazione dei fonemi.

Accento fonematico

Per l'indicazione dell'accento fonematico, il sistema dell'AFI ufficiale odierno prevede la divisione in sillabe obbligatoria, anche se la sillabazione è un fenomeno non fonematico ma solo fonetico, in italiano come in altre lingue. Fonematicamente, in italiano l'accento riguarda non la sillaba ma la singola vocale accentata (per esempio: bastione /bastjo̍ne/[5]). A causa di quest'incoerenza di fondo, nel sistema ufficiale non si può individuare una «soluzione giusta» per la divisione in sillabe «fonematica», e a seconda delle fonti si possono trovare usate con tale funzione sia la sillabazione fonetica (/bas'tjone/[6]) sia quella ortografica (/ba'stjone/[7]), o, ancora, il separatore sillabico (⟨'⟩) può essere usato per segnalare l'accento indipendentemente da qualsiasi sillabazione (/bastj'one/[8]). La Wikipedia di lingua italiana ha convenuto di usare [XX quello che decidiamo XX].


  1. ^ Chesterton, p. xx.
  2. ^ Ugualmente usata, pur nella diversità dell'approccio e dei sistemi grafici scelti, dal DOP e dal DiPI, i principali dizionari di pronuncia italiani d'oggi: Migliorini et al., Canepari.
  3. ^ Muljačić, § 15 (Le consonanti geminate), pp. 62–70.
  4. ^ Canepari; Devoto-Oli, citare edizione
  5. ^ Cfr. la notazione usata da Muljačić.
  6. ^ Luciano Canepari, bastione, in Il DiPI: dizionario di pronuncia italiana, Bologna, Zanichelli, 2009, ISBN 978-88-08-10511-0.
  7. ^ Bastione, in Treccani.it – Sinonimi e contrari, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 22 novembre 2023.
  8. ^ Sistema usato dal dizionario Devoto-Oli, citare edizione.

Ripensandoci, probabilmente è più pratico riportare il tutto non nella nota ma direttamente come testo normale sotto la tabella. Ditemi che ne pensate. FIRMA

appoggio 2[modifica | modifica wikitesto]

AFI AFI afi AFI AFI afi

MAIUSCOLETTO SIM. / minuscolo


Una tura per la costruzione del pilastro d'un ponte in Germania nel 2015

Una tura è una struttura provvisoria per mettere all'asciutto un tratto di terreno sommerso, per esempio allo scopo di eseguire le fondazioni di un fabbricato o di un manufatto.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

  • Tura, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 29 aprile 2023.
  • Tura, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 29 aprile 2023.


Esempio di pseudoanglicismo in Italia: la locuzione green pass, usata per identificare il Certificato COVID digitale dell'UE. L'espressione non è usata nel mondo anglofono, ma è stata coniata dai media israeliani, e preferita dai media italiani a locuzioni italiane (es. certificazione verde, certificato vaccinale) o mistilingui (es. pass verde).[1] Questa espressione non è stata adottata da tutta l'italofonia: per esempio, in Svizzera sono in uso espressioni quali certificato COVID.[2]

Il termine itanglese viene definito dal dizionario Hoepli come «la lingua italiana usata in certi contesti ed ambienti, caratterizzata da un ricorso frequente e arbitrario a termini e locuzioni inglesi».[3]

In modo analogo a quanto accaduto con fenomeni simili in altre lingue – i cosiddetti spanglish, franglais e denglish (anche denglisch o germish), per citare i più noti – lo sviluppo dell'itanglese ha suscitato l'interesse dell'opinione pubblica e dei linguisti.

Denominazione[modifica | modifica wikitesto]

Oggi il termine più comune per indicare il fenomeno è itanglese, parola macedonia da ita(liano) e (i)nglese. Sono stati usati (o lo sono tuttora, in misura minore) anche altri termini, tutti di struttura sostanzialmente analoga, come incroci delle parole italiano e inglese: italese[4], italglese[5], italianese[6], italiese[7][8], itangliano[9]. Gabriele Valle, linguista attivo sul tema e critico nei confronti dell'itanglese, usa preferibilmente (scrivendo in italiano) il termine inglese itanglish[10][11], analogamente composto di ita(lian) "italiano" e (e)nglish "inglese".

Fenomeno[modifica | modifica wikitesto]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Fino alla seconda guerra mondiale gli anglicismi ebbero un peso relativamente limitato nell'italiano, e furono per la maggior parte integrati nel sistema linguistico attraverso traduzioni, equivalenti, o adattamenti quali calchi o italianizzazione della pronuncia. Un ruolo importante rivestirono anche la mediazione del francese nella ricezione degli anglicismi, così come la politica linguistica operata dal regime fascista in Italia, da cui rimase escluso l'italiano svizzero. Nel secondo dopoguerra, in seguito alla vittoria alleata e alla presenza anglo-americana in Italia, gli anglicismi ebbero una forte ripresa per quantità e conobbero cambiamenti qualitativi, come l'assenza di mediazione del francese, un maggiore ingresso di forme non adattate, un maggiore ruolo del parlato rispetto allo scritto, con una relativa maggiore aderenza alla pronuncia (a differenza di prestiti come l'ottocentesco tunnel, che adottavano la pronuncia italiana)[12].

Aspetti socioculturali[modifica | modifica wikitesto]

Osservando che le lingue non si impongono solo per caratteri intrinseci (maggior funzionalità, efficacia, brevità, ecc.) ma soprattutto per fattori esterni (influenza economica, militare, culturale di un popolo più potente), alcuni studiosi, in maniera più o meno marcata, hanno voluto porre l'accento sul fatto che il fenomeno non può essere ridotto a una prospettiva prettamente linguistica interna all'italofonia, ma va inquadrato in un campo più ampio di relazioni di carattere socioculturale, politico ed economico tra l'Italia e il mondo anglosassone[13][14][15][16]. L'itanglese si configura sotto certi aspetti come un fenomeno che si rafforza da solo, per cui una diffusione maggiore degli anglicismi nella lingua fa percepire più prestigioso e centrale il mondo anglosassone, e questa percezione, a sua volta, spinge gli italofoni ad adottare sempre più anglicismi[17]; inevitabilmente, a questo processo si accompagna, simmetricamente, un sentimento di disamore e disistima degli italofoni per la loro lingua stessa[18][19].

Va anche considerato che il fenomeno della penetrazione dell'inglese nell'italiano, rispetto a quanto avviene nelle altre grandi lingue romanze (spagnolo, francese, portoghese) è tanto più intenso e diverso da costituire oggi di fatto un'«anomalia» all'interno della famiglia linguistica romanza[20][21].

Studi al riguardo[modifica | modifica wikitesto]

Un primo approccio sistematico allo studio dell'intrusione di termini inglesi nell'italiano apparve alla fine degli anni '70 del Novecento, con la pubblicazione della monografia intitolata Parliamo itang'liano. Ovvero le 400 parole inglesi che deve sapere chi vuole fare carriera, a opera di Giacomo Elliot (probabile pseudonimo di Roberto Vacca).[22][23] Il testo ricevette una accorata recensione di Primo Levi, e coniò il termine «itangliano», che divenne il primo usato per descrivere la crescente pervasività dell'inglese in molti settori della lingua italiana.[9][24] In ambito accademico, il primo a trattare in modo diffuso e approfondito il tema fu il linguista Arrigo Castellani, che sull'itanglese centrò l'articolo scientifico Morbus anglicus, pubblicato nel 1987 sulla rivista Studi linguistici italiani. Lo studioso non riprese il termine itangliano, ma si avvalse, appunto, dell'espressione latina Morbus anglicus, per equiparare il fenomeno a un morbo, una malattia.[25]

Dopo un lungo periodo di scarsa attenzione, il tema è tornato al centro dell'attenzione pubblica italiana tra il 2009 e il 2013, in seguito all'iniziativa della Agenzia Agostini Associati SRL, una società privata di traduzione che ha lanciato la campagna Stop Itanglese, dichiarando di volere sensibilizzare l'opinione pubblica sull'uso superfluo di parole inglesi in italiano, e accompagnandola con una serie di iniziative accessorie, come il Codice Itanglese, la classifica degli anglicismi più usati e la proposta di traducenti italiani per molti anglicismi.[26][27] Il termine «itanglese» è stato rapidamente ripreso e diffuso dagli studiosi e dai mezzi di comunicazione, e così associato in modo stabile al fenomeno.[28][29][30] Un'ulteriore iniziativa è stata lanciata dalla pubblicitaria ed esperta di comunicazione Annamaria Testa: la petizione Un intervento per la lingua italiana, che ha chiesto a Governo, amministrazioni pubbliche, media e le imprese di limitare l'uso degli anglicismi, ha raccolto in breve tempo oltre 70.000 firme e ottenuto l'appoggio della Accademia della Crusca.[31][32][33] Più nota come Dillo in italiano, a causa del relativo hashtag con cui si è pubblicizzata sulle reti sociali, ha raccolto un'importante eco mediatica, ravvivando il dibattito pubblico tra favorevoli e contrari agli anglicismi.[34][35][36] Nell'appoggiare tale petizione la Crusca, attraverso il suo presidente Claudio Marazzini, ha inoltre espresso l'intenzione di occuparsi in modo più mirato del tema, verificando la circolazione di neologismi e, in caso di anglicismi o altri forestierismi, valutando la possibilità di sostituirli con termini italiani.[33] A questo scopo alla fine del 2015 la Crusca ha istituito il Gruppo Incipit, un osservatorio sui neologismi e forestierismi incipienti che ha il compito di monitorare ed esprimere pareri sui nuovi forestierismi impiegati in ambito politico, comunicativo e sociale, suggerendo alternative in italiano tramite i propri comunicati stampa.[37][38][39] Il gruppo si è formato in seguito al convegno della stessa Accademia dal titolo La lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli anglicismi.[40]

In seguito a tali iniziative, il tema dell'uso e abuso degli anglicismi ha acquisito e mantenuto una certa visibilità sui mezzi di comunicazione di massa, contando su una crescente produzione di scritti accademici ed editoriali[41][42][43][44][45][46][47]. Nell'indifferenza dei media, nel 2018 il Dipartimento per le politiche europee del governo italiano ha attivato il servizio EuroParole, dotato di un proprio sito, nel quale gli anglicismi più frequenti usati nei siti del governo vengono presentati con il corrispondente termine italiano e spiegati brevemente nell'uso, con fonti e occorrenze.[48][49] Nel 2019 lo stesso Dipartimento ha poi lanciato l'iniziativa sulle reti sociali per «individuare delle #EuroParole che consentano una comprensione più facile e più diretta di concetti spesso lontani dal sentire comune» come fiscal compact, quantitative easing, hotspot e Geoblocking per una loro corretta traduzione in italiano.[50] Negli ultimi anni, di fronte a quella che è percepita come una generale indifferenza o acquiescenza da parte delle istituzioni e del dibattito pubblico, si sono infine aggiunte iniziative dal basso[51], di frequente attraverso la creazione di siti, portali, blog, gruppi e comunità sulle reti sociali che invitano alla discussione sull'uso degli anglicismi in italiano, spesso assumendo esplicitamente una posizione favorevole o contraria.

In Svizzera, paese plurilingue in cui l'italiano è lingua nazionale e ufficiale a livello federale e cantonale, l'uso di anglicismi è stato oggetto di numerose riflessioni e iniziative da parte di tutte le comunità linguistiche, inclusa quella italiana.[52][53] Oltre ad azioni volte a promuovere l'italiano in tutto il paese, e ad evitare che l'insegnamento dell'inglese come lingua straniera rimpiazzi quello delle altre lingue nazionali, le amministrazioni federali e cantonali e le associazioni civiche elvetiche promuovono da tempo iniziative per un minor uso di anglicismi nella comunicazione istituzionale.[54][55][56][57] L'esito favorevole di alcune di esse porta all'adozione di termini italiani che sono invece espressi con prestiti inglesi dalle istituzioni e dai media italiani: come nel caso di question time, che nell'italiano svizzero è l'«ora delle domande».[58][59][60]

Indagini settoriali[modifica | modifica wikitesto]

I risultati della prima rilevazione condotta dall'Agenzia Agostini sono stati pubblicati nel 2009, e si basano sull'analisi di un campione di 58 milioni di parole prodotte da 200 aziende italiane appartenenti a 15 diversi settori. Il campione è stato ricavato da documenti in italiano prodotti dalle imprese in due diversi anni, il 2000 e il 2008, e rappresentativi di varie funzioni aziendali (marketing, finanza, risorse umane, produzione, acquisti). La comparazione dei due anni ha rilevato nel 2008 un incremento nell'uso di termini inglesi nei documenti pari al 773%.[61][62] L'azienda ha poi ripetuto la rilevazione nei sei anni successivi, a cadenza biennale, impiegando un campione analogo di imprese e documenti che hanno costituito i corpus linguistici analizzati. La seconda indagine ha analizzato i documenti prodotti nel biennio 2009-2010, riportando un incremento del +223% degli anglicismi.[63] La terza indagine, svolta per gli anni 2010-2011, ha evidenziato una crescita degli anglicismi pari al 343%.[64] La crescita a tre cifre è stata confermata anche dalla quarta indagine, condotta sugli anni 2012-2013, rilevando un aumento del 440% degli anglicismi impiegati nei documenti aziendali.[65]

Incidenza sul lessico[modifica | modifica wikitesto]

La presenza di parole straniere nell'italiano è secoli oggetto di studio dei linguisti, benché l'interesse accademico non si traduca necessariamente in una presa di posizione sul tema o in una richiesta di politiche linguistiche. Uno dei moderni metodi con cui gli studiosi stimano il peso dei forestierismi nel lessico di una lingua è l'analisi della loro incidenza nei dizionari – dell'uso, storici, etimologici o specializzati. L'analisi dell'incidenza produce stime che possono variare sia in base al dizionario usato che alla definizione patrimonio lessicale totale: infatti, la definizione del patrimonio lessicale può includere solo i lemmi propriamente detti, oppure includere anche delle alterazioni di lemmi principali (es. diminutivi, accrescitivi, vezzeggiativi, dispregiativi) che vengono normalmente trattate come entità lessicali non autonome – i cosiddetti sottolemmi.[66][67]

Agli inizi degli anni '60, nel suo libro Storia linguistica dell’Italia unita (1963), il linguista Tullio De Mauro analizzò un campione di 500 vocaboli e calcolò che i forestierismi non adattati in italiano ammontassero all'1,4% del patrimonio lessicale totale (pari a 7 forestierismi nel campione analizzato).[68] Nonostante De Mauro non si riferisse specificamente ai soli prestiti di origine inglese, una successiva analisi stimò che negli stessi anni gli anglicismi contribuissero a circa un terzo del totale dei forestierismi, aggirandosi tra lo 0,5 e l'1% del lessico dell'italiano.[69] In uno studio specialistico condotto quasi dieci anni dopo, Influssi inglesi nella lingua italiana (1972), il linguista serbo Ivan Klajn registrò un moderato incremento, identificando 1.600 anglicismi non adattati, pari a poco più dell'1% del totale del patrimonio lessicale.[70]

Nell'arco dei successivi 30 anni, le fonti lessicografiche registrarono un ulteriore aumento dei numeri assoluti, sebbene questo si traducesse in una crescita limitata in termini percentuali: nel 1997, il Dizionario di Italiano Sabatini-Coletti (DISC) censiva 2.083 anglicismi, pari a circa il 2% del totale, con numeri e progressioni superiori a quelli del Vocabolario della lingua italiana del 1997 di Treccani – 1.911 lemmi, pari all'1,5% – ma simili a quelli registrati dallo Zingarelli 2000 – 2.055 lemmi, poco meno del 2%.[71]

In due differenti studi sui forestierismi, condotti sui dizionari Zingarelli e Devoto-Oli, il linguista Antonio Zoppetti rileva una crescita ancora più rilevante dei prestiti inglesi non adattati nel nuovo millennio.[72] L'analisi sul Devoto-Oli 2017 rileva 3.522 anglicismi crudi, di cui circa il 6% (215) adottati entro la fine del XIX secolo, oltre il 67% (2.376) nel XX secolo e poco meno del 15% (509) nelle prime due decadi del XXI secolo. Lo studio evidenzia in particolare:[73]

  • come gli anglicismi, quasi assenti fino alla fine dell'800, siano entrati massicciamente e a un ritmo crescente nel corso del XX secolo. Difatti, oltre il 73% dei prestiti inglesi entrati nel '900 è attestato nella seconda metà del secolo;
  • che i 509 anglicismi registrati tra il 2000 e il 2017 rappresentano quasi la metà dei neologismi del XXI secolo (509 su 1.049 nuovi lemmi), ed evidenziano un afflusso sostenuto, con una media di trenta all'anno.

L'analisi dello Zingarelli, generalmente meno aperto del Devoto-Oli all'accoglimento dei termini inglesi, registra 1.811 anglicismi crudi nel 1995, 2.055 nel 2000, 2.219 nel 2004, 2.318 nel 2006, e 2.761 nel 2017.[74][75] Anche questo studio rileva come i prestiti non adattati dall'inglese costituiscano quasi la metà dei neologismi registrati nel nuovo millennio, confermando i risultati di una precedente indagine condotta nel 2016 dal linguista Giuseppe Antonelli.[76] In questo secondo studio, Zoppetti evidenzia inoltre che:[74]

  • gli ibridismi composti da elementi italiani e inglesi – per esempio verbi parzialmente italianizzati quali speakerare, bloggare, surfare, twittare – sono esclusi dal computo degli anglicismi crudi nel suo studio. Di conseguenza, l'incidenza degli anglicismi è calcolata per difetto, e classificazioni più restrittive stimerebbero valori maggiori;
  • ipotizzando un tasso di crescita annuale costante, e uguale a quello rilevato in questa analisi, si può stimare un'entrata di 1419 nuovi anglicismi entro il 2050, che porterebbe il totale a 4180, pari al 3,9% del patrimonio lessicale totale;
  • lo stimare l'incidenza degli anglicismi sull'intero patrimonio lessicale, generalmente adottata negli studi precedenti e mantenuta nella sua analisi, contribuisce a sottovalutare il fenomeno. Poiché i linguisti sono concordi nel riconoscere che la quasi totalità degli anglicismi sono sostantivi, egli propone un'analisi concentrata sui soli sostantivi e stima un'incidenza di lemmi inglesi pari al 3,5% nel 1995 e al 4,6% nel 2017, prevedendo un aumento al 6,9% nel 2050 (a parità di condizioni).

Manifestazioni del fenomeno[modifica | modifica wikitesto]

Ibridazione[modifica | modifica wikitesto]

Esempi evidenti di itanglese si possono riscontrare nei linguaggi settoriali dell'informatica, dello sport, e più in generale in ambito aziendale. In tali settori all'uso consistente di anglicismi crudi, anche quando l'italiano prevede una o più valide alternative, si affiancano veri e propri neologismi ibridi fra le due lingue (ibridismi), percepiti e usati come tecnicismi.[77][78][79] In alcuni casi, i verbi italianizzati derivano non dal verbo inglese, ma da un sostantivo a sua volta non tradotto in italiano. In inglese, e specialmente nell'uso americano, i sostantivi possono infatti essere utilizzati come verbi. Ad esempio, committare non viene usato con il significato di "impegnarsi" (il significato letterale del verbo to commit) ma, in ambito informatico, nel senso di "eseguire l'azione di commit", ovvero creare una nuova versione su un sistema di gestione condivisa di codice sorgente. La tabella seguente fornisce un elenco non esaustivo di ibridismi:

ibridismo origine in inglese equivalente italiano
bootare to boot (the Operating System; the OS) avviare (il sistema operativo; l'SO)
buyare to buy comprare
bypassare to bypass aggirare
committare commit (operation) controllo (di versione)
implementare to implement attuare; porre in opera
killare to kill uccidere; terminare
matchare to match abbinare; appaiare
schedulare to schedule pianificare; programmare
splittare to split suddividere
startare to start iniziare; cominciare
switchare to switch commutare; scambiare

Pseudoanglicismi[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Pseudoanglicismo.

Un fenomeno correlato è quello degli pseudoanglicismi, ovvero di quei cloni presi in prestito dall'inglese che hanno subito una traslazione di senso quando non addirittura una vera e propria invenzione di nuovi significati. La tabella seguente presenta una lista non esaustiva di pseudoanglicismi, chiarendone il significato in italiano e riportando il termine inglese corretto:

pseudoanglicismo significato inglese corretto
box autorimessa, garage garage
mister allenatore coach
recordman primatista record holder
slip mutanda sgambata briefs
smart working lavoro agile remote work; work from home

A volte lo pseudoanglicismo presenta scostamenti di senso più sottili, ma comunque errati, dal termine originale inglese: è il caso di election day, usato in italiano «giornata con più consultazioni elettorali in contemporanea», mentre in inglese intende genericamente una giornata elettorale, a prescindere dal numero di elezioni che vi si svolgono.[80][81]

Doppiaggese[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Doppiaggese.

Il doppiaggese è un altro analogo e ben noto fenomeno di interferenza morfosintattica esercitata dall'inglese sulla lingua italiana, veicolato dai prodotti commerciali della cultura di massa. Si tratta di una variante che compare in alcuni film come risultato del doppiaggio.[82][83] Questa variante è caratterizzata da un linguaggio fortemente influenzato dalla lingua di partenza – la lingua "straniera" parlata dagli attori nel film – e una sintassi e un lessico che risultano innaturali o artificiosi nella lingua d'arrivo, ovvero la lingua parlata dagli spettatori.[84] Si tratta di un fenomeno linguistico all'interno di un'altra varietà linguistica, il filmese, inteso come la peculiare lingua attraverso cui si esprimono i personaggi dei film (non solo quelli doppiati da altre lingue). In molti casi, le forme "artificiali" del doppiaggese si sono affermate prepotentemente nella lingua di destinazione, grazie all'influenza dei media sulla cultura di massa, insediandosi stabilmente e perdendo la percezione del loro carattere "innaturale". Un caso notevole di questa accettazione è costituito da frasi come «non c'è problema» (doppiaggese per no problem) e dall'onnipresente «assolutamente sì», nato da una sciatta e innaturale resa dell'originale inglese absolutely, la cui traduzione naturale sarebbe «certamente»[85][86].

Dibattito[modifica | modifica wikitesto]

«Vent'anni fa ero sicuramente più ottimista riguardo alla questione degli anglicismi: ritenevo che il prestito fosse un problema fisiologico e che il tasso di parole inglesi non adattate — le uniche di cui ci si debba preoccupare — non fosse così alto. Adesso vedo che il numero comincia veramente a essere un po' invadente, soprattutto rispetto alla capacità di metabolizzazione delle lingue romanze con cui possiamo direttamente confrontarci, cioè il francese e lo spagnolo.»

Se inizialmente la discussione sull'interferenza dell'inglese vedeva confrontarsi chi sosteneva l'eccesso di nuovi prestiti inglesi e chi lo escludeva, da alcuni anni il dibattito specialistico e pubblico si concentra sulla magnitudine del fenomeno e le sue conseguenze per la lingua italiana. La contrapposizione oggi più diffusa è tra:[88][89][90][91]

  • chi sostiene che l'adozione degli anglicismi sia parte di un più ampio processo di evoluzione naturale dell'italiano, insieme all'informalità e all'uso di abbreviazioni e della cosiddetta "punteggiatura potenziata" (es. le emoji);
  • chi contesta come nebulosa e indefinita l'idea di evoluzione naturale della lingua – specie la sua anglicizzazione – ed evidenzia come l'importazione crescente di termini e strutture del sistema linguistico inglese stia generando un creolo itanglese, che potrebbe sostituire l'italiano contro la stessa volontà dei suoi parlanti.

Oltre a questi due poli opposti, esistono inoltre una serie di posizioni intermedie.

Tra gli studiosi, il dibattito travalica la tradizionale contrapposizione tra sostenitori del normativismo, che vede con favore attività di normazione e indirizzo linguistico, e del descrittivismo linguistico, che ritiene l'evoluzione della lingua un processo naturale e non influenzabile tramite politiche linguistiche. Diversi specialisti non favorevoli a un approccio normativo raccomandano una maggiore parsimonia nell'uso di anglicismi, sebbene affidino tale scelta alla sensibilità dei parlanti, e non a specifiche azioni istituzionali. Tra questi la sociolinguista Vera Gheno, pur ribadendo la necessità di un approccio descrittivo[92], si è espressa a favore di un uso equilibrato degli anglicismi, da evitare quando usati per «darsi un tono» o se vi è il rischio di rendersi poco comprensibili[93]. Il linguista e accademico Vittorio Coletti ha sottolineato che, benché l'adozione di parole straniere sia «una linfa per le lingue vive», il mancato adattamento grafico e fonetico di tali prestiti al sistema linguistico italiano è problematico, perché segno di debolezza di una cultura incapace di trovare forme proprie per dire cose nuove.[94]

L'Accademia della Crusca, che adotta generalmente un approccio descrittivo,[95][96] ha tuttavia preso pubblicamente posizione a favore di un minor uso di anglicismi, in particolare in ambito istituzionale, attraverso i comunicati stampa del Gruppo Incipit.[39] Il linguista Luca Serianni, membro di Incipit, ha osservato come la presenza degli anglicismi negli ultimi vent'anni sia diventata particolarmente invadente nell'italiano e come, pur evitando approcci dirigisti, sia necessario attuare un'opera di persuasione verso le istituzioni con elevate responsabilità sociali, quali le istituzioni politiche.[97] Commentando l'uso degli anglicismi sui media di massa, Serianni ha sottolineato che «Laddove l'anglicismo non si è ancora affermato, sarebbe meglio non usarlo e adoperare il sostituto italiano».[98] Il gruppo Incipit ha ricevuto delle critiche, sia per l'esiguità del materiale prodotto rispetto alla dimensione del fenomeno[99][100], sia per le proposte di sostituzione di anglicismi con altri anglicismi (più comuni), sia per la contraddizione intrinseca tra la funzione teorica di Incipit, di intervenire per guidare la lingua, e il descrittivismo dichiarato della Crusca, che si concretizza non di rado in un uso di anglicismi anche gratuiti, assecondando e a volte persino giustificando attivamente la tendenza anglicizzante in corso nella lingua, nonostante le dichiarazioni in senso contrario[101].

Di fronte alla crescita sempre più pervasiva del fenomeno, non pochi linguisti che inizialmente avevano espresso posizioni ottimistiche, minimizzatrici o anche apertamente anglofile rispetto ai primi allarmi, col passare degli anni hanno via via assunto posizioni più caute o anche preoccupate[102][103], come nel caso del già citato Serianni. Tullio De Mauro stesso, probabilmente il nome più illustre del fronte aperturista anglofilo[104], pur senza arrivare a una conversione completa, nei suoi ultimi anni iniziò a rivedere le proprie posizioni, scrivendo la prefazione per un libro di Valle contro l'itanglese[105] e arrivando persino a parlare di tsunami anglicus ("tsunami inglese", riprendendo il morbus anglicus castellaniano) per descrivere l'afflusso incontrollato di anglicismi in tutti i campi della lingua[106].

Iniziative istituzionali[modifica | modifica wikitesto]

La pervasività degli anglicismi nella lingua italiana ha attivato iniziative di risposta da parte delle istituzioni politiche e/o culturali dei maggiori paesi ufficialmente italofoni: Italia e Svizzera.

Italia[modifica | modifica wikitesto]

Pur se caratterizzate da una maggiore irregolarità e, attualmente, dalla mancanza di un disegno complessivo, anche in Italia si registrano reazioni istituzionali:

  • nel 2010, la Commissione cultura e istruzione della Camera dei deputati ha sostenuto l'istituzione di un Consiglio Superiore della Lingua Italiana (CSLI), poi mai realizzato;[107][108]
  • nel 2015, la fondazione all'interno dell'Accademia della Crusca del gruppo Incipit, che ha lo scopo esplicito di monitorare ed esprimere un parere sui forestierismi incipienti, in primo luogo anglicismi, e indicare alternative agli operatori della comunicazione e ai politici.[38] Il gruppo è nato in seguito alle 70.000 firme raccolte dalla petizione popolare "Dillo in italiano", promossa da Annamaria Testa, e al convegno dell'Accademia su La lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli anglicismi.[31][32][40] Dalla sua nascita il gruppo opera attivamente, comunicando sul sito della Accademia e sulle reti sociali in cui questa è presente (Facebook, Twitter)[39];
  • Nel 2018, il Dipartimento per le politiche europee del governo italiano ha attivato il servizio EuroParole, dotato di un proprio sito, nel quale gli anglicismi più frequenti usati nei siti del governo vengono presentati con il corrispondente termine italiano e spiegati brevemente nell'uso, con fonti e occorrenze.[48][49] Nel 2019 lo stesso Dipartimento ha poi lanciato l'iniziativa #EuroParole sulle reti sociali.[50]

Svizzera[modifica | modifica wikitesto]

In osservanza al principio della comprensibilità, la Svizzera ha attivato per l'italiano (come per il tedesco e il francese) i seguenti servizi per la gestione dei forestierismi e in particolare degli anglicismi[109]:

  • raccomandazioni relative all'uso di termini stranieri[54];
  • la banca dati terminologica TERMDAT, che intende fornire a operatori della comunicazione, politici e cittadini comuni le risorse per una sostituzione degli anglicismi[110][111].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (IT) Licia Corbolante, Per viaggiare in Ue non si userà il “green pass”!, su blog.terminologiaetc.it, 26/05/2021. URL consultato il 26/02/2022.
  2. ^ (IT) Patrick Mancini, Se oggi "respiriamo", è grazie al Certificato Covid e a chi si è vaccinato, su tio.ch, Ticino Online, 16/02/2022. URL consultato il 26/02/2022.
  3. ^ Itanglese sul dizionario Hoepli online, su dizionari.hoepli.it. URL consultato il 2 maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 6 marzo 2012).
  4. ^ Lemma italese nel Nuovo De Mauro, Internazionale.it, consultato l'11 giugno 2022.
  5. ^ Arrigo Castellani, Il purismo strutturale e il problema degli anglicismi, in Pagine della Dante, s. III, LXXX 1996, n. 4, pp. 12–14; raccolto in Castellani 2009, tomo I, p. 242.
  6. ^ Italianese, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato l'11 giugno 2022.
  7. ^ Gian Luigi Beccaria, Lo chiamano italiese, in: Id., Italiano antico e nuovo, nuova ed. ampliata, Milano, Garzanti, 1992.
  8. ^ Lemma italiese nel Nuovo De Mauro, Internazionale.it, consultato l'11 giugno 2022.
  9. ^ a b Andrea Viviani, Itangliano, su treccani.it, Enciclopedia dell'Italiano (2010), Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. URL consultato il 23 marzo 2013.
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  12. ^ Leonardo Rossi, L'anglicismo nel passato (fino agli anni del boom), su Treccani, 1º gennaio 1970. URL consultato il 26 luglio 2021.
  13. ^ «È vero che il prestito, in sé, non è un segno di assoggettamento culturale e linguistico, però quando il flusso è a senso unico, per cui il rapporto tra parole date e parole prese è di 1/1000, qualche problema di equilibrio tra due lingue (e due culture) sussiste» (Giovanardi et al., p. 24).
  14. ^ Mainardi, pp. 17–26
  15. ^ Chiti-Batelli.
  16. ^ Zoppetti.
  17. ^ Mainardi, p. 24
  18. ^ «Il problema è che l'italiano non è una lingua davvero amata dai suoi utenti, al di là delle dichiarazioni superficiali [...]» (Marazzini et al., p. 25).
  19. ^ Claudio Marazzini, La lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli anglicismi, su Comunità Radiotelevisiva Italofona. URL consultato l'11 giugno 2022.
    «Qual è la ragione per cui in Italia si è tanto propensi agli anglicismi?
    Pesa su di noi la potenza economica del mondo anglofono, quella americana soprattutto. Ma poiché (come dimostra il nostro libro) gli italiani risultano più proni di tutti gli altri, è probabile che pesino molto la scarsa coscienza civile e la scarsa densità della cultura. Molti italiani parlano un italiano fragile, che impedisce loro di capire che cosa significhi il possesso vero di una lingua. Non parliamo della lettura e della scrittura. Il rapporto OCSE – PIACC 2013 ci pone all’ultimo posto per la comprensione di un testo, ultimi tra i 24 paesi in cui è stata svolta l’inchiesta [...]»
  20. ^ Mainardi, pp. 5–30.
  21. ^ «Gli osservatori esterni che, nel latte materno, si sono nutriti di una diversa lingua romanza, restano perplessi davanti all’anglicismo dilagante che esiste nella sorella italica. Alla maggior parte di loro, il fenomeno non pare normale, né in senso descrittivo né in senso prescrittivo. Nelle loro lingue, gli anglismi non adattati non transitano con la frequenza con cui lo fanno in italiano [...]» (Valle 2013, p. 759).
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  23. ^ Beppe Severgnini, Imperfetto manuale di lingue, collana BUR-Biblioteca Universale Rizzoli, Rizzoli, 2010, p. 148.
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  103. ^ Mainardi, pp. 15–16.
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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Patro nia, kiu estas en la ĉielo,
sankta estu Via nomo,
venu reĝeco Via,
estu volo Via,
kiel en la ĉielo, tiel ankaŭ sur la tero.
Panon nian ĉiutagan donu al ni hodiaŭ
kaj pardonu al ni ŝuldojn niajn
kiel ni ankaŭ pardonas al niaj ŝuldantoj;
ne konduku nin en tenton,
sed liberigu nin de la malvera [...]
Amen!

Patra nyo kuĵ es en ilwaj,
sanktifátaet tyo noma,
vénaet tyo regeca,
farátaet tyo vula,
kue[d] en ilwa, tae sur terra.
Dáraes a ny hogu nyom omnĵdajom bredam,
e perdónaes [qq]
[qq]
e ne abandónnaes nym en temptam,
sed liberífaes nym da mala.
Amén.

Patra nio kua ev em ilwi,
sanktifataet tio noma,
venaet tio regeca,
farataet tio vula,
kue em ilwa, tae sur terra.
Daraev ad ni hogu niom omnodejom bredam,
e perdonaev [qq]
[qq]
e nee abandonnaev nim em temptam,
sed liberifaev nim es mala.
Amén.