Utopia (piroscafo)

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SS Utopia
Disegno dell'affondamento dell'Utopia.
Descrizione generale
Tipopiroscafo
ArmatoreAnchor Line
CostruttoriRobert Duncan and Co.
CantiereGlasgow
Varo14 febbraio 1874
Destino finaleAffondata a Gibilterra il 17 marzo 1891, demolita in Scozia nel 1900.
Caratteristiche generali
Stazza lorda2371 tsl
Lunghezza110 m
Velocità13 nodi (24,08 km/h)
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L'SS Utopia è stato un piroscafo britannico costruito nel 1874 dai cantieri Robert Duncan & Co di Glasgow.

Il 17 marzo 1891 affondò in soli 20 minuti nella baia di Gibilterra in seguito ad una collisione con la nave da battaglia HMS Anson. Nel naufragio perirono o risultarono dispersi 562 degli oltre 880 passeggeri imbarcati, principalmente emigranti italiani diretti negli Stati Uniti d'America, oltre ai membri dell'equipaggio e due soccorritori della HMS Immortalité.

Assieme all'affondamento dei piroscafi Sirio e Principessa Mafalda fu una delle più gravi sciagure navali della storia dell'emigrazione italiana.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La Utopia venne costruita nei cantieri navali Robert Duncan di Glasgow come piroscafo per le traversate transatlantiche. Progettata inizialmente per trasportare 120 passeggeri di prima classe, 60 di seconda e 600 di terza, le sue gemelle erano l'Elysia e l'Alsatia. Varata il 14 febbraio 1874, venne messa in servizio il 23 maggio successivo con un viaggio inaugurale verso New York. Inizialmente destinata alla rotta Glasgow-New York, dopo dodici viaggi venne assegnata alla rotta Glasgow-Bombay.

Nel 1876 la società armatrice destinò la Utopia alla rotta transatlantica Londra-New York. Otto anni più tardi venne trasferita nel mar Mediterraneo visto l'esplosione della migrazione italiana verso il continente americano. Per capitalizzare al massimo i profitti, i posti in prima classe vennero ridotti a 45, la seconda classe fu abolita, mentre la capienza della terza classe, l'unica che la maggior parte degli emigranti italiani potevano permettersi, fu aumentata a 900 posti. Nel 1890 vennero sostituiti i motori.

Il naufragio[modifica | modifica wikitesto]

Il 25 febbraio 1891 la Utopia salpò dal porto austroungarico di Trieste alla volta di New York con scalo a Messina, Palermo, Napoli, Genova e Gibilterra. Complessivamente nei vari porti italiani toccati dal piroscafo furono imbarcate 880 persone (59 delle quali erano componenti dell'equipaggio) a cui dovevano sommarsi un numero imprecisato di clandestini. La maggior parte dei passeggeri erano emigranti provenienti dalle regioni del Mezzogiorno d'Italia; solo nello scalo al porto di Napoli infatti s'erano imbarcati in ben 727 tra donne, bambini e uomini[1]. A conferma della composizione sociale dei viaggiatori, in maggioranza assoluta migranti poveri, vi è il dato che solo 3 erano imbarcati in prima classe e 815 in terza classe.

La nave da battaglia HMS Anson.

Nel tardo pomeriggio del 17 marzo il piroscafo entrò nel porto di Gibilterra. In quel momento il capitano della Utopia John McKeague si rese conto che la banchina dov'era solito ormeggiare era occupata dalle navi da battaglia HMS Anson e HMS Rodney[2]. Nonostante le condizioni atmosferiche difficili ed il buio, l'ufficiale fece avvicinare ugualmente a velocità ridotta la sua nave al molo per cercare riparo dal mare in burrasca. Nel compiere questa azzardata manovra l'ufficiale sottovalutò sia la distanza della sua nave dalla Anson, la cui prua era dotata di un rostro lungo sei metri, sia della forza della tempesta. Così, mentre McKeague continuava la sua rischiosa manovra, la Utopia venne improvvisamente sospinta contro la prua della nave da battaglia. L'impatto contro il rostro causò immediatamente un grande squarcio lungo la parte posteriore della fiancata del piroscafo.

Il relitto della Utopia che affiora dalle acque del porto di Gibilterra.

McKeague, accortosi di quanto avvenuto, diede l'allarme e decise quindi di far arenare la Utopia retrocedendo e disincagliandola dalla Anson. I piani del capitano andarono ben presto a monte perché i fuochisti avevano nel frattempo spento i motori per evitare un'esplosione. A seguito poi del disincaglio, l'acqua aveva invaso rapidamente le stive della Utopia che aveva iniziato rapidamente ad inclinarsi e ad inabissarsi[3]. Le operazioni di abbandono nave risultarono vanificate per la vertiginosa inclinazione assunta dal piroscafo che rendeva impossibile la calata delle scialuppe. Così, per evitare di affogare i naufraghi, si aggrapparono alla dritta del piroscafo, mentre sottocoperta centinaia di passeggeri rimasti bloccati morivano affogati.

L'allarme lanciato dalla Utopia venne subito raccolto dalle navi vicine, come l'HMS Immortalité o la corvetta svedese Freja. Vennero così inviate delle scialuppe con a bordo squadre di soccorritori. Contemporaneamente la Utopia venne illuminata dai fari delle altre imbarcazioni per facilitare le operazioni di salvataggio rese estremamente difficili dalle cattive condizioni meteorologiche. Dopo soli venti minuti dall'impatto, il piroscafo affondò ad una profondità di 17 metri. Parte dei naufraghi, nel frattempo arrampicatisi ed aggrappatisi sugli alberi che affioravano dall'acqua, riuscirono a salvarsi[4], anche grazie all'opera dei marinai della squadra inglese ancorata in quelle acque. Altri invece, trasportati dalle onde, finirono sfracellati contro gli scogli. Due marinai della Immortalité, James Croton e George Hales, annegarono mentre soccorrevano i naufraghi.

Al termine delle operazioni di salvataggio si contarono 318 superstiti. Le vittime, il cui conteggio ufficiale fu reso impossibile dalla presenza a bordo di numerosi clandestini, fu superiore alle 560 unità. Nei giorni seguenti al naufragio i palombari della marina britannica si calarono nel relitto dove constatarono la presenza di centinaia di corpi.

Risvolti processuali[modifica | modifica wikitesto]

McKeague venne arrestato il giorno seguente il naufragio e rilasciato dietro una cauzione di 480 £[4]. La corte, presieduta da Charles Cavendish Boyle, Capitano del porto di Gibilterra, il 24 marzo successivo giudicò colpevole il capitano dell'Utopia per una serie di gravi errori tra cui la mancata valutazione sulla presenza di altre imbarcazioni nella rada e la manovra di disincaglio dalla Anson[4]. La Anchor Line venne poi costretta dalle autorità britanniche ad illuminare il relitto onde evitare collisioni con le imbarcazioni. Il processo civile si trascinò invece per mesi a causa del rifiuto da parte della proprietà della Anchor Line di risarcire i parenti delle vittime.

Monumenti e omaggi[modifica | modifica wikitesto]

Nelle settimane seguenti il mare restituì lungo le coste di Gibilterra, del sud della Spagna e di Ceuta i resti delle vittime del naufragio. Ventisei di loro vennero inumate in un mausoleo nel cimitero di La Línea de la Concepción. La mancanza di spazio nel cimitero di Gibilterra fece sì che i cadaveri non sepolti nelle fosse comuni venissero seppelliti nel mare[5]. Il 20 marzo 1893 venne scoperta una lapide donata dal re Umberto I in ricordo dei due marinai britannici periti nelle operazioni di soccorso[6].

A Gibilterra , venne costruito un monumento che ricorda le vittime del naufragio e dove furono sepolti 130 corpi, gli unici ad avere una sepoltura in terra; tutti gli altri corpi furono sepolti in mare.

Nel 2013 il comune abruzzese di Fraine, da cui provenivano una quindicina di vittime del naufragio, ha realizzato un monumento a ricordo della tragedia della Utopia[7].

Nel 2021 il comune pugliese di Faeto (FG) dal quale provenivano diciannove vittime del naufragio, ha realizzato un monumento a ricordo delle vittime del naufragio

Nel 2021 il comune pugliese di Roseto Valfortore (FG) da dove provenivano otto vittime del naufragio, ha realizzato un monumento a ricordo delle vittime del naufragio

Nel 2022 il comune abruzzese di Cupello (CH) da dove sono partiti quattro migranti ha realizzato un monumento a ricordo delle vittime del naufragio

Nel 2022 il comune molisano di Pietrabbondante (IS) da dove sono partiti tre migranti ha realizzato un monumento a ricordo delle vittime del naufragio

La fine[modifica | modifica wikitesto]

Il relitto dell'Utopia venne recuperato nel luglio 1892, trasferito sulle rive del fiume Clyde in Scozia e qui smantellato nel 1900.

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Gian Antonio Stella, Odissee. Italiani sulle rotte del sogno e del dolore, Milano, Rizzoli, 2004.
  • Duilio Paiano, Utopia: il naufragio della speranza, Foggia, Edizioni del Rosone, 2017.
  • Marino Valentini, Il naufragio dell'Utopia : il Titanic degli abruzzesi dimenticati, 17 marzo 1891, Chieti, Tabula Fati, 2013. ISBN 978-8874753215.
  • Pina Mafodda, Utopia: il naufragio tra cronaca e storia 17 marzo 1891, luglio 2022, 2ª edizione, Volturnia Edizioni.

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