I compagni

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
I compagni
Bernard Blier, Renato Salvatori e Marcello Mastroianni in una scena del film
Paese di produzioneItalia, Francia, Jugoslavia
Anno1963
Durata128 min
Dati tecnicib/n
Generedrammatico
RegiaMario Monicelli
SoggettoAge & Scarpelli, Mario Monicelli
SceneggiaturaAge & Scarpelli, Mario Monicelli
ProduttoreFranco Cristaldi
Casa di produzioneLux Film, Vides Cinematografica (Roma), Méditerranée Cinéma Production (Parigi), Avala Film (Belgrado)
Distribuzione in italianoParamount Films of Italy
FotografiaGiuseppe Rotunno
MontaggioRuggero Mastroianni
MusicheCarlo Rustichelli
ScenografiaMario Garbuglia
CostumiPiero Tosi
Interpreti e personaggi
Doppiatori originali

I compagni è un film del 1963 diretto da Mario Monicelli.

La pellicola fu scritta dal regista insieme alla coppia Age & Scarpelli e fu candidata ai Premi Oscar 1965 per la migliore sceneggiatura originale.

Trama[modifica | modifica wikitesto]

Una scena del film con Bernard Blier, Renato Salvatori e Pippo Starnazza
Martinetti (Bernard Blier) in una scena
Niobe (Annie Girardot) in una scena
Bianca (Raffaella Carrà) in una scena
Pautasso (Folco Lulli) in una scena

Torino, fine Ottocento. In una fabbrica tessile, l'ennesimo grave incidente spinge gli operai a richiedere migliori condizioni di lavoro. Quando la loro richiesta di ridurre l'orario di lavoro da quattordici a tredici ore viene del tutto ignorata, decidono di compiere un gesto dimostrativo, suonare la sirena di fine turno in anticipo di un'ora, che procura però una multa a tutti e una sospensione a Pautasso, l'autore materiale.

Gli operai organizzano quindi uno sciopero, approfittando dell'esperienza in materia dell'esperto professor Sinigaglia, appena giunto in città proveniente da Genova, ricercato dalla polizia per aggressione ad un pubblico ufficiale durante una manifestazione. I padroni per risolvere la situazione sono disposti a ritirare multa e sospensione e "perdonare" gli operai influenzati da "agitatori di professione", ma gli operai non possono accettare una concessione così modesta rispetto al livello ormai raggiunto dalla protesta.

Di fronte alla resistenza degli operai, che tengono duro, forti della reciproca solidarietà, i padroni arrivano a chiamare lavoratori disoccupati da un'altra città. Gli scioperanti tentano di bloccare il treno che trasporta i crumiri, ma durante gli scontri Pautasso perde tragicamente la vita. Il prof. Sinigaglia, visti i precedenti, è costretto a nascondersi e trova un accogliente rifugio nella casa della prostituta Niobe, figlia di un operaio che l'ha ripudiata per la sua scelta di vita.

I lavoratori in sciopero, dopo aver resistito un intero mese, sono ormai prossimi a cedere, ignorando di aver portato i padroni sul punto di cedere per primi. Mentre gli operai hanno già votato per la ripresa del lavoro, il prof. Sinigaglia lascia il comodo nascondiglio, rischiando l'arresto per parlare agli operai, giunge trafelato e riesce a riaccendere in loro il desiderio di proseguire la lotta con la sua appassionata retorica, che riecheggia il discorso di Marco Antonio nel Giulio Cesare di William Shakespeare. Spinti dalle parole del professore, i lavoratori marciano in corteo verso la fabbrica per occuparla. Ma la cavalleria, chiamata a difendere la fabbrica, spara sulla folla e uccide Omero, uno degli operai più giovani, appena un ragazzino, mentre Sinigaglia viene infine arrestato.

Il professor Sinigaglia, dal carcere, continua a diffondere le sue idee di progresso sociale, mentre altri lavoratori come Raoul portano avanti la lotta. Gli operai infine tornano al lavoro, sconfitti. Fra loro il fratello minore del ragazzo ucciso, che ne ha preso il posto.

Critica[modifica | modifica wikitesto]

Benché Monicelli lo preferisse al suo precedente e popolare La grande guerra,[1] il film non fu amato in patria.[1][2]

Il Dizionario Mereghetti lo definisce «un affresco spettacolare, divertito e malinconico sul nascente movimento operaio [...] una commossa rievocazione del socialismo torinese agli inizi del secolo».[2]

Il Dizionario Morandini critica le «parti deboli dove è evidente l'intenzione di creare un'atmosfera nazional-popolare», che tendono verso Edmondo De Amicis, ma loda le «parti valide piene di verità», la fotografia di Rotunno e l'interpretazione di Mastroianni.[3]

Riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Alberto Pezzotta, Storia tragicomica delle lotte operaie, in Il Corriere della Sera, 5 maggio 2008. URL consultato il 7 novembre 2009 (archiviato dall'url originale il 23 maggio 2008).
  2. ^ a b Il Mereghetti - Dizionario dei Film 2008. Milano, Baldini Castoldi Dalai editore, 2007. ISBN 978-88-6073-186-9 p. 675
  3. ^ Il Morandini - Dizionario dei Film 2009. Bologna, Zanichelli editore, 2008.

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Controllo di autoritàLCCN (ENno2015077545
  Portale Cinema: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di cinema