Michele Greco

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Michele Greco (Croceverde, 12 maggio 1924Roma, 13 febbraio 2008) è stato un criminale italiano. Membro della cupola mafiosa di Cosa Nostra, prima della morte era in carcere per omicidio plurimo.

Era soprannominato Il papa per la sua abilità a mediare tra le varie famiglie mafiose[1].

Origini

Figlio di Giuseppe Greco, detto Piddu ‘u tenente, e Caterina Ferrara, Michele Greco fu il terzo di cinque figli: Francesco, nato il 18 gennaio 1921 e di professione medico chirurgo; Giuseppe, nato il 27 agosto 1922 e ucciso a Ciaculli il 1º ottobre 1939; Salvatore, detto il senatore, nato il 7 luglio 1927, possidente, sposato con la figlia di Antonino Cottone (vecchio padrino della mafia); infine Rosa, nata il 15 novembre 1930.[2] La famiglia di Piddu ‘u tenente di Croceverde-Giardina fu protagonista di una faida con la famiglia Greco di Ciaculli il cui capofamiglia si chiamava anch’egli Giuseppe.

Lotta tra i Greco di Ciaculli e quelli di Croceverde-Giardina

Ciaculli e Croceverde-Giardina sono due borgate che si trovano nella zona sud-est di Palermo e vivevano di agricoltura, specialmente di agrumi. Piddu ‘u tenente, prima di divenire capomafia incontrastato della zona di Croceverde, era stato gabellotto dei conti Tagliavia, che possedevano un terreno di trecento ettari coltivato a mandarineto. Il suo forte ascendente verso le persone di quella zona era dovuto alle sue conoscenze con personaggi di rilievo di Villabate, oltre che alla sua grande personalità. L’omonimo Giuseppe Greco invece era riconosciuto come capo della mafia di Ciaculli.

Le due famiglie avevano sempre vissuto in pace fino all’ottobre del 1939 quando un avvenimento diede origine a una lunga catena di omicidi. A settembre, a Ciaculli, durante la festa del Crocifisso, Giuseppe e Francesco Greco di Giuseppe, Francesco Buffa, Domenico Bonaccorso, Salvatore Lamantia e Antonino Chiofalo avevano portato fuori dalla Chiesa una panca per sedersi e si erano allontanati. Il loro posto venne preso da altri partecipanti, fra cui un cugino dei Greco, di nome Francesco. Giuseppe Greco li avvertì di alzarsi ma proprio Francesco non volle e dopo numerose sollecitazioni colpì con un pugno Domenico Bonaccorso al viso. Seguì una breve colluttazione tra i due che venne subito sedata. La questione non si interruppe qui in quanto i due gruppi si trovarono a fronteggiarsi lungo la strada per Croceverde. Francesco Greco uscì all’improvviso armato di pistola e coltello sfidando Bonaccorso a farsi avanti; insieme a lui si trovavano anche il fratello Paolo, Salvatore Pace e Giovanni Spuches. Francesco Greco rimase ferito lievemente mentre nell’altro gruppo venne ucciso Giuseppe Greco, il fratello di Michele.

Per questo fatto la corte d’Assise di Palermo condannò i colpevoli a trent’anni di reclusione (ridotti a 16 e 18 anni in seguito al ricorso degli imputati con sentenza del 6 gennaio 1946). Nello stesso anno, Piddu ‘u tenente, si vendicò del torto subito facendo uccidere Pietro e Giuseppe Greco, rispettivamente padre e zio degli autori del precedente omicidio. La reazione degli altri Greco non si fece attendere e poco dopo vennero uccisi due uomini di Piddu. Dopo tutti questi fatti di violenza si arrivò al culmine di tutta la vicenda: il 17 settembre 1947, i due clan si affrontarono con bombe a mano e mitra nella piazza di Ciaculli; ci furono cinque morti, uno dei quali venne finito a coltellate dalla vedova e dalla figlia di Giuseppe Greco.

Tutti questi avvenimenti costarono a Piddu la convocazione da parte degli altri boss della mafia che lo obbligarono a riportare la situazione di pace fra i due clan. La pace era fortemente voluta anche da Cosa Nostra americana, in particolare dai fratelli Proface, che da Brooklyn si precipitarono a Palermo per porre fine allo scontro. Durante tutta questa situazione, Michele e Salvatore Greco, i figli di Piddu, erano già entrati a far parte dell’ambiente di Cosa Nostra.[3]

Guerra di mafia

Nonostante si definisse un uomo “tutto casa e chiesa”, Michele Greco assume una posizione determinante all’interno della seconda guerra di mafia. Nei primi tempi, intorno al 1974 circa, Michele Greco era conosciuto come un signorotto di campagna che amava circondarsi di conti, marchesi, prefetti e presidenti di corti d’appello.[4] Nel 1975 divenne capo mandamento delle famiglie di Ciaculli e Croceverde-Giardini.[5]

Nel periodo della primavera-estate 1977 le riunioni di mafia si tenevano sempre presso la Favarella, una tenuta che si estendeva dalla chiesetta diroccata di Maredolce fino agli ultimi giardini di Ciaculli. Essa circondava la tenuta di Michele Greco. In quel periodo tutti i discorsi riguardavano i corleonesi; nessuno sapeva che il padrone di casa, Michele Greco, era un "alleato" dei corleonesi.[6] Il 10 aprile 1978, Riina durante una riunione della Commissione[7] chiese ed ottenne l’espulsione di Badalamenti per l’omicidio di Ciccio Madonia[8], elemento legato al clan dei Corleonesi. Michele Greco prese il suo posto e iniziò a fare da intermediario fra lo schieramento di Riina e quello di Stefano Bontade.[9]

Questa guerra iniziò in sordina nel 1978-1980; nella Commissione vennero inseriti Giovanni Scaduto e Pino Greco “scarpuzzedda” (spietato killer che firmò centinaia di omicidi), come capo della famiglia di Ciaculli. Questo provvedimento relegò Michele Greco in una posizione marginale a causa della sua scarsa personalità e della sua sottomissione al dominio dei Corleonesi. Il 30 maggio 1978 venne assassinato a Palermo dai soldati di Riina Giuseppe di Cristina, capo della famiglia di Caltanissetta. Ciò venne visto da Inzerillo come un’offesa nei suoi riguardi in quanto il delitto avvenne nel suo territorio. Successivamente, a giustificare il fatto, venne fatta girare la voce che di Cristina stava collaborando con i carabinieri. Il 9 settembre venne ucciso a Catania Pippo Calderone. Il 9 marzo del 1979 venne ammazzato Michele Reina, segretario provinciale della DC. Comincia in questo modo la stagione dei delitti politici.

Nello stesso anno morirono anche il capo della sezione volanti di Palermo, Boris Giuliano, ucciso il 21 luglio ed il Giudice istruttore Cesare Terranova, ucciso il 25 settembre. Il 6 gennaio 1981 avvenne l’uccisione del Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella. Il 4 maggio dello stesso anno venne ucciso a Monreale il Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile. Salvatore Inzerillo, uno dei maggiori elementi di "Cosa Nostra", venne accusato ingiustamente anche di quest’ultimo omicidio. Decise di ribellarsi e, senza avvisare la Commissione, fece uccidere il Procuratore Gaetano Costa (6 agosto), colpevole di aver firmato dei mandati di cattura contro il suo clan. La vera e propria mattanza però doveva ancora avvenire.

In quel periodo Stefano Bontade stava cercando in lungo e in largo Salvatore Riina per ucciderlo e a quel proposito, il “papa” della mafia disse una cosa molto significativa: “Stefano si è messo dalla parte del torto”, in quanto chi uccideva un membro di Cosa Nostra senza il permesso della Commissione aveva come pena prevista la morte.[10] Riina riuscì ad anticipare le sue mosse e il 23 aprile 1981, nel giorno del suo quarantacinquesimo compleanno, venne ucciso Stefano Bontade. I killer furono Pino Greco e Giuseppe Lucchese. L'omicidio di Bontade segnò la fine di un’era nella storia della mafia siciliana, l'era della supremazia palermitana. L’11 maggio cadde anche l’ultimo elemento dell’ala moderata della Cupola, Salvatore Inzerillo, tradito da uno dei suo fedelissimi. Nonostante viaggiasse in una macchina blindata, venne sorpreso sotto l’abitazione di un’amante.[11][12]

Incontro con John Gambino

In seguito alle uccisioni di Stefano Bontade e Totuccio Inzerillo, sino ad allora i veri capi di Cosa Nostra, il potente boss americano Paul Castellano, decise di inviare a Palermo John Gambino a sincerarsi della situazione.[13][14] Anche in quest’occasione Michele Greco ebbe una grande importanza in quanto riuscì a mediare tra Riina e le famiglie americane rappresentate da Gambino. L’incontro si risolse con una frase simbolica da parte di quest’ultimo: “adesso comanda Corleone”.[15]

Michele Greco +161

Il nome di Michele Greco fu associato a Cosa Nostra per la prima volta dal rapporto del vice capo della mobile Ninni Cassarà chiamato “Michele Greco +161”, stilato nel luglio del 1982. Questo rapporto si basava sulle parole di Salvatore Contorno e divenne parte integrante del primo maxiprocesso. In seguito alle dichiarazioni di Contorno e Buscetta, il 29 settembre 1984 avvenne il grande blitz di San Michele che portò 475 mandati di cattura, fra cui quelli per l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino e quelli per i potenti esattori Nino e Ignazio Salvo.[16]

Arresto

Michele Greco venne arrestato il 26 febbraio 1986 durante una vasta operazione dei carabinieri finalizzata alla ricerca dei latitanti.[17] Venne trovato in un casolare sperduto nelle campagne di Caccamo, a una cinquantina di chilometri da Palermo, dove si nascondeva sotto il nome di Giuseppe di Fresco nato il 22 gennaio 1926 a Palermo. Dopo aver rintracciato la moglie del Di Fresco, ormai vedova da alcuni anni, venne svelata la vera identità di Greco, latitante da 4 anni.

L’arresto del “papa” venne camuffato sotto “la grande operazione” per poter coprire la fonte che aveva permesso alle forze dell’ordine di entrare nel covo del latitante. Michele Greco fu infatti tradito da un giovane, Benedetto Galati, che oltre a curare il suo fondo, aveva vissuto con tutta la sua famiglia nella tenuta di Favarella. Tutto ciò si scoprì solo alcuni mesi dopo, quando Benedetto Galati venne assassinato a colpi di lupara. Il Galati avvisò inizialmente le forze dell'ordine con una lettera anonima con scritto “Se volete Michele Greco, seguite attentamente le mie istruzioni”. Successivamente avvenne un incontro tra il giovane e un ufficiale del carabinieri a Monreale, durante il quale Galati confessò. “Michele Greco si nasconde in una casa in campagna nelle campagne di Caccamo, alle spalle della diga sul fiume San Leonardo, andateci e lo troverete”.

L’operazione, che vide l’impiego di un centinaio di agenti, scattò all’alba. Dopo alcuni minuti che era stato fermato, Michele Greco confessò: “Bravi, siete stati bravi, io sono Michele Greco..[18]

Maxiprocesso

L’11 giugno 1986 Michele Greco si presentò in aula in vestito blu, camicia bianca e rolex d’oro al polso destro e disse: “Io sono stato rovinato dalle lettere anonime. Mi ha rovinato l’omonimia con i Greco di Ciaculli, mentre io appartengo ai Greco di Croceverde-Giardini. La violenza non fa parte della mia dignità.”. Continuò dicendo: “È una vita ordinaria la mia, sia da scapolo che da sposato. Mi hanno descritto come un Nerone, come un Tiberio, solo perché il mio nome fa cartello, costruendo un mare, una montagna di calunnie attorno al mio nome”.[19]

Ammise di conoscere Stefano Bontade, in quanto quest’ultimo si recava spesso a caccia nella sua tenuta. Riguardo alle dichiarazioni dei pentiti: “Le accuse contro di me sono una valanga di fango. I pentiti usati dalla giustizia sono solo dei criminali falliti che per farla franca non esitano a dire falsità e calunnie. Non dico che i magistrati non li debbano prendere in considerazione perché fanno il loro lavoro nel modo migliore, ma se alle dichiarazioni dei pentiti non seguono fatti o prove, allora devono subire lo stesso trattamento delle lettere anonime”.

“Mi chiamano il “papa” ma io non posso paragonarmi a loro, neanche a quello attuale, anche se per la mia fede e la mia coscienza pulita posso essere uguale se non superiore a loro”. “Della mafia so quello che sanno tutti. La droga mi fa schifo solo parlarne. Tutto quello che posseggo è frutto del mio lavoro e dell’eredità dei miei genitori. Non ho mai abbandonato la casa dove mi trovavo nella latitanza e dove mi hanno trovato i carabinieri, ho lavorato in campagna, comprato e venduto bestiame”.[20]

Fine del maxiprocesso

L’11 novembre 1987, nell'ultima udienza del primo maxiprocesso a Cosa Nostra, poco prima che la corte si ritirasse in camera di consiglio, Michele Greco chiese e ottenne la parola. “Io desidero fare un augurio. Vi auguro la pace signor Presidente, a tutti voi auguro la pace perché la pace è la tranquillità e la serenità dello spirito e della coscienza e per il compito che vi aspetta la serenità è la base fondamentale per giudicare. Non sono parole mie, sono parole di Nostro Signore che lo raccomandò a Mosè: quando devi giudicare, che ci sia la massima serenità, che è la base fondamentale. Vi auguro ancora, signor Presidente, che questa pace vi accompagni per il resto della vostra vita”.[21]

Con queste parole espresse precedentemente, il “papa” della mafia chiuse il processo. Il 16 dicembre 1987, dopo 638 giorni di dibattito, 35 giorni di camera di consiglio, la Corte d’Assise di Palermo emise la sentenza: Michele Greco e altri diciotto capimafia vennero condannati all’ergastolo.[22]

Scarcerazione

L’11 febbraio 1991 Michele Greco e altri trentanove boss vennero scarcerati per la scadenza dei termini di custodia cautelare (cavillo giuridico che venne adottato dalla prima corte di Cassazione presieduta da Corrado Carnevale). Fu una decisione che generò grande fragore all’interno dell’opinione pubblica. Michele Greco tornò così a Ciaculli e alle domande dei giornalisti rispose dicendo: “Cinque anni di carcere vissuti in assoluto isolamento mi hanno provato moltissimo e se mi chiedete anche solo le mie generalità non sarei in grado di rispondere”.

Quando gli venne chiesto di dare la sua opinione sul giudice Carnevale rispose: “Siamo in quaresima se mi parlate di Carnevale. In questi anni di galera ho trovato conforto solo nella Bibbia che è la base fondamentale: ci sono stati anche dei porci che hanno osato fare dell'ironia al riguardo, ma io me ne fotto”. Il 18 settembre 1991 fu arrestato nuovamente.

Detenzione

Michele Greco, detenuto all’Ucciardone sotto il regime del 41 bis, in seguito alla morte del giudice Paolo Borsellino, venne trasferito nel carcere di Pianosa insieme ad altri 55 componenti di Cosa Nostra.[23] Successivamente venne portato nel carcere di Cuneo dove rimase fino al 1998 quando, per gravi motivi di salute, venne trasferito definitivamente nel carcere di Rebibbia, a Roma.

Morte

Morì il 13 febbraio 2008 all’ospedale Pertini di Roma, nel quale si trovava da alcune settimane, stroncato da un tumore ai polmoni.[24][25][26] Non gli furono concessi funerali solenni a causa di un divieto della Questura. Le esequie vennero celebrate nella chiesa del camposanto di Sant’Orsola e vi parteciparono esclusivamente la moglie, il figlio Giuseppe e pochi altri conoscenti e familiari.[27]

Note

  1. ^ http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/cronaca/mafia-2/michele-greco/michele-greco.html
  2. ^ Francesco Viviano, Michele Greco il memoriale, pag.23
  3. ^ Francesco Viviano,Michele Greco il memoriale, pag.25-28
  4. ^ Attilio Bolzoni, Il capo dei capi, pag.112
  5. ^ Attilio Bolzoni,Parole d'onore,pag.16
  6. ^ Attilio Bolzoni,Il capo dei capi,pag125-128
  7. ^ Commissione (mafia)
  8. ^ Boss
  9. ^ Michele Greco
  10. ^ Attilio Bolzoni, Il capo dei capi, pag.164-165
  11. ^ Francesco Viviano,Michele Greco il memoriale, pag.61-70
  12. ^ Attilio Bolzoni,Il capo dei capi, pag.170
  13. ^ Francesco Viviano, Michele Greco il memoriale, pag.75
  14. ^ [www.fas.org/irp/news/2007/osc111907.html Incontro con John Gambino]
  15. ^ Attilio Bolzoni, Il capo dei capi, pag.173
  16. ^ Michele Greco
  17. ^ Francesco Viviano, Michele Greco il memoriale, pag.113-118
  18. ^ Saverio Lodato, Trent'anni di mafia: storia di una guerra infinita, pag.193
  19. ^ Attilio Bolzoni, Parole d'onore, pag.187-188
  20. ^ Saverio Lodato, Trent'anni di mafia: storia di una guerra infinita, pag.193-195
  21. ^ Attilio Bolzoni, Parole d'onore, pag.185-186
  22. ^ Francesco Viviano, Michele Greco il memoriale, pag.141
  23. ^ Michele Greco
  24. ^ Michele Greco
  25. ^ Michele Greco
  26. ^ Saverio Lodato, Trent'anni di mafia: storia di una guerra infinita, pag.524-525
  27. ^ Francesco Viviano, Michele Greco il memoriale, pag. 142

Bibliografia

  • Francesco Viviano, Michele Greco il memoriale, Roma, Aliberti editore, 2008, ISBN 88-7424-365-0.
  • Attilio Bolzoni, Parole d'onore, Milano, BUR, 2008, ISBN 978-88-17-02505-8.
  • Attlio Bolzoni, Giuseppe D'Avanzo, Il capo dei capi: vita e carriera criminale di Totò Riina, Milano, BUR, ISBN 978-88-17-01924-8.
  • Savero Lodato, Tren'anni di mafia: storia di una guerra infinita, Milano, BUR, ISBN 978-88-17-02356-6.* Alfonso Giordano, Il maxiprocesso venticinque anni dopo, Bonanno editore, 2011, pp.106; 199-203.

Cronologia

Predecessore:
Gaetano Badalamenti
Commissione di Cosa Nostra
Michele Greco, Salvatore Riina, Stefano Bontade
1978 - 1981
Successore:
Salvatore Riina , Bernardo Provenzano
1984 - 1993

Voci correlate

  Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie