Fiat Ferroviaria: differenze tra le versioni

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Versione delle 14:12, 17 giu 2014

Fiat Ferroviaria
Logo
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StatoBandiera dell'Italia Italia
Fondazione
Fondata daGiovanni Agnelli
Chiusura2002
Sede principaleTorino
GruppoFIAT e Alstom
Prodottiprodotti e sistemi ferroviari

La Fiat Ferroviaria è stata un'azienda del settore ferrotranviario appartenente al Gruppo FIAT.

Nata a Torino nel 1917 come FIAT Sezione Materiale Ferroviario, cambiò ragione sociale in FIAT Ferroviaria Savigliano nel 1975 e in Fiat Ferroviaria nel 1988. Fu infine venduta nel 2000 alla società francese Alstom, assumendo il nome Alstom Ferroviaria.

Tra le realizzazioni più prestigiose si annoverano la prima "littorina" di serie, ALb 48.101, la prima a comando multiplo, ALn 556 serie 1200, la prima serie con motori piatti, RALn 60, la prima locomotiva Diesel da treno per le Ferrovie dello Stato, D.341.101, la prima automotrice della famiglia ALn 668 e il primo treno ad assetto variabile del mondo (Pendolino) con il prototipo FIAT Y 0160 e l'elettrotreno ETR.401[1].

Vicende societarie

La società, denominata inizialmente FIAT Sezione Materiale Ferroviario e nota in seguito anche con le abbreviazioni FIAT Materfer o FIAT Materferro, nacque a Torino nel 1917 con l'acquisizione della società torinese Diatto, operativa nel settore ferrotranviario sin dalla metà del diciannovesimo secolo, di cui rappresentò la diretta continuazione[2][3].

Nel 1938 le Officine Meccaniche (OM) di Milano confluirono in FIAT, affiancandosi con la loro cinquantennale esperienza ferroviaria alla FIAT Sezione Materiale Ferroviario[4].

Nel 1960 fu costituita la FIAT CONCORD S.A.I.C. Fábrica de Material Ferroviario di Ferreyra, Córdoba (Argentina), che entrò a far parte, con la FIAT Sezione Materiale Ferroviario, operante nello stabilimento di via Rivalta a Torino, e la FIAT Azienda OM, operante negli stabilimenti di Milano e Brescia, della FIAT Divisione Materiale Ferrotranviario con sede a Torino in corso Marconi 20[3].

Nel 1973 il Gruppo FIAT acquisì dalla CEAT lo stabilimento ferroviario di Savigliano della Società Nazionale Officine di Savigliano (SNOS), storiche officine di Piazza Galateri fondate nel 1880, dove trasferì gli uffici amministrativi e dove iniziò a concentrare tutta la produzione ferroviaria FIAT del nord Italia; lo storico stabilimento Materfer di via Rivalta a Torino passò quindi alla produzione automobilistica di veicoli commerciali[5][1][6]. Contestualmente a questa ristrutturazione, che interessò tutto il Gruppo FIAT, nacque il settore FIAT Prodotti e Sistemi Ferroviari, a cui fecero capo:[7]

Nei primi mesi del 1988 la denominazione FIAT Ferroviaria Savigliano cambiò in Fiat Ferroviaria[8].

Nell'autunno del 1990 fu stabilito un accordo tra il Gruppo Fiat e la società francese Compagnie Générale d'Électricité (CGE), proprietaria dell'Alsthom, costruttrice del TGV, per la cessione del controllo del pacchetto azionario della Fiat Ferroviaria[9]. L'accordo, che avrebbe dovuto diventare operativo nei primi mesi del 1991, non ebbe tuttavia seguito[9][10].

Nell'agosto del 1995 la Fiat Ferroviaria acquisì il 60% del pacchetto azionario della società svizzera operante nel settore ferroviario della Schweizerische Industrie Gesellshaft (SIG), specializzata nella costruzione di carrelli, passaggi intercomunicanti fra carrozze ferroviarie e di un particolare sistema di assetto variabile[11].

Il 1º agosto 2000 Fiat Ferroviaria cedette la propria attività alla nuova società Fiat Industria Ferroviaria, costituita il 1º giugno dello stesso anno, con un'operazione che costituì la fase preparatoria alla cessione del 51% del pacchetto azionario all'Alstom in attesa del nulla osta da parte della Commissione Europea Antitrust[12]. L'accordo di cessione, con l'opzione «che concede ad Alstom il diritto di acquisto e a Fiat SpA quello di vendita del rimanente 49% nell'arco di due anni» fu perfezionato il 18 ottobre 2000 a seguito dell'autorizzazione antitrust concessa il precedente 19 settembre[13].

Storia della produzione

Gli inizi dell'attività ferroviaria

Con l'incorporazione della Diatto, ratificata nell'assemblea straordinaria FIAT del 7 dicembre 1917, la casa automobilistica torinese, già pesantemente impegnata nella produzione di autocarri, aerei e motori per sostenere lo sforzo bellico della prima guerra mondiale, acquisì la capacità di operare anche nel settore dei trasporti su rotaia, attività che fu affidata alla neo costituita FIAT Sezione Materiale Ferroviario[2].

L'acquisizione della ditta dei fratelli Diatto fu proposta nel consiglio di amministrazione del 25 ottobre 1917 dal cavalier Giovanni Agnelli, che con le parole «… tali officine [Diatto] presentano un avvenire con la costruzione di materiale ferroviario, di cui vi sarà molto bisogno», dimostrò di avere le idee estremamente chiare sulla strada da percorrere e di essere pienamente conscio del fatto che, finito lo sforzo bellico, solo una parte delle nuove conformazioni industriali e finanziarie avrebbe avuto la possibilità di sopravvivere, mentre le altre sarebbero state condannate al ridimensionamento o alla scomparsa[2].

Varie circostanze fanno pensare che l'acquisizione della Diatto non fosse un fatto occasionale, ma il risultato della costante mira del futuro senatore Agnelli per l'ingresso della FIAT nella produzione di materiale ferroviario: ne è un fatto rivelatore l'intervento nel consiglio di amministrazione dell'8 agosto 1905, in cui Agnelli riferì di aver osservato all'esposizione di Liegi l'applicazione di un motore a benzina su vetture tipo Decauville e, ritenendo pratica un'analoga applicazione per i servizi pubblici, propose di stanziare 100.000 lire per finanziare una campagna di sperimentazione in collaborazione con la ditta dei fratelli Diatto, da effettuare richiedendo la concessione dell'esercizio di una linea tra Torino, Pino Torinese e Chieri e di un'altra nel parco dell'esposizione di Milano 1906[14]. All'obiezione del presidente Scarfiotti, che sosteneva fosse preferibile ideare qualche soluzione meccanica speciale da sottoporre a brevetto piuttosto di associarsi con la Diatto, Agnelli replicò che la clientela speciale e la pratica della Diatto in tale genere di lavori, e in particolare nella carrozzeria, sarebbero state di grande aiuto alla FIAT, ottenendo l'approvazione da parte del consiglio[14].
La delibera della "proposta Agnelli" portò dunque al primo impegno FIAT nei trasporti su rotaia, consistente nella costruzione di sei tram con motore FIAT e veicolo Diatto che furono messi in funzione nel recinto dell'esposizione di Milano 1906[14].

Il primo decennio di attività della FIAT Sezione Materiale Ferroviario fu caratterizzato da due obiettivi principali, che consistevano rispettivamente nell'utilizzazione al meglio delle qualificate capacità parartigianali della Diatto e nell'introduzione nel prodotto di questa, e quindi nel mondo ferroviario, di tutti gli elementi dell'attività FIAT in sinergia con esso[15].

L'indicazione di quali furono i programmi iniziali della FIAT e di quanto essa ereditò dalla Diatto compare in un catalogo risalente ai primi anni venti del ventesimo secolo, in cui risulta che il capitale versato della Sezione Materiale Ferroviario ammontava a lire 200.000.000 e che riporta diverse illustrazioni relative alla produzione Diatto, tra cui in copertina una vettura letti con cassa in legno per la Compagnia Internazionale delle Carrozze con Letti e dei Grandi Espressi Europei, e l'indicazione del programma produttivo di "locomotori elettrici e carrozze automotrici" che, secondo il Santanera, «si riferisce evidentemente alle intenzioni di sviluppo miranti all'utilizzazione della capacità motoristica della Fiat»[16].

Il patrimonio tecnologico della Diatto comprendeva la costruzione di carri merci, carrozze di prima, seconda e terza classe e carrozze letto, sia per le ferrovie italiane che per la CIWL, secondo la tecnica comune agli altri costruttori di materiale rimorchiato del tempo, che prevedeva la realizzazione dei veicoli ferroviari con il telaio d'acciaio composto da elementi chiodati fra loro, generalmente irrigidito con la trave Fink, sul quale veniva impostata la carrozzeria costituita in buona parte in legno, sia per i carri merci che per le carrozze viaggiatori[17].

La Diatto, essendo essenzialmente una carrozzeria come gran parte dei suoi concorrenti italiani, non possedeva la tecnica dei carrelli ed era costretta a utilizzare modelli e disegni importati da costruttori tedeschi o francesi, fra cui il diffusissimo carrello tipo Brill, che fu prodotto in gran quantità prima dalla Diatto e poi dalla FIAT Sezione Materiale Ferroviario per equipaggiare i tram interurbani della Torino-Trofarello (elettrificata nel 1904), Torino-Gassino-Chivasso (elettrificata nel 1908) e la Torino-Rivoli (elettrificata nel 1914); un carrello monoassiale con una certa possibilità di disporsi radialmente in curva, utilizzato per i tram interurbani per Moncalieri e Chivasso; i carrelli tipo Wagon Lits e Commonwealth per le vetture ferroviarie, che sopravviveranno fino al secondo dopoguerra[18].

La produzione del carrello tipo Commonwealth in collaborazione con la FIAT Sezione Acciaierie che ne realizzò il telaio in acciaio fuso, contribuì in modo rilevante all'arricchimento delle conoscenze del servizio studi che ne previde l'uso anche per le automotrici e le locomotive Diesel in corso di progettazione, ma che in pratica venne adottato solo sulle carrozze e sui tram, alcuni dei quali rimasero in servizio fino alla fine del XX secolo[19].

Col patrimonio acquisito dalla Diatto integrato dalle proprie conoscenze nel campo motoristico e consapevole dei limiti che le motrici a vapore allora usate (locomotive con potenze specifiche dell'ordine di 10 CV per tonnellata che, con carrozze di circa 0,9 t di massa per passeggero seduto, scendevano a circa 5 CV per tonnellata di treno, offrendo oltretutto una bassissima confortevolezza di viaggio) manifestavano sia nel trasporto locale FS che nelle tranvie extraurbane, a partire dal 1923 la FIAT Sezione Materiale Ferroviario imboccò decisamente la strada della realizzazione di veicoli ferroviari basati sull'impiego del motore a combustione interna, convinta dei vantaggi che si sarebbero potuti ottenere da un propulsore che si stava via via perfezionando per il trasporto stradale e che, già negli anni venti del XX secolo, aveva un rendimento energetico da 2,5 a 5 volte superiore a quello del motore a vapore[19].

Oltre che col grande capitolo della trazione elettrica, altri costruttori provarono a superare i suddetti limiti con le automotrici a vapore, i cui tentativi di realizzazione si susseguirono in Italia dal 1906-1907, con i gruppi FS 60, 80, 85 e 86, fino al 1938 con l'automotrice FS ALv 72 costruita dall'OM[20].

Le ragioni di questa insistenza con le automotrici a vapore sono da ricercarsi nella non ancora completa confidenza nel motore a combustione interna e nel fatto che, a differenza del motore a vapore e del motore elettrico che possono essere accoppiati direttamente agli assi motori del veicolo, i motori a benzina o Diesel possono sviluppare potenza e coppia motrice soltanto al di sopra di un determinato numero di giri e, fornendo la potenza nominale a giri fissi, richiedono l'interposizione del cambio di velocità[21].

Questa caratteristica del motore endotermico condizionò i primi tentativi di trasmissione meccanica realizzati dalla FIAT, costringendola a ripiegare sulla trasmissione elettrica che, allora, era l'unica in grado di garantire un funzionamento accettabile e una sufficiente disponibilità del veicolo; tuttavia la Sezione Materiale Ferroviario non abbandonò mai questo tipo di approccio e, partendo da un disegno d'insieme, datato agosto 1921, di una "vettura automotrice a petrolio" a due assi equipaggiata con un gruppo motore-trasmissione di un autocarro che trasmetteva il moto dal ponte all'asse motore con una catena, giunse nel 1931, per successivi perfezionamenti che videro infine la sostituzione della catena con un giunto cardanico, alla costruzione dell'automotrice ALb 25, che fu messa in servizio sulla Foggia-Cerignola[Nota 1] ed entrò a far parte del parco FS[21].

Questo tipo di veicoli, assimilabili agli autobus su rotaia piuttosto che a vere e proprie automotrici, era ben lungi dall'esaurire le intenzioni della FIAT Sezione Materiale Ferroviario, che nel giro di pochi anni dalla sua costituzione affrontò in maniera esaustiva sia il problema delle locomotive Diesel-elettriche che quello delle carrozze automotrici per le linee non elettrificate[22].

Le prime locomotive Diesel-elettriche

La locomotiva MCL 301

La FIAT si presentava nel campo ferroviario con una notevole esperienza nei motori a ciclo Diesel, acquisita in gran parte con i propulsori per sommergibili realizzati dalla FIAT Grandi Motori, che la indirizzò all'uso di questo tipo di motore associato alla trasmissione elettrica, malgrado questa scelta comportasse l'associarsi con il Tecnomasio Italiano Brown Boveri (TIBB) per sopperire alla mancanza di tecnologie elettrotecniche al proprio interno[23].

Nacque così nel 1923 il progetto della locomotiva MCL 301, che venne messa in servizio nel 1924 sulla rete a scartamento ridotto (950 mm) Mediterranea Calabro-Lucane, dimostrandosi anticipatrice dei tempi per le soluzioni adottate ed estremamente interessante per l'esperienza che consentì di acquisire[23].

Si trattava di una locomotiva Diesel-elettrica a due carrelli con due assi motori ciascuno (rodiggio Bo'Bo') della massa di 44 t, equipaggiata con un motore Diesel a due tempi FIAT Grandi Motori tipo Q256 che sviluppava una potenza di 440 CV (circa Errore in {{M}}: parametro 2 non è un numero valido.) all'albero motore, che si riducevano a 320 CV (circa 235 kW) ai cerchioni per le perdite causate dalla trasmissione e dai circuiti ausiliari; essendo destinata a una rete con pendenze fino a 60 mm/m, la generatrice principale della locomotiva era in grado di alimentare altri due motori elettrici posti sui carrelli di una carrozza ausiliaria che, avendo gli assi di ciascun carrello collegati fra loro con bielle, poteva contribuire alla trazione con la sua massa aderente di 16 t[23].

Dai risultati di esercizio della locomotiva MCL 301 emerse il dimezzamento della spesa per il combustibile rispetto a un'analoga locomotiva a vapore, ma le migliorie di servizio furono piuttosto limitate sia per le caratteristiche intrinseche delle linee su cui operò, sia per la limitata potenza del mezzo, mettendo chiaramente in evidenza che, per le caratteristiche dei motori del tempo, lo sviluppo della trazione Diesel stava maturando solo per i mezzi leggeri[24].

La locomotiva da 1300 cavalli

Un'ulteriore conferma dell'immaturità della trazione Diesel per le linee principali si ebbe dallo studio intrapreso nel 1925 di una locomotiva Diesel-elettrica da 1300 CV (circa 956 kW), sviluppato con l'obiettivo di ottenere 1.000 CV (circa 736 kW) ai cerchioni, uno sforzo di trazione continuativo di circa 7.000 kg (Errore in {{M}}: parametro 2 non è un numero valido.) alla velocità di 38 e una velocità massima a piena potenza tra 60 e 80 km/h[23].

Per questa locomotiva fu scelto un motore Diesel a due tempi di derivazione marina che pesava da solo 33 t, che aggiunte alle 36 t previste per l'equipaggiamento elettrico, portavano a circa 120 t la massa totale del mezzo che, non potendo superare il limite di 18 t per asse, dovevano essere distribuite su sette assi ricorrendo a un rodiggio simile a quello delle locomotive trifasi E.331 ed E.332, cioè con tre assi al centro collegati al telaio principale e due carrelli biassiali alle estremità, con la differenza rispetto alle locomotive trifase di avere gli assi motori sui carrelli invece che sul telaio principale (rodiggio Bo'3Bo')[25].

Alcuni indizi portano a pensare che questa locomotiva, non realizzata, sia stata studiata in collaborazione con le Ferrovie dello Stato: tra questi il fatto che il suo schema meccanico sia stato ripreso, con alcuni perfezionamenti, qualche anno dopo dai tecnici del Servizio Materiale e Trazione FS per la locomotiva elettrica E.626[26].

Non essendo completamente noti i motivi che impedirono la realizzazione di questa locomotiva, l'ingegner Santanera ne analizzò nella sua opera le possibili cause, arrivando alla conclusione che piuttosto che alla difficoltà di garantire una distribuzione staticamente determinata delle masse con quel tipo inusuale di rodiggio (che fu poi brillantemente superata dai tecnici FS nel giro di pochi anni con la E.626), le remore del cliente fossero dovute al confronto con la trazione a vapore: infatti con le 120 t di massa totale e le circa 72 t di massa aderente della locomotiva Diesel si ottenevano poco più delle prestazioni delle locomotive a vapore del gruppo 940 (massa totale 83,7 t, massa aderente 61,6 t), circostanza che collegata all'allora assoluta novità dell'apparato motore endotermico ha verosimilmente trattenuto le FS dall'imboccare questa strada[25].

Sempre secondo l'ingegner Santanera fu effettivamente saggio, nonostante l'esperienza che se ne sarebbe potuto comunque ricavare, non insistere con questo tipo di realizzazioni non ancora giunte alla maturità tecnica non solo per la FIAT: ne sono riprova le realizzazioni, purtroppo costosissime e senza seguito, dei bellissimi prototipi degli anni trenta di locomotive con potenze dell'ordine di 2 x 2.000 CV (circa 2 x 1.470 kW) realizzati da Sulzer, Henschel e Brown Boveri per la Romania e Fives Lille, S.L.M. e Séchéron per la compagnia Paris-Lyon-Mediterranée, che pur impiegando motori Diesel ormai più progrediti, avevano ancora masse di circa 230 t e dimensioni proibitive (14 assi e lunghezza di quasi a 30 m)[25].

La locomotiva TL150

Nel campo delle macchine di bassa potenza e quindi meccanicamente molto semplici, la FIAT Sezione Materiale Ferroviario studiò e costruì a partire dal 1924 la locomotiva Diesel-elettrica TL150, con due assi azionati da due motori elettrici (rodiggio AA) alimentati da una generatrice principale trascinata da un motore Diesel FIAT Grandi Motori tipo VM166 della potenza di 150 CV (circa 110 kW), che ebbe qualche applicazione soprattutto sulle ferrovie coloniali della Somalia, ma che si vide precluso il largo spazio fino allora occupato dalla trazione a vapore minore dalla soppressione delle linee a scarso traffico o dalla loro elettrificazione, che avvenne soprattutto sulle tranvie intercomunali delle grandi città italiane[27].

Le prime carrozze automotrici

Lo studio delle prime automotrici per il servizio di linea, intese come veri e propri veicoli ferroviari e non più come "autobus su rotaia" o "tram a petrolio" su cui la FIAT si era cimentata sin dall'inizio del XX secolo, era condizionato dall'incertezza sul sistema di trasmissione da adottare: per le esigenze di questo tipo di rotabili, costituiti sostanzialmente da carrozze ferroviarie motorizzate, erano infatti disponibili la trasmissione meccanica, già di largo impiego sugli autocarri, ma messa a punto solo per potenze limitate, e la trasmissione elettrica, meno diffusa, ma caratterizzata da elementi sufficientemente noti e soprattutto dal vantaggio di semplificare notevolmente il comando degli assi con la ben nota sospensione a naso del motore elettrico (sospensione tranviaria)[28].

La FIAT Sezione Materiale Ferroviario, essendo parte di un'azienda dalla vocazione eminentemente meccanica, decise di non escludere a priori la trasmissione meccanica nonostante le maggiori incertezze che comportava, avviando nel 1924 e nel 1925 due progetti di automotrici con le dimensioni delle carrozze di linea, rispettivamente a trasmissione elettrica e meccanica[28].

Le automotrici TA 180

Il primo progetto di quella che diverrà l'automotrice FIAT TA 180 comparve in un disegno del 26 febbraio 1924 dal titolo "Carrozza automotrice petroleo elettrica da 200 cavalli", che rappresentava una carrozza ferroviaria lunga 17.750 mm e larga 2.955 equipaggiata con un gruppo elettrogeno (motore e generatrice principale) che, installato su uno dei carrelli, sporgeva coperto da un cofano dalla testata del veicolo, mentre sul carrello opposto si trovavano i due motori elettrici che azionavano gli assi motori (rodiggio 2'Bo')[28].

Questo disegno, di cui esisteva anche una variante a scartamento ridotto, fu modificato nel 1926 con il potenziamento del gruppo elettrogeno a 280 CV (circa 206 kW) e il suo spostamento sulla cassa, allungata di conseguenza a 19.000 mm, dando vita al progetto dell'automotrice Diesel-elettrica FIAT TA 280 del 6 ottobre 1926, il cui schema venne poi utilizzato per la realizzazione effettiva delle automotrici TA 180, costruite rispettivamente nel 1928 e nel 1929 in due esemplari a scartamento normale (1.435 mm) e due a scartamento ridotto (950 mm), con entrambe le versioni equipaggiate con il motore Diesel FIAT Grandi Motori V206, 6 cilindri in linea, quattro tempi, iniezione diretta, tarato a bordo a 180 CV (circa 132 kW)[28].

Le due TA 180 a scartamento normale furono classificate nel parco FS come Ne 8401-8402 ed effettuarono servizio sulla Lucca-Pontedera, mentre le due a scartamento ridotto furono classificate RNe 8901-8902 ed effettuarono servizio sulle linee della Sicilia, dove anticiparono di circa vent'anni le più moderne RALn 60, realizzate dalla FIAT Sezione Materiale Ferroviario nel 1949[28].

Le automotrici TA 150

Contemporaneamente allo studio delle automotrici a trasmissione elettrica i tecnici della Sezione Materiale Ferroviario lavoravano a un tentativo di trasmissione meccanica che venne definito con un disegno complessivo del 4 marzo 1925, intitolato "Automotrice FIAT A. 150", che prevedeva ancora la sistemazione del motore Diesel, dotato questa volta di cambio meccanico, sul carrello che diventava quindi motore, mentre l'altro diveniva puramente portante; la voluminosa scatola del cambio conteneva inoltre una coppia conica che azionava un contralbero trasversale collegato con bielle ai due assi del carrello, in modo da ottenere un'automotrice con rodiggio B'2'[29].

Lo schema meccanico adottato aveva il vantaggio di evitare le difficoltà allora legate all'uso dell'albero cardanico per collegare il cambio alle sale motrici, organi tra i quali era interposta la sospensione primaria del carrello, ma introduceva tutte le criticità delle trasmissioni a bielle che richiedevano accurate operazioni di equilibratura e regolazione e una frequente lubrificazione; considerando inoltre l'abilità richiesta per cambiare le marce sui ben più piccoli autocarri dell'epoca, anche questa operazione non doveva essere di semplice attuazione e tutti i complessi accorgimenti per semplificare la manovra finivano per avere riflessi negativi su esercizio e manutenzione[29].

Questi e altri probabili difetti furono sperimentati direttamente su un veicolo effettivamente costruito, come dimostrano le fotografie dei carrelli motore e portante, dissuadendo probabilmente dall'insistere su questa strada: il cambio meccanico fu infatti sostituito sullo stesso carrello che supportava il motore Diesel da una generatrice elettrica, trasformandolo da motore a portante, mentre l'altro carrello fu equipaggiato con due motori elettrici sospesi a naso come sulla TA 180, realizzando uno schema di rodiggio 2'Bo'[29].

La nuova automotrice Diesel-elettrica, denominata FIAT TA 150, fu costruita intorno al 1930 riutilizzando la cassa già adottata per la versione con trasmissione meccanica; non se ne conosce però la vita utile e si suppone che l'esperienza non esaltante delle consorelle TA 180 abbia portato presto al suo abbandono[30].

Le cause del mancato successo

Sia per la massa elevata del veicolo, sia per i limiti che caratterizzavano ancora la trasmissione elettrica, le automotrici TA 180 e TA 150 non furono in grado di raggiungere quei risultati di velocità, confortevolezza di viaggio, e quindi di immagine, tali da realizzare quel salto di qualità che avrebbe potuto dare impulso alla loro diffusione[30].

L'elevata massa del veicolo era dovuta essenzialmente a due fattori, rappresentati da un tipo di struttura in cui la netta separazione delle funzioni di resistenza del telaio e di abitabilità della cassa non permetteva un'efficiente utilizzazione del materiale, e dalle apparecchiature della trasmissione elettrica[30].

Dal canto suo la trasmissione elettrica, pur essendo al momento l'unica tecnologia sufficientemente consolidata, era ancora affetta dal basso rendimento della doppia conversione da energia meccanica a elettrica nella generatrice e da elettrica e meccanica nei motori di trazione e, soprattutto, dalla difficoltà, allora sottovalutata, di utilizzare completamente la potenza del motore termico, che veniva affidata esclusivamente alla perizia del macchinista nel regolare l'eccitazione della generatrice principale per ottenere la massima potenza in tutte le condizioni di marcia: lo sviluppo della grande trazione Diesel-elettrica avverrà infatti soltanto quando, aumentate le potenze specifiche dei motori Diesel e del macchinario elettrico, si riuscirà ad automatizzare questa regolazione di potenza[31].

Il treno reale italiano

L'intensa attività di ricerca e sviluppo per la trazione con i motori a combustione interna non esauriva l'attività della Sezione Materiale Ferroviario che, in attesa dei nuovi sviluppi sperati, doveva provvedere alle necessità quotidiane attingendo al patrimonio di competenze ereditato dalla Diatto, che comprendeva molti disegni datati 1919 per tram urbani e suburbani a due assi per varie città italiane, tra cui Trieste, e una versione a scartamento russo (1.525 mm); tram a carrelli urbani e suburbani; carrozze ferroviarie del tipo che poi verrà chiamato in gergo "centoporte"; carrozze a "massimo riempimento" (più di 100 passeggeri seduti) e studi di carrozze "per regioni calde" (probabilmente per le colonie italiane) dotate di isolamento termico particolarmente curato, a cui si aggiungeva uno speciale "carro trasporto automobili" e un piano del 1918 per la produzione in massa di forti quantitativi di carri merci[32].

Con l'acquisizione della Diatto la FIAT Sezione Materiale Ferroviario entrò pure in possesso di capacità artigianali di classe, che furono utilizzate per il disegno di vetture di lusso ancora di moda nei primi decenni del XX secolo e messe al massimo profitto nella realizzazione del treno reale italiano, che si volle realizzare come un treno di rappresentanza e di prestigio per i viaggi ufficiali del re e della regina[32].

A tal scopo il Ministero delle Comunicazioni emise nel 1925 due bandi di gara, per le strutture e per la decorazione del suddetto convoglio, che furono vinti rispettivamente dalla FIAT, che superò Ansaldo, Breda e Piaggio, e da Giulio Casanova, professore di ornato e decorazione all'Accademia Albertina di Torino tra il 1920 e il 1940[33].

Il programma iconografico fu certamente dettato dall'alto ed era, come cita il fascicolo illustrativo pubblicato nel 1929, «tutto intessuto di motivi italici, di esumati segni dell'Araldica Sabauda; colori e fregi e figure esaltanti le glorie guerriere e civili di casa Savoia…»; come in tutte le opere di tal genere fu notevolissimo il contributo esterno di artisti e provetti artigiani, ma non mancarono la professionalità tecnica e il virtuosismo artigianale delle maestranze FIAT ed ex Diatto[34].

Uscito il 14 marzo 1929 dallo stabilimento di via Rivalta a Torino, dove aveva sede la Sezione Materiale Ferroviario, fu celebrato con grande risonanza dalla stampa italiana come esempio di perfezione e di avanzata tecnologia, definizione forse appropriata per l'accuratezza estetica ed esecutiva, ma certamente fuori luogo per l'assenza di vere novità di tecnica ferroviaria[34].

Composto da tre vetture di rappresentanza superdecorate (una per il re, una per la regina e una sala da pranzo, di cui la prima andò distrutta nel secondo conflitto mondiale), andava ad affiancarsi ad un altro treno reale, costruito dall'allora concorrente Società Nazionale Officine di Savigliano, destinato ai principi e ai notabili del regno e pensato in con uno stile assai più moderno (il cosiddetto Novecento funzionale) con arredi privi degli stili classici, ma che offrissero con maggior praticità ogni comodità di viaggio, appagando la vista con linee sobrie ma di gusto raffinato[34].

Le due carrozze sopravvissute alla seconda guerra mondiale furono riprese dallo stesso Casanova nel 1948 per eliminare motti, effigi ed emblemi di casa Savoia e sostituirli con simboli di regioni e città della repubblica[34].

Le littorine e i carrelli FIAT di prima generazione

Il mancato successo delle automotrici Diesel-elettriche TA 180 e TA 150, peraltro condiviso con le analoghe automotrici di altri costruttori, servì a individuare le caratteristiche dei veicoli che andavano cambiate radicalmente, sintetizzabili in maggiore velocità, ambiente più accogliente, riduzione della massa, migliore rendimento e utilizzazione della potenza del motore termico, che furono ottenute portando avanti, nel pieno della crisi economica mondiale, lo studio e la realizzazione di un veicolo completamente nuovo, che riprendeva in parte, correggendone i difetti, l'esperienza poco esaltante della versione Diesel-meccanica della TA 150[35].

La disponibilità di motori termici semplici e leggeri, prima a ciclo Otto e poi a ciclo Diesel, sviluppati dalla FIAT per i veicoli stradali pesanti, permise il loro ritorno sul carrello, da dove erano stati rimossi con le TA 180, e lo sviluppo di cambi meccanici più moderni accoppiati con una ruota libera a un ponte inversore sistemato su una sala motrice dello stesso carrello, consentirono di eliminare le criticità dei cambi di marcia e delle trasmissioni a bielle, permettendo di superare limitazioni dovute alla massa, all'ingombro e al basso rendimento delle trasmissioni elettriche[35].

Ripartendo da questa base il veicolo fu ripensato da zero in tutti i suoi componenti (ruote, sale, carrelli, cassa, trasmissione, comandi e arredamento interno), sviluppando tra il 1931 e il 1933 una notevole mole di studi tradotti subito dopo in realizzazioni di officina, che portò alla realizzazione di una nutrita serie di brevetti sviluppati nell'ambito di un rinnovato interesse generale per il settore ferroviario[35].

Oltre ai brevetti funzionali allo sviluppo delle automotrici leggere a trasmissione meccanica, come quelli per l'uso di tasselli di gomma per il collegamento elastico trasversale tra cassa e carrello, richiesto il 16 novembre 1931[36], e per l'interposizione della ruota libera tra il cambio e il ponte inversore, richiesto il 31 dicembre 1932[37], la FIAT Materfer ne sviluppò altri che si rivelarono anticipatori di soluzioni future, tra cui[38]:

  • "Automotrice elettrica con trasmissione meccanica e cambio di velocità", del 27 gennaio 1933, che mirava a estendere l'applicabilità del motore asincrono trifase alla trazione ferroviaria con le possibilità dell'elettromeccanica del tempo ed ebbe in Francia applicazioni per locomotive, superate poi dallo sviluppo dell'elettronica di potenza;
  • "Sistema di segnalazione automatica e continua di posizione e distanza fra convogli che si susseguono sulla stessa linea", del 21 luglio 1933;
  • "Sistema di segnalazione per mezzo di onde elettromagnetiche libere e convogliate fra coppie di treni in marcia su una stessa linea", del 27 dicembre 1933, che anticipava metodologie di regolazione del traffico e di sicurezza che avrebbero trovato ampia diffusione, seppur con diversi mezzi tecnici, nel secondo dopoguerra.

Con le nuove automotrici leggere ebbe origine anche il cosiddetto "carrello FIAT di prima generazione", con cui furono equipaggiate circa 700 automotrici e qualche elettromotrice fino alla vigilia della seconda guerra mondiale; questo concetto di carrello, sviluppato interamente dalla FIAT Materfer, si differenziava nettamente da quelli usati in precedenza per essere a un solo stadio di sospensione verticale e quasi privo di sospensione trasversale, caratteristiche che a prima vista potevano farlo sembrare una mera semplificazione delle realizzazioni correnti, mentre presentava invece parecchie innovazioni che verranno confermate a posteriori dalle conoscenze di dinamica ferroviaria rese possibili dallo sviluppo dell'informatica, mentre altre scelte forzatamente empiriche risulteranno poi criticabili alla luce delle stesse conoscenze[36].

La terza novità importante introdotta sulle automotrici leggere riguardava la struttura integralmente portante cassa, realizzata in acciaio con rivestimenti in lega leggera secondo una tecnologia ispirata a quella dei dirigibili, per il cui progetto fu impiegato personale che aveva lavorato nello studio per il generale Nobile[39].

Le innovazioni nei motori, nella meccanica, nei carrelli e nella cassa di questi veicoli diedero origine a una famiglia di automotrici leggere a trasmissione meccanica con prestazioni si staccarono nettamente da quelle delle precedenti carrozze automotrici, come appare evidente dal confronto dei dati fondamentali della TA 180 con la capostipite della nuova serie AU4[39][40]:

TA 180 FIAT (Ne 84 FS) AU4.A FIAT (ALb 48 FS)
Lunghezza della cassa 17.205 mm 13.000 mm
Lunghezza utile della cassa 8.125 mm 8.400 mm
Numero e potenza dei motori a bordo 1 x 150 CV 1 x 120 CV
Potenza ai cerchioni 100 CV 100 CV
Massa del motore 3,800 t 0,87 t
Massa totale a vuoto 40,1 t 12,3 t
Massa del carrello motore ~7,5 t 4,4 t
Massa del carrello portante ~4,5 t 2,5 t
Potenza specifica 2,5 CV/t 8,7 CV/t

A fronte degli ottimi risultati che diedero durante la sperimentazione, le nuove automotrici furono presentate ufficialmente alle autorità in occasione delle cerimonie indette nel dicembre 1932 per celebrare la fondazione della città di Littoria (oggi Latina) nell'Agro Pontino bonificato, circostanza che determinò il nome di "littorina" per contraddistinguere il nuovo mezzo e quelli che ne derivarono[41].

Le prime littorine nacquero equipaggiate con il motore a benzina nei tre modelli FIAT AU4.A, AU4.B e AU4.C corrispondenti alle classificazioni FS ALb 48, ALb 64 e ALb 80, i quali differivano sostanzialmente fra loro per il numero di posti a sedere e di conseguenza per lunghezza, massa e potenza: in particolare le ALb 48 e le ALb 64 erano automotrici con un solo carrello motore – rodiggio (1A)2' – che offrivano rispettivamente 48 e 64 posti, mentre le ALb 80 avevano entrambi i carrelli motori – rodiggio (1A)(A1) – e offrivano 80 posti; una di quest'ultime intraprese un viaggio promozionale che la portò in Russia, a Mosca e sulla Leningrado-Soči, dove dimostrò di poter dimezzare il tempo di percorrenza tra le due città rispetto ai treni più veloci del tempo[42].

La littorina a completa aderenza ALn 56.1901 in arrivo a Paola da Cosenza il 1º aprile 1971.

Il primo servizio regolare con le littorine iniziò il 31 luglio 1933 sulla Torino-Santhià-Biella con un'ALb 48 e il successo del nuovo mezzo questa volta fu immediato, tant'è vero che nel 1937 il parco FS aveva già raggiunto i 250 esemplari di automotrici FIAT, che percorrevano giornalmente circa 41.000 km effettuando anche servizi di prestigio con nette riduzioni di orario e servizi turistici come il Ventimiglia-Tenda-Cuneo-Torino-Oulx con proseguimento in autobus su Sestriere[43].

Su alcune relazioni importanti si ebbe anche un'intensificazione dei servizi rapidi che cambiò positivamente l'immagine della ferrovia, come per esempio le tre coppie giornaliere di rapidi no stop Torino-Milano del 1938, effettuate in un'ora e 24 minuti dalle automotrici Diesel-meccaniche ALn 40, che viaggiavano a 130 km/h su lunghe tratte[43].

Tra i numerosi modelli di automotrici leggere realizzate dalla FIAT Materfer negli anni trenta del XX secolo sono particolarmente rilevanti le ALn 56, automotrici Diesel-meccaniche a due assi motori con rodiggio (1A)(A1), e le loro derivate ALn 556, che consentirono il comando di due unità dallo stesso banco di manovra, e le automotrici a completa aderenza ALn 56 c.a., sviluppate in versione a quattro assi motori con rodiggio B'B' per la ferrovia Paola-Cosenza, le cui pendenze fino al 60‰ determinarono, sebbene limitata al freno, anche l'uso della cremagliera[39][44][45].

L'autotreno ATR.100

Lo stesso argomento in dettaglio: Autotreno FS ATR.100.

Il grande successo delle automotrici nei servizi rapidi mise ulteriormente in evidenza il potenziale della trazione Diesel leggera, che con l'inserimento in orario di frequenti rapidi o direttissimi di adeguata capienza affidati ad automotrici o treni automotori, avrebbe potuto garantire generalizzati miglioramenti nel servizio viaggiatori, evitando i perditempi per i cambi del mezzo di trazione nelle inversioni di marcia o nel passaggio tra due differenti sistemi di trazione elettrica[46].

Conscia di queste potenzialità e del fatto che il comando multiplo di due automotrici, che verrà comunque realizzato a partire dalle ALn 556, non sarebbe stato sufficiente per garantire la capienza richiesta, la FIAT Materfer intraprese sin dal 1934 lo sviluppo di un treno automotore articolato a trazione Diesel-meccanica, equipaggiato con due motori da 600 CV in grado di fargli raggiungere la velocità di 160 km/h[45].

Il convoglio, identificato come tipo FIAT 016 e immatricolato nelle FS come autotreno ATR.100, era composto da tre casse su quattro carrelli, di cui gli estremi avevano un asse motore ciascuno, mentre gli intermedi, su cui poggiavano le casse attigue secondo lo schema Jacobs, erano semplicemente portanti (rodiggio (1A)2'2'(A1)); la trasmissione meccanica era composta da frizione, cambio a quattro marce e ruota libera; la cassa anteriore era completamente dedicata a cucina, bagagliaio e servizi, tra i quali un gruppo elettrogeno per il condizionamento dell'aria[47].

Il primo autotreno uscì di fabbrica il 21 agosto 1936, affrontò la prima corsa di prova cinque giorni dopo e il 19 settembre raggiunse per la prima volta i 150 km/h sulla ferrovia Torino-Novara[48].

La messa a punto dell'ATR.100, nato condizionato dalla scarsità di mezzi diagnostici e dalla mancanza di esperienza nel campo di velocità a cui era destinato, si rivelò subito difficile: le criticità vennero ricercate con lunghe corse di prova sull'itinerario circolare Torino-Milano-Venezia-Bologna-Milano-Torino con velocità spinta oltre i 160 km/h, che misero in evidenza una serie di problemi legati principalmente alla sistemazione dei motori sui carrelli, all'eccessiva rigidezza trasversale tra cassa e carrelli e alle oscillazioni di rollio della cassa intermedia[49].

L'ATR.100 fu costruito in 9 esemplari (ATR.101-109) ultimati nel 1940, ma la lunga messa a punto e lo scoppio della seconda guerra mondiale non ne permisero l'ingresso in servizio regolare: i motori furono subito smontati e destinati a usi bellici, mentre le quattro unità ATR.102, 104, 105 e 109 furono danneggiate irreparabilmente dai bombardamenti; al ritorno della pace la carenza di materiale rotabile indusse a ripristinare i cinque autotreni superstiti che, modificati per aumentarne la capacità con la trasformazione in ambiente viaggiatori della carrozza precedentemente destinata ai servizi, vennero messi in servizio soprattutto fra Torino e Milano e Torino e Bologna[50].

Alla fine della guerra lo schema realizzativo degli ATR.100 risultava completamente superato dal progresso delle conoscenze tecniche e dall'avvento dei motori piatti che potevano essere sistemati nel sottocassa, ma l'esperienza non certo esaltante degli autotreni articolati non andò irrimediabilmente perduta, perché con quella acquisita nell'immediato anteguerra con le "automotrici ferroviarie sperimentali", permise di iniziare nel 1952 la realizzazione sulla Rete Nazionale delle Ferrovie Spagnole, con i treni automotori TAF (Trenes Automotores FIAT) e TER (Trenes Españoles Rápidos), di quel tipo di servizio esteso a tutta la rete che non si era potuto realizzare in Italia con gli ATR.100[51].

Le automotrici ferroviarie sperimentali e i carrelli FIAT di seconda generazione

Nel 1937, avendo percepito per tempo che la riuscita formula delle littorine stava raggiungendo i limiti di sviluppo, come venne poi dimostrato dalle vicende degli ATR.100, la direzione aziendale decise di "voltar pagina" costituendo un ufficio studi denominato Ufficio Tecnico Automotrici Ferroviarie Sperimentali (UTAFS) in cui vennero fatte confluire professionalità ferroviarie, aeronautiche e automobilistiche con lo scopo di studiare e costruire a spese FIAT alcuni esemplari di automotrici di nuova concezione, inglobandovi il meglio consentito all'epoca dagli sviluppi tecnologici e dalle conoscenze acquisite dall'azienda negli anni di esercizio del numeroso parco di littorine in circolazione[52].

L'UTAFS impostò subito due progetti: quello dell'automotrice monomotore L101, con un carrello con entrambi gli assi motori collegati fra loro e l'altro portante (rodiggio B'2'), e quello dell'automotrice bimotore L102, con due carrelli con un asse motore e un asse portante ciascuno (rodiggio (1A)(A1))[52].

Sia la L101 che la L102 presentavano cambiamenti sostanziali rispetto alle littorine, costituiti dall'adozione di motori a cilindri orizzontali sistemati sotto il pavimento della cassa, tra i due carrelli sulla L101 e sulle testate sulla L102, e dai carrelli che, liberati dall'ingombro dei motori, ripresero la configurazione con la sospensione primaria a molle a elica e la secondaria a balestre, dando così inizio alla seconda generazione di carrelli FIAT[52].

Nel 1944-1945 fu poi progettata una terza automotrice, denominata L103, molto simile alla L102, ma con la struttura della cassa parzialmente in lega leggera[52].

Contemporaneamente allo sviluppo delle automotrici ferroviarie sperimentali (AFS) l'OM di Milano, confluita in FIAT nel 1938, stava sviluppando, sulla stessa cassa e con identici carrelli, il prototipo dell'automotrice a vapore ALv 72, che non ebbe seguito, e i tre prototipi di automotrici Diesel ALn 72.3001-3003, che avevano in comune con le AFS lo spostamento di motori e cambi dai carrelli alla cassa e l'adozione di carrelli più completi rispetto a quelli delle littorine[53].

Dalle L102, L103 e ALn 72 derivò l'esperienza che portò alle numerosissime serie di automotrici costruite da FIAT e OM nella seconda metà del XX secolo, dalle ALn 772 fino alle ALn 668[54], mentre altre, come le automotrici ALn 990 delle FS e gli autotreni TAF e TER della RENFE, rappresenteranno l'ideale prosecuzione e sviluppo della L101, distrutta dalla guerra[55].

L'automotrice L101

L'automotrice L101 era caratterizzata da una cassa autoportante da 25 m con testate fortemente aerodinamiche che offriva 72 posti a sedere, i carrelli avevano un passo di 3.500 mm e montava un motore FIAT tipo 352 della potenza di 440 CV (circa 324 kW) accoppiato con un cambio meccanico a sei marce che permetteva la velocità massima di 140 km/h[56].

La velocità massima di 140 km/h richiese la progettazione di un nuovo cambio a sei marce che, essendo privo degli innesti marcia sincronizzati come quello delle littorine, richiedeva la presenza a valle della ruota libera[54].

La trasmissione del moto dal cambio alle due sale motrici del carrello anteriore avveniva con uno schema piuttosto singolare che aveva il duplice scopo di ridurre le sollecitazioni sull'albero cardanico, posto tra il cambio sulla cassa e il ponte inversore sul carrello, e sulla zona centrale delle sale motrici[56].

La L101 fu distrutta durante il secondo conflitto mondiale nel bombardamento aereo della stazione di Torrazza Piemonte, dov'era stata ricoverata per salvarla dagli eventi bellici, e la sua perdita fu particolarmente onerosa per l'azienda che ne aveva pianificato la sperimentazione in vista dello sviluppo di una famiglia di automotrici monomotori dotate di propulsori di elevata potenza, che dovette invece essere portata avanti in condizioni di urgenza negli anni cinquanta, con ben maggiori difficoltà e dispendio di energie[57].

Purtroppo della L101 restò solo un'esauriente relazione dell'11 ottobre 1939 sulle prove statiche a cui venne sottoposta la struttura della cassa e una fotografia del 1939-1940[58]. Del motore tipo 352, che si suppone dovesse essere il modello più innovativo con i suoi probabili dodici cilindri contrapposti sei a sei e i 1600 giri massimi, non restò che una vaga memoria, non avendo avuto malauguratamente esito le ricerche di disegni, caratteristiche e relazioni di prova[59].

L'automotrice L102

L'automotrice L102 era caratterizzata da una cassa autoportante da 25 m con testate aerodinamiche che offriva 64 posti a sedere, i carrelli avevano un passo di 3.000 mm e montava due motori FIAT tipo 700.000 della potenza totale di 370 CV (circa 272 kW) accoppiati con cambi meccanici a sei marce, poi sostituiti da un nuovo tipo a cinque marce sincronizzate, che permettevano la velocità massima di 120 km/h[4].

L'automotrice fu realizzata nel 1939 con lo stesso cambio a sei marce della L101, sostituito nel 1944 col tipo a cinque marce sincronizzate che equipaggiò, nelle due varianti per automotrici monomotori e bimotori, tutte le successive automotrici FIAT[60].

La trasmissione della L102, dovendo azionare un solo asse, era molto più semplice di quella della L101 e manteneva lo stesso schema di quella delle littorine[4].

Se per la L101, andata distrutta, ci si limitò forzatamente all'esecuzione delle prove statiche sulla cassa, per la L102 fu possibile ottenere tutti i riscontri dalla sperimentazione in marcia, alla cui conclusione l'automotrice fu sottoposta al rifacimento dell'arredamento interno per divenire il treno presidenziale della repubblica di Bosnia ed Erzegovina[61].

L'automotrice L103

File:SNFT An 70.jpg
L'automotrice L103 immatricolata nel parco SNFT come An 70.

L'automotrice L103, simile alla L102, fu equipaggiata sin dall'origine col nuovo cambio a cinque marce sincronizzate montato su quest'ultima nel 1944[4][60].

Come per la L102 fu possibile ottenere tutti i riscontri dalla sperimentazione in marcia e in particolare quelli relativi all'adozione del rivestimento portante di lamiera ondulata in lega leggera rivettata all'ossatura della cassa[62].

Al termine della sperimentazione la L103 fu immessa in servizio attivo sulla ferrovia della Val Camonica Brescia-Iseo-Edolo, dove fu immatricolata come automotrice SNFT An 70[62].

I carrelli FIAT di seconda generazione

I carrelli FIAT di seconda generazione videro un parziale ritorno allo schema ante-littorine con l'abbandono dell'attacco delle boccole al telaio, soluzione innovativa non ancora matura per la mancanza degli snodi cilindrici silentblock, e una forte attenzione per la risoluzione delle criticità del collegamento cassa-carrello messe in evidenza soprattutto dall'esercizio delle automotrici ALn 40 e dalle prove degli ATR.100 nella marcia a forte velocità (secondo i canoni di allora)[54].

La cura dei particolari per le sospensioni dei carrelli di seconda generazione emerge anche dai brevetti con cui furono coperti quelli adottati dalle AFS, come per esempio il brevetto n. 377453 del 18 dicembre 1939 relativo all'attacco mediante gomma di balestre e trave oscillante al telaio del carrello "allo scopo di eliminare ogni urto (e relativo rumore) fra elementi rigidi e di impedire che le vibrazioni venissero comunicate alla cassa del veicolo"[63].

Le ricadute operative delle AFS FIAT e delle ALn 72 OM

File:7721033cervignasco.jpg
Automotrice ALn 772

Anche se le esperienze furono ostacolate o troncate dalla guerra, come per la L101, nell'attività svolta sulle automotrici ferroviarie sperimentali erano presenti tutte le premesse che permisero all'azienda di presentarsi già preparata a riprendere l'attività nell'immediato dopoguerra e che aprirono una strada che portò alla realizzazione nel corso dei decenni successivi di una serie di veicoli ferroviari con diffusa fama di affidabilità[61].

Particolarmente significati per gli sviluppi futuri furono:

  • la disposizione dei motori sotto il pavimento, caratteristica delle AFS, e la registrazione da parte FIAT tra il 1935 e il 1944 di cinque brevetti di dispositivi basati su vari principi per il "comando contemporaneo e uguale dei regolatori delle pompe di due o più motori a combustione interna distanti l'uno dall'altro" aprirono la strada all'intercomunicazione tra i veicoli, al comando multiplo di due e poi tre automotrici e alla realizzazione di autotreni multimotori[4];
  • il motore tipo 700, studiato appositamente per il servizio ferroviario dall'Ufficio Studi Motori Avio e sperimentato sull'L102 e L103, che equipaggiò le sue varianti aspirate e sovralimentate buona parte delle serie di automotrici e autotreni prodotti fino alla metà degli anni cinquanta per l'Italia e l'estero[59][64];
  • la rivisitazione totale della struttura del veicolo rispetto alle littorine coinvolse anche i radiatori, che non potevano più essere montati sui frontali, aprendo con le AFS una strada di sviluppo che coinvolgerà sia problemi termici che di aerodinamica[62];
  • l'inizio dell'uso, a partire dalle ALn 72, del cambio idraulico SRM che caratterizzerà tutte le automotrici prodotte dall'OM[59].

Una ricaduta immediata dei prototipi ALn 72 dell'OM si ebbe con le automotrici ALn 772, costruite da FIAT e OM a partire dal 1940 e la cui produzione si concluderà per FIAT nel 1941 con le cento unità della serie 1000 (ALn 772.1001-1100), mentre per OM proseguirà fino al 1957 con la serie 3000[65].

Il secondo dopoguerra

La grande necessità di mezzi di trasporto dopo le distruzioni belliche costrinse le aziende del settore ferroviario a un impegno quasi forsennato per il riequipaggiamento del parco veicoli, a cui la FIAT Sezione Materiale Ferroviario contribuì nell'arco di circa cinque anni con la fornitura di 5850 carri merci di vario tipo, di 455 carrozze viaggiatori e con la riparazione di 130 automotrici variamente danneggiate durante la guerra[66].

Il lavoro di studio e sperimentazione svolto a partire dal 1940, e in parte anche durante la guerra, permise inoltre all'azienda di affrontare, in parallelo all'impegno di ricostruzione, un'intensa attività riguardante la progettazione di nuove automotrici, la ripresa degli studi di locomotive Diesel, la ricerca per l'ammodernamento dei tram e il ritorno a tipi di prodotto, come le carrozze letto, che erano rimasti esclusi da tempo dall'attività della Sezione Materiale Ferroviario[66].

Sfortunatamente non tutte queste attività preparatorie portarono all'acquisizione di commesse, infatti oltre che dalle necessità della ricostruzione, il dopoguerra fu caratterizzato da una forte indecisione del potere pubblico sul futuro del trasporto su rotaia (a cui l'estendersi della motorizzazione stradale e dell'aviazione civile aveva tolto il monopolio dei sistemi di trasporto) i cui effetti negativi durarono per alcuni decenni causando lo smantellamento di molte reti urbane e suburbane con l'arresto completo della costruzione di tram, anni di incertezze per le Ferrovie dello Stato sulla scelta dei servizi che sarebbe stato vantaggioso mantenere e sviluppare e un conseguente altalenare delle commesse che causò difficoltà non trascurabili alla FIAT Sezione Materiale Ferroviario, fortunatamente superate almeno in parte con il lavoro non ferroviario ricevuto dalle altre sezioni dell'azienda[67].

I tram

Per le ragioni esposte la costruzione dei tram, che era stata un'attività importante prima della Diatto e poi della Sezione Materiale Ferroviario fino all'immediato anteguerra, subì una battuta d'arresto che durò fino a circa la metà degli anni settanta; rimase quindi privo di seguito il prototipo di carrello tranviario studiato durante la ricostruzione e realizzato nel 1950[68].

Le carrozze

Il ritorno alla costruzione delle carrozze, che ebbe poi un andamento altalenante e discontinuo molto legato alla storia dei carrelli, avvenne a partire dal 1950 con la fornitura alla Compagnia Internazionale delle Carrozze Letto (CIWL) delle carrozze letto tipo P[69].

Si trattava delle prime carrozze che la CIWL fece costruire con tutti i compartimenti singoli disposti su due livelli embricati fra loro, con un allestimento interno di non facile esecuzione che fu uno dei motivi che determinarono l'assegnazione della commessa alla FIAT, anche se la struttura della cassa completamente in acciaio inossidabile, fuori degli standard costruttivi dell'azienda, la costrinse ad appoggiarsi ad altri costruttori specializzati; inoltre, non essendo disponibili al tempo carrelli italiani di tipo moderno e già sperimentato, il cliente prescrisse l'adozione del tipo Schlieren sviluppato in Svizzera nel 1937[70].

La collaborazione con la CIWL ebbe poi un notevole seguito nel dopoguerra, portando all'acquisizione di sette commesse da CIWL ed FS per un totale di 174 carrozze che passarono nel corso degli anni dal carrello svizzero Schlieren al francese Y24, al Minden-Deutz e poi al FIAT di terza generazione[71].

Le automotrici

Dal canto loro le Ferrovie dello Stato, pur nell'urgenza della ricostruzione, ripresero immediatamente il loro programma di sviluppo del parco automotrici, puntando inizialmente su una soluzione monomotore nella fiducia che il progresso tecnologico dei propulsori Diesel consentisse ormai un'affidabilità tale da far rientrare in limiti accettabili i guasti in linea e confidando che l'acquisto e la manutenzione di un solo gruppo motore fossero economicamente più vantaggiosi rispetto alle automotrici bimotore[66].

Fra il 1947 e il 1950 furono dunque studiate con queste premesse automotrici di forte capacità equipaggiate con un solo motore Diesel a cilindri orizzontali sistemato sotto il pavimento, che portarono alla stesura dei progetti delle ALn 990 da parte di FIAT Materfer e OM e delle ALn 880 da parte della Breda[66].

Nel 1954, dopo le esperienze delle grosse automotrici monomotore ALn 880 e ALn 990, vi fu invece un ripensamento da parte FS, che sulla base del successo delle littorine anteguerra (ALn 40, ALn 56, ALn 80, ecc.), ritennero opportuno tentare di riprendere quella strada avviando il fortunato progetto delle automotrici bimotore ALn 668[72].

Le automotrici monomotore ALn 990
File:FSALn990.jpg
L'automotrice ALn 990.3018, costruita dall'OM, ripresa ad Aulla nel 1992.
Lo stesso argomento in dettaglio: Automotrice FS ALn 990.

L'impulso allo sviluppo delle automotrici dato dalle Ferrovie dello Stato nell'immediato dopoguerra si tradusse nell'ordine delle nuove motrici monomotore ALn 990 e delle relative rimorchiate pilota Ln 990, destinate prevalentemente ai servizi a media distanza nella composizione di due motrici e una rimorchiata pilota, che fu suddiviso tra la FIAT Materfer e l'OM[73].

Il motivo dello sdoppiamento della commessa è legato probabilmente alla volontà da parte FS di avere veicoli utilizzabili per servizi su linee con caratteristiche di vario tipo: infatti le ALn 990 FIAT e OM avevano gli stessi motori Diesel e identiche dimensioni fondamentali, ma trasmissioni di concezione molto diversa, con il cambio meccanico FIAT che provocava inevitabilmente l'interruzione dello sforzo di trazione tra le varie marce, che però potevano essere mantenute inserite indefinitamente, mentre il cambio idraulico OM dava al veicolo una caratteristica di trazione continua, ma essendo soggetto al riscaldamento del fluido, risultava meno adatto per superare pendenze elevate di lunga durata[74].

Lo schema meccanico dell'ALn 990 FIAT derivava in buona parte da quello dell'automotrice ferroviaria sperimentale L101 messa in cantiere nel 1937, la cui sperimentazione, se non fosse andata malauguratamente distrutta durante la guerra, avrebbe consentito di anticipare la messa a punto della frizione che, eseguita invece direttamente sulle ALn 990 in corso d'opera, richiese un travagliato lavoro di modifica che condusse all'inserimento di un giunto idraulico tra motore e frizione, la cui applicazione fu poi generalizzata a tutte le successive automotrici FIAT con cambio meccanico[75].

Le automotrici bimotore
L'automotrice RALn 60.13 a Castelvetrano nel 1984.

Diversamente dalla L101 andata perduta, i risultati ottenuti con i prototipi bimotore L102 ed L103 poterono essere subito messi a frutto su altri tipi di veicoli che non rientravano nello schema monomotore allora definito dalle Ferrovie dello Stato per le linee principali, schema che non era completamente condiviso dai tecnici dell'ufficio studi della FIAT Materfer che, per le seguenti ragioni poi confermate dalla vastissima esperienza, preferivano la soluzione bimotore con entrambi i carrelli a metà aderenza[76]:

  • maggiore semplicità e unicità dei carrelli;
  • ridondanza degli apparati motori, con conseguente sicurezza di non dover richiedere la locomotiva di soccorso in caso di guasto in linea;
  • possibilità di usare motori di derivazione camionistica di comprovata affidabilità piuttosto che motori per solo uso ferroviario.

Non essendo però ancora disponibile un motore per autocarri di sufficiente potenza, le prime automotrici bimotore furono equipaggiate col motore tipo 700 approntato appositamente nell'immediato anteguerra dall'Ufficio Studi Motori Avio e provato sulle automotrici ferroviarie sperimentali (AFS) L102 ed L103[77].

Dalle AFS L102 ed L103 derivarono i tipi FIAT[77][78]:

  • 072 del 1949, costituito da una serie di automotrici e rimorchiate per le linee FS a scartamento 950 mm della Sicilia, immatricolate nel gruppo FS RALn 60;
  • 088 del 1955, costituito da una serie di automotrici ad aderenza totale per la linea a forti pendenze Paola-Cosenza, immatricolate nel gruppo FS ALn 64;
  • 077 del 1950 e 116 del 1960, costituiti da due serie di automotrici e rimorchiate per le Ferrovie Statali Greche (SEK);
  • 090 del 1955, costituito da un piccolo gruppo di automotrici a scartamento metrico per le Ferrovie Indiane;
  • 120 del 1958, costituito da una serie di automotrici per le Ferrocarriles Consolidados de Cuba.

Gli immediati successori di questo centinaio di automotrici bimotore furono le automotrici ALn 668, che a partire dal 1956 svolsero un ruolo fondamentale nell'ammodernamento dei servizi sulle linee non elettrificate italiane, comprese le ferrovie concesse, e segnarono la presenza della FIAT sulle linee di quattro continenti[79].

Le automotrici bimotore ALn 668 e ALn 663
Il prototipo ALn 668.1401, preservato per il parco storico FS, in transito a Rovato Città il 1º giugno 2008.
Una coppia di ALn 663.1100 transita nella stazione dismessa di Piena, sulla ferrovia Cuneo-Ventimiglia, il 31 agosto 2008.
Lo stesso argomento in dettaglio: Automotrice FS ALn 668 e Automotrice FS ALn 663.

Con la commessa 094 del 1954 la FIAT Materfer iniziò la progettazione dei tre prototipi ALn 668.1401-1403, ordinati dalle FS con l'intenzione di farne un "componente tipo" destinato a tutta la parte non elettrificata della rete[80].

Il progetto delle ALn 668 riprese i requisiti di base delle automotrici RALn 60 per le linee siciliane a scartamento ridotto, nate nell'immediato dopoguerra come discendenti delle littorine e delle automotrici ferroviarie sperimentali L102 ed L103, con l'obiettivo di eliminarne le deficienze e i punti deboli emersi dalle dure prove di esercizio, in particolare: la delicatezza del basamento in lega di alluminio del motore Diesel della famiglia 700; l'usura della frizione negli avviamenti; la complessità e la non completa affidabilità dei comandi, che comportavano una certa facilità di errore da parte dei macchinisti[81].

Questi inconvenienti furono risolti con l'adozione di: motori di derivati senza modifiche agli organi essenziali da quelli prodotti in grande serie per gli autocarri; giunto idraulico tra motore e frizione, già sperimentato con successo sulle ALn 990; nuovo banco di manovra dotato di un manipolatore che riuniva in un'unica leva i comandi di frizione, cambio marce e acceleratore[82].

Le automotrici ALn 668 furono uno dei veicoli di maggior successo della storia delle ferrovie italiane ed europee, nonché dell'azienda produttrice, che vennero replicati in ben nove differenti serie per le FS e dai quali derivarono numerose varianti per l'estero e per le ferrovie in concessione italiane[83].

Nel 1984 nacquero due ulteriori serie di ALn 668 che, a seguito di una variazione dell'arredamento interno e del numero di posti, che passarono da 68 a 63, furono classificate nel nuovo gruppo ALn 663[84].

Gli autotreni

Dalle ALn 990 furono derivati tre modelli di autotreni che segnarono l'inizio dell'ammodernamento delle reti ferroviarie spagnola e argentina[79].

Gli autotreni TAF e TER
L'autotreno TAF 9532 della RENFE a Irún nel 1955.
Autotreno TER della RENFE a Madrid Atocha nel 1981.

Nel 1949 la Rete Nazionale delle Ferrovie Spagnole (RENFE) si presentava, con un'estensione di circa 13.000 km esercita quasi totalmente a vapore, in una situazione analoga a quella della parte della rete FS degli anni trenta che aveva determinato la sfortunata nascita degli autotreni ATR.100, allora non ancora tecnicamente maturi[79]. Questa situazione fornì l'occasione alla FIAT Materfer di ripercorrere con la RENFE, questa volta con successo, la strada dei treni automotori con motori a combustione interna di sufficiente potenza specifica e limitata massa assiale, che avrebbero consentito, con forti riduzioni dei tempi di percorrenza e con un arredamento moderno, il rinnovamento dell'immagine della ferrovia[79].

Tra il 1952 e il 1954 furono dunque realizzati con questo obiettivo i Trenes Automotores FIAT (TAF), costituiti da cinquanta automotrici (M) e venti rimorchiate pilota (R) configurate prevalentemente nella composizione M+R+M, con 174 posti di prima e seconda classe più bar e servizio ristorante, che furono messi in servizio sulle relazioni principali Madrid-La Coruña, Madrid-Lisbona, Madrid-Cordova-Siviglia, Madrid-Valencia, Madrid-Barcellona e Madrid-Bilbao[78][85].

Tre autotreni identici, salvo per lo scartamento, furono ordinati nel 1953 dalle Ferrovie Portoghesi (CP) per il servizio sulla linea Lisbona-Oporto[78][86].

Nel 1963 fecero seguito ai TAF i sessanta Trenes Españoles Rápidos (TER), costituiti da coppie di motrice e rimorchiata con parecchie migliorie rispetto ai predecessori, che portarono il parco degli autotreni FIAT sulla rete RENFE a 80-90 unità (a seconda delle composizioni adottate)[78][86].

Tra le migliorie introdotte con gli autotreni TER sono di particolare rilievo l'aumento della potenza del motore Diesel di oltre il 50%, che consentiva la realizzazione di composizioni M+R+R+M, con una rimorchiata in più rispetto ai TAF, e il massimo perfezionamento del carrello FIAT di seconda generazione[87].

La FIAT Concord e gli autotreni 7131
Autotreno FIAT 7131 per le ferrovie argentine (EFEA), fotografato nella stazione di Cañuelas nel 1990.

La FIAT aveva impiantato a Córdoba (Argentina) il centro industriale FIAT Concord che comprendeva, tra l'alto, le fabbriche Grandi Motori, operativa nel 1955, e di materiale ferroviario, fondata nel 1958, che furono presto in grado di soddisfare le esigenze della vasta e complessa rete ferroviaria argentina, nazionalizzata tra il 1945 e il 1949, che comprendeva ben quattro tipi di scartamento: largo (1.676 mm), per circa 24.500 km; normale (1.435 mm), per circa 3.400 km; metrico (1.000 mm) per circa 15.000 km e stretto (750 mm) per circa 1.000 km[88].

Anche per le ferrovie argentine, come per quelle spagnole, fu scelta la formula del treno Diesel automotore composto da una motrice e una rimorchiata pilota, realizzando a Torino il progetto dell'autotreno tipo 7131 e la produzione nello stabilimento FIAT Concord di Córdoba, da cui la prima motrice uscì nel 1960[89].

L'autotreno tipo 7131 per l'Impresa Ferroviaria dello Stato Argentino (EFEA) offriva 195 posti tra motrice e rimorchio, che potevano raddoppiare sfruttando la possibilità di accoppiare due treni in comando multiplo, era dotato di cambio idraulico a funzionamento automatico e di radiatori disposti sul tetto per evitare l'intasamento da parte della polvere organica presente nella pampa argentina; dovendo inoltre circolare anche su linee con armamento molto leggero (rotaie da 25 kg/m), fu necessario prevedere il carrello motore a tre assi, realizzando un treno con rodiggio (A1A)2'+2'2'[90].

Gli autotreni 7131 furono prodotti per l'EFEA nelle versioni a scartamento largo e normale per un totale di 339 veicoli, comprendenti 171 motrici e 168 rimorchiate pilota[91].

La FIAT Concord ebbe anche un ruolo estremamente importante nel rinnovo del parco carrozze argentino, che interessò gli scartamenti metrico, normale e largo per tutti i tipi di trasporto viaggiatori, dal suburbano alla lunga distanza, con carrozze di prima e seconda classe, letti, ristoranti e furgoni, che migliorarono la qualità del servizio e introdussero una fortissima unificazione del materiale[92].

Il rinnovo delle carrozze ebbe inizio nel 1962 e durò fino alla metà degli anni settanta con la produzione di circa 1.500 carrozze, costruite prima in Italia e poi in Argentina, che furono inizialmente dotate di carrelli FIAT della seconda generazione e successivamente, per circa 120 carrozze delle ultime serie, dei più moderni e confortevoli carrelli della terza generazione che avevano equipaggiato le carrozze TEE e Gran Conforto delle FS e le carrozze Eurofima[92].

L'autotreno reale egiziano

Nel 1951 l'azienda assolse il prestigioso incarico di costruire il treno reale egiziano, consistente in un autotreno a due casse su quattro carrelli composto da una motrice ad aderenza totale equipaggiata con due motori SBB da 960 CV complessivi e da una rimorchiata pilota (rodiggio B'B'+2'2')[92].

Il treno era caratterizzato da un arredamento lussuoso di gusto europeo, ma dopo il colpo di stato di Muhammad Naguib venne trasformato per servizi turistici[92].

Le locomotive Diesel

Le locomotive D.341
File:Locomotiva FS D341 1016.JPG
La locomotiva D.341.1016 conservata al museo nazionale ferroviario di Pietrarsa.
Lo stesso argomento in dettaglio: Locomotiva FS D.341.

Superate le emergenze della ricostruzione postbellica, divenne indifferibile la sostituzione della trazione a vapore che interessava allora circa il 25-30% del traffico, con punte del 100% in certe regioni[93].

La tecnologia per le locomotive Diesel era ormai abbastanza matura rispetto ai tentativi senza seguito degli anni venti, per cui le Ferrovie dello Stato rivolsero all'industria privata la richiesta per la realizzazione di un prototipo di locomotiva con motori endotermici con le seguenti caratteristiche[93]:

  • potenza ai cerchioni di almeno 1.000 CV (circa 736 kW);
  • velocità massima di 100 km/h;
  • massa per asse non superiore a 16 t;
  • quattro assi ad aderenza totale;
  • souplesse[Nota 2] non inferiore a 4 (in altre parole adatta sia ai treni viaggiatori che ai treni merci).

Si trattava di specifiche perseguibili ragionevolmente, ma una locomotiva di questo tipo non esisteva ancora neanche all'estero e la sua realizzazione non appariva né sicura, né immediata[93].

La FIAT, fortemente interessata sia come costruttrice di materiale ferroviario che di motori Diesel, vide nella richiesta FS la possibilità di riaffrontare con mezzi più adeguati il progetto della locomotiva di linea da 1300 CV che aveva già studiato nel 1925 e decise di avviare una ricerca a tutto campo nell'ambito della trasmissione Diesel-elettrica, lasciando all'OM la definizione della soluzione Diesel-idraulica con i motori veloci e i convertitori di coppia disponibili nell'azienda milanese[94].

Dal 1946 al 1954 la FIAT Materfer elaborò nelle linee generali ben dodici varianti di una locomotiva Diesel-elettrica, scontrandosi però con il problema dei motori, che portati alla potenza necessaria per garantire i 1000 CV ai cerchioni con l'aumento del numero di cilindri e dell'alesaggio, assumevano una massa tale da non consentire in alcun modo la realizzazione di una locomotiva a 4 assi con massa assiale non superiore a 16 t, tant'è vero che nel 1951 furono studiate, a solo scopo di approfondimento, due varianti a 6 assi con rodiggio Co'Co', cioè con due carrelli con tre assi motori ciascuno, oppure (Ao1Ao)(Ao1Ao), cioè con due carrelli a tre assi con solo gli assi esterni motorizzati[95].

Volendo perseguire la strada dei 4 assi motore (rodiggio Bo'Bo') imposta dalle FS si dovettero escludere anche i tentativi fatti con un motore Diesel lento (750 giri al minuto) a 8 cilindri e con una coppia dei motori veloci (1.500 giri al minuto) che avevano equipaggiato in versione piatta le ALn 990, pervenendo alla fine alla scelta del motore semiveloce 2312SF (1.000 giri al minuto), derivato dalla serie 2012 della FIAT Grandi Motori aumentandone l'alesaggio da 200 a 230 mm e mantenendone i 12 cilindri, che permise di rimanere, seppur di stretta misura, entro il limite di 16 t per asse[95].

Non volendosi avventurare in consistenti ordinazioni di serie, le FS decisero di assegnare, sotto la loro supervisione, il coordinamento del progetto delle locomotive Diesel-elettriche alla FIAT Materfer ed emisero un ordine preliminare di venti locomotive D.341 con l'intento di provare, oltre al motore FIAT, alcuni altri tipi costruiti su licenza o importati[96]. La prima ordinazione fu dunque articolata su una preserie di venti unità comprendente:

  • sedici locomotive (D.341.1001-1016) con motore FIAT Grandi Motori 2312SF, assegnate a FIAT, OM, TIBB, Reggiane e OCREN;
  • due locomotive (D.341.2001-2012) con motore Breda-Paxman 12YLXL, assegnate alla Breda;
  • una locomotiva (D.341.4001) con motore Maybach MB865, assegnata all'Ansaldo;
  • una locomotiva (D.341.5001) con motore MAN V6V22/30, assegnata alle Reggiane;

con le stesse parti meccaniche ed equipaggiamento elettrico unificato Marelli-CGE-TIBB, salvo per la versione Ansaldo che aveva in comune soltanto i motori di trazione[96].

Le D.341 si dimostrarono adeguate ai servizi attesi determinando l'ordine da parte FS di una seconda serie di complessive 85 unità, con motori FIAT Grandi Motori 2312SF (D.341-1017-1068) e Breda Paxman 12YLXL (D.341.2003-2035), il cui progetto, sostanzialmente identico a quello della prima serie, fu migliorato nella sospensione primaria dei carrelli, nel comando degli ausiliari e nella forma della testata[97].

La locomotiva D.461
Locomotiva FS D.461.1001 - ex prototipo FIAT E 10011 - esposta durante la manifestazione "Porte aperte a Torino Smistamento" dell'8-9 novembre 2011.
Lo stesso argomento in dettaglio: Locomotiva FS D.461.

Diversamente da quanto avvenne per le automotrici e gli autotreni destinati alle reti ferroviarie straniere, la FIAT dovette registrare un certo numero di insuccessi nella vendita all'estero delle proprie locomotive Diesel, motivati principalmente dal fatto che, trattandosi di reti molto diverse da quelle italiane, le richieste di offerta differivano sensibilmente dalla base di esperienza acquisita con le realizzazioni per le Ferrovie dello Stato, le cui referenze risultavano spesso insufficienti[98].

Per far fronte a questa situazione, verso la fine degli anni cinquanta il presidente della FIAT Vittorio Valletta mise a disposizione della Sezione Materiale Ferroviario alcune centinaia di milioni di lire per la progettazione e la realizzazione di una locomotiva Diesel-elettrica che potesse servire come referenza per questi casi, che avrebbe dovuto situarsi nel campo delle potenze allora definite elevate (oltre 2.000 CV – circa 1.470 kW) e avere la possibilità di circolare sulle reti ferroviarie ad armamento leggero, il che implicava il ritorno allo studio del carrello a tre assi ipotizzato per le D.341, con la possibilità di sperimentarlo finalmente in pratica[99].

Per ricavare il maggior numero di elementi in grado di rispondere alle più disparate richieste di offerta prevedibili, il progetto della locomotiva Diesel-elettrica FIAT E 10011 fu impostato con una potenza di 2.400 CV (circa 1.765 kW), una velocità massima di 150 km/h, una massa assiale non superiore a 15 t e la massima attenzione al miglioramento del comportamento dinamico del veicolo[100].

La locomotiva concepita con le suddette caratteristiche fu equipaggiata con una coppia di motori Diesel veloci (1.500 giri al minuto) Mercedes-Benz 820Db da 1.200 CV (circa 883 kW), costruiti su licenza dalla FIAT Grandi Motori, e un equipaggiamento elettrico Alsthom, scelto per abbinare a FIAT un nome di prestigio e una diffusa esperienza commerciale nel campo della trazione ferroviaria[100].

La meccanica fu ridisegnata quasi completamente rispetto alla D.341, in particolare con una ripresa radicale dello studio del carrello allo scopo di separare il più possibile fra loro le funzioni di guida, sospensione, trasmissione della massa, trasmissione delle forze di trazione e frenatura, per ottenere la massima libertà di dimensionamento[100].

La prima corsa di prova effettuata il 18 febbraio 1961, fu seguita da una serie di verifiche su linee dal profilo molto vario dove la locomotiva poté raggiungere le velocità ammesse per i mezzi leggeri[101].

Il prototipo FIAT E 10011 fu successivamente immatricolato nel parco FS con la classificazione D.461.1001, dove svolse un periodo di esercizio su svariatissime linee del Nord Italia (Ventimiglia, Modane, Brennero) che rivelò la debolezza dei motori Mercedes nati durante la guerra per esigenze militari, circostanza che unita alla difficoltà di manutenzione di un esemplare unico ne determinò la radiazione nel 1978[101].

Questa macchina rispose solo in parte all'obiettivo dell'esportazione per cui era nata, ma fu ricca di ricadute su tutta la successiva produzione di locomotive e carrelli FIAT, divenendo la chiave dei successi ottenuti dal 1970 in avanti[100].

L'esperienza acquisita con questa locomotiva fu subito utilizzata in collaborazione con Alsthom per una lunga trattativa con l'industria e le ferrovie polacche, non riuscendo a esportare locomotive complete, ma trasferendo sul prototipo di locomotiva a rodiggio Co'Co' costruito in Polonia, e sulla numerosa serie che ne derivò, parecchie ispirazioni a particolari della E 10011, nonché la generatrice principale Alsthom e il motore Diesel FIAT Grandi Motori del nuovissimo tipo 210, già previsto per le locomotive Diesel-elettriche in corso di studio per le Ferrovie dello Stato[101].

Dal lavoro svolto sulla E 10011 derivò una notevole apertura di idee che consentì, tra il 1961 e il 1967, un'intensa attività di progettazione di locomotive rivolte a soddisfare particolari necessità, di fornire alla consociata argentina FIAT Concord un complesso di progetti fortemente unificati tra loro e di collaborare con le Ferrovie dello Stato e le altre industrie italiane alla realizzazione di altre locomotive Diesel-elettriche per completare il programma di sostituzione della trazione a vapore[101].

La locomotiva DE 101
Locomotiva Diesel-elettrica DE 101 della SATTI, tipo FIAT 7144.

Come prima ricaduta del prototipo E 10011 fu realizzata nel 1962 la locomotiva-bagagliaio tipo 7144, adatta per i servizi misti delle linee suburbane e destinata alla Ferrovia Canavesana della SATTI[101].

La 7144, immatricolata nel parco SATTI come DE 101, era una locomotiva Diesel-elettrica a 4 assi con rodiggio B'B', dotata di motore Diesel OM SEVL da 750 CV (circa 552 kW) ed equipaggiamento elettrico CGE; i carrelli, con entrambi gli assi motori, erano derivati da quelli a tre assi della E10011, ma i due motori elettrici di trazione erano sospesi alla cassa con uno schema di trasmissione a cardani e ponti, simile a quello delle automotrici, che costituiva un'anticipazione della soluzione adottata per gli elettrotreni della famiglia Pendolino[101][102].

Nonostante lo svantaggio di essere un esemplare unico la DE 101 dimostrò sulla rete SATTI ottime caratteristiche di disponibilità ed economicità, ma non ne furono costruiti ulteriori esemplari perché, essendosi ridotto drasticamente il servizio merci, il suo ruolo fu rilevato quasi completamente dalle automotrici[101].

Le locomotive per le Ferrovie Argentine

I progetti più importanti derivati immediatamente dalla locomotiva E 10011 furono per le Ferrovie Argentine e per la produzione realizzata in Argentina dalla FIAT Concord, per i quali la FIAT scelse come partner per l'equipaggiamento elettrico la Ercole Marelli, che si appoggiava alla propria licenziataria argentina SIAM Elettromeccanica[103].

Per risolvere le criticità di manutenzione e di ricambi delle locomotive Diesel della rete ferroviaria argentina, diversificate per i vari tipi di scartamento e fino allora tutte di importazione, la Divisione Materiale Ferroviario stilò un programma di produzione per lo stabilimento FIAT Concord di Cordoba che prevedeva la realizzazione di una famiglia di locomotive Diesel-elettriche fortemente unificate sia per tipo che per scartamento, contribuendo al contempo a risolvere i problemi economici e di occupazione che affliggevano il paese sudamericano[103].

File:Fiat transfer.jpg
La locomotiva Diesel-elettrica a 6 assi da 2.000 CV tipo FIAT 164.

La suddetta famiglia comprendeva i seguenti modelli di locomotiva:

Scartamento 1.000 mm Scartamento 1.435 mm Scartamento 1.676 mm
Locomotiva tipo FIAT 165:
4 assi, rodiggio Bo'Bo'
motore FIAT 236 SSF
1.000 CV (~736 kW) 
Locomotiva tipo FIAT 173:
4 assi, rodiggio Bo'Bo'
motore FIAT 238 SSF
1.500 CV (~1.103 kW)
freno dinamico
Locomotiva non realizzata:
6 assi, rodiggio Co'Co'
motore FIAT 238 SSF
1.500 CV (~1.103 kW)
 
Locomotiva tipo FIAT 164:
6 assi, rodiggio Co'Co'
motore FIAT 2312 SSF
2.000 CV (~1.471 kW)
freno dinamico
Locomotiva non realizzata:
6 assi, rodiggio Co'Co'
motore FIAT 2312 SSF
2.000 CV (~1.471 kW)
freno dinamico

che impiegavano i motori Diesel della serie 230 (la stessa delle D.341) nelle versioni a 6, 8 e 12 cilindri per coprire le potenze da 1.000 a 2.000 CV con una grandissima unificazione dei componenti soggetti a usura[104][105].

Altrettanto unificati erano i motori di trazione e molte parti dell'equipaggiamento elettrico e degli ausiliari, come pure molti componenti dei carrelli, derivati sia nella versione a due e tre assi da quello della E 10011, studiati per il massimo sfruttamento dell'aderenza e la più completa adattabilità alle irregolarità del binario, posato spesso senza massicciata[106].

Delle locomotive previste furono costruite tra il 1966 e il 1968 soltanto quelle per la rete a scartamento di 1.000 mm delle Ferrocarril General Belgrano, in 41 unità per la versione da 1000 CV e i soli prototipi delle versioni da 1.500 e 2.000 CV; non fu infatti possibile procedere con la realizzazione del resto della famiglia a causa del periodo di instabilità attraversato dall'Argentina e per interessi contrari all'arresto delle importazione di locomotive statunitensi[106].

Al 31 dicembre 1973 e locomotive da 1.000 CV avevano già accumulato una percorrenza di circa 22 milioni di chilometri, mentre il prototipo da 2.000 CV ebbe modo di dimostrare le sue doti di aderenza sulle difficili linee andine tra l'Argentina del nord e la Bolivia[106].

Le locomotive D.343 e D.443
Locomotiva FS D.443.1005 (costruzione OM e motore FIAT 2312 SSF) ripresa a Gela il 16 novembre 1995.
Lo stesso argomento in dettaglio: Locomotiva FS D.343 e Locomotiva FS D.443.

Contemporaneamente allo sviluppo delle locomotive per l'Argentina la FIAT Materfer portò avanti con le Ferrovie dello Stato e altre industrie nazionali il progetto delle nuove locomotive Diesel-elettriche D.343 e D.443 che il 2 maggio 1964 portò all'ordine di:

  • 40 locomotive (D.343.1001-1040) con motore FIAT Grandi Motori 218 SSF tarato a 990 kW;
  • 35 locomotive (D.343.2001-2035) con motore Breda Paxman 12 YJCL tarato a 990 kW;
  • 30 locomotive (D.443.1001-1030) con motore FIAT Grandi Motori 2312 SSF tarato a 1400 kW;
  • 20 locomotive (D.443.2001-2020) con motore Breda Paxman 12 YLCL tarato a 1440 kW;

differenziate fra loro per la potenza resa ai cerchioni, pari a 1.000 CV (circa 736 kW) per le D.343 e a 1.500 CV (circa 1.103 kW) per le D.443[107].

Per questi nuovi tipi di locomotive le FS richiesero l'innalzamento della velocità massima a 130 km/h e un aumento del 10% della velocità in curva rispetto alle D.341, specifiche che determinarono l'adozione di carrelli monomotori (rodiggio B'B') che, con una minore massa assiale e un passo più corto, avrebbero consentito di contenere le sollecitazioni dinamiche al binario e l'usura dei cerchioni in curva[108].

La progettazione del carrello fu suddivisa tra Breda e FIAT che si occuparono rispettivamente della parte portante e della trasmissione[109]. Per quest'ultima fu scelto il tipo ad "anello danzante", particolare molto sollecitato che imponeva l'uso di acciaio ad alta resistenza e una realizzazione immune da ogni difetto, il cui processo costruttivo comportò una definizione molto laboriosa e delicata, che condusse alla fine a risultati particolarmente soddisfacenti che ne permisero l'impiego anche sulle successive serie di locomotive Diesel-elettriche D.345 e D.445[110].

Le locomotive D.345 e D.445
File:Locomotiva D 445 1016.jpg
La locomotiva FS D.445 nella stazione di Bari Centrale il 20 maggio 1995.
Lo stesso argomento in dettaglio: Locomotiva FS D.345 e Locomotiva FS D.445.

Con la seconda serie di locomotive, classificate D.345 e D.445 e consegnate tra il 1974 e il 1983, si raggiunse l'unificazione dei motori affiancando all'esistente FIAT 218 SSF il nuovo tipo FIAT 2112 SSF, ultimo motore Diesel veloce (1.500 giri al minuto) realizzato dalla Sezione Grandi Motori, che consentì di portare la potenza delle D.445 a 1.560 kW contro i 1.400 delle D.443[111].

Sulle D.445 i motori di trazione a corrente continua restarono gli stessi delle D.343/443/345, ma per la loro alimentazione fu adottato un gruppo alternatore-raddrizzatore al posto della generatrice principale a corrente continua; un secondo alternatore coassiale con quello principale permise di sfruttare l'incremento di potenza ottenuto con il nuovo motore 2112 SSF per la produzione dell'energia elettrica per il riscaldamento o il condizionamento delle carrozze tramite la condotta REC a 3 kV[111].

Sulle D.345/D.445 fu adottato un nuovo carrello progettato integralmente da FIAT, col doppio vincolo di poter ricevere i motori di trazione e i gruppi di trasmissione unificati con le serie D.343/443/345/445 e di essere sostituibile con i carrelli delle D.343/443 che avevano manifestato cedimenti su alcune parti[111].

Le locomotive D.145
La locomotiva FS D.145 a Rimini nel giugno 2004.
Lo stesso argomento in dettaglio: Locomotiva FS D.145.

Con la realizzazione delle locomotive D.341/343/443/345/445 le FS completarono la sostituzione delle locomotive a vapore sulle linee non elettrificate, ma nel parco Diesel mancava ancora una locomotiva di media potenza per i servizi nei grandi scali di smistamento, per la manovra pesante, per il cosiddetto freight transfer ed eventualmente per i treni viaggiatori leggeri[111].

La difficoltà di realizzare, sia in versione elettrica che Diesel, locomotive con buoni rendimenti adatte a questa vasta gamma di servizi fu finalmente superata negli anni ottanta del XX secolo con lo sviluppo dell'elettronica di potenza, che permise la realizzazione delle locomotive D.145 da parte della FIAT Ferroviaria Savigliano e della sua consociata Elettromeccanica Parizzi[112].

Queste locomotive a quattro assi motori con rodiggio Bo'Bo', furono equipaggiate con due gruppi elettrogeni, ciascuno dei quali costituito dal motore Diesel di grande produzione IVECO 8297.22 e da un alternatore alimentante normalmente mediante un convertitore elettronico i due motori di trazione asincroni trifase di ciascun carrello[113].

La grande versatilità di queste macchine deriva dai possibili modi di funzionamento consentiti dal circuito elettrico di trazione che, diversamente dalle locomotive precedenti, le mettono in grado di operare:

  • a piena potenza e massimo sforzo di trazione, con due gruppi elettrogeni e quattro motori di trazione;
  • a metà potenza e metà sforzo di trazione, con un gruppo elettrogeno e due motori di trazione;
  • a metà potenza e massimo sforzo di trazione, con un gruppo elettrogeno e quattro motori di trazione,

con la possibilità di adeguare, caso per caso, il mezzo al reale servizio da svolgere[114].

Di queste locomotive furono realizzati 38 esemplari per le Ferrovie dello Stato (D.145.1001-1038) e 5 con potenza maggiore per la Ferrovia della Val Camonica (Brescia-Iseo-Edolo) e per le Ferrovie reggiane (Reggio Emilia-Guastalla-Sassuolo)[115].

Gli anni '70

I carrelli FIAT di terza generazione

L'ormai diffusa consapevolezza della necessità di aumentare la velocità e la confortevolezza di viaggio, messa in evidenza nel 1964 dall'inizio dei servizi a 200 km/h sulla linee giapponesi del Tokaido, spinse la FIAT Sezione Materiale Ferroviario a iniziare lo sviluppo di una nuova generazione di carrelli ferroviari che costituì di fatto la terza evoluzione del proprio prodotto, dopo il primo schema adottato con le "littorine" a partire dagli anni 1930-1933 e il secondo schema adottato con le "automotrici ferroviarie sperimentali" e le ALn 772, utilizzato fino a circa il 1970[116].

Come già avvenuto nel passaggio tra la prima e la seconda generazione, i limiti dei carrelli si manifestarono nel momento in cui il grande successo dei veicoli a cui erano destinati spinse a ottenere velocità sempre maggiori; tuttavia, invece di tentare come in precedenza nuove vie più o meno fortunate per il miglioramento del proprio prodotto, la FIAT decise di dare una soluzione radicale alle incertezze e alle difficoltà che si incontravano in occasione di ogni nuova commessa con le tecnologie correntemente adottate, in particolare nella guida delle boccole delle sale, nella sospensione verticale e trasversale tra cassa e carrello e nel collegamento della cassa per la rotazione del carrello stesso[117].

A questi problemi già noti si aggiunse, in concomitanza con il notevole aumento di velocità che si voleva conseguire, l'insorgenza di fenomeni all'epoca non prevedibili con i mezzi di calcolo a disposizione, come per esempio quelli relativi all'interazione ruota-rotaia messi in evidenza dal record di velocità di 331 km/h realizzato dalla SNCF nel 1955, che resero necessario per chi, come la FIAT, non voleva restare nel campo ferroviario come semplice esecutore, padroneggiare le tecnologie essenziali del guidaggio ruota-rotaia e avvicinarsi maggiormente alla realtà dei fenomeni fisici equipaggiandosi con adeguati mezzi di calcolo e acquisendo conoscenze non ancora o solo parzialmente esistenti[118].

Lo sviluppo della terza generazione di carrelli FIAT iniziò nel 1965 con le due automotrici sperimentali 7170, la prima delle quali fu immatricolata provvisoriamente nel parco FS come ALn 668.1999 per l'esecuzione delle prove, inquadrate nel "Programma calcoli" per il "Nuovo carrello per automotrici", avviato il 24 novembre 1965, con il quale si intendevano affrontare e superare le difficoltà sopra accennate e, allo stesso tempo, spingere la ricerca oltre alle velocità massime sperimentate e praticate con i veicoli ferroviarie di propria concezione[119].

Nell'ambito di questo programma furono dunque risolti inizialmente il problema del collegamento e della guida delle boccole con un braccio oscillante imperniato su silent block che eliminava tutti gli attriti lasciando le necessarie libertà di movimento elastico delle sale nelle tre direzioni dello spazio cartesiano e il problema della sospensione verticale e trasversale tra cassa e carrello conferendo alla sospensione secondaria anche il ruolo di sospensione trasversale utilizzando la deformabilità trasversale delle molle a elica flexicoil[Nota 3], eliminando così tutti i problemi di attrito e usura legati alle balestre e ai pendini della sospensione a gravità[120].

Nonostante fosse già chiaro che il problema del collegamento alla cassa e della rotazione del carrello poteva essere risolto utilizzando la deformazione laterale delle molle flexicoil per eliminare il perno di rotazione del carrello, la scarsa esperienza sulle molle a elica lavoranti contemporaneamente a flessione laterale e trasversale non dava sufficienti garanzie sull'ammissibilità delle deformazioni nelle curve di piccolo raggio, per cui si decise di procedere per gradi mantenendo inizialmente il classico collegamento cassa-carrello, costituito da una traversa oscillante con ralla traente e pattini d'appoggio, per consentire alle molle flexicoil della sospensione secondaria di lavorare a flessione laterale per la sola sospensione trasversale, prevedendo al contempo la possibilità di eliminare la traversa oscillante non appena i calcoli e le prove a fatica avessero permesso il dimensionamento delle molle e dei relativi tasselli di gomma per consentire anche la rotazione del carrello, realizzando la cosiddetta sospensione "flexicoil integrale"[120].

Contemporaneamente alle intense prove a cui furono sottoposti i nuovi carrelli tipo 7170 sull'automotrice ALn 668.1999, che fu spinta sulla rete FS fino a 180 km/h e ad accelerazioni trasversali di circa 2 m/s², cioè al doppio della massima forza centrifuga ammessa in curva, la FIAT Sezione Materiale Ferroviario escogitò una macchina speciale per provare a fatica le molle flexicoil sottoposte a flessione assiale e laterale, studiando accuratamente la miglior forma da dare alle spire di estremità e creando espressamente sia il procedimento di calcolo che le norme di controllo e utilizzo per questo tipo di molle[120].

L'esperienza acquisita con i carrelli delle automotrici tipo 7170 arrivò giusto in tempo per l'applicazione su due importantissimi progetti FIAT: il Pendolino, per il quale già il 22 dicembre 1967 fu depositato il brevetto da cui avrebbe preso forma il carrello a sospensione "flexicoil integrale", e le carrozze Trans Europ Express (TEE) delle FS, di cui fu emesso il capitolato di gara il 23 agosto 1967[121].

Il capitolato FS imponeva per i carrelli delle carrozze TEE requisiti estremamente impegnativi per la confortevolezza di marcia fino a 200 km/h, il cui mancato rispetto avrebbe comportato la sostituzione a cura e spese del costruttore dei carrelli fuori specifica con altri del tipo 920 FS[122].

Anche se la scelta del carrello 920 FS avrebbe messo al riparo da tutti i rischi insiti nello sviluppo di un nuovo prodotto, la FIAT vide nelle carrozze TEE la duplice occasione per finalizzare il lavoro iniziato con i carrelli delle automotrici 7170 e del Pendolino e per rientrare da protagonista nel campo della progettazione dei carrelli, le cui attività di ricerca erano cessate da parte di tutti i costruttori ferroviari italiani nella prima metà degli anni sessanta a seguito dell'acquisizione, da parte dell'industria di stato, della licenza di fabbricazione dell'allora moderno carrello tedesco Minden-Deutz[123].

Prima di prendere impegni con le Ferrovie dello Stato occorreva avere assolute certezze sulla parte ancora mancante del nuovo carrello FIAT, vale a dire la definizione della sospensione secondaria che eliminasse in assoluta sicurezza gli organi tradizionali di collegamento, cioè traversa oscillante, ralla e pattini, affidando esclusivamente alle molle flexicoil la rotazione del carrello rispetto alla cassa del veicolo[124].

Per integrare quanto sperimentato in linea sui carrelli 7170 coi risultati del laboratorio esperienze, la Sezione Materiale Ferroviario avviò la realizzazione della coppia di carrelli sperimentali 7195CS, che furono messi un prova, con il consenso delle FS, su una carrozza UIC-X prelevata da quelle in costruzione alla FIAT Azienda OM[124].

I carrelli 7195CS furono approntati nel 1968 senza ralla e pattini, mantenendo provvisoriamente una traversa di carico che, nel caso di eccessive sollecitazioni, avrebbe consentito di passare a un secondo ed eventualmente a un terzo schema meccanico già previsti per alleggerire il lavoro delle molle; tuttavia ciò non fu necessario perché le prove al banco e in linea dimostrarono subito la bontà del primo schema e bastò l'opportuno dimensionamento delle molle a elica e dei relativi tasselli di gomma per ottenere il risultato cercato[124].

Dai carrelli sperimentali 7195CS furono dunque ricavati i carrelli definitivi tipo F71, che vennero provati e messi a punto sulla prima carrozza TEE alla fine del 1970 sui tratti di linea allora disponibili per i 200 km/h, ossia Piacenza-Fidenza della Milano-Bologna e Pomezia-Latina della Direttissima Roma-Napoli, ottenendo risultati che superarono ampiamente le richieste del capitolato FS, con indici di confort a 200 km/h pari a 15 ore in affaticamento in verticale e a ben 35 ore in affaticamento trasversale[Nota 4], a fronte del minimo di 10 ore richiesto dal capitolato FS per entrambi i casi[125].

Il notevole successo riscosso dalle carrozze TEE, dovuto non soltanto al carrello ma anche agli altri fattori di confortevolezza come l'isolamento acustico, l'arredamento e le comodità offerte, indusse subito le Ferrovie dello Stato a ordinare, oltre alle 48 carrozze per il servizio internazionale TEE, altre 212 carrozze denominate Gran Conforto, destinate a formare i cosiddetti "treni bandiera" per le comunicazioni interne di maggior prestigio, facendo sì che il carrello F71 venisse subito costruito in notevoli quantitativi[126].

Le particolarità tecniche del carrello F71 e il servizio regolare a 200 km/h richiesero dunque un'adeguata organizzazione dei processi di produzione e di controllo, che comportarono lo sviluppo di specifiche attrezzature tali da garantire l'esatta simmetria di tutti gli organi elastici del carrello[126]. La presenza di anomalie veniva evitata mediante la precisione costruttiva dei vari elementi, ma per poterla controllare direttamente sul veicolo completo furono ideati due appositi banchi: col primo venivano effettuati il montaggio finale delle sospensioni di tutti i carrelli e la verifica di eventuali asimmetrie sotto carico delle sospensioni secondarie; col secondo, denominato SAR (Sistema Controllo assetto Rodiggi) veniva controllata la posizione del baricentro della carrozza completa, la simmetria dei carrelli e il diagramma della sospensione trasversale[127].

Questi banchi e altre attrezzature specifiche via via ideate e fatte costruire permisero di affrontare con conoscenza di causa i problemi di sicurezza e confortevolezza sempre più complessi e delicati legati all'esercizio alle alte velocità, rendendo i carrelli F71 i capostipiti di una lunga serie che equipaggiò veicoli italiani e stranieri a partire dal 1970[128]

Tra i carrelli derivati dal tipo F71 riveste particolare rilevanza per il successo internazionale il tipo FIAT Y0270, derivato direttamente dall'F71 inglobando alcuni particolari del carrello francese Y32, allora in corso di sviluppo, in uno studio in collaborazione con la Società Nazionale delle Ferrovie Francesi (SNCF), che fu scelto nel 1975 per equipaggiare le carrozze unificate europee per servizi internazionali UIC-Z, dette comunemente carrozze Eurofima, il cui primo esemplare fu consegnato nel 1997[129].

Parallelamente alla complessa vicenda delle carrozze Eurofima, il cui capitolato fu emesso nel 1970[130], i due carrelli sperimentali 7195CS usati per lo studio dell'F71 furono trasformati con la sospensione secondaria di tipo pneumatico (assumendo la denominazione 7219) e provati intensivamente tra il 1973 e il 1975 dando luoogo a una numerosa serie di carrelli per veicoli con forti variazioni di carico, come le carrozze a due piani, le elettromotrici dei gruppi ALe 644, ALe 724, ALe 582, ALe 642 e le rimorchiate Le 724, Le 884, Le 763, Le 562, Le 764, Le 682, usate dalle FS per i servizi suburbani e a media distanza[131].

Dalla serie originata dal carrello F71 fu derivato nel 1979 il tipo FI, destinato alle carrozze FS per servizi a media distanza MDVC ed MDVE con velocità massima di 160 km/h, che fu alleggerito e dotato di ruote di diametro minore per consentire l'abbassamento del pavimento ed eliminare un gradino nei montatoi[132].

Rientrano nella famiglia dei derivati dagli F71 anche i carrelli per le carrozze degli ETR.500 entrate in servizio nel 1996, che ne rappresentarono lo sviluppo per le velocità oltre i 250 km/h, caratterizzato dal potenziamento del sistema di frenatura con tre dischi per asse, l'attacco boccole simmetrico e la predisposizione per la sospensione laterale attiva in previsione dell'esercizio regolare a 300 km/h[133].

Benché i carrelli prototipo 7170 fossero nati nel 1965 per le automotrici, essi ebbero subito importanti sviluppi nell'ambito delle carrozze, ma la loro destinazione originaria non fu dimenticata e, non appena il loro sviluppo fu consolidato, essi andarono a sostituire i carrelli di seconda generazione che equipaggiavano dall'origine le ALn 668, divenendo pio di uso generale negli anni settanta, equipaggiando anche tram e metropolitane[133][134].

Uun altro importantissim sbocco dei carrelli prototipo tipo 7170 del 1965 e 7195 del 1968 fu il tipo 7199 sviluppato nel 1970 per i treni ad assetto variabile Pendolino, che equipaggiò l'elettromotrice sperimentale FIAT Y 0160 nel 1971, l'elettrotreno FS ETR.401 nel 1975, il suo omologo per le ferrovie spagnole nel 1977, gli elettrotreni FS ETR.450 nel 1987 e l'autotreno DB 610 nel 1990[135].

Dal carrello ad assetto variabile 7199 fu infine sviluppato il tipo 460 che equipaggiò gli elettrotreni ad assetto variabile ETR.460 per le FS nel 1992, S 220 per le ferrovie finlandesi nel 1992, l'ETR.470 per la società Cisalpino nel 1993, l'ICE-T per le ferrovie tedesche nel 1994, l'ETR.480 per le FS nel 1995, il CD-TRAIN per le ferrovia ceche nel 1995, l'IC 2000 per le ferrovie spagnole nel 1996 e il Pendoluso per le ferrovie portoghesi nel 1996[136].

Un altro sviluppo del carrello ad assetto variabile fu il tipo ATR410 destinato al prototipo del Pendolino Diesel-elettrico ATR.410[134].

Le locomotive elettriche

Nel 1979 Fiat tornò a lavorare sulle locomotive pesanti, questa volta elettriche, dopo una serie di lavori di sperimentazione ed adattamento (tra cui il principale è lo studio del comando a chopper sulla E.444.005)[Completamente falso: l'E.444.005 fu studiata dal TIBB senza il minimo coinvolgimento della FIAT]. Dal lavoro sulle E.444 si ottenne l'esperienza necessaria per lo sviluppo dei prototipi del nuovo gruppo E.633, una locomotiva merci a passo corto[?????] a controllo elettronico che poi avrebbe dato vita anche al gruppo a passo normale[?????] E.632.

Nel 1983 venne lanciato da FS un ambizioso programma di sviluppo di nuovi prototipi e tecnologie da applicare alla flotta, finanziato nel 1978 e 1981 con 33 e 100 miliardi di lire, rispettivamente.[non chiaro]

Il 2000: Alstom Ferroviaria S.p.A.

Nel 2000 Alstom acquisì il pacchetto di maggioranza di Fiat Ferroviaria e le sue controllate Elettromeccanica Parizzi (fondata nel 1955), con sede a Sesto San Giovanni, e Fiat-Sig (Svizzera), accorpate sotto il nome di Alstom Ferroviaria[137], con ciò sancendo il definitivo abbandono del settore ferroviario da parte di Fiat.

La produzione, da allora, fu orientata ai seguenti rotabili:

  • Treni automotori a trazione elettrica e diesel ALe 501 / ALn 501 per Trenitalia ed alcune ferrovie regionali italiane derivate dalla piattaforma unificata "Coradia"; nel caso dei convogli Trenitalia e Trentino Trasporti tali unità prendono il soprannome di "Minuetto"
  • Elettromotrici e rimorchiate Coradia per la Ferrotramviaria di Bari
  • Elettrotreni "Coradia Meridian" per Trenord, GTT e Trenitalia
  • Treni ad alta velocità AGV per Nuovo Trasporto Viaggiatori
  • Elettrotreni ad alta velocità ETR 600 e derivati per Trenitalia, RENFE, CHR e PKP

Note

  1. ^ Secondo un'altra fonte l'ALb 25 fece invece servizio sulla Cerignola Campagna-Cerignola Città. Cfr. Nico Molino, Sergio Pautasso, Le automotrici della prima generazione, collana Monografie ferroviarie n. 14, Torino, Edizioni Elledi, 1983, ISBN 88-7649-016-7..
  2. ^ La souplesse (in italiano flessibilità) è definita come il rapporto tra le velocità massima e minima a piena potenza che una locomotiva può mantenere in modo continuativo.
  3. ^ Molle di acciaio a elica corredate da tasselli di gomma alle estremità.
  4. ^ L'indice di confort, definito dalle norme emesse dall'Office de Recherches et d'Essais (ORE) dell'Union Internationale des Chemins de fer (UIC), rappresenta il numero di ore di esposizione ai moti vibratori verticali e trasversali dovuti alla marcia del veicolo ferroviario, in capo al quale si inizia a soffrire di una sensazione di affaticamento. Gli indici di confort verticale e trasversale vengono calcolati mediante rilievi accelerometrici sul veicolo e rapportati alla sensibilità umana mediante diagrammi sperimentali. A parità di caratteristiche e di stato di manutenzione del carrello e della linea ferroviaria, gli indici di confort verticale e trasversale dipendono dalla velocità del veicolo e peggiorano con il crescere di essa. Cfr. Santanera, I treni Fiat, pp. 133-134.

Riferimenti

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