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Battaglia della Meloria

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Battaglia della Meloria
La Torre della Meloria
Data6 agosto 1284
Luogopresso le secche della Meloria (al largo di Livorno)
CausaAttriti tra le due Repubbliche marinare per il controllo del Tirreno e a seguito della Guerra di San Saba
EsitoDecisiva vittoria genovese
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
Perdite
Circa 1000 morti5000-6000 morti, 11000 prigionieri, circa 50 galee affondate o catturate
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La battaglia della Meloria fu una storica battaglia navale che vide coinvolta la flotta della Repubblica di Genova e quella della Repubblica marinara di Pisa. La battaglia, che avvenne il 6 agosto 1284 al largo delle coste del Porto Pisano, indebolì fortemente la flotta navale pisana dando inizio al lento declino di Pisa come potenza marinara in Italia durante il Medioevo.

Cause generali

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Alla fine del XIII secolo Pisa e Genova erano due città marinare che negli ultimi decenni avevano avuto un grande sviluppo economico e demografico. La loro vicinanza ed i loro commerci redditizi, che riguardavano l'intero mar Mediterraneo, contribuirono a moltiplicare i loro contrasti, condotti al fine di ottenere l'egemonia su territori strategici e sui traffici commerciali[1]. Questa situazione fu il presupposto per un rilevante conflitto armato come quello che avvenne alla Meloria.

Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra di San Saba.

L'inimicizia fra le città di Genova e Pisa cominciò con la Guerra di San Saba[2]. Nel corso di questa guerra, i Pisani, che erano inizialmente alleati con i Genovesi, ruppero l'alleanza nel 1257 e si allearono con i Veneziani[3].

Il re di Sicilia Carlo d'Angiò era molto ostile nei confronti di città ghibelline come Genova ma aveva accordi commerciali e militari con Pisa[4]. Genova e l'Impero bizantino si erano alleate contro Venezia per riconquistare Costantinopoli[5]. Quindi gradualmente si formarono due schieramenti: il primo composto da Pisa, Venezia, lo Stato Pontificio e il Regno di Sicilia; il secondo avrebbe compreso Genova e l'Impero bizantino[4]. La città pisana aveva quindi valide possibilità di vittoria grazie alla sua rete di alleanze[6].

Gli anni prima della battaglia

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I primi saccheggi

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Le ostilità nel mar Mediterraneo cominciarono e la responsabilità dei conflitti sembra essere principalmente dei Pisani[7]. Pisa aveva avuto una crescita economica e demografica inferiore rispetto a quella di Genova ma poteva contare sulle alleanze stipulate con Venezia e Carlo I d'Angiò[6]. Gli anni prima della battaglia della Meloria videro principalmente una guerra di corsa fra le due città, che consisteva in saccheggi rapidi e imprevedibili che avevano l'obiettivo di sabotare il commercio degli avversari[7].

L'inizio della guerra

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Gli scontri si intensificarono nel 1282[7] e cominciò una vera e propria guerra fra le due città marinare. Due avvenimenti, in particolare, provocarono lo scoppio della guerra.

Il primo fu un attacco da parte di due veloci navi pisane che sequestrarono, vicino a Napoli, una galea del genovese Guglielmo de Mari, prendendo il proprietario come ostaggio. La città di Genova chiese la liberazione dell'ostaggio e il risarcimento dei danni provocati, ma non ricevette nessuna risposta[8].

Il secondo avvenimento fu l'elezione da parte dei Pisani di Sinuccello della Rocca come conte di Corsica.[9]. Sinuccello iniziò subito a fare razzie, attaccando chiunque si avvicinasse alla Corsica[10]. Il comune di Genova riceveva continue lamentele e quindi nel maggio 1282 inviò quattro galee da guerra per combattere Sinuccello della Rocca, che fu sconfitto[10] e dovette rifugiarsi a Pisa[11], che lo considerava un alleato[11]. Allora da Genova partirono trentacinque navi da guerra[11], comandate dall'ammiraglio Nicolino Spinola[12] il 10 agosto 1282[13]. Vicino alle Secche della Meloria i Genovesi trovarono trentadue galee pisane[13] e dopo poche ore si ritirarono, probabilmente perché spaventati dalla flotta pisana. Inoltre i contadini che erano stati arruolati avevano bisogno di dedicarsi alla vendemmia[14].

Nel frattempo, alcune centinaia di soldati Pisani sbarcarono in Corsica[15] insieme al Giudice di Cinarca e conquistarono moltissimi castelli che erano occupati dai Genovesi. Poi andarono nell'isola di Palmaria, che apparteneva a Genova, e la devastarono[16]. Più della metà della flotta pisana fu però distrutta per un naufragio, durante il rientro in patria. A questo punto la guerra era inevitabile ed entrambe le città si armarono, cercando di potenziare le loro flotte[17].

Altri scontri avvennero negli anni 1282 e 1283, principalmente a danno di grandi imbarcazioni commerciali, piene di uomini e di preziose merci[18]. Per vendicarsi di un saccheggio da parte dei Genovesi, i Pisani inviarono sedici galee a sud della Corsica. I soldati scesero poi a Santa Manza e devastarono il territorio, abbattendo alberi e raccolti[18]. Un attacco simile fu eseguito da Genova contro l'isola di Pianosa[19].

Poi il 30 aprile 1283 la flotta genovese, che era composta da trentaquattro galee e una saettìa, comandata dall'ammiraglio Tomaso Spinola e dal comandante Guglielmo Ficomatario, partì da Genova[20], arrivò il 17 maggio all'isola di Pianosa, distrusse delle imbarcazioni e fece più di cento prigionieri pisani[21][22]. Inoltre la flotta genovese intercettò una nave pisana, che fu costretta a informare i nemici sugli spostamenti marittimi che sarebbero avvenuti entro pochi giorni[23].

Tomaso Spinola rimase con ventuno galee ed andò a Quirra, nella Sardegna orientale, per attendere il passaggio di navi mercantili pisane[24]. Quando le navi pisane avvistarono i nemici cominciarono a fuggire, sperando di non essere raggiunte[25]. Tre navi fuggirono lungo la costa ed otto andarono al largo. I Genovesi riuscirono a sottrarre ai Pisani una delle navi, che fu abbandonata lungo la costa[25]. Invece, le navi pisane al largo non riuscirono più a scappare e si prepararono per combattere[26]. Dopo un lungo scontro i Genovesi vinsero: fecero quasi mille prigionieri avversari ed un bottino che valeva migliaia di lire di denari genovesi[27].

Nel frattempo Pisa inviò cinquantaquattro navi da guerra a Santa Amanzia, vicino a Bonifacio, in Corsica. I soldati sbarcarono e devastarono tutto quello che poterono, poi ripartirono per la Sardegna[28]. Arrivarono ad Alghero e assediarono il castello dei Genovesi, che furono costretti ad arrendersi; i Pisani demolirono completamente la rocca e sequestrarono tutti gli oggetti degli avversari[24].

Genova poi attaccò Porto Pisano alla fine del giugno 1283 con cinquantacinque navi da guerra: distrusse alcune torri ma gli avversari non reagirono perché la flotta pisana non era ancora rientrata[29]. Allora la flotta genovese cercò di inseguire le navi pisane che stavano tornando da sud ma stava soffiando un forte vento di scirocco che permise ai Pisani di sfuggire velocemente al nemico, che riuscì a catturare solo quattro navi[30]. Il fortissimo vento obbligò invece le galee genovesi a rientrare[30]. Nel settembre del 1283 la flotta pisana, comandata dall'ammiraglio Rosso Buzzaccarini, attaccò Punta Castanna, vicino a Portovenere[31]. I soldati scesero, devastarono vigneti e frutteti, e attaccarono la popolazione[31]. La flotta genovese cercò di attaccare quella pisana ma le navi pisane riuscirono a fuggire velocemente[31]. I genovesi tornarono indietro perché era nuovamente necessario che gli uomini si dedicassero alla vendemmia[31].

I giorni prima della battaglia

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Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Tavolara (1284).

Dopo i grandi contrasti verificatisi nei decenni precedenti tra la Repubblica di Genova e la repubblica marinara di Pisa, l'occasione per lo scontro definitivo avvenne nel 1284. Parte della flotta genovese era ormeggiata presso Porto Torres, in Sardegna, allora territorio conteso tra le due repubbliche. Appena pochi mesi prima (nel maggio 1284), nei pressi dell'isola di Tavolara, il genovese Arrigo De Mari (al comando di undici galee, due galeoni e di quattro galee del Comune di Genova) aveva appunto conseguito una prima importante vittoria: tredici galee pisane catturate, una affondata; era inoltre caduto prigioniero anche l'ammiraglio pisano Bonifazio Della Gherardesca (successo che procurò al De Mari, prossimo a prendere parte anche all'impresa della Meloria, fama e onori pure nel regno angioino).

Il piano dei Pisani era di colpire in netta superiorità (settantadue galee) la flotta ligure per poi affrontare la rimanenza e chiudere per sempre il conto con i Genovesi.

Benedetto Zaccaria, futuro doge di Genova, che comandava quella parte di flotta (venti galee), eluse lo scontro, fingendo una ritirata verso il Mar Ligure. La flotta pisana lo incalzò, ma fu raggiunta dalla restante parte della flotta genovese (68 galee), e ripiegò verso Porto Pisano, non senza lanciare una provocazione ai Genovesi, sotto forma di una pioggia di frecce d'argento.[32]

Armi e tattiche di combattimento

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Lo stesso argomento in dettaglio: Galea.

Nella seconda metà del XIII secolo le navi erano impiegate sia per il commercio che per le battaglie[12]. Ogni galea che trasportava merci aveva anche dei soldati al suo interno ed ogni nave da guerra poteva trasportare anche mercanzie[12]. Questa soluzione era molto economica e versatile[11], molto utile in caso di attacchi improvvisi da parte dei nemici[12].
La flotta poteva essere finanziata soltanto dal comune oppure potevano essere coinvolte anche altre comunità alleate, che avrebbero dovuto finanziare in parte gli armamenti ma avrebbero anche ricevuto un'adeguata porzione dei bottini di guerra[12].
Durante l'attacco a Porto Pisano del 1283, i Genovesi usarono i brulotti, ovvero delle piccole barche infiammate che venivano spinte contro le navi degli avversari con l'intento di farle bruciare[30].

Scontri sulle navi

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Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia navale.

Quando una flotta si preparava per la battaglia, le navi spesso si affiancavano e si legavano con funi chiamate sartìe per evitare di disperdersi.
Pisa e Genova avevano dei soldati molto ben addestrati al combattimento con balestre. I combattenti delle navi erano molto violenti e spesso non rispettavano l'ideologia cavalleresca che considerava le armi da lancio disonoranti[33].
Spesso le battaglie navali cominciavano con una raffica di pietre e proiettili lanciati a distanza durante l'avvicinamento delle navi[34]. Dopodiché cominciava l'abbordaggio e l'invasione delle navi avversarie[34].
Nella battaglia della Meloria furono usate armi particolari come polveri per accecare i nemici e saponi scivolosi per far cadere gli avversari, in particolar modo quelli che indossavano un'armatura pesante[35]. Molte galee pisane avevano sulla prua una ruota con attaccate delle lunghe spade che giravano ad alta velocità[36]. La loro utilità era quella di ostacolare l'abbordaggio dei nemici[36]. Queste navi erano anche solidamente rinforzate sui fianchi da grandi scudi[36].

Ammiragli presenti nella battaglia

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Albertino Morosini

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Lo stesso argomento in dettaglio: Albertino Morosini.

Albertino Morosini era un ammiraglio molto esperto nell'ambito della navigazione e dei combattimenti con navi da guerra[37]. Proveniva da Venezia[38] ed era divenuto podestà di Pisa nel marzo del 1284 (anche se era stato eletto a gennaio, arrivò nella città dopo tre mesi)[38]. I Pisani lo elessero per la sua capacità militare e probabilmente anche perché speravano di coinvolgere il popolo veneziano nei frequenti contrasti fra Pisani e Genovesi[38].

Prima della battaglia della Meloria, nei primi giorni del luglio 1284, Morosini partì con settantadue galee da combattimento per attaccare la flotta genovese[39]. Voleva eseguire un assalto rapido ed imprevedibile[40], che però fu impedito dal maltempo[40][41]. La flotta pisana si diresse quindi a occidente perché voleva attaccare le navi di Benedetto Zaccaria, ma non riuscì nell'impresa perché l'ammiraglio era già tornato a Genova. I Pisani non vollero combattere contro l'intera flotta avversaria e tornarono alla loro città[42].

Oberto D'Oria

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Lo stesso argomento in dettaglio: Oberto Doria.

Oberto D'Oria era un ammiraglio genovese e nel 1284 era anche il Capitano del Popolo della città[43]. Esperto di navigazione, praticata principalmente per scopi commerciali[44], era a capo della flotta genovese al momento della battaglia della Meloria ed era affiancato da Benedetto Zaccaria.

Benedetto Zaccaria

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Lo stesso argomento in dettaglio: Benedetto Zaccaria.

Benedetto Zaccaria era un ammiraglio genovese molto esperto di battaglie marittime[45][46][47]. Aveva cominciato a combattere contro i Pisani nei primi mesi dell'anno 1284 nel mar Mediterraneo ed il suo obiettivo era quello di eseguire attacchi improvvisi alle navi avversarie per danneggiare l'economia pisana e la sua flotta[48].
Nel 1284 aveva il controllo diretto su trenta galee da combattimento[49], le quali furono riunite insieme al resto della flotta a Genova, pochi giorni prima della battaglia della Meloria[42].

Affresco ritraente la flotta genovese schierata per la battaglia della Meloria
Diano Castello

La flotta della Repubblica di Genova raccolse la sfida, e il giorno 6 agosto 1284, giorno di San Sisto, salpò verso Porto Pisano. La scelta del giorno sulla carta era propizio ai pisani in quanto foriero di vittorie e celebrato ogni anno.

L'ammiraglio genovese Oberto Doria, imbarcato sulla San Matteo, la galea di famiglia, guidava una prima linea di 63 galee da guerra composta da otto "Compagne" (antico raggruppamento dei quartieri di Genova): Castello, Macagnana, Piazzalunga e San Lorenzo, schierate sulla sinistra (più alcune galee al comando di Oberto Spinola), e Porta, Borgo, Porta Nuova e Soziglia posizionate sulla destra.

Benedetto Zaccaria comandava invece una squadra di trenta galee, lasciate volutamente in disparte per aggredire di sorpresa la flotta pisana. Parte di essa era ormeggiata dentro Porto Pisano, mentre un'altra parte sostava poco fuori dal porto.

Secondo le consuetudini del Governo Potestale, i Pisani avevano scelto un forestiero come podestà, Albertino Morosini da Venezia. I Veneziani, com'è noto, erano da sempre in rivalità con Genova, ma in questo frangente avevano rifiutato l'appoggio alla repubblica pisana. Assistevano il Morosini: il conte Ugolino della Gherardesca (celebre perché cantato da Dante nel XXXIII canto dell'Inferno nella Divina Commedia) e Andreotto Saraceno.

Dopo una prima esitazione i Pisani decisero di attaccare la flotta genovese e si lanciarono sulla prima linea. Entrambe le flotte erano in formazione a falcata ovvero a mezzo arco. Lo scontro era dunque frontale. I famosi balestrieri genovesi, al riparo dietro le loro pavesate, tiravano contro i legni pisani, mentre questi tentavano, secondo le tattiche dell'epoca, di speronare le navi con il rostro per poi abbordarle. Qualora l'abbordaggio non avesse luogo, gli equipaggi si colpivano con ogni sorta di munizioni scagliate da macchine belliche o dalle nude mani, come sassi, pece bollente e addirittura calce in polvere.

Le sorti della battaglia furono decise dopo ore dai trenta legni di Benedetto Zaccaria, che piombarono sul fianco pisano, colto completamente impreparato dalla manovra, ed ignaro della stessa esistenza di quelle galee: fu uno sfacelo di legno, corpi e sangue. Dell'intera flotta pisana, solo venti galee, quelle comandate dal conte Ugolino, si salvarono. L'accusa di vigliaccheria, se non di tradimento, non impedirà al conte di conquistare la signoria de facto e di restare al vertice del governo della città fino alla sua deposizione (1288) e alla celebre morte per inedia (1289).

Alcuni storici riferiscono che il contingente di rinforzo genovese fosse nascosto dietro l'isolotto della Meloria (allora un basso scoglio sopra il livello del mare), ma si tratta probabilmente di un fraintendimento, dato che una squadra navale, anche piccola, non avrebbe assolutamente potuto evitare di essere vista. Secondo un'altra ipotesi le navi sarebbero state in realtà nascoste alla fonda di un'isola dell'arcipelago.[senza fonte]

Un'altra ragione della sconfitta pisana deve essere individuata nell'ormai obsoleto armamento navale e individuale; le navi pisane, più vecchie e più pesanti, imbarcavano anche truppe armate con armature complete, nonostante la calura agostana, e durante la lunghissima battaglia i genovesi, muniti di armature ridotte e più leggere ne furono chiaramente avvantaggiati.

La gloria della marina della Repubblica Pisana s'inabissò in quel giorno nelle acque della Meloria perdendo tra colate a fondo o cadute in mano nemica oltre 49 galere[50].

Perdite e prigionieri

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Tra i cinque e i seimila furono i morti, e quasi undicimila furono i prigionieri (alcune fonti citano fino a venticinquemila perdite tra morti e prigionieri) tra cui proprio il podestà Morosini, che fu portato con gli altri a Genova nel quartiere che da allora si sarebbe chiamato "Campopisano".
Tra i prigionieri pisani era anche quel Rustichello che scrisse per conto di Marco Polo il cosiddetto Milione nelle prigioni genovesi.
Solo un migliaio di prigionieri pisani tornò a casa dopo tredici anni di prigionia. Gli altri morirono tutti e sono sepolti sotto il quartiere genovese che tristemente porta ancora il loro nome.
La deportazione forzata di tante migliaia di prigionieri, depauperò spaventosamente la repubblica pisana non solo della sua popolazione maschile, ma anche di gran parte del proprio esercito, lasciandola così indebolita e spopolata da causarne la progressiva decadenza. In tale occasione, proprio in riferimento all'ingente numero di prigionieri pisani a Genova, nacque il detto "se vuoi veder Pisa vai a Genova".

Conseguenze politiche per Pisa

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Alcune città, come Lucca, Firenze e Genova formarono un'alleanza con lo scopo di conquistare la città di Pisa[51], che era enormemente indebolita perché aveva perso migliaia di uomini nella battaglia della Meloria[52]. Per dissuadere i propri nemici dall'organizzare un attacco militare, Pisa il 18 ottobre 1284 elesse come Podestà il conte Ugolino della Gherardesca, che aveva simpatie per i Guelfi[51]. La sua politica avrebbe potuto portare alla pace con città guelfe come Lucca e Firenze. Perciò donò i castelli di Viareggio e Ripafratta a Lucca e Pontedera a Firenze[53].
Ugolino della Gherardesca e Nino Visconti ottennero entrambi l'incarico di Podestà[54], ma questa signoria deluse mercanti, artigiani, coloro che approvavano il regime di Popolo, e i cittadini di tradizione ghibellina[54].
La signoria donoratico-viscontea cadde quando l'arcivescovo Ruggeri degli Ubaldini fece un colpo di Stato e affidò il governo a Guido da Montefeltro.

Scontri dopo la battaglia

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Pisa firmò la pace con Genova nel 1288, ma non la rispettò: fatto che costrinse Genova ad un'ultima dimostrazione di forza.
Nel 1290, Corrado Doria salpò con alcune galee verso Porto Pisano, trovando il suo accesso sbarrato da una grossa catena tirata tra le torri Magnale e Formice. Fu il fabbro Noceto Ciarli (il cognome è spesso riportato anche come Chiarli) ad avere l'idea di accendere un fuoco sotto di essa per renderla incandescente in modo da spezzarla con il peso delle navi. Il porto fu raso al suolo e sulle sue rovine fu sparso il sale, la campagna circostante devastata e saccheggiata.

Anelli delle catena a Murta, nel territorio del comune di Genova.

Tuttavia le forze pisane non furono annientate tanto che, per tutto il XIV secolo, Pisa rimase una potenza repubblicana tanto da vincere la famosa Battaglia di Montecatini nel 1315, nella quale vinse contro le forze riunite di Firenze, Siena, Prato, Pistoia, Arezzo, Volterra, San Gimignano e San Miniato.

Il vero evento che diede inizio alla caduta di Pisa non fu questo, ma la definitiva presa della Sardegna pisana da parte Aragonese nel 1324.

Nel 1406 la città fu infine assoggettata da Firenze per la prima volta, ma solo dopo un lungo assedio che si concluse con la vendita della città da parte del pavido Capitano del Popolo, Giovanni Gambacorta, assai più che per motivi militari.

Cause della sopravvivenza di Pisa

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La città di Pisa non fu definitivamente distrutta a causa degli interessi economici di città come Firenze, Prato, Arezzo, San Miniato, Siena, che volevano sfruttare il porto della città per i loro commerci[55]. Inoltre città ostili come Lucca e Genova erano militarmente impreparate o impegnate militarmente altrove[55].
Infine la città di Pisa cercò di riprendersi commerciando con la Sardegna e la costa meridionale della Toscana[56]. Altri traffici commerciali che continuarono riguardavano l'Africa settentrionale, la Sicilia, le Isole Baleari, la Catalogna[56]. Alcuni luoghi come il Maghreb favorivano i Pisani perché i Genovesi erano considerati violenti saccheggiatori[57].
Inoltre Pisa si alleò con città Ghibelline, dopo la caduta della signoria di Ugolino della Gherardesca e di Nino Visconti[55]. Il governo della città fu quindi affidato al conte Guido da Montefeltro[55], un esperto capo politico che rimase in carica a Pisa dal 1289 al 1293[58]. Ebbe la capacità di organizzare abilmente l'esercito e di gestire le alleanze della città[58]. Si fece il possibile per evitare screzi con i Genovesi, per evitare quindi attacchi da parte degli avversari e proteggere gli importanti territori della Sardegna che erano rimasti[59].

La catena di Porto Pisano

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La grande catena del porto di Pisa fu portata a Genova, spezzata in varie parti che furono appese come monito a Porta Soprana e in varie chiese e palazzi della città (chiese di Santa Maria delle Vigne, San Salvatore di Sarzano, Santa Maria Maddalena, Sant'Ambrogio, San Donato, San Giovanni di Prè, San Torpete, Santa Maria di Castello, San Martino di Murta, Santa Croce (Moneglia); porta di Sant'Andrea, porta di Vacca, Palazzo del Banco di San Giorgio, piazza Ponticello); solo dopo l'Unità d'Italia le catene furono restituite a Pisa, dove sono conservate nel Camposanto monumentale. Altri anelli sono ancora attaccati al muro laterale della chiesa di Santa Croce a Moneglia, borgo ligure, che partecipò con sue imbarcazioni alla battaglia. Accanto ai due anelli della catena c’è una lapide che spiega l’origine della catena. Altri pezzi sono nel borgo di Murta, sede della chiesa di San Martino in val Polcevera (donato alla famiglia Marcenaro).[non chiaro]

  1. ^ Del Punta,  p. 116.
  2. ^ Del Punta,  p. 7.
  3. ^ Del Punta,  p. 11.
  4. ^ a b Del Punta,  p. 25.
  5. ^ Del Punta,  pp. 20-21.
  6. ^ a b Del Punta,  pp. 25-26.
  7. ^ a b c Del Punta,  p. 24.
  8. ^ Del Punta,  pp. 30-31.
  9. ^ Del Punta,  p. 31.
  10. ^ a b Del Punta,  p. 32.
  11. ^ a b c d Del Punta,  p. 33.
  12. ^ a b c d e Del Punta,  p. 34.
  13. ^ a b Del Punta,  p. 35.
  14. ^ Del Punta,  p. 36.
  15. ^ Del Punta, pp. 30-31. Non è chiaro il numero esatto di soldati e la data di sbarco: Jacopo d'Oria parla duecentosettanta soldati arrivati il 24 agosto mentre Guido da Vallecchia parla di cinquecento uomini sbarcati il 5 settembre.
  16. ^ Del Punta,  p. 37.
  17. ^ Del Punta,  pp. 38-39.
  18. ^ a b Del Punta,  p. 44.
  19. ^ Del Punta,  p. 45.
  20. ^ Del Punta,  p. 46.
  21. ^ Del Punta,  p. 47.
  22. ^ Il numero di prigionieri è incerto perché gli Annali Genovesi riportano la cattura di centocinquanta uomini, mentre Guido da Vallecchia parla di centoventi prigionieri
  23. ^ Del Punta,  pp. 47-48.
  24. ^ a b Del Punta,  pp. 48-49.
  25. ^ a b Del Punta,  p. 49.
  26. ^ Del Punta,  p. 50.
  27. ^ I numeri di prigionieri e del valore del bottino riportati negli Annali Genovesi potrebbero essere esagerati. Spesso nel Medioevo si tendeva ad enfatizzare i successi della propria Nazione.
  28. ^ Del Punta,  p. 48.
  29. ^ Del Punta,  p. 51.
  30. ^ a b c Del Punta,  p. 52.
  31. ^ a b c d Del Punta,  p. 55.
  32. ^ D. G. Martini - D. Gori, La Liguria e la sua anima, Savona, Sabatelli Editori, 1965.
  33. ^ Del Punta,  p. 54.
  34. ^ a b Del Punta,  p. 84.
  35. ^ Del Punta,  pp. 85-86.
  36. ^ a b c Del Punta,  p. 86.
  37. ^ Del Punta,  p. 64.
  38. ^ a b c Del Punta,  p. 65.
  39. ^ Del Punta,  pp. 67-68.
  40. ^ a b http://www.treccani.it/enciclopedia/albertino-morosini_(Dizionario-Biografico)/
  41. ^ Del Punta,  p. 68.
  42. ^ a b Del Punta,  pp. 69-70.
  43. ^ Del Punta,  p. 70.
  44. ^ http://www.treccani.it/enciclopedia/oberto-doria_(Dizionario-Biografico)/. Questa voce afferma che Oberto D'Oria fu molto popolare grazie al suo contributo per l'economia di Genova.
  45. ^ Del Punta,  p. 57.
  46. ^ http://www.treccani.it/enciclopedia/benedetto-zaccaria/
  47. ^ http://www.treccani.it/enciclopedia/benedetto-zaccaria_%28Enciclopedia-Italiana%29/
  48. ^ Del Punta,  pp. 61-62.
  49. ^ Del Punta,  p. 59.
  50. ^ "[...] Comunque ci preme far rilevare che, secondo l’antica cronaca ‘Roncioniana’ tradotta da Cristiani, le galee genovesi presenti alla battaglia erano ben 144 contro le 66 pisane, con un rapporto di circa 2,2 a 1 (più del doppio!). Le galee perse dai pisani furono 28, ma, fatto che spesso (se non sempre) viene taciuto, “de’ genovesi ne fu misso in fondo [affondate] galee 18 da’ pisani;” (E. CRISTIANI “Cronaca Roncioniana 352”, appendice a “Gli avvenimenti pisani del periodo ugoliniano in una cronaca inedita”, dello stesso Autore in Bollettino Storico Pisano, s. III, XXVI-XXVII, 1957-58, Pisa, U. Giardini, 1957, p. 94). E facendo un altro piccolo calcolo (cioè galee genovesi/galee pisane catturate o affondate) 144:28 = 5,14; (galee pisane/galee genovesi affondate) 66:18 = 3,66, possiamo affermare che per conquistare o affondare una galea pisana i genovesi ebbero bisogno di oltre 5,1 galee delle loro, mentre ai pisani per lo stesso ‘servizio’ fatto ai genovesi bastarono meno di 3,7 galee. Negli Annali Piacentini le galee pisane perse furono 29 e 2 platee, infatti i genovesi “[...] ceperunt ex galeis Pisanorum 29 et 2 naves platas cum hominibus qui intus erant, [...]” cfr. Annales Placentini gibellini.a. 1240.1241, in Georgius Heinricus PERTZ, Monumenta Germaniae Historica: inde ab anno Christi quingentesimo usque ad annum millesimum et quingentesimum, SS, t. XVIII, Hannoverae, Impensis Bibliopolii Aulici Hahniani, 1863, p. 578." Cfr. Mario Chiaverini, Repubblica imperiale pisana. La vittoria navale su Genova del 1241: alcuni aspetti, antefatti vicini e lontani, misteri e coincidenze, Pisa, MARICH Studio storico editoriale http://marich-edizioni.blogspot.com/, 2012, p. 10 n. 2.
  51. ^ a b Del Punta,  p. 96.
  52. ^ Del Punta,  p. 110.
  53. ^ Del Punta,  p. 97.
  54. ^ a b Del Punta,  p. 102.
  55. ^ a b c d Del Punta,  p. 109.
  56. ^ a b Del Punta,  p. 112.
  57. ^ Del Punta,  p. 113.
  58. ^ a b Del Punta,  p. 104.
  59. ^ Del Punta,  p. 105.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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