Elettrone: differenze tra le versioni

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Oltre allo spin, l'elettrone ha un [[momento magnetico]] intrinseco, allineato al suo spin, che ha un valore approssimativamente simile al [[magnetone di Bohr]],<ref name=Hanneke>{{cita|Odom|pp. 030801(1-4).|odom}}</ref><ref>Il magnetone di Bohr è definito come:
Oltre allo spin, l'elettrone ha un [[momento magnetico]] intrinseco, allineato al suo spin, che ha un valore approssimativamente simile al [[magnetone di Bohr]],<ref name=Hanneke>{{cita|Odom|pp. 030801(1-4).|odom}}</ref><ref>Il magnetone di Bohr è definito come:
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L'elettrone non ha [[preone (fisica)|sotto strutture]] conosciute,<ref name="prl50"/><ref>{{cita pubblicazione|autore=G. Gabrielse|coautori=D. Hanneke, T. Kinoshita, M. Nio, B. Odom|titolo=New Determination of the Fine Structure Constant from the Electron ''g'' Value and QED|rivista=Physical Review Letters|anno=2006|volume=97|pagine=030802(1–4)|doi=10.1103/PhysRevLett.97.030802}}</ref> tuttavia esso viene definito come un [[punto materiale]] con una carica puntiforme e senza estensione spaziale,<ref name="curtis74"/> difatti esperimenti effettuati con la [[trappola di Penning]] hanno mostrato che il limite superiore per il raggio della particella è di 10<sup>−22</sup> [[metri]].<ref>{{cita pubblicazione|autore=Hans Dehmelt|titolo=A Single Atomic Particle Forever Floating at Rest in Free Space: New Value for Electron Radius|rivista=Physica Scripta|anno=1988|volume=T22|pagine=102–110|doi=10.1088/0031-8949/1988/T22/016}}</ref> Esiste inoltre una costante fisica, chiamata [[raggio classico dell'elettrone]], con una valore di {{M|2,8179|e=−14|-|m}}, anche se il nome di questa costante deriva da un calcolo che ignora gli effetti quantistici presenti a queste dimensioni; in realtà il raggio classico ha poco a che fare con la struttura fondamentale dell'elettrone.<ref>{{cita libro|nome=Dieter|cognome=Meschede|year=2004|titolo=Optics, light and lasers: The Practical Approach to Modern Aspects of Photonics and Laser Physics
|url=http://books.google.com/books?id=PLISLfBLcmgC&pg=PA168|editore=Wiley-VCH|pagina=168|id=ISBN 3527403647}}
</ref><ref>Il raggio classico dell'elettrone è ottenuto nel seguente modo: si assume la carica dell'elettrone distributa uniformemente all'interno di una sfera. Poiché una parte della sfera respinge tutte le altre, la sfera avrà un'energia potenziale elettrostaica. Questa energia uguaglia l'energia a riposo dell'elettrone, definita dalla [[relatività ristretta]] come E=mc<sup>2</sup>. Dall'[[elettrostatica]], l'energia potenziale di una sfera con raggio ''r'' e carica ''e'' è data da:
::<math>E_{\mathrm p} = \frac{e^2}{8\pi \varepsilon_0 r},</math>
dove ''ε''<sub>0</sub> è la [[costante dielettrica del vuoto]]. Per un elettrone con massa a riposo ''m''<sub>0</sub>, l'energia a riposo è uguale a:
:<math>\textstyle E_{\mathrm p} = m_0 c^2,</math>
dove ''c'' è la velocità della luce nel vuoto. Uguagliando questi due termini e risolvendo l'equazione per ''r'' si ottiene il raggio classico dell'elettrone. Per approfondire si può fare riferimento a: {{cita libro|anno=2005|nome=Hermann|cognome=Haken|coautori=Hans Christoph Wolf, W. D. Brewer|titolo=The Physics of Atoms and Quanta: Introduction to Experiments and Theory|editore=Springer|pagina=70|id=ISBN 3540208070}}</ref>

Vi sono particelle elementari che [[Decadimento|decadono]] spontaneamente in particelle meno massive, come ad esempio il [[muone]], che decade in un elettrone, in un [[neutrino]] e in un [[antineutrino]] con una [[Decadimento esponenziale#Vita media|vita media]] di {{M|2,2|e=−6|-|s}}. Tuttavia si ritiene che l'elettrone sia stabile in via teorica poiché, essendo la particella carica più leggera, il suo decadimento violerebbe la [[legge di conservazione della carica elettrica]].<ref>{{cita pubblicazione|autore=R.I. Steinberg|coautori=K. Kwiatkowski, W. Maenhaut, N.S. Wall|titolo=Experimental test of charge conservation and the stability of the electron|rivista=Physical Review D|anno=1999|volume=61|numero=2|pagine=2582–2586|doi=10.1103/PhysRevD.12.2582}}</ref> Il limite inferiore sperimentale per la vita media dell'elettrone è di {{M|4,6|e=26|-|}} anni, con un [[intervallo di confidenza]] al 90%.<ref>{{cita pubblicazione|autore=W.M. Yao|titolo=Review of Particle Physics|rivista=Journal of Physics G: Nuclear and Particle Physics|mese=luglio|anno=2006|volume=33|numero=1|pagine=77–115|doi=10.1088/0954-3899/33/1/001}}</ref>


== Classificazione ==
== Classificazione ==

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Elettrone
File:Schattenkreuzröhre-in use-lateral view-standing cross.jpg
L'esperimento con il tubo di Crookes è stato il primo a dimostrare l'esistenza dell'elettrone
ComposizioneParticella elementare
FamigliaFermione
GruppoLeptone
GenerazionePrima
Interazionigravitazionale, elettromagnetica e debole
Simboloe, β
AntiparticellaPositrone
TeorizzataG. Johnstone Stoney (1874)
ScopertaJ.J. Thomson (1897)
Proprietà fisiche
MassaErrore in {{M}}: parametro 1 non è un numero valido.[1]

Errore in {{M}}: parametro 1 non è un numero valido.

11822,888 4849(8) u

Errore in {{M}}: parametro 1 non è un numero valido.

Carica elettricaErrore in {{M}}: parametro 1 non è un numero valido.[2]
Spin½

L'elettrone è una particella subatomica con carica elettrica negativa che, non essendo composta da altre particelle conosciute, si ritiene essere una particella elementare.[3] Appartenente alla prima generazione della famiglia dei leptoni,[4] è soggetto a interazione gravitazionale, elettromagnetica e nucleare debole.

L'elettrone possiede una massa a riposo di Errore in {{M}}: parametro 1 non è un numero valido., pari a circa 1/1836 di quella del protone. Il momento angolare intrinseco, lo spin, è un valore semi intero in unità di ħ, che rende l'elettrone un fermione, soggetto quindi al principio di esclusione di Pauli.[4] L'antiparticella dell'elettrone è il positrone, il quale si differenzia solo per la carica elettrica di segno opposto. Quando queste due particelle collidono possono essere sia diffuse che annichilite producendo fotoni, più precisamente raggi gamma.

L'idea di una quantità fondamentale di carica elettrica è stata introdotta dal filosofo Richard Laming nel 1838 per spiegare le proprietà chimiche dell'atomo;[5] il termine elettrone è stato sucessivamente coniato nel 1894 dal fisico irlandese George Johnstone Stoney, ed è stato riconosciuto come una particella da Joseph John Thomson e dal suo gruppo di ricerca.[6][7] Successivamente il figlio George Paget Thomson ha dimostrato la duplice natura corpuscolare e ondulatoria dell'elettrone, che è quindi descritto dalla meccanica quantistica per mezzo del dualismo onda-particella.

L'elettrone, insieme a protone e neutrone, è parte della struttura degli atomi, e sebbene contribuisca per meno dello 0,06% alla massa totale dell'atomo è responsabile delle sue proprietà chimiche: la condivisione e di elettroni tra due o più atomi è la sorgente del legame chimico covalente.[8]

La maggior parte degli elettroni presenti nell'universo è stata creata durante il Big Bang, sebbene tale particella possa essere generata tramite il decadimento beta degli isotopi radioattivi e in collisioni ad alta energia, mentre può essere annichilata grazie alla collisione con il positrone ed assorbita in un processo di nucleosintesi stellare.

In molti fenomeni fisici, in particolare nell'elettromagnetismo e nella fisica dello stato solido, l'elettrone ha un ruolo essenziale: è responsabile della conduzione di corrente elettrica e calore, il suo moto genera il campo magnetico e la variazione della sua energia è responsabile della produzione di fotoni. Tra le diverse applicazioni tecnologiche che ne conseguono vi sono i circuiti elettrici, i tubi a raggi catodici, i microscopi elettronici, la radioterapia ed il laser.

Storia

Il termine elettrone proviene dal termine greco ήλεκτρον, il cui significato è ambra. Questo perché storicamente l'ambra ebbe un ruolo fondamentale nella scoperta dei fenomeni elettrici. Gli antichi Greci, ad esempio, erano a conoscenza del fatto che strofinandone un pezzo con un tessuto di lana, questo assumeva una carica elettrica che si manifestava sotto forma di una scintilla quando si avvicinava a particolari oggetti.

Fu il fisico irlandese George Stoney ad utilizzare per primo l'elettrone come unità fondamentale dell'elettrochimica (nel 1874), e fu il primo a dare il nome alla particella nel 1894.

Negli ultimi anni del 1800, erano numerosi fisici a sostenere la possibilità che l'elettricità fosse costituita da unità discrete, alle quali vennero conferiti vari nomi, ma delle quali non c'era ancora alcuna prova sperimentale convincente. La scoperta della natura di particella subatomica dell'elettrone fu fatta nel 1897 da J. J. Thomson all'interno del Laboratorio Cavendish dell'Università di Cambridge, mentre svolgeva esperimenti sul tubo catodico.

Nel 1860 William Crookes effettuò esperimenti con il tubo di Geissler: inserendovi due lamine metalliche e collegandole ad un generatore di corrente continua ad elevato potenziale (circa 30.000 V) scoprì che si generava una luce di colori diversi a seconda del gas utilizzato. Questa luce partiva dal catodo (polo negativo) e fluiva verso l'anodo (polo positivo). Dopo circa trent'anni di sperimentazione questi raggi vennero chiamati raggi catodici e si scoprirono essere formati da corpuscoli di materia capaci di muovere un mulinello posto sul loro cammino. La velocità varia a seconda del potenziale applicato agli elettrodi, hanno scarsa penetrazione e carica negativa.

J.J. Thomson nel 1895 constatò, lavorando sui raggi catodici, che applicando un campo magnetico ed elettrico, il rapporto tra la carica elettrica e la massa era uguale a 5,273×1017 e/g. Queste particelle furono chiamate elettroni.

Nel 1909 Robert Millikan calcolò la carica elettrica dell'elettrone con il famoso esperimento della goccia d'olio, che era pari a 1,602 × 10−19 C. Fu quindi possibile calcolare la massa dell'elettrone che era di 9,109 × 10−31 kg.

Teoria atomica

Il modello di Bohr dell'atomo, che visualizza gli stati energetici quantizzati. Un elettrone che salta verso un'orbita interna emette un fotone pari alla differenza di energia fra i due livelli.

Dal 1914, gli esperimenti dei fisici Ernest Rutherford, Henry Moseley, James Franck e Gustav Hertz hanno stabilito definitivamente che l'atomo è composto da un nucleo positivo massivo di cariche positive circondato da una leggera massa di elettroni.[9] Nel 1913, Il fisico danese Niels Bohr postula che gli elettroni risiedano in stati di energia quantizzata, con l'energia determinata dal momento angolare delle orbite degli elettroni attorno al nucleo. Gli elettroni possono muoversi tra questi stati, o orbite, in seguito all'assorbimento o all'emissione di un quanto di energia, un fotone di specifica frequenza. Questa teoria è in grado di spiegare correttamente le linee di emissione spettrale dell'idrogeno che questo forma se scaldato o attraversato da corrente elettrica. Ciò nonostante, il modello di Bohr fallisce nel predire l'intensità delle relative linee e nello spiegare la struttura dello spettro di atomi più complessi.[9] I legami chimici tra gli atomi sono spiegati nel 1916 da Gilbert Newton Lewis, come una interazione tra gli elettroni che li costituiscono.[10] Come è noto che le proprietà chimiche degli elementi si ripetono ciclicamente in accordo con la legge periodica,[11] nel 1919 il chimico americano Irving Langmuir suggerisce che questo può essere spiegato se gli elettroni in un atomo sono strutturati su strati. Gli elettroni si dispongono in gruppi intorno al nucleo. [12]

Nel 1924, il fisico austriaco Wolfgang Pauli osserva che la struttura a strati di un atomo può essere spiegata da un set di quattro parametri che definiscono univocamente lo stato quantico di un elettrone, e un singolo stato non può essere occupato da più di un singolo elettrone (questa legge è nota come Principio di esclusione di Pauli).[13] Nonostante ciò, sfuggiva il significato fisico del quarto parametro che può assumere solo due valori. Questo fu spiegato dai fisici tedeschi Abraham Goudsmith e George Uhlenbeck quando suggerirono che un elettrone, oltre al momento angolare associato alla sua orbita, possa possedere un proprio momento angolare intrinseco.[9][14] Questa proprietà è nota come spin, e riesce a spiegare la misteriosa separazione delle linee spettrali osservate con la spettrografia ad alta definizione.[15]

Meccanica Quantistica

Nella sua dissertazione del 1924 Recherches sur la théorie des quanta (Ricerca sulla teoria dei quanti), il fisico francese Louis de Broglie ipotizzò che tutta la materia si comporti come un'onda in modo similare a quanto accade per la luce e il fotone[16]. Questo significa, sotto le appropriate condizioni, che gli elettroni e il resto della materia dovrebbero mostrare proprietà sia particellari che in contemporanea ondulatorie. Le proprietà corpuscolari di una particella si mostrano quando si cerca di osservarla in una precisa posizione nello spazio lungo la sua traiettoria a qualsiasi dato istante.[17] La natura ondulatoria è osservata invece, per esempio, quando un fascio di luce passa lungo fessure parallele creando le classiche figure di interferenza. Nel 1927, gli effetti dell'interferenza furono dimostrati con un fascio di elettroni dal fisico inglese George Paget Thomson con una sottile pellicola di metallica e dal fisico americano Clinton Davisson e Lester Germer usando un cristallo di nickel.[18]

Una simmetrica nube blu che decresce in intensità dal centro andando verso l'esterno
Nella meccanica quantistica, l'andamento di un elettrone in un atomo è descritto da un orbitale, che è una funzione d'onda che fornisce la probabilità di trovare un elettrone in una determinata regione dello spazio o configurazione piuttosto che la sua esatta posizione o momento. Nella figura, l'ombreggiatura indica la probabilità relativa di trovare un elettrone, di data energia e numeri quantici, in una posizione (dove la luce è più intensa, la probabilità è maggiore).

Il successo delle predizioni di de Broglie favorirono la pubblicazione, di Erwin Schrödinger nel 1926, dell'equazione di Schrödinger che descrive correttamente un'onda elettronica che si propaga.[19] Piuttosto che cercare una soluzione che determina la posizione di un elettrone nel tempo, questa equazione può essere usata per prevedere la probabilità di trovare un elettrone in un volume finito o infinitesimo dello spazio. Questo approccio fu chiamato successivamente meccanica quantistica, che garantì la possibilità di ricavare teoricamente i livelli energetici di un elettrone nell'atomo di idrogeno in buono accordo con i dati sperimentali.[20] Una volta che fu considerato lo spin e l'interazione fra più elettroni, la meccanica quantistica è stata in grado di ricostruire l'andamento delle proprietà chimiche tipiche degli elementi nella tavola periodica.[21]

Nel 1928, basandosi sul lavoro di Wolfgang Pauli, Paul Dirac formulò un modello dell'elettrone - l'equazione di Dirac, coerente con la teoria della relatività ristretta, applicando considerazioni relativistiche e di simmetria alla formulazione Hamiltoniana della meccanica quantistica per un elettrone in un campo elettro-magnetico.[22] In modo da risolvere i problemi della sua equazione relativistica (in primo luogo l'esistenza di soluzioni ad energia negativa), nel 1930 lo stesso Dirac sviluppò un modello del vuoto come un mare infinito di particelle con energia negativa, che fu poi chiamato mare di Dirac. Questo permise di prevedere l'esistenza di positroni, la controparte dell'antimateria dell'elettrone.[23] Questa particella fu scoperta sperimentalmente nel 1932 da Carl D. Anderson, che propose di chiamare gli elettroni negatroni e di usare il termine elettroni per indicare genericamente una delle varianti della particella sia a carica positiva che negativa. Questo uso del termine negatroni è qualche volta occasionalmente utilizzato ancora oggi, anche nella sua forma abbreviata 'negatone'.[24][25]

Nel 1947 Willis Lamb, lavorando in collaborazione con lo studente Robert Retherford, trovò che certi stati quantistici dell'elettrone nell'atomo di idrogeno, che avrebbero dovuto avere la stessa energia, erano shiftate in relazione l'una dell'altra e la differenza fu chiamata Lamb shift. Circa nello stesso periodo, Polykarp Kusch, lavorando con Henry M. Foley, scoprì che il momento magnetico dell'elettrone è di poco più grande di quanto previsto dell'equazione di Dirac. Questa piccola differenza fu successivamente chiamata momento magnetico di dipolo anomalo dell'elettrone. Per risolvere questo ed altri problemi, una teoria migliore chiamata elettrodinamica quantistica fu sviluppata da Sin-Itiro Tomonaga, Julian Schwinger e Richard P. Feynman alla fine degli anni quaranta.[26]

Acceleratori di particelle

Con lo sviluppo degli acceleratori di particelle nella prima metà del XX secolo, i fisici iniziarono a sondare in profondità nelle proprietà delle particelle subatomiche. Il primo tentativo riuscito di accelerare elettroni usando l'induzione magnetica fu fatto nel 1942 da Donald Kerst. Il suo primo betatrone raggiunse energie di 2.3 MeV (milioni di elettronvolt), mentre il conseguente raggio beta raggiunse i 300 MeV. Nel 1947, fu scoperta la radiazione di sincrotrone con un sincrotrone di 70 MeV della General Electric. Questa radiazione era causata dall'accelerazione di elettroni a velocità prossime a quelle della luce in un campo magnetico.

Con un gruppo di particelle cariche (beam) di energia di 1.5 GeV, il primo collider ad alte enegie fu ADONE, che iniziò le operazioni nel 1968. Questa struttura accelerò elettroni e positroni in direzioni opposte, raddoppiando l'energia effettiva a disposizione, rispetto a collisioni con un bersaglio statico. Il Large Electron-Positron Collider (LEP) al CERN, che operò dal 1989 al 2000, raggiunse collisioni di 209 GeV e fece importanti misure in merito al Modello Standard dell Particelle.

L'LHC, l'ultimo acceleratore del CERN, sostituirà largamente l'uso di elettroni con l'uso di adroni perché questi sono meno soggetti alla perdita di energia per radiazione di sincrotrone e quindi è maggiore il rapporto fra energia acquisita dalla particella e l'energia spesa per ottenerla.

Proprietà fondamentali

La massa a riposo di un elettrone è di approssimativamente Errore in {{M}}: parametro 2 non è un numero valido. o Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido. che, in base al principio di equivalenza massa ed energia, corrisponde a un'energia a riposo di Errore in {{M}}: parametro 2 non è un numero valido., con un rapporto rispetto alla massa del protone di circa 1836. Misure astronomiche hanno mostrato che il rapporto fra le masse del protone e dell'elettrone è rimasto costante per almeno metà dell'età dell'universo, come è previsto nel modello standard.[27]

L'elettrone ha una carica elettrica di Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido., che è usata come unità standard per la carica delle particelle subatomiche. Entro i limiti dell'errore sperimentale, il valore della carica dell'elettrone è uguale a quella del protone, ma con il segno opposto.[28] Poiché il simbolo e è usato per indicare la carica elementare, il simbolo comune dell'elettrone è e-, dove il segno meno indica la carica negativa, mentre per il positrone, che ha la stessa massa dell'elettrone e la carica di segno opposto, è utilizzato come simbolo e+.[29]

L'elettrone ha un momento angolare intrinseco definito dal numero quantico di spin, pari a 1/2 in unità di ħ,[29] e l'autovalore dell'operatore di spin è √3⁄2 ħ.[30] Il risultato di una misura di una proiezione dello spin su ognuno degli assi di riferimento può inoltre valere soltanto ±ħ⁄2.[31] Oltre allo spin, l'elettrone ha un momento magnetico intrinseco, allineato al suo spin, che ha un valore approssimativamente simile al magnetone di Bohr,[32][33] che è una costante fisica che vale Errore in {{M}}: parametro 1 non è un numero valido. J/T. La proiezione del vettore di spin lungo la direzione della quantità di moto definisce la proprietà delle particelle elementari conosciuta come elicità.[34]

L'elettrone non ha sotto strutture conosciute,[3][35] tuttavia esso viene definito come un punto materiale con una carica puntiforme e senza estensione spaziale,[4] difatti esperimenti effettuati con la trappola di Penning hanno mostrato che il limite superiore per il raggio della particella è di 10−22 metri.[36] Esiste inoltre una costante fisica, chiamata raggio classico dell'elettrone, con una valore di Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido., anche se il nome di questa costante deriva da un calcolo che ignora gli effetti quantistici presenti a queste dimensioni; in realtà il raggio classico ha poco a che fare con la struttura fondamentale dell'elettrone.[37][38]

Vi sono particelle elementari che decadono spontaneamente in particelle meno massive, come ad esempio il muone, che decade in un elettrone, in un neutrino e in un antineutrino con una vita media di Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido.. Tuttavia si ritiene che l'elettrone sia stabile in via teorica poiché, essendo la particella carica più leggera, il suo decadimento violerebbe la legge di conservazione della carica elettrica.[39] Il limite inferiore sperimentale per la vita media dell'elettrone è di Errore in {{M}}: dopo l'ultimo numero serve un parametro perchè è un intevallo. anni, con un intervallo di confidenza al 90%.[40]

Classificazione

Il modello standard dell particelle elementari. L'elettrone è in basso a sinistra.

Nel modello standard della fisica delle particelle, gli elettroni appartengono al gruppo delle particelle subatomiche chiamate leptoni, che si ritiene siano le particelle elementari. Gli elettroni hanno la massa più bassa di qualsiasi leptone carico, o in generale particelle cariche di qualsiasi tipo, e appartengono alla prima generazione di particelle fondamentali.[41] La seconda e la terza generazione contengono altri leptoni carichi, il muone e il tauone, che hanno la stessa identica carica dell'elettrone, lo stesso spin e lo stesso identico modo di interagire con le altre particelle, ma sono tuttavia più massivi. L'elettrone e tutti i leptoni differiscono dai quark (che costituiscono protoni e neutroni) per il fatto che non risentono dell'influsso della forza di interazione nucleare forte.Tutti i leptoni sono dei fermioni, hanno spin semi intero e in particolare l'elettrone ha spin 1/2.[29] Questo fatto ha come conseguenza che gli elettroni obbediscono al principio di esclusione di Pauli, cioè non è possibile che due elettroni si trovino contemporaneamente nel medesimo stato fisico, vale a dire che non possono essere descritti dagli stessi numeri quantici.

Moto ed Energia

In base alla relatività speciale, quando la velocità di un elettrone si avvicina a quella della luce, dal punto di vista di un osservatore esterno, la sua massa relativistica cresce sempre di più e di conseguenza è sempre più difficile accelerarlo. In questo modo l'elettrone non può mai raggiungere la velocità della luce poiché è necessaria un'energia infinita. Ciononostante quando un elettrone, che si muove ad una velocità molto vicina a quella della luce c nel vuoto, è inserito in un mezzo dielettrico come l'acqua, la velocità locale della luce è significativamente minore di quella dell'elettrone. Come interazione con il mezzo, questo tipo di elettroni possono generare un fronte d'onda di luce compatto chiamato causato dall'effetto Čerenkov, un effetto simile a quello che accade quando un oggetto superare la velocità del suono.

Il fattore di Lorentz in funzione della velocità. Partendo dal valore 1 raggiunge l'infinito quando v si avvicina a c.

L'effetto della relatività speciale è basato su una quantità nota come fattore di Lorentz, definita come dove v è la velocità della particella. L'energia cinetica Ke di un elettrone che si muove con velocità v è:

dome me è la massa a riposo dell'elettrone. Per esempio, l'acceleratore lineare di Stanford può accelerare un elettrone a circa 51 GeV.[42] Questo fornisce un valore per γ vicino a 100 000, dal momento che la massa a riposo dell'elettrone è circa 0,51 MeV/c2. La quantità di moto relativistica è 100 000 volte la quantità di moto dell'elettrone che la meccanica classica prevederebbe alla stessa velocità.[43]

Dal momento che l'elettrone ha anche un comportamento ondulatorio, a una data velocità esso ha una caratteristica lunghezza d'onda di de Broglie. Questa è data da λe = h/p dove h è la costante di Planck e p è la quantità di moto.[16] Per energie di 51 GeV dell'elettrone, come quelle raggiunte dall'acceleratore SLAC, la lunghezza d'onda è di circa 2.4 × 10-17 m, piccola a sufficienza per esplorare la scala infinitesima del nucleo atomico e dei protoni.[44]

Osservazioni

Un turbine a luce incandescente verde nel cielo notturno sopra terra innevata
L'Aurora polare è principalmente causata dagli elettroni energetici che precipitano nell'atmosfera.[45]

L'osservazione remota di elettroni richiede il rilevamento delle loro energia irradiata. Per esempio, nell'ambiente ad alta energia come la corona di una stella, gli elettroni liberi formano un plasma che emette energia per gli effetti di Bremsstrahlung. Il gas elettronico può formare delle oscillazioni di plasma le cui onde causate dalla sincronizzazione delle variazioni in densità degli elettroni, e queste possono produrre emissioni di energia che possono essere rilevate usando i radiotelescopi.[46]

La frequenza di un fotone è proporzionale alla sua energia. Un elettrone confinato a muoversi attorno ad un nucleo può transire fra i diversi livelli energetici di questo consentiti, assorbendo o emettendo fotoni di frequenza caratteristica. Per esempio, quando un atomo è irraggiato da una sorgente con uno spettro continuo, appariranno delle distinte linee spettrali per la radiazione trasmessa. Ciascun elemento o molecola esibisce un insieme caratteristico proprio di serie di linee spettrali, che lo distinguono dagli altri atomi, come per esempio il noto caso delle serie dello spettro dell'atomo di idrogeno. La spettroscopia studia l'intensità e la lunghezza di queste linee e le mette in correlazione con le proprietà fisico-chimiche delle sostanza in analisi.[47][48]

In condizioni di laboratorio, l'interazione di elettroni individuali possono essere osservate con l'uso di rilevatori di particelle, che permettono misure precise di specifiche proprietà come energia, spin e carica elettrica[49]. Lo sviluppo di focalizzatori a quadrupolo ha permesso di contenere particelle in piccole regioni dello spazio per lunghi periodi. Questo ha permesso la misura precisa delle proprietà particellari. Per esempio in una misurazione si è riusciti a contenere un singolo elettrone per un periodo di dieci mesi.[50] Il momento magnetico di un elettrone fu misurato con una precisione di 11 cifre significative, che, nel 1980, è la misura migliore di una costante fisica.[51]

La prima immagine video della distribuzione di energia di un elettrone è stata catturata da un team dell'università di Lund in Svezia, nel febbario 2008. Gli scienziati hanno usato flash estremamente piccoli di luce, che hanno permesso di osservare il moto di un elettrone per la prima volta.[52][53]

La distribuzione di elettroni nei materiali solidi può essere visualizzata dallo spettroscopio ARPES (Spettroscopi a risoluzione angolare degli angoli). Questa tecnica si basa sull'effetto fotoelettrico per misurare il reticolo reciproco, una rappresentazione matematica della struttura periodica di un cristallo. ARPES può essere usato per determinare la direzione, velocità e scattering di elettroni nel materiale.[54]

Utilizzi pratici

L'impiego tipico si ha negli apparati ottici, quali il microscopio elettronico; l'elevata energia con la quale possono essere inviati sul campione consente infatti di ottenere immagini a risoluzioni più elevate rispetto a quelle che si avrebbero utilizzando normali fasci luminosi.

In medicina

Gli elettroni vengono quotidianamente utilizzati nell'ambito della radioterapia per "sterilizzare" cicatrici dopo interventi chirurgici di tipo oncologico. Un esempio può essere la IORT (Radioterapia Intraoperatoria), nella quale un fascio elettronico è usato per uccidere eventuali cellule neoplastiche lasciate dal chirurgo e che possono quindi recidivare.

Note

  1. ^ Tutte le masse sono valori del CODATA accessibili tramite la pagina del NIST sulla massa dell'elettrone. La versione frazionaria è l'inverso del valore decimale (con un'incertezza di 4,4 × 10−10)
  2. ^ La carica dell'elettrone è il negativo della carica elementare (che è la carica positiva del protone). Valori del CODATA accessibili tramite il NIST alla pagina carica elementare
  3. ^ a b Eichten e Peskin, pp. 811-814.
  4. ^ a b c Curtis, p. 74.
  5. ^ Arabatzis, pp. 70-74.
  6. ^ Dahl, pp. 122-185.
  7. ^ Wilson, p. 138.
  8. ^ Pauling, pp. 4-10.
  9. ^ a b c Boris M. Smirnov, Physics of Atoms and Ions, Springer, 2003, ISBN 038795550X.
  10. ^ Gilbert N. Lewis, The Atom and the Molecule, in Journal of the American Chemical Society, vol. 38, n. 4, aprile 1916, pp. 762–786, DOI:10.1021/ja02261a002.
  11. ^ Eric R. Scerri, The Periodic Table, Oxford University Press US, 2007, pp. 205–226.
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  30. ^ L'equazione agli autovalori per l'osservabile di spin al quadrato è:
    da cui l'autovalore nel caso di spin 1/2:
    Per approfondire si può fare riferimento a: Gupta, p. 81.
  31. ^ L'equazione agli autovalori per l'osservabile di spin nella direzione dell'asse z è
    da cui l'autovalore nel caso di spin 1/2:
    dove il segno ± indica i due stati possibili.
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  38. ^ Il raggio classico dell'elettrone è ottenuto nel seguente modo: si assume la carica dell'elettrone distributa uniformemente all'interno di una sfera. Poiché una parte della sfera respinge tutte le altre, la sfera avrà un'energia potenziale elettrostaica. Questa energia uguaglia l'energia a riposo dell'elettrone, definita dalla relatività ristretta come E=mc2. Dall'elettrostatica, l'energia potenziale di una sfera con raggio r e carica e è data da:
    dove ε0 è la costante dielettrica del vuoto. Per un elettrone con massa a riposo m0, l'energia a riposo è uguale a:
    dove c è la velocità della luce nel vuoto. Uguagliando questi due termini e risolvendo l'equazione per r si ottiene il raggio classico dell'elettrone. Per approfondire si può fare riferimento a: Hermann Haken, Hans Christoph Wolf, W. D. Brewer, The Physics of Atoms and Quanta: Introduction to Experiments and Theory, Springer, 2005, p. 70, ISBN 3540208070.
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Bibliografia

Testi generici

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