Utente:Alma-lar/Sandbox

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

J-Horror è un termine usato per riferirsi agli horror di provenienza giapponese. I J-Horror tendono a concentrarsi su un horror di carattere psicologico, costruendo la tensione su ciò che non viene mostrato. La popolarità del cinema horror giapponese viene consolidata a livello internazionale intorno agli anni Novanta, quando i film horror sbarcano oltremare, il mercato home video è in continua crescita e le opere circolano più liberamente. Nascono in quel periodo i vari remake di Ring e Ju-On, e ben presto il cinema horror giapponese si guadagna una posizione di cult[1].

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Origini[modifica | modifica wikitesto]

L'origine del J-Horror può essere rintracciata nelle storie di fantasmi relative al periodo Edo ed al periodo Meiji, conosciute anche come kaidan. Esse venivano raccontate in occasione di un gioco chiamato hyakumonogatari kaidankai (百物語怪談会, insieme di cento racconti fantastici), che consisteva nell'accendere cento candele in una stanza buia: ogni partecipante a turno doveva raccontare una storia e spegnerne una. L’ultima candela si diceva avrebbe evocato una forza soprannaturale. Le storie di fantasmi erano fra i generi più popolari del teatro nō e del bunraku[2].

Yōkai, yūrei e mitologia shintō[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Yōkai, Yūrei e Shintoismo.

All'interno del cinema horror giapponese si ritrovano spesso riferimenti al mondo mitologico degli yōkai. Il termine yōkai è di difficile sistematizzazione, ma generalmente si riferisce a quei "fenomeni o presenze ritenute inspiegabili", di solito appartenenti al pantheon shintō[3]

Secondo Miyata Noboru la dimensione degli yōkai è la soglia (kyōkai 境界)[4]. La soglia varia di luogo in luogo. Come scrive Diego Cucinelli, "Se, ad esempio, si prende in considerazione la realtà di un villaggio di modeste dimensioni, i ponti, i crocevia e i confini stessi del centro abitato possono costituire delle “soglie”; nel caso di zone di montagna, invece, è possibile rintracciare tali punti di confine alla fine di un sentiero, in una radura tra le fronde o in un ruscello. Se poi ci si riferisce ad un singolo agglomerato urbano o un edificio, il kyōkai può essere individuato in una casa abbandonata, un magazzino, una porta, un pozzo o – addirittura - in una stanza da bagno"[4].

All'interno del mondo degli yōkai vi si trovano anche i cosiddetti yūrei (幽霊). Gli yūrei possono essere spiriti vendicativi che tornato a perseguitare chi li ha maltrattati in vita (onryō 怨霊), oppure individui morti che hanno lasciato questioni in sospeso nel mondo dei vivi. Il modo più semplice di sbarazzarsi di uno yūrei è quello di esaudire il suo desiderio.

Il cinema horror dopo Hiroshima e Nagasaki[modifica | modifica wikitesto]

«– Godzilla? È solo una leggenda.
– Forse, ma è comunque vero.»

Locandina originale del film

Durante gli anni Cinquanta, nel periodo immediatamente successivo alla fine della Seconda guerra mondiale e all'inizio dell’occupazione americana, la popolarità dei film horror in Giappone aumenta sensibilmente. Essi permettono di dare un senso alla confusione nazionale che dilaga nel Paese: l'imperatore non è più visto come un'autorità al di sopra degli uomini, le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki causano danni mai visti prima, l'occupazione del generale MacArthur costringe il popolo giapponese a ridefinirsi e a gestire così gli immensi cambiamenti sociali in corso. L'horror è quindi un ottimo mezzo per esprimere questo crollo di certezze[5].

Alcuni film del periodo che maggiormente influenzeranno le pellicole horror sono Godzilla, diretto da Ishirō Honda, e I racconti della luna pallida d'agosto, di Kenji Mizoguchi.

Godzilla è il fautore dei kaijū eiga, i film sui mostri giganti che ben si prestano alla metafora del Giappone post-atomico. Nel J-Horror, ma non solo, il mostro è spesso una manifestazione concreta di ansie e paure che affogano la nazione e si annidano in profondità. Il mostro è una creatura viva, esistente, e ciò rende più semplice sia comprenderlo che sconfiggerlo.

I racconti della luna pallida d'agosto è una celebre storia di fantasmi basata sull'omonima raccolta di Ueda Akinari. Il film è una storia tragica e sensuale, fortemente influenzato dalle convenzioni del teatro nō. Nonostante l’ambientazione storica, è comunque presente una forte critica antimilitarista contemporanea a Mizoguchi, da lui stesso annoverata come il tema principale del film[6].

Un topos presente ne I racconti della luna pallida d'agosto e riscontrabile in molti horror successivi (in particolare Ring e Ju-on) è quello dell’onryō, un fantasma solitamente di sesso femminile che torna nel mondo dei vivi per cercare vendetta dopo aver subito un torto. Gli onryō nell'immaginario collettivo portano un kimono bianco, i capelli lunghi scarmigliati e sono caratterizzati da una pelle estremamente pallida.

Entrambi i film avranno un fortissimo riscontro internazionale, e tuttora rimangono fra i più celebri film cult e classici di tutti i tempi[7].

Il cinema horror giapponese degli anni Sessanta[modifica | modifica wikitesto]

Con l’uscita di film come Psyco (1960) di Alfred Hitchcock e L’occhio che uccide (1960) di Michael Powell, il cinema horror degli anni Sessanta vira inevitabilmente verso lo psicologico. Tuttavia, in Giappone molte opere di questo decennio rimangono incentrate su un’ambientazione gotica. Il Giappone non è l’unico Paese a mantenere viva tale atmosfera, poiché sia in Inghilterra che in Italia il genere rimane molto popolare grazie ai film della Hammer Film Productions e di registi come Mario Bava[8].

Nel 1960 esce Kaibyō Otama-ga-ike, di Yoshihiro Ishikawa, seguito da Jigoku (1963) di Nobuo Nakagawa, e Kwaidan (1964) di Masaki Kobayashi. I film di Ishikawa e Kobayashi, seppur girati a basso budget e con mezzi spesso di fortuna, sono entrambi a colori, e hanno permesso ai registi di utilizzare una fotografia accesa e sgargiante che enfatizza le paure dei personaggi e il soprannaturale. Al contrario, Kwaidan si presenta come un grande colossal cinematografico, di cui viene persino realizzata una versione roadshow. Le storie raccontate nel film sono tratte dall'omonima opera di Lafcadio Hearn, e così come Jigoku e Kaibyō Otama-ga-ike, anche Kwaidan presenta molti aspetti della tradizione buddhista. I "mostri" di questi film sono infatti gatti neri maledetti, donne spirito dai lunghi capelli neri e monaci afflitti da svariate maledizioni. In Kwaidan la fotografia è a tratti espressionista, con fondali astratti spesso disegnati a mano[8].

L’opera più rappresentativa di questo decennio è sicuramente Onibaba di Kaneto Shindō (1964), già regista di Kuroneko (1968). Onibaba è anch'esso tratto da una leggenda buddhista e come le opere precedenti è caratterizzato da un'ambientazione storica. Tuttavia, mentre lo scopo principale della maggior parte dei film horror di questi anni è semplicemente quello dell'intrattenimento, Onibaba presenta una critica sociale molto forte. Kaneto Shindō stesso ha affermato che gli effetti agghiaccianti dalla maschera del film sono in realtà il simbolo degli sfregi provocati dalla bomba atomica, riflettendo così gli effetti traumatici della società giapponese post-bellica[9].

Keiko McDonald afferma inoltre che il film contiene svariati elementi del teatro nō. Nelle rappresentazioni nō, "la maschera han'nya è utilizzata per demonizzare gli istinti peccaminosi della gelosia e le emozioni a essa associate"[6]. Inoltre, anche i punti macchina scelti dal regista sono volti a inquadrare la maschera dalle angolazioni che un attore nō utilizzerebbe effettivamente sul palco per trasmettere determinate emozioni al pubblico[10].

La maschera utilizzata in Onibaba è rimasta celebre anche per aver ispirato William Friedkin nella realizzazione di alcune scene de L'esorcista, in cui appare il volto bianco di un demone[11].

Gli slasher movie degli anni Settanta[modifica | modifica wikitesto]

Gli anni Settanta vedono la nascita dei cosiddetti slasher movie. Lo slasher comincia a prendere forma già a partire dal 1974 Non aprite quella porta di Tobe Hooper, ma il vero capostipite e pietra miliare del genere è Halloween - La notte delle streghe (1978) di John Carpenter[12]. In questo decennio l'horror abbandona le atmosfere gotiche dei castelli e delle fortezze infestate per concentrarsi su ambienti urbani e sulle abitazioni di persone comuni con cui lo spettatore è facilmente in grado di identificarsi.

In Giappone, sempre in linea con questa tendenza, nel 1977 esce Hausu di Nobuhiko Obayashi, definito un "delirante teen-horror dalle escrescenze pop"[13]. Il film narra di una ragazzina che decide di trascorrere l'estate con le sue amiche nella casa sperduta della zia, per poi scoprire che quest'ultima in realtà nasconde un segreto malvagio. Il tema delle case stregate che mettono a dura prova gruppi di ragazzi (o ragazze) comincia a diventare una delle trame più comuni, e i protagonisti degli slasher sono sempre più giovani. In generale, i nuovi film horror non nascondono più i mostri dietro le porte socchiuse, ma li esibiscono con l’orgoglio di nuovi trucchi ed effetti speciali sempre più sconvolgenti. È in questi anni che l'horror scopre lo splatter, raggiungendo il suo apice negli anni Ottanta[14].

Lo splatter e il body horror degli anni Ottanta[modifica | modifica wikitesto]

Il body horror di Tetsuo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Body horror e Tetsuo: The Iron Man.

«Gloria e vita alla nuova carne!»

A partire dagli slasher, già di per sé caratterizzati da un'escalation di violenze inferte al corpo umano, intorno agli anni Ottanta comincia a prendere piede anche il cosiddetto body horror, (o horror biologico), che consiste nella manipolazione e deformazione della forma umana. Gli horror moderni appartenenti a questo sottogenere non giocano più con la paura della morte, ma con quella del corpo e della sua potenziale distruzione. Il body horror altera le normali funzioni anatomiche dell’uomo, ed è il crollo di questa certezza a terrorizzare lo spettatore. Ciò è particolarmente evidente ne La Cosa (1982), di John Carpenter e nei film di Cronenberg, capostipite del genere[15].

Shinya Tsukamoto si è definito "uno dei discepoli di Cronenberg"[16], e l’influenza di quest’ultimo è particolarmente evidente in Tetsuo (1989), uno dei più importanti film horror giapponesi degli anni Ottanta. Il tema principale del film è la graduale e dolorosa metamorfosi del protagonista in un uomo-macchina. La trama è affine sia a Videodrome, in cui la carne si fonde con la tecnologia, sia a La Mosca, in cui la mutazione del protagonista progredisce fino alla completa distruzione del suo corpo originario.

I Guinea Pig[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Guinea Pig (serie di film).

In Giappone in questi anni cominciano a essere prodotti i cosiddetti Guinea Pig, una serie di sei film che dagli anni Ottanta fino agli anni Novanta hanno sconvolto e scioccato il pubblico. Queste produzioni, caratterizzate da un budget molto basso ed effetti speciali realistici, sono celebri principalmente per le controversie che sollevarono. Dopo aver scoperto alcune videocassette targate Guinea Pig in casa del serial killer Tsutomu Miyazaki, scoppiò infatti un caso mediatico che raggiunse il suo apice negli anni Novanta: l'attore Charlie Sheen si convinse infatti che il secondo episodio della serie fosse in realtà uno snuff movie, richiedendo così l’intervento dell'FBI per investigare sulla vicenda.

I Guinea Pig anticipano di svariati decenni una tendenza del cinema horror contemporaneo sia giapponese che internazionale, ovvero quella del torture porn, un genere caratterizzato da un sadismo spesso ingiustificato, scene di violenza e tortura[17].

I remake degli anni Novanta[modifica | modifica wikitesto]

Negli anni Novanta l'avvento dei DVD e del mercato home video ha permesso ai film horror giapponesi di circolare più liberamente, sia in patria che all'estero. Una delle ragioni per cui la produzione home video subisce un'impennata è che gli studi cinematografici colgono il nuovo pubblico del cinema horror giapponese: giovani spettatori che cercano di evitare biglietti troppo alti. (nel senso che il DVD costa meno quindi i giovani preferiscono comprarli piuttosto che andare al cinema, giusto? Riesci a spiegarlo meglio?) Dopo l'uscita di Ring/The Ring, infatti, molte altre distribuzioni home video guadagneranno (perché futuro storico?) più della loro controparte al cinema[1].

Inoltre, grazie alla possibilità di accedere (comprare? ottenere? Non si "accede" a un DVD...) ai DVD questi film vengono condivisi anche su internet, dando vita a veri e propri fandom. A causa della sua rarità e dei suoi contenuti grafici, il cinema horror giapponese rimane underground (perché l'anglismo? Si può dire "di nicchia", o "poco conosciuto", o ancora con una perifrasi: conosciuto solo perifericamente/da un limitato numero di fruitori, ecc...) ma fra i fan del genere si guadagna presto una posizione di cult (anche qui, anglismo, e manca la fonte di tutta questa parte sulla diffusione del genere). Per questo motivo, la realizzazione di remake "americanizzati" viene spesso vista con scetticismo da parte dei fan del genere, poiché la natura primaria del film si perde nel momento in cui le case di produzione americane scelgono di censurare le scene più intense. Parte dell'attrattiva verso il cinema horror giapponese contemporaneo, ma non solo, risiede infatti nella rappresentazione della violenza e del piacere in modo grafico e senza fronzoli. Questo accade in opere come Jigoku (Nobuo Nakagawa, 1960), Audition (Takashi Miike, 1999), e Suicide Club (Sion Sono, 2002)[1].

Nel 1999 escono sia Il sesto senso di M. Night Shyamalan che The Blair Witch Project di Daniel Myrick. Entrambi i film contribuiscono ampiamente a reintrodurre l'horror nel mercato di massa americano, trend che rimane invariato anche nei decenni successivi. L'uscita di Ring, quindi, si colloca in un panorama americano favorevole, e l'adattabilità della sua storia a un pubblico internazionale lo rende congeniale a quello che sarà un remake di successo[1].

Filmografia principale[modifica | modifica wikitesto]

Registi di J-Horror[modifica | modifica wikitesto]

Videogiochi J-Horror[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d It Came From the East… Japanese Horror Cinema in the Age of Globalization, su gnovisjournal.org.
  2. ^ (EN) Petty, John E., Stage and Scream: The Influence of Traditional Japanese Theater, Culture, and Aesthetics on Japan's Cinema of the Fantastic, in Digital Library, 2011-5. URL consultato il 14 settembre 2018.
  3. ^ (JA) Haruo Suwa, Nihon no yūrei, Tōkyō, Iwanami Shoten, 1988.
  4. ^ a b Diego Cucinelli, Il profilo storico della yōkaigaku, la “demonologia” giapponese, e la classificazione delle creature sovrannaturali nel Sol Levante, in DADA Rivista di antropologia post-globale, 2013, pp. 29–58.
  5. ^ (EN) Noel Carroll, Nightmare and the Horror Film: The Symbolic Biology of Fantastic Beings, in Film Quarterly, vol. 34, n. 3, 1981, pp. 16–25, DOI:10.2307/1212034.
  6. ^ a b (EN) Keiko McDonald, Mizoguchi, Boston, Twayne Publishers, 1984, ISBN 0-8057-9295-3.
  7. ^ (EN) Danny Peary, Cult Movies 2, New York, Simon & Schuster Inc, 1981, ISBN 0-671-64810-1.
  8. ^ a b (EN) Colette Balmain, Introduction to Japanese Horror Film, Edinburgh University Press, 2008.
  9. ^ Shindō, Kaneto (Regista) (15-05-2008). Onibaba, DVD Extra: Interview with the director (DVD). Criterion Collection.
  10. ^ (EN) Keiko McDonald, Reading a Japanese film: Cinema in context, University of Hawaii Press, 2006, ISBN 978-0824829933.
  11. ^ Onibaba (1964). URL consultato l'11 settembre 2018.
  12. ^ Sotiris Petridis, A Historical Approach to the Slasher Film, vol. 12, n. 1, 1-3-2014, pp. 76–84.
  13. ^ Hausu (1977) di Nobuhiko Ōbayashi - Recensione | Quinlan.it, in Quinlan, 24 aprile 2016. URL consultato l'11 settembre 2018.
  14. ^ Roberto Curti e Tommaso La Selva, Sex and Violence. Percorsi nel cinema estremo, Torino, Lindau, 2003.
  15. ^ Ronald Allan Lopez Cruz, Mutations and Metamorphoses: Body Horror is Biological Horror, in Journal of Popular Film and Television, 40:4, 2012, pp. 160-168, DOI:10.1080/01956051.2012.654521.
  16. ^ (EN) Dazed, The Japanese director Quentin Tarantino is obsessed with, in Dazed, 5 ottobre 2015. URL consultato il 14 settembre 2018.
  17. ^ Now Playing at Your Local Multiplex: Torture Porn, su NYMag.com. URL consultato il 12 settembre 2018.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Max Della Mora e Massimo Monteleone, Fant'Asia, a cura di Riccardo F. Esposito, Bologna, Granata Press, 1994, OCLC 613277051.
  • Roberto Curti e Tommaso La Selva, Sex and Violence. Percorsi nel cinema estremo, Torino, Lindau, 2003, OCLC 1046005206.
  • Gianni Rondolino e Dario Tomasi, Manuale del film: linguaggio, racconto, analisi, collana Collana di cinema, Torino, UTET Università, 2011, OCLC 848930384.
  • Mariapia Comand e Roy Menarini, Il cinema europeo, collana Istituzioni dello spettacolo, Bari, Biblioteca Universale Laterza, 2011, OCLC 793465227.
  • Rudy Salvagnini, Dizionario dei film horror. Dall'abbraccio del ragno a Zora la vampira, collana Parole di cinema, Venezia, Corte del Fontego, 2011, OCLC 844908058.
  • (EN) Colette Balmain, Introduction to Japanese Horror Film, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2008, OCLC 922299228.
  • (EN) Daisuke Miyao (a cura di), The Oxford Handbook of Japanese Cinema, Oxford, Oxford University Press, 2014, OCLC 890971542.
  • (EN) Jay McRoy, Nightmare Japan: Contemporary Japanese Horror Cinema, Amsterdam, Rodopi, 2007, OCLC 748921670.
  • (EN) Joan Mellen, “My Mind Was Always on the Commoners” Shindō on Kuroneko in His Body of Work, in Voices from the Japanese cinema, New York, Liveright, 1975, OCLC 463104580.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]