Gaspare Spatuzza

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Gaspare Spatuzza, soprannominato "u Tignusu" (il Pelato) per la sua calvizie (1964), è un criminale italiano, già membro di Cosa Nostra affiliato al mandamento del quartiere Brancaccio di Palermo.

Attività criminale

Rapinatore e poi sicario, è stato stretto collaboratore di Filippo e Giuseppe Graviano e anche uomo di fiducia del capomafia corleonese Leoluca Bagarella.

Si è autoaccusato di aver rubato la Fiat 126 che il 19 luglio 1992 venne impiegata come autobomba nella strage di via d'Amelio in cui fu ucciso il giudice Paolo Borsellino.

Cooptato da Salvatore Grigoli, fu tra gli esecutori materiali dell’omicidio di don Pino Puglisi del 15 settembre 1993, per il quale è stato condannato all’ergastolo con sentenza definitiva.[1] È stato inoltre condannato per gli omicidi di Giuseppe e Salvatore Di Peri, Marcello Drago, Domingo Buscetta (nipote del pentito storico di Cosa Nostra, Tommaso) e Salvatore Buscemi.[1] Il 23 novembre 1993 rapì Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, che sarebbe stato ucciso dopo oltre due anni di prigionia.[2]

Arrestato nel 1997 presso l’ospedale Cervello di Palermo, da allora è in carcere.[1] Durante la detenzione, si è iscritto alla facoltà di Teologia.[2]

Pentimento e collaborazione con la giustizia

«Se io ho messo la mia vita nelle mani del male, perchè non la devo perdere per il bene? Chiedo perdono per il male fatto.»

Dall'estate 2008 è si è dichiarato pentito ed è divenuto collaboratore di giustizia rilasciando diverse dichiarazioni in ordine alla strage di via d'Amelio, alle bombe del 1993 a Milano, Firenze e Roma e ai legami fra la mafia e il mondo politico-imprenditoriale.[4]

Il 4 dicembre 2009 ha deposto nell'ambito del processo d'appello al senatore Marcello Dell'Utri, precedentemente condannato a nove anni in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. In tale circostanza ha adombrato la presenza di una regia politica dietro la strage di via dei Georgofili a Firenze (27 maggio 1993), gli attentati del 27 luglio 1993 a Milano e Roma e il fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma (6 febbraio 1994) e sostenuto la presenza di legami economici fra i fratelli Graviano e Silvio Berlusconi.[5] Assieme a Giuseppe Ciaramitaro, altro pentito, ha indicato in lui e in Cesare Previti i mandanti delle stragi di Capaci e via d'Amelio[6][7]. Un altro collaboratore di giustizia, Pietro Romeo, conferma alcune accuse di Spatuzza[8].

Secondo Berlusconi, la deposizione di Spatuzza è ridicola e farebbe parte di una macchinazione ai suoi danni[9].

L'11 dicembre 2009 Filippo Graviano smentisce in aula Spatuzza, sostenendo di non aver mai avuto rapporti di alcun tipo con Dell'Utri[10]. Giuseppe Graviano decide invece di non rispondere alle domande dell'accusa lamentando problemi di salute dovuti al 41 bis. Nessuno dei due fratelli, poi, ribatte alla dichiarazione di Spatuzza su un incontro nel gennaio del 1994, in cui si sarebbe detto che Cosa nostra aveva «il Paese in mano» grazie a Berlusconi e Dell’Utri. Gli inquirenti ritengono che gli atteggiamenti dei fratelli Graviano possano essere una sorta di avvertimento su possibili loro rivelazioni future in caso di mancati accordi[10][11].

Note

Voci correlate

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