Vesuvio

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Vesuvio
File:Vesuvio visto da Pompei.jpg
Il Vesuvio visto da Pompei (a sud), cittadina campano-romana distrutta dall'eruzione del 79 d.C.
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione  Campania
Provincia  Napoli
Altezza1 281 m s.l.m.
Prominenza1 232 m
CatenaAppennini
Diametro cratere500 m
Ultima eruzione1944
Codice VNUM211020
Coordinate40°49′18.01″N 14°25′33.57″E / 40.821669°N 14.425993°E40.821669; 14.425993
Mappa di localizzazione
Mappa di localizzazione: Italia
Vesuvio
Vesuvio

Il monte Vesuvio è un vulcano esplosivo attivo situato in Campania nel territorio dell'omonimo parco nazionale istituito nel 1996.

Dati generali

Si tratta di un vulcano particolarmente interessante per la sua storia e per la frequenza delle sue eruzioni. Fa parte del sistema montuoso Somma - Vesuvio ed è alto 1281 metri. È situato leggermente all'interno della costa del golfo di Napoli, ad una decina di chilometri ad est del capoluogo campano.

Il Vesuvio costituisce un colpo d'occhio di inconsueta bellezza nel panorama del golfo, specialmente se visto dal mare con la città sullo sfondo. Una celebre immagine da cartolina ripresa dalla collina di Posillipo lo ha fatto entrare di diritto nell'immaginario collettivo della città di Napoli, sebbene dagli abitanti del luogo sia considerato uno stereotipo al pari del celebre sole - mare - mandolino. Non altrettanto stereotipo, ma ben più importante, è il primato che il Vesuvio detiene a livello mondiale: si tratta del vulcano che per primo è stato studiato sistematicamente.

Il Vesuvio visto dal satellite

Risale infatti all'incirca nel 1820 la costruzione di un Osservatorio (tuttora funzionante, anche se solo come dependance di più moderne strutture ubicate a Napoli) e si può ben dire che la vulcanologia, come vera e propria ricerca scientifica, nasce in quegli anni.

Ancora in anni più recenti, siamo ai primi decenni del XX secolo, quando gli statunitensi decisero di creare un osservatorio alle Hawaii, si rifecero all'esperienza vesuviana.

Dalla fine degli anni quaranta non si sono più avute sue eruzioni. Pur tuttavia, essendo il vulcano considerato in stato di quiescenza, alcuni interventi legislativi hanno individuato una zona rossa comprendente 18 Comuni (quelli del Parco oltre a Cercola, Pompei, Portici, San Giorgio a Cremano, Torre Annunziata); le amministrazioni di questi Comuni hanno predisposto e devono tenere costantemente aggiornato un piano di evacuazione. I Comuni, inoltre, mettono ciclicamente in atto delle sperimentazioni del piano al fine di esercitare la popolazione all'evento dell'eruzione. Di recente, la Regione ha predisposto incentivi atti a favorire il decongestionamento dell'area a maggior rischio.

Vesuvio visto da Mergellina in Napoli

Origini del nome

Nell'antichità si riteneva che il Vesuvio fosse consacrato all'eroe semidio Ercole, e la città di Ercolano, alla sua base, prendeva da questi il nome, così come anche il vulcano, seppur indirettamente.

Ercole infatti era il figlio che il dio Giove aveva avuto da Alcmena, una donna di Tebe. Uno degli epiteti di Giove (Zeus nella Grecia antica) era Ὕης (Üès), cioè colui che fa piovere. Così Ercole divenne Ὑησουυιὸς (Üesouüios), cioè il figlio di Ües, da cui deriva il latino Vesuvius (pron Uesuuius).

Una tradizione popolare della fine del seicento, vorrebbe invece che la parola derivi dalla locuzione latina "Veh suis" ("Guai ai suoi"), giacchè la maggior parte delle eruzioni sino ad allora accadute, avevano sempre preceduto o posticipato avvenimenti storici importanti, e quasi sempre carichi di disgrazie per Napoli o la Campania. Un esempio su tutti: l'eruzione del 1631 sarebbe stato il "preavviso" naturale dei moti di Masaniello del 1647.

Eruzioni nell'antichità

Vesuvio visto da Napoli (a ovest-nord-ovest del Vesuvio)

Si ritiene che già 400.000 anni fa la zona del Vesuvio sia stata soggetta ad attività vulcanica, tuttavia sembra che la montagna abbia iniziato a formarsi 25.000 anni fa, probabilmente come vulcano sottomarino nel Golfo di Napoli; emersa successivamente come isola, si unì alla terraferma per l'accumulo dei materiali eiattati. Tra i 19.000 anni fa e il 79 d.C. ebbero luogo una serie di violente eruzioni intercalate da periodi di quiete del vulcano. Dall'origine della montagna ai principali eventi sono state attribuite varie denominazioni:

  • Codola (25.000 anni fa)
  • Sarno - Pomici basici (17.000 anni fa)
  • Pomici verdoline (15.500 anni fa)
  • Mercato (7.900 anni fa)
  • Avellino (3.750 anni fa)
  • Pompei (79 d.C.)

Tutte queste eruzioni, per la loro immane violenza, ma anche perchè simili a quella che distrusse Pompei, sono chiamate eruzioni Pliniane (dal nome dei due Plinio, studiosi Romani che furono testimoni dell'eruzione del 79 d.C. [vedi sotto]). Per fare un esempio, ciascuna delle eruzioni più violente avvenute dopo il 79, dette Subpliniane, sono potenti almeno la metà di una regolare eruzione pliniana. Tra di esse, in particolare vogliamo ricordare l'eruzione denominata Avellino in quanto ha lasciato tracce fino all'omonima città campana e che ha seppellito l'area dove oggi sorge Napoli.L'Avellino tra quelli accertati si può considerare il cataclisma vulcanico più importante che abbia avuto luogo in Europa.
L'accertamento dell'esistenza di questo evento ha fatto ulteriormente innalzare la soglia d'allarme per future eruzioni che potenzialmente potrebbero coinvolgere un'area dove oggi vivono fino a tre milioni di persone.

Stato precedente al 79 d.C.

Il Vesuvio non apparve sempre come un vulcano attivo. Per molti secoli fu un monte tranquillo. Scrittori antichi lo descrissero coperto di orti e vigne, eccetto per l'arido culmine.

Fra un grande cerchio di dirupi quasi perpendicolari c'era uno spazio piatto sufficiente ad accampare un'armata. Si trattava senza dubbio di un antico cratere, ma nessuno a quei tempi sapeva niente della sua storia. Di questo cratere oggi sopravvive solo un settore, denominato Monte Somma.

Così, non conoscendosi la sua natura vulcanica, la fertilità dei terreni circostanti favorì gli insediamenti osci e sanniti di Stabia, Pompei ed Ercolano, i cui abitanti non nutrivano alcun sospetto sul rischio potenziale dell'area.

Il monte aveva avuto, nel 73 a.C., il suo quarto d'ora di notorietà, grazie a Spartaco e ai suoi seguaci che, nei loro vani tentativi di sfuggire alle legioni romane, si rifugiarono sul Vesuvio.

Incidentalmente, gli schiavi riuscirono a sottrarsi alla cattura, rinviando l'esito cruento della loro rivolta: utilizzarono i tralci delle viti che ricoprivano le pendici del monte per fabbricare scale con le quali fuggirono per l'unico passaggio non sorvegliato perché impervio.

L'eruzione del 79 d.C.

Lo stesso argomento in dettaglio: Data dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C..

La morte di Plinio

Stampa del Vesuvio visto da Pompei - 1900

Nel 62 gli abitanti subirono un primo colpo: la montagna si scosse violentemente e un gran numero di case vennero distrutte dal terremoto. Il successivo periodo di tranquillità favorì la ricostruzione degli edifici crollati. La vita riprese a scorrere ordinata e tranquilla in quelle terre che, ormai stabilmente inserite nel ben strutturato sistema imperiale, si potevano ritenere al riparo da qualsiasi minaccia esterna.

Le abbondanti reliquie di quel periodo sono tipiche di ricche, operose cittadine di provincia, lontane tanto dal fasto e dal rumore dell' Urbe che dall'atmosfera raffinata e decadente della greca Neapolis, pur vicinissima.

Ma un giorno dell'autunno del 79 su Stabia, Pompei e Ercolano si scatenò il finimondo.

Plinio il vecchio quel giorno era al suo posto di comando della Flotta Romana dislocata a Miseno. La sua famiglia era con lui, e, tra gli altri, suo nipote, Plinio il giovane, ci ha lasciato un'interessante testimonianza su ciò che successe. Egli osservò una nube molto densa elevarsi in direzione del Vesuvio, della quale scrisse:

«Non posso darvi una descrizione più precisa della sua forma se non paragonarla a quella di un albero di pino; infatti si elevava a grande altezza come un enorme tronco, dalla cui cima si disperdevano formazioni simili a rami. Sembrava in alcuni punti più chiara ed in altri più scura, a seconda di quanto fosse impregnata di terra e cenere.»

L'eruzione del 79 d.C.

Vedendo questa notevole apparizione, Plinio il vecchio, grande naturalista e, ovviamente, attento all'osservazione di fenomeni insoliti, fece approntare una nave per andare a vedere più da vicino cosa stesse avvenendo, e offrì al nipote l'opportunità di accompagnarlo. Plinio il giovane che preferì restare a casa a studiare, nelle già citate lettere, a Tacito, descrive anche la fine dello zio.

Questi, infatti, aveva ricevuto, nel frattempo, una lettera da Ercolano dalla moglie di Cesio Basso, Retina che chiedeva aiuto non avendo altro scampo che per mare.

La missione da scientifica si trasformò quindi in soccorso: Plinio, comandante della flotta di Miseno, ben conosceva il litorale vesuviano dove erano le residenze di numerosi amici. Altre navi furono quindi fatte salpare verso quelle spiagge.

Mentre si stava perciò dirigendo verso Ercolano ai piedi della montagna, la nave fu investita da una pioggia di cenere rovente, che diveniva più intensa e calda quanto più si avvicinava, cadendo, insieme a grumi di pomice e roccia nera e rovente.

Una grande quantità di frammenti rotolava giù dalla montagna, agglomerandosi sempre di più. Il mare, poi, iniziò a ritirarsi, rendendo impossibile l'approdo. Plinio, pertanto, si diresse verso Stabia e lì approdò, facendosi ospitare da Pomponiano (Pomponianus), un suo vecchio amico.

Nel frattempo, le fiamme scaturivano da ogni parte della montagna con grande violenza - l'oscurità non faceva altro che aumentare il loro splendore. Nonostante tutto, Plinio decise di riposare. Ma presto la zona si riempì di lapilli e ceneri; i suoi servi lo svegliarono, e lui raggiunse Pomponiano e la famiglia.

La casa tremava per le forti scosse di terremoto e, nel frattempo, lapilli e ceneri continuavano a piovere all'esterno. Valutati i rischi tutti pensarono che fosse più sicuro uscire all'aperto proteggendosi la testa con cuscini. Anche se era ormai giorno, l'oscurità era più profonda della notte più nera.

Plinio, persona di complessione robusta ma asmatica, dopo aver bevuto acqua fredda, si stese su una vela che era stata stesa per lui ma, quasi immediatamente, la lava, preceduta da un forte odore di zolfo lo obbligò ad alzarsi. Con l'aiuto di due servi ci riuscì, tuttavia, soffocato dai vapori tossici, morì istantaneamente. Il corpo, rintracciato dopo tre giorni, "sembrava di persona che dormisse".

In un'altra lettera a Tacito, Plinio il giovane si sofferma invece su quanto accadde a Miseno, dove era restato con la famiglia.

Si tratta di una descrizione altamente drammatica, in specie nella raffigurazione della "notte" che calò sull'abitato (che, va ricordato, è situato all'estremo opposto rispetto alla costa vesuviana).

Infatti, Plinio è molto preciso e puntualizza che furono avvolti da una notte che non era una notte illune o nuvolosa ma il buio di una stanza chiusa e senza la minima luce (si era in pieno giorno..). Ci si muoveva, ricorda, in questo buio fitto, liberandosi di continuo dalle ceneri calde che cadevano ininterrottamente e che, altrimenti avrebbero sommerso le persone.

La distruzione di Pompei ed Ercolano

File:Pompeii the last day 1.jpg
Ricostruzione digitale del giorno della scomparsa di Pompei

Non fu solo, Plinio, nella sua morte; poiché, anche se molti degli abitanti delle città vesuviane furono in grado di trovare una via di fuga, l'improvvisa e sopraffacente pioggia di cenere e lapilli fece si che non pochi di loro perirono nelle strade. Se consideriamo l'efficace narrazione succitata che si riferisce a località site a distanza di sicurezza, è immaginabile quel che si verificò alle pendici del vulcano.

Le città stesse scomparvero alla vista, sepolte sotto almeno 6 metri di materiali eruttivi, e come molte altre cose, con il passare del tempo, furono sepolte anche nella memoria.

Le desolate distese che avevano visto la vita vivace e ricca, ora erano evitate e oggetto di terrori superstiziosi. Per molti secoli restarono completamente dimenticate.

Oggi, peraltro, grazie anche a studi comparati con vulcani simili al Vesuvio, si sono chiariti numerosi aspetti di quell'eruzione che, ben descritti da Plinio il giovane, erano stati considerati viziati da eccessiva fantasiosità.

In particolare, le caratteristiche diverse dei fenomeni che interessarono Pompei e Stabia rispetto ad Ercolano: le prime furono sommerse da una pioggia di cenere e lapilli che, salvo un intervallo di alcune ore (trappola mortale per tanti che rientrarono alla ricerca di persone care e oggetti preziosi), cadde ininterrotta.

Ercolano, non fu investita nella prima fase, ma quasi dodici ore dopo, e, sino alle recentissime scoperte, si era pensato che tutti gli abitanti si fossero posti in salvo. Diversa fu la natura dei fenomeni che interessarono questo piccolo centro, molto più elegante e raffinato delle commerciali Pompei e Stabia.

Infatti, il gigantesco pino di materiali eruttivi prese a collassare e, per effetto del vento, un'infernale mistura di gas roventi, ceneri e vapor acqueo, investì l'area di Ercolano. Coloro che si trovavano all'aperto ebbero forse miglior sorte, vaporizzati all'istante, di chi trovandosi al riparo ha lasciato tracce di una morte che, pur rapida, ebbe caratteristiche tremende. Il fenomeno è oggi conosciuto come "nube ardente" o frane piroclastiche.

Al calar della sera del secondo giorno, l'attività eruttiva iniziò a calare rapidamente fino a cessare del tutto. L'eruzione era durata poco più di 25 ore, durante le quali il vulcano aveva espulso quasi un miliardo di metri cubi di materiale.

Aspetto della montagna prima e dopo l'eruzione

Il Vesuvio era stato sottoposto a un grande cambiamento. La sua cima non era più piatta, ma aveva acquisito una forma conica, dalla cima della quale ascendeva un denso vapore. Questo cono, determinato dalla fortissima spinta del materiale eruttato, ha letteralmente sfondato il precedente cratere per 3/4 circa della sua circonferenza. Ciò che residua dell'antico edificio vulcanico in seguito prese il nome di Monte Somma.
L'insieme di foreste, vigne e vegetazione lussureggiante, che ricopriva la parte del fianco del Vesuvio, dove avvenne l'eruzione, fu distrutto. Niente poteva essere più impressionante del contrasto tra lo stupendo aspetto della montagna prima della catastrofe, e la desolazione presente dopo il triste evento. Questo rimarcabile contrasto fornì il soggetto a uno degli epigranni di Marziale, Lib. IV. Ep. 44. Che suona all'incirca così:

«Ecco il Vesuvio, poc'anzi verdeggiante di vigneti ombrosi, qui un'uva pregiata faceva traboccare le tinozze; Bacco amò questi balzi più dei colli di Nisa, su questo monte i Satiri in passato sciolsero le lor danze; questa, di Sparta più gradita, era di Venere la sede, questo era il luogo rinomato per il nome di Ercole. Or tutto giace sommerso in fiamme ed in tristo lapillo: ora non vorrebbero gli dèi che fosse stato loro consentito d'esercitare qui tanto potere.»

Il poeta Publio Papinio Stazio, invece, scrisse:

«Crederanno le generazioni a venire [...] che sotto i loro piedi sono città e popolazioni, e che le campagne degli avi s'inabissarono?»

Dall'eruzione del 79 d.C., il Vesuvio ebbe molti periodi di attività alternati a intervalli di riposo. Nel 472, scagliò una tale quantità di ceneri, che si sparsero per tutta Europa e riempirono di allarme perfino Costantinopoli, che in quegli stessi giorni era scossa da violenti terremoti con epicentro ad Antiochia. Nel 1036 si ebbe la prima eruzione con fuoriuscita di lava: evento importantissimo nella storia del monte, giacchè fino ad allora le eruzioni avevano prodotto materiali piroclastici, ma non magma. Secondo le antiche cronache, l'eruzione avvenne non solo sulla cima, ma anche sui fianchi, ed i prodotti incandescenti si riversarono in mare, allungando la linea costiera di circa 600 m.

Questa eruzione fu seguita da altre cinque, l'ultima delle quali (sebbene molto dubbia, perchè ne parla un solo storico) avvenne nel 1500. A queste fece seguito un lungo riposo di circa 130 anni, durante il quale la montagna si coprì nuovamente di giardini e vigne come in precedenza. Anche l'interno del cratere si ricopri di arbusti.

L'eruzione di acqua bollente del 1631

Nel 1631 ci fu un'altra terribile eruzione. Dopo numerosi eventi premonitori quali rigonfiamento del suolo, piccoli terremoti e prosciugamento delle fonti, all'alba del 16 dicembre il Vesuvio rientrò in attività, emettendo un'altissima nube di ceneri, seguita dopo poche ore dalle prime ingenti emissioni laviche, che mieterono le prime vittime a Portici, e costrinsero gran parte della popolazione a cercar rifugio a Napoli. A causa del tempo piovoso, le piogge di ceneri degenerarono in piogge di fango, che coprì la maggior parte dei paesi sulle sue pendici e la stessa Napoli, che fu direttamente minacciata (il che si è verificato molto di rado). Solo quando la città fu stracolma di gente, l'arcivescovo si decise ad esporre le Reliquie di San Gennaro in processione; e, secondo molti storici e letterati dell'epoca, l'eruzione cominciò a scemare proprio quando la statua del Santo fu rivolta al vulcano.
In aggiunta a questa calamità, a causa delle perduranti piogge invernali, si crearono torrenti di acqua bollente fuoriuscita dal vulcano, che produsse ulteriori spaventose distruzioni fino a gennaio, soprattutto sul versante N della montagna. Portici, Resina (l'antica Ercolano), Torre del Greco e Torre Annunziata furono semidistrutte, mentre la frazione Pietra Bianca fu ridenominata, da allora, Pietrarsa. Le vittime accertate furono tremila; molti di più furono gli animali (soprattutto bovini) uccisi dal torrente di lava. A ricordo della minaccia diretta, a Napoli, ancor oggi, sta la statua del santo patrono San Gennaro al Ponte della Maddalena, rivolto verso il Vesuvio; a Portici una lapide fatta murare dal Vicerè, ammonisce in latino il viandante a fuggire al minimo rumoreggiare del vulcano.

Il ciclo eruttivo del Vesuvio

Dal 1631 al 1944, il Vesuvio è stato un vulcano "addomesticato", cioè ha seguito un andamento eruttivo continuo, col condotto praticamente sempre aperto, di modo tale che era possibile intuire le eruzioni. L'andamento ciclico della sua attività qui descritto fu riconosciuto da William Hamilton, Frank A.Perret, ed Alfano e Friedlander.

Dopo una grande eruzione (tipo quella del 1631, 1872 o 1906) tutto il magma è stato eiettato ed il condotto, svuotato, fa crollare la parte sommitale. Il Vesuvio quindi entra in un periodo di riposo (quiescenza) che dura in media tra i 3 ed i 7 anni, durante i quali il cratere emette solo gas. Successivamente, piccole esplosioni di ceneri sul fondo del cratere cominciano a costruire un cono di scorie, le cui dimensioni possono aumentare a seconda della pressione che comincia ad accumularsi nella camera magmatica, e che danno il via ad un'attività persistente che può durare da un minimo di 7 ad un massimo di 30 anni. In questo periodo, le scorie accumulate formano una vera e propria piattaforma che finirà per occupare completamente il cratere stesso, generando spesso piccole colate esterne, che però sono di piccolo volume e causano pochi danni (esempio di quest'attività sono la formazione dei colli "Margherita" ed "Umberto", o le eruzioni del 1805 o 1929). Quando la pressione accumulatasi giunge al limite, il cono comincia a fratturarsi, ed ha inizio l'eruzione finale, che dura al massimo due settimane/un mese. Dopo una prima abbondante tracimazione di lava, si ha un periodo di rallentamento dell'attività seguito da una fase esplosiva finale, relativamente breve, ma assai più violenta (e pericolosa) della precedente, durante la quale si generano una o più ciclopiche nubi eruttive che spazzano via la parte terminale del cono. Questa violenta fase può durare un paio di giorni al massimo, e segna la fine dell'eruzione e del ciclo. Il cratere, svuotato, frana su se stesso, ed il Vesuvio ricade nel periodo di quiescenza che segna l'inizio di un nuovo ciclo.

Il periodo dell'attività più intenso fu durante la seconda metà del XVIII secolo, con cicli della durata media di 10-15 anni; il meno prolifico, quello del 1872 - 1944 , con due cicli della durrata di 34 e 38 anni. Dopo l'eruzione del 1944, il Vesuvio cadde in uno stato di quiescenza che dura tutt'ora: in base ai cicli abituali, la ripresa dell'attività eruttiva appare dunque fortemente in ritardo.

Vapori colorati, cascate di lava, eruzioni recenti

Carta storica del Vesuvio - 1888

Ci sono state dal 1631, numerose eruzioni, che sarebbe noioso menzionare in dettaglio; ma alcune di queste sono degne di nota. Durante un'eruzione del febbraio 1848, una colonna di vapore alta circa 15 metri, sorse dal cratere, presentando una varietà di colori; subito dopo spuntarono dieci cerchi, bianchi neri e verdi che assunsero la forma di un cono. Un'apparizione simile era stata osservata nel 1820.

Più recentemente, nel maggio 1855, un grande flusso di lava incandescente, di 70 metri di larghezza, fluì verso un grosso crepaccio di circa 300 metri di profondità. La prima parte di questa spaccatura è a precipizio e qui, la lava in caduta formò una magnifica cascata di fuoco liquido.

Ancora più spettacolare fu l'eruzione del 1872, che creò una vastissima nube a forma di pino, e la cui lava distrusse i paesi di Massa e San Sebastiano al Vesuvio.

Negli anni di attività intermedia, la lava che traboccò dal cratere costituì due cupole di ristagno: nel 1895 il Colle Margherita" (nell'Atrio del Cavallo, semisepolto dalla lava dell'eruzione del 1944), e nel 1898 il "Colle Umberto". Quest'ultimo, ancora perfettamente integro, costituisce una sorta di barriera naturale per l'Osservatorio, giacchè le colate di lava dirette su di esso sono deviate dai fianchi del Colle.

L'eruzione del 1906, descritta efficacemente da Frank A.Perret e da Matilde Serao, fu la più grande avvenuta nel XX secolo: ancor oggi è difficile stabilire con esattezza il volume degli ejecta, un'immane colata lavica che si dirigeva verso Torre Annunziata fu miracolosamente bloccata dalle mura del cimitero, e la nube gassosa che generò nelle ultime ore di attività spazzò via la cima e svuotò la camera magmatica. A causa della pioggia di cenere, crollò il tetto di una chiesa a San Giuseppe Vesuviano, uccidendo tutte e 105 le persone che vi pregavano.

Un'eruzione intermedia avvenne nel 1929, quando nel cratere si creò un lago di lava, che traboccò sul versante SE e distrusse solo alcuni vigneti.

La successiva (e, per ora, ultima) eruzione avvenne tra il 16 e il 29 marzo 1944, che distrusse nuovamente Massa e San Sebastiano, cosparse di ceneri tutto il Meridione, e fu resa famosa dai cinegiornali dell'esercito Angloamericano che all'epoca occupava Napoli. Spettacolari fontane di lava si innalzarono dal cratere fino ad un'altezza di 800 metri, mentre 26 persone venivano uccise dalla pioggia di ceneri, ed il condotto craterico subì un'alterazione radicale.

Stato attuale

Vesuvio visto da Posillipo in Napoli

Dopo l'eruzione del 1944, il Vesuvio è in fase di quiescenza. Tale periodo di riposo, in base alla descrizione del ciclo sopra descritta, appare atipico, per cui la ripresa dell'attività eruttiva pare fortemente in ritardo. Per questo, si ritiene che il Vesuvio sia uscito dal tipo di attività studiato. Per qualche motivo ancora misterioso, il condotto -praticamente sempre aperto dal 1631- dev'essersi ostruito in profondità, o devono essersi svuotate le "sacche" di magma che alimentavano l'attività ciclica, per cui il vulcano è tornato all'apparenza inerte, come doveva essere prima del 1631.

Nel 1987, l'AGIP effettuò una trivellazione su un fianco del Vesuvio per cercare di convertirne il calore interno in energia elettrica: nonostante lo scavo sia arrivato al di sotto del basamento, non si trovò calore. Nel 2001, invece, sarebbe stato individuato un fiume di magma ad appena 10 km dalla superficie. Per via di ciò, è lecito aspettarsi i segnali di una ripresa dell'attività in qualunque momento: quindi, il Vesuvio è strettamente monitorato.

La scoperta dei resti di Ercolano e Pompei

Delle città sepolte di Ercolano e Pompei, nessuna traccia venne scoperta fino al 1713, quando alcuni lavoranti intenti a scavare un pozzo, trovarono i resti di Ercolano a circa 8 metri di profondità.

A quel tempo comunque, poca attenzione venne data alla scoperta; ma nel 1748, un contadino, scavando il suo vigneto, incappò in un'antica opera d'arte. Affondando un palo in quel punto, alla profondità di 4 metri, i resti di Pompei vennero ritrovati.

Questa scoperta portò a ulteriori ricerche, e l'esatta posizione delle due città venne così accertata. Il lavoro di dissotterramento è continuato, con poche interruzioni, fino ai giorni nostri, e molti preziosi reperti di arte antica sono stati portati alla luce.

Naturalmente, nel tempo, si sono affinate le tecniche, sia di scavo, sia di trattamento dei reperti. Basti pensare che, inizialmente, era del tutto normale asportare statue, pitture parietali, arredamenti, monili e oggetti di uso comune, limitandosi a sommarie indicazioni sulle zone di ritrovamento.

D'altro canto, la sensibilità dell'epoca era ben diversa dall'attuale, come testimoniano le vicissitudini di celebri reperti archeologici, approdati in musei stranieri in modo più o meno regolare.

Nella fattispecie, anzi, è possibile un giudizio nel complesso positivo, dal momento che quasi tutti i reperti affluirono al Museo Borbonico di Napoli (oggi Museo Nazionale, il principale per quantità e qualità di reperti d'epoca romana in Italia e nel mondo).

Un autentico salto di qualità si ebbe con l'archeologo Giuseppe Fiorelli, Direttore degli Scavi negli ultimi anni del Regno borbonico, mantenne anche nel prosieguo l'incarico.

È sua l'idea di riempire di gesso liquido le cavità di cui si avvertiva la presenza nello scavo: l'intuizione che tali cavità potessero essere lo stampo di corpi disfattisi in uno strato di ceneri compattatesi nel tempo, si rivelò esatta.

I reperti (taluni, celeberrimi come il cane alla catena) restituiscono con immediatezza, a volte commovente, gli ultimi momenti di vita degli sfortunati abitanti di Pompei. Per le tracce, in genere, lasciate dalle persone, si veda anche il paragrafo sui "resti degli abitanti".

Numerosi reperti a Pompei e non, ad esempio, ad Ercolano perché le diverse modalità di sommersione delle città, in questo secondo caso portarono al formarsi di uno strato tufaceo di 15/20 metri di spessore originato dalla massa liquida che coprì la città.

Fra l'altro, questo è tuttora il maggior ostacolo alla messa in luce integrale di Ercolano, non tanto per lo scavo in sé ma perché la città moderna insiste sulla verticale dell'antica. Si pensi che, a quasi 300 anni dalla scoperta della Villa dei Papiri così detta dalla ricchissima raccolta di testi su papiro, la stessa è tuttora sepolta anche se, grazie alle nuove tecniche, se ne conosce una discreta porzione.

Gli edifici di Pompei, la strada delle tombe

I maggiori progressi sono stati fatti a Pompei, poiché il materiale che la ricoprì era molto meno compatto di quello che sommerse Ercolano. A Pompei, che nei tempi antichi era considerata una località secondaria, sono stati ritrovati otto templi, un foro, una basilica, due teatri, un magnifico anfiteatro e i bagni pubblici. Anche le fortificazioni, composte da larghi blocchi di pietra, sono state esposte. Uno dei luoghi più rimarchevoli è la via dei Sepolcri. Si tratta di una larga strada pavimentata e bordata sui lati da solenni monumenti funebri, vere Cappelle di famiglia dei cittadini benestanti.

I resti degli abitanti

Le abitazioni furono trovate piene di mobili eleganti, i muri degli appartamenti erano adornati con bei dipinti. Numerose statue, vasi, lampade e altri eleganti lavori artistici, sono stati recuperati. Sono stati trovati anche molti scheletri, nell'esatta posizione in cui le persone erano state colte dalla pioggia mortale delle ceneri. Gli scavatori trovarono lo scheletro di un povero, che stava cercando di fuggire dalla sua casa, e le cui dita ossute, ancora stringevano la borsa che conteneva il suo amato tesoro. Furono anche trovati, nella caserma di Pompei, gli scheletri di due gladiatori incatenati ai ceppi, ma anche i resti di una ricca matrona; e le scritte tracciate dai gladiatori sui muri sono ancora abbastanza leggibili. Nei sotterranei di una villa in periferia vennero scoperti gli scheletri di diciassette persone, che vi avevano probabilmente cercato rifugio e rimasero intrappolate. Il materiale in cui si trovarono immersi, originariamente soffice, si indurì con il passare del tempo. In questa sostanza fu trovata una cavità, contenete lo scheletro di una donna con un infante tra le braccia. Anche se sono rimaste solo le ossa, la cavità conteneva un perfetto calco della figura della donna, che mostrava come fosse rimasta sommersa nella sostanza mentre era ancora in vita. Attorno al collo dello scheletro c'era una catena d'oro, e alle dita anelli ingioiellati. Molto di recente, son venuti alla luce ad Ercolano i resti di parecchi abitanti che si erano rifugiati in un edificio nei pressi del porto in attesa di soccorsi dal mare, morti per effetto del tremendo calore sviluppato dalla "nube ardente" che investì la cittadina.

Negozi

In molte delle case, il nome del proprietario è ancora leggibile sulle porte, e gli affreschi sui muri interni sono ancora belli e in buono stato. Le fontane pubbliche sono adornate con conchiglie che formano motivi geometrici; e nella camera di un pittore è stata trovata una collezione di conchiglie in perfetto ordine. Una grande quantità di reti da pesca è stata trovata in entrambe le città, e ad Ercolano alcuni pezzi di tela conservavano ancora la propria struttura. È stato anche scoperto un fruttivendolo, con recipienti pieni di mandorle, castagne, carrube e noci. In un altro negozio c'era un recipiente in vetro pieno di olive e un barattolo di caviale. Nel negozio di un farmacista, c'era una scatola contenete pillole, ora ridotte in polvere, che erano state preparate per un paziente che non ha potuto usarle; una circostanza felice, se è riuscito a fuggire dalla città. Molto recentemente è stato ritrovato il negozio di un fornaio, con le pagnotte disposte sugli scaffali, pronte per i clienti, ma destinate a non essere mangiate. La forma delle pagnotte è identica a quelle che si producono tutt'oggi in Italia, e dopo attenta analisi si è scoperto che erano fatte con gli stessi ingredienti di oggi.

Eruzione dell'aprile 1872
Foto di Giorgio Sommer (1834-1914)

Ascensione del Vesuvio

Il Vesuvio si stacca nettamente dalla piana su cui sorge. Il circuito della base misura circa 20 chilometri e la vetta è a circa 915 metri sul livello del mare. Quest'ultima misura varia con il tempo, a causa dell'altezza variabile del cono. La sua altezza moderata, e la facilità con la quale si può raggiungere, hanno indotto molti viaggiatori a scalare la montagna; e non pochi hanno registrato la loro esperienza. Ma le eruzioni sono state così frequenti, e il loro impatto sull'aspetto del vulcano così grande, che ogni descrizione è rimasta valida per un periodo limitato di tempo, almeno sinora.

Le altre emergenze vulcaniche in Campania

Il tempio di Serapide o Serapeo

A Pozzuoli, (nei pressi di Baia, e non molto lontano dal Monte Nuovo), si ergono i resti del Macellum, comunemente noto come Tempio di Serapide o Serapeo. L'edificio, che era in realtà un mercato, consisteva in un porticato che circondava un'area scoperta. Il porticato ospitava botteghe aperte sia verso l'esterno che verso la piazza interna.

Il principale motivo d'interesse per questa costruzione sta nelle colonne residue che, grazie alla presenza lungo il fusto di fori prodotti da litodomi, sono l'evidente testimonianza del bradisismo che interessa la zona. Come infatti confermato da altri fenomeni nell'area circostante, sin dall'epoca Cristiana, il livello della costa, è cambiato almeno due volte.

La terra è prima sprofondata è quindi riemersa, ogni volta per un estensione superiore ai 7 metri. La prova della sommersione delle colonne è data da un'area di circa 3 metri, posta 4 metri sopra il piedistallo, nella quale sono presenti numerose perforazioni, fatte da molluschi bivalvi. La riemersione del terreno su cui sorge il tempio, quasi al suo livello originario, sembra sia avvenuta al tempo della formazione del Montenuovo.

Vesuvio e Castel dell'Ovo

Il futuro e "rischio Vesuvio"

Ed il futuro? I vulcanologi, ma anche i non addetti ai lavori, sanno che il riposo del Vesuvio avrà prima o poi un termine. Svariate ipotesi sono state fatte in proposito: chi sostiene che il risveglio sia prossimo, chi, invece, che sia una questione di 50-100 anni se non di secoli. Il più piccolo segnale premonitore quali alterazioni dei gas delle fumarole, piccoli terremoti o deformazioni del suolo accendono all'istante le ipotesi -o gli allarmi- più svariati. Quel che è certo, è che il vulcano al suo risveglio avrà un'eruzione fortemente esplosiva sul modello di quella del 1631, se non addirittura del 79 d.C. (anche se il rischio di un'eruzione "pliniana" come quest'ultima, per fortuna, è relativamente basso). Le pendici del Vesuvio e i comprensori circostanti sono oggi fittamente antropizzati e disordinatamente urbanizzati.
Per far fronte ai grandi rischi connessi ad una non impossibile eruzione del Vesuvio è stato redatto un piano nazionale d'emergenza che individua zone a diversa pericolosità e prevede azioni di soccorso, piani di evacuazione eccetera.

La Zona rossa (a sua volta suddivisa in 5 zone intercomunali), si estende per circa 200 kmq e comprende 18 comuni dell'area vesuviana ufficialmente esposta a maggior rischio da eruzione.

I comuni interessati sono Boscoreale, Boscotrecase, Cercola, Ercolano, Massa di Somma, Ottaviano, Pollena Trocchia, Pompei, Portici, Sant'Anastasia, San Giorgio a Cremano, San Giuseppe Vesuviano, San Sebastiano al Vesuvio, Somma Vesuviana, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco e Trecase.
Si tratta di un comprensorio dove nel 1999 si stimava abitassero circa 578 mila persone, corrispondenti a oltre 173 mila nuclei familiari, che andrebbero evacuate contemporaneamente in caso di eruzione. Secondo il piano di evacuazione, gli abitanti di ciascun comune andrebbero trasferiti temporaneamente in un'altra regione di Italia, precedentemente individuata e abbinata a quel comune. L'aspetto maggiormente problematico riguardante l'evacuazione resta tuttavia costituito dal problema della mobilità; l'alto numero di abitanti dei comuni della zona rossa e la viabilità già congestionata dal traffico ordinario spingono infatti a immaginare notevoli difficoltà nello spostamento dei mezzi di trasporto privati e pubblici durante l'evacuazione. Una soluzione immaginata potrebbe essere quella di utilizzare la via del mare, per allontanare rapidamente il maggior numero possibile di persone, ma questa soluzione va valutata anche in relazione al prodursi di mareggiate e maremoti eventualmente connessi ai fenomeni sismici ed eruttivi.

Eruzioni del Vesuvio in tempi storici

Dopo l'eruzione del 79d.C. - che fu l'ultima delle eruzioni "pliniane" ed anche la prima dei tempi storici-, il Vesuvio ha avuto innumerevoli eruzioni, di svariati tipi, qui sotto cronologicamente elencate:

Eruzioni esplosive:

Eruzioni effusive:

Eruzioni effusivo-esplosive:

Eruzioni dubbie

Curiosità

  • Sulle sue pendici abita un personaggio del mondo Disney: la fattucchiera Amelia.
  • Durante la Festa di Piedigrotta 2007, il carro allegorico "Sterminator Vesevo" rappresentante il vulcano ha preso fuoco per un cortocircuito ed è andato completamente distrutto.

Sport

Il 23 maggio 1990 la terza tappa del Giro d'Italia si è conclusa al Vesuvio con la vittoria dello spagnolo Eduardo Chozas.

Voci correlate

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