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Domus Aurea: differenze tra le versioni

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;Fonti storiografiche moderne
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;in italiano
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* {{cita libro|autore=[[Andrea Carandini]]|titolo=Le case del potere nell'antica Roma|editore=Laterza|città=Roma-Bari|anno=2010|cid=Carandini 2010|isbn=ISBN 978-8842094227}}
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*{{cita libro|autore=Eugen Cizek|titolo=La Roma di Nerone|editore=Ed.Garzanti|anno =1986|città=Milano|cid=Cizek 1986}}
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* {{cita libro|autore=[[Filippo Coarelli]]|titolo=Guida archeologica di Roma|città=Verona|editore=Arnoldo Mondadori Editore|anno=1984|lingua=italiano|cid=Coarelli 1984}}
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* {{Cita libro|autore=Valentina Costa|Titolo=La Domus Aurea di Nerone "una casa risplendente dell'oro"|città=Genova|editore=Brigati|anno=2005}}
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* {{Cita libro|autore=Fabiola Fraioli|titolo=Regione IV. Templum Pacis|anno=2012|editore=Mondatori Electa|città=Milano|curatore=[[Andrea Carandini]]|collana=Atlante di Roma antica|pagine=pp. 281-306|cid=Fabiola Fraioli 2012|lingua=italiano|ISBN=978-88-370-8510-0}}
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* {{Cita libro|autore=Irene Jacopi|titolo=Domus Aurea|città=Milano|editore=Electa Mondadori|anno=1999}}
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* {{Cita libro|autore=Elisabetta Segala & Ida Sciortino|titolo=Domus Aurea|città=Milano|editore=Electa Mondadori|anno=2005|cid=Segala & Sciortino 2005|isbn=ISBN 88-370-4105-5}}
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*{{cita libro|autore=Philipp Vandenberg|titolo=Nerone|editore=Rusconi|anno=1984|città=Milano|cid=Vandenberg 1984}}
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;in inglese
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*{{Cita libro|autore=Larry F. Ball|titolo=The Domus Aurea and the Roman architectural revolution|città=Cambridge|editore=Cambridge University Press|anno=2003}}
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*{{Cita libro|autore=Alasdair Palmer|titolo=Nero's pleasure dome|opera=London Sunday Times|anno=1999}}
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Versione delle 07:13, 28 ott 2015

Domus Aurea
Le grottesche della Domus Aurea.
Civiltàromana
UtilizzoVilla urbana
Stilearchitettura romana
Epoca64 d.C.-68 d.C. (costruzione), 104 d.C. (incendio)
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
ComuneRoma
Dimensioni
Superficie16,000 
Amministrazione
PatrimonioCentro storico di Roma
EnteSoprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma
ResponsabileFedora Filippi
VisitabileSì (visite guidate al cantiere di restauro)
Visitatori60 943 (2022)
Sito webarcheoroma.beniculturali.it/siti-archeologici/domus-aurea
Mappa di localizzazione
Map

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«Bene! Finalmente posso cominciare a vivere come un essere umano! (Nerone, entrando per la prima volta nella sua Domus Aurea

La Domus Aurea ("Casa d'oro" in latino, proprio perché in essa si utilizzò molto di questo prezioso metallo[1]) era la villa urbana costruita dall'imperatore romano Nerone dopo il grande incendio che devastò Roma nel 64 d.C.[2] La distruzione di buona parte del centro urbano permise al princeps di espropriare un'area complessiva di circa 80 ettari e costruirvi un palazzo che si estendeva dal Palatino all'Esquilino.[3]

La villa, probabilmente mai portata a termine,[1] fu distrutta dopo la morte di Nerone a seguito della restituzione del terreno su cui sorgeva al popolo romano. La parte superstite della Domus Aurea, occultata dalle successive terme di Traiano,[4] come tutto il centro storico di Roma, le zone extraterritoriali della Santa Sede in Italia e la basilica di San Paolo fuori le mura, è stata inserita nella lista dei Patrimoni dell'umanità dall'UNESCO nel 1980.

Storia

Nerone e la Domus Aurea

Lo stesso argomento in dettaglio: Grande incendio di Roma.
Rappresentazione del grande incendio di Roma. Nerone tra le rovine della città in fiamme (dipinto di Karl Theodor von Piloty del 1861 ca.)

L'incendio del 18 luglio del 64 d.C., che divampò per sei giorni e sette notti,[5] distrusse gran parte del centro di Roma, compresa la Domus Transitoria sul Palatino.[6][7] Delle quattordici regioni (quartieri) che componevano la città, tre (la III, Iside e Serapis, attuale colle Oppio, la XI, Circo Massimo, e la X, Palatino) furono totalmente distrutte, mentre in altre sette rimanevano solo pochi ruderi rovinati dal fuoco.[8][9]

Nerone decise allora di costruire una nuova reggia degna della sua grandezza. La residenza dell'imperatore giunse a comprendere il Palatino, le pendici dell'Esquilino (Oppio) e parte del Celio, per un'estensione di circa 250 ettari.

«Fece costruire per sé una casa che dal Palatino andava fino all'Esquilino, inizialmente la chiamò «transitoria» (Transitoria), in seguito la fece costruire nuovamente, quando un incendio la distrusse, e la chiamò «d'oro (Aurea).»

La maggior parte della superficie era occupata da giardini, con padiglioni per feste o di soggiorno. Al centro dei giardini, che comprendevano boschi e vigne, nella piccola valle tra i tre colli, esisteva un laghetto, in parte artificiale, sul sito del quale sorse più tardi il Colosseo.[10][4][11] La vera residenza di Nerone rimase comunque nei palazzi imperiali del Palatino.

Nerone s'interessò in ogni dettaglio del progetto, secondo gli Annali di Tacito, e supervisionava direttamente gli architetti Celere e Severo.[12] La domus Aurea fu detestata dalla popolazione, poiché era stata costruita grazie alle spogliazioni dei cittadini più abbienti di Roma e dell'intero impero, depredando i templi di Roma oltre a quelli di Asia e Grecia.[13]

Sappiamo, infine, da Tacito che, nel 65 d.C., Gaio Calpurnio Pisone aveva ordito la sua congiura per l'assassinio del princeps, proprio in «quel palazzo odiato, costruito con i frutti delle spoliazioni dei cittadini».[14]

Dopo la morte di Nerone

Dopo la morte di Nerone, il terreno della Domus Aurea venne «restituito al popolo romano» dagli imperatori successivi, se pur non immediatamente, a causa dell'impopolarità e dell'ideologia che l'avevano ispirata. Infatti, Svetonio riferisce che solo Otone proseguì il completamento della Domus Aurea, sostenendo ingenti spese.[15][4][16]

Già a partire da Vespasiano si avviò il processo di distruzione della Domus.[17] In circa un decennio la dimora neroniana venne spogliata dei suoi rivestimenti preziosi: Vespasiano utilizzò lo spazio in cui era stato scavato il lago artificiale, drenando le acque e prosciugandolo, oltre a distruggere gli edifici che collegavano il vestibulum con lo stagnum, rasandoli e riempiendoli di macerie per innalzare il terreno per costruire l'Anfiteatro Flavio.[17][16] Distrusse, inoltre, il Ninfeo sul fianco del Celio e completò il tempio dedicato da Agrippina al Divo Claudio.[17] Sempre Vespasiano trasformò il basamento della Domus Tiberiana per far spazio a un edificio termale, mentre il peristilio centrale fu trasformato in un'aula absidata, posta tra due portici laterali.[16]

I cantieri per le terme di Tito erano già stati avviati nel 79,[17] mentre il secondo figlio, Domiziano, fece costruire un nuovo palazzo sul Palatino, inaugurato nel 92, che cancellò gli edifici neroniani e ne inglobò le fondazioni.[16]

Anche le terme di Traiano, costruite in seguito all'incendio del 104 (ed inaugurate nel 109), ed il Tempio di Venere e Roma (inaugurato nel 135) risiedono nel terreno occupato dalla Domus. La prima delle due opere sorse sulle rovine della parte residenziale del colle Oppio, la seconda sul Vestibulum della villa, che forse ne condizionò anche la forma.[16][18] In quarant'anni, la Domus Aurea fu completamente sepolta sotto nuove costruzioni, ma paradossalmente questo fece in modo che i "grotteschi" dipinti potessero sopravvivere; la sabbia funzionò come le ceneri vulcaniche di Pompei, proteggendoli dal loro eterno nemico, l'umidità. L'architetto di Traiano, Apollodoro di Damasco, utilizzò l'edificio neroniano, colmato di terra, a sostegno delle Terme, per allargarne la platea.[18]

Epoca moderna e contemporanea

Quando un giovane romano cadde accidentalmente in una fessura sul versante del colle Oppio alla fine del XV secolo, si ritrovò in una strana grotta, piena di figure dipinte. Ben presto i giovani artisti romani presero a farsi calare su assi appese a corde per poter vedere loro stessi. Gli affreschi scoperti allora sono ormai sbiaditi in pallide macchie grigie sul gesso, ma l'effetto di queste decorazioni grottesche, per l'appunto, furono elettrizzanti per l'intero Rinascimento. Quando il Pinturicchio, Raffaello e Michelangelo s'infilarono sotto terra e furono fatti scendere lungo dei pali per poter studiare queste immagini, ebbero una rivelazione di quel che era il vero mondo antico. Essi, ed altri artisti che, come Marco Palmezzano, lavoravano a Roma in quegli anni, si diedero a diffondere anche nel resto d'Italia tali "grottesche".[19]

Accanto alle firme di illustri e successivi turisti incise sugli affreschi, quali quelle di Giacomo Casanova e del Marchese de Sade, distanti di pochi centimetri l'una dall'altra[20], si possono leggere anche le firme di Domenico Ghirlandaio, Martin van Heemskerck, e Filippino Lippi[21]. L'effetto sugli artisti rinascimentali fu istantaneo e profondo: lo si può notare in maniera ovvia nella decorazione di Raffaello per le logge nel Vaticano.

Nel Rinascimento la domus dell'Oppio fu erroneamente chiamata palazzo di Tito a causa dell'erronea identificazione delle terme di Traiano con le terme di Tito[17].

La scoperta, però, provocò anche l'ingresso dell'umidità nelle sale, e questo avviò il processo di lento, inevitabile decadimento. Alla forte pioggia fu attribuito anche il crollo d'una parte del soffitto[22]. La riapertura di una parte del complesso, chiuso subito dopo il crollo, era prevista per il gennaio 2007, ma il monumento continua a soffrire di una situazione a rischio, dovuta al traffico, alle radici degli alberi del giardino e ad altri problemi riguardanti l'area, che impediscono di proseguire lo scavo e l'esplorazione.

Il 30 marzo 2010 crolla la volta di ingresso ad una galleria che portava alla Terme Traianee, costruite sopra la struttura neroniana dall'imperatore Traiano nell'anno 104.

Descrizione

Pianta generale della Domus Aurea (al centro in verde), posta tra il Palatino (a sud-ovest) e gli Horti Maecenatis (nord-est)

La Domus Aurea, realizzata dagli architetti Severo e Celere sotto la diretta supervisione di Nerone («i quali ebbero l'ingegno e l'ardire di voler creare con l'arte, ciò che la natura aveva negato»),[12] era innanzitutto un intervento sul paesaggio, plasmato con prati, campi, vigneti, boschi, bacini d'acqua e con la realizzazione di domus, padiglioni e ninfei[17].

«Nerone utilizzò le rovine della patria per costruirsi un palazzo, nel quale dunque rappresentassero un prodigio non tanto le pietre preziose e l'oro esposto, che costituivano solitamente il comune sfoggio, quanto, da una parte il paesaggio agreste, gli stagni e distese solitarie di boschi, e dall'altra spazi aperti e panorami.»

«Inoltre, all'interno vi erano campagne ricche di campi, vigneti, pascoli e boschi, con moltissimi animali domestici e selvatici di ogni specie.»

La villa comprendeva le alture del Palatino, della Velia, dell'Oppio, parte dell'Esquilino (fino agli Horti Maecenatis, che, pur non incorporati nella Domus ne costituivano un annesso, in quanto lasciati in eredità ad Augusto alla morte di Mecenate[9]), la parte nordoccidentale del Celio (corrispondente al podio del tempio del Divo Claudio, riconvertito in ninfeo) e lo specchio d'acqua compreso tra queste alture, dove poi sarà edificato l'anfiteatro Flavio.[17][10][1] Il fulcro della villa era proprio costituito da questo stagno.[1][23]

L'imperatore Nerone a Baia, dove sembra abbia progettato la costruzione della Domus Aurea sull'esempio di alcune ville romane di quel tratto di costa (olio su tela di Jan Styka).[24]

L'accesso principale alla villa avveniva dal Foro Romano, in prossimità dell'Atrium Vestae; l'accesso avveniva tramite un enorme Vestibulum, dominato dalla statua colossale raffigurante Nerone posta sulla sommità della Velia, il Colosso[17]. Svetonio aggiunge nella descrizione della villa che:

«[...] ogni cosa era ricoperta d'oro e decorata con gemme e conchiglie. Il soffitto dei saloni per i banchetti era fatto da tasselli d'avorio mobili e forati, in modo da poter gettare qua e là sui convitati fiori e profumi. Il principale di questi saloni era rotondo e girava su se stesso tutto il giorno, senza fermarsi, come fa la terra.[25] Nelle terme scorrevano acque marine e di Albula.[26]»

E Seneca aggiunge che la nuova reggia

«[...] risplende per lo scintillio dell'oro.»

Sebbene gli edifici sul Palatino, tra cui la Domus Tiberiana, fossero considerati parte della Domus, essi erano probabilmente utilizzati come uffici e foresterie per gli ospiti[17].

Plinio afferma che, il teatro di Pompeo costituiva «piccola cosa rispetto alla Domus Aurea che abbracciava tutta Roma!»[27] e che «in due occasioni abbiamo potuto vedere le case dei principi, Gaio e Nerone, avere un'estensione tale da circondare l'intera città [di Roma]».[28] Marziale si lamentava del fatto che una sola casa (Domus) occupasse l'intera città,[29] mentre circolavano i versi satirici riportati da Svetonio che recitavano:

«Roma diventerà la sua casa [di Nerone]: migrate a Veio, o Quiriti, sempre che questa casa non occuperà anche Veio!»»

Il progetto della Domus Aurea sembra si sia ispirato alla villa marittima campana, le cui principali caratteristiche erano costituite da una distribuzione sparsa degli edifici, inseriti in una paesaggio con viste panoramiche sul mare tramite terrazze, giardini e portici. L'ispirazione sembra fosse dovuta in particolare all'ambiente di Baia, la più rinomata località residenziale del mondo romano, nel quale erano presenti numerose e lussuose ville, impianti termali e luoghi di piacere.[24]

Vestibulum e Colosso

Lo stesso argomento in dettaglio: Colosso di Nerone e Domus Aurea (vestibulum).

Attorno alla Domus Aurea vi era un porticato che, come riferisce Svetonio, era a tre ordini di colonne e misurava complessivamente un miglio (1.482 metri).[30][17]

Van Deman e Clay ipotizzano che il porticato, costituito da arcate, partisse dalla Regia lungo un percorso rettilineo (in questo modo il percorso della via Sacra veniva raddrizzato) e svoltava ad angolo retto proseguendo lungo il Clivus Palatinus, per terminare sulla sommità del Palatino, in corrispondenza dell'Area Palatina-[17] Il grandioso atrio (vestibulum) su tre piani sembra che fosse dotato di robuste ed ampie fondazioni a camera, rinvenute negli scavi archeologici della parte sud-est.[31]

Dal Clivus Palatinus verso est si estendeva il Vestibulum, o cortile d'ingresso, ubicato sulla sommità della Velia, che costituiva l'accesso principale al complesso della Domus Aurea, accesso che avveniva dal Foro Romano.[17]

Nerone commissionò una colossale statua in bronzo di 119-120 piedi (pari a circa 35 metri), raffigurante se stesso, vestito con l'abito del dio-sole romano Apollo, il Colossus Neronis, che fu posto al centro del Vestibulum.[30][17][32] Fu commissionato, secondo quanto ci tramanda Plinio il Vecchio, allo scultore greco Zenodoro.[33]

Nerone volle infatti rappresentare se stesso come il dio Sole e come l'artefice di una nuova età dell'oro:

«[...] la terra non produceva più i consueti frutti oppure l'oro grezzo nelle miniere, ma con una nuova abbondanza gli dei offrivano ricchezze a portata di mano.»

La residenza dell'imperatore diventa pertanto la reggia del Sole che risplende d'oro, come dimostrano le descrizioni tramandate dalle fonti, secondo le quali la nuova dimora era ricoperta d'oro e di gemme, oltre al fatto che anche i dati archeologici confermano un uso diffuso della foglia d'oro su affreschi e stucchi.[16]

La statua bronzea si ispirava probabilmente al Colosso di Rodi, e rappresentava Nerone come il dio Sole, con il braccio destro in avanti (appoggiato, in epoca commodiana ad una clava, e successivamente ad un timone[18]), il braccio sinistro piegato per reggere un globo terrestre. Sulla testa portava come copricapo una corona composta da sette raggi, lunghi ciascuno 6 metri. Queste raffigurazioni ci sono state tramandate attraverso le monete di Alessandro Severo[34] e Gordiano III.[35][31] Plinio aggiunge che «l'imperatore Nerone ordinò un ritratto su tela di dimensioni colossali pari a 120 piedi, e quindi similari al Colosso in bronzo, cosa inimmaginabile fino a quel tempo. Questa pittura, una volta ultimata negli Horti Maiani, venne colpita da un fulmine e arse con la parte più bella di questo giardino».[36]

In seguito, il colosso fu riadattato con le teste di vari imperatori successivi (oppure con il dio Sole da parte di Vespasiano[37] o con Ercole sotto Commodo[38][18]), prima che Adriano lo spostasse per far posto al tempio di Venere e Roma. Contemporaneamente il Vestibulum fu distrutto.[17][39]

La statua venne probabilmente distrutta durante le prime invasioni gotiche (410 d.C.), ma fu ricordata per tutto il medioevo, tanto da dare nome di "Colosseo" al vicino anfiteatro Flavio. Nel 1933 venne, infine, demolito il suo basamento in mattoni, fatto costruire da Adriano per il suo spostamento dal Vestibulum.[18]

Stagno con portico e Cenatio

Lo stesso argomento in dettaglio: Domus Aurea (stagnum).

Nell'avvallamento compreso fra Velia, Celio e Oppio probabilmente già esisteva uno stagno naturale alimentato da un piccolo corso d'acqua che scorreva tra Celio e Oppio. Nerone monumentalizzò il bacino, circondandolo di edifici, tanto che Svetonio lo comparava a un mare circondato da una città.[30] Inoltre, incrementò l'afflusso di acqua facendovi giungere acqua dell'Aqua Claudia tramite il ninfeo posto sul fianco del podio del tempio del Divo Claudio, sul Celio.[17][31]

Era al centro della Domus Aurea e sicuramente ne era uno degli elementi più caratteristici.[23] Sembra che fu la prima parte della Domus Aurea ad essere distrutta da Vespasiano probabilmente per ridestinare l'acqua dell'acquedotto di Claudio all'uso pubblico[40]. Vespasiano drenò il bacino e sul suo sito edificò l'Anfiteatro Flavio[41].

Nella parte occidentale di quest'area, dove più tardi fu eretto il tempio di Venere e Roma, è stato rinvenuto agli inizi degli anni 2000 un nucleo edilizio, destinato a sorreggere una serie di terrazze che fungevano da collegamento tra il vestibolo e lo stagno, e che alcuni hanno ipotizzato di epoca neroniana. Era costituito da un ambiente circolare coperto a cupola, preceduto da un portico tetrastilo, a cui si accedeva da un lungo criptoportico.[3][23]

Ninfeo di Nerone e tempio di Claudio

Lo stesso argomento in dettaglio: Ninfeo di Nerone e Tempio del Divo Claudio.

Addossato alla parete nord-orientale del podio del tempio del Divo Claudio sul Celio, Nerone fece edificare un grande ninfeo, che poteva essere visto dall'ala del palazzo sull'Esquilino.[42][23]

Il Ninfeo era lungo 167 metri e alto 11 metri. Era costruito in calcestruzzo e rivestito di marmo. Per tutta la lunghezza, il Ninfeo era decorato con colonne, nicchie e numerose fontane, alimentate con l'acqua proveniente dall'Arcus Neroniani, una diramazione lunga 2 km dell'Aqua Claudia fatta realizzare da Nerone stesso[42].

Il Ninfeo doveva essere simile alla fontana che Nerone aveva nella sua sala da pranzo nel palazzo sul Palatino, composta cioè da un complesso schema di colonne e caratterizzata da marmi colorati. Il Ninfeo però era 12 volte maggiore rispetto alla fontana[42].

Dopo la morte di Nerone, le opere di costruzione della Domus Aurea si fermarono e parti del palazzo furono demolite. Non è chiaro se il Ninfeo sia mai stato completato, ma quello che è oggi visibile è quanto è stato risparmiato dalla ripresa dei lavori di costruzione del tempio del Divo Claudio[42]. Già al termine del I secolo d.C., davanti al Ninfeo era sorto un gran numero di edifici e fu realizzata una scala che dava accesso alla parte superiore della collina[42].

Durante la costruzione della moderna Via Claudia, nel 1880 furono rinvenuti i ruderi del Ninfeo. Si conserva solo il nucleo di calcestruzzo, composto da sette nicchie alternativamente semicircolari e quadrate, delle quali la centrale - quadrata - è più ampia e presenta un abside, mentre tutto il rivestimento marmoreo è stato rimosso[42].

La nicchia absidata fu in seguito inclusa nell'oratorio di San Lorenzo e affrescata.

Domus sull'Oppio

Lo stesso argomento in dettaglio: Domus Aurea (colle Oppio).

La residenza principale dove Nerone viveva era sull'Oppio. Essa era costituita da un parco al cui interno sorgevano vari padiglioni indipendenti, fra i quali quello noto con il nome di Domus Aurea, ricoperto dalle terme di Traiano e tuttora visitabile.[37]

Questa domus, costruita in mattoni e in pietra nei pochi anni tra l'incendio e la morte di Nerone nel 68, era celebre non solo per gli estesi rivestimenti in oro colato che le diedero il suo nome, ma anche per i soffitti stuccati incrostati di pietre semi-preziose e lamine d'avorio. Plinio il Vecchio assistette alla sua costruzione[43]

La parte conservata al di sotto delle successive terme di Traiano sul colle Oppio era essenzialmente una villa per feste, con 300 stanze e non una camera da letto e neppure sono state scoperte cucine o latrine. Le camere rivestite di marmo finemente levigato componevano intricate planimetrie, composte di nicchie ed esedre che concentravano o disperdevano la luce del sole. V'erano piscine sui vari piani, e fontane nei corridoi.

Alcune delle stravaganze della Domus Aurea ebbero ripercussioni sul futuro. Gli architetti disegnarono due delle sale da pranzo principali in modo che fiancheggiassero un cortile ottagonale, sormontato da una cupola con un gigantesco abbaino centrale che lasciava entrare la luce del giorno. La cupola era completamente costruita in cementizio ed impostata su di un ottagono di base; la prima parte della cupola segue un andamento a spicchi ottagonali (come la cupola del Brunelleschi di S.Maria del Fiore a Firenze), mentre la seconda parte assume una forma circolare. La parte centrale sormontata dalla cupola svolge funzione di un triclino romano, dove l'imperatore si manifestava come divino, tramite gli effetti di luce che l'abbaino della cupola filtrava, assimilandosi al dio Apollo.

Alla pianta ottagonale si riconducono pure degli spazi laterali che fungevano sia da ambulacri che da elementi di contraffortamento per la cupola; a questi spazi si accedeva tramite delle grandi luci sovrastate da piattabande in laterizio. Fu questo, probabilmente uno dei modelli da cui trasse ispirazione la celeberrima cupola del Pantheon: si tratta in effetti di un esempio precoce dell'utilizzo della tecnica del cementizio, che era stata elaborata dai romani a partire dal II secolo a.C. per lo sviluppo di ampi e articolati spazi interni, tipico dell'architettura romana. Un'altra innovazione era destinata ad avere una grande influenza sull'arte futura: Nerone pose i mosaici, precedentemente riservati ai pavimenti, sui soffitti a volta. Ne sopravvivono soltanto dei frammenti, ma questa tecnica sarebbe stata imitata costantemente, per diventare un elemento fondamentale dell'arte cristiana: i mosaici che decorano innumerevoli chiese a Roma, Ravenna, Costantinopoli e in Sicilia.

Si tramanda che gli architetti Celere e Severo avessero creato anche un ingegnoso meccanismo, mosso da schiavi, che faceva ruotare il soffitto della cupola come i cieli dell'astronomia antica, mentre veniva spruzzato profumo insieme a petali di rosa che cadevano sui partecipanti al banchetto. «Nerone tenne le feste migliori di tutti i tempi», spiegò l'archeologo Wallace-Hadrill ad un giornalista alla riapertura della Domus Aurea nel 1999, dopo anni di chiusura per restauri. «Trecento anni dopo la sua morte, durante gli spettacoli pubblici, venivano ancora distribuiti gettoni con la sua effigie — un "souvenir" del più grande showman di tutti». Nerone, ossessionato dal suo status d'artista, certamente guardava alle sue feste come opere d'arte.

Gli affreschi ricoprivano ogni superficie che non fosse ancor più rifinita; si tratta di uno dei primi esempi di quarto stile pompeiano. La direzione venne affidata ad un pittore di grande talento come Fabullus.[1] La tecnica dell'affresco, applicata al gesso fresco, richiede un tocco veloce e sicuro: Fabullo e i suoi collaboratori ricoprirono una percentuale impressionante dell'area. Plinio, nella sua Storia Naturale, racconta come Fabullo si recasse solo per poche ore al giorno alla Domus, per lavorare solo quando la luce era adatta. La rapidità dell'esecuzione di Fabullo dona un'unità straordinaria alla sua composizione, e una delicatezza sorprendente alla sua esecuzione.

Altre strutture minori

Sappiamo da Plinio il Vecchio che, dopo l'incendio del 64, il Tempio della Fortuna di Seiano, inglobato all'interno della Domus Aurea, venne ricostruito con una pietra chiamata phengites. Si trattava di un alabastro proveniente dalla Cappadocia.[44]

Strutture successive di epoca romana

In seguito alla Damnatio memoriae di Nerone ed all'incendio della parte della domus sul colle Oppio, le superfici prima appartenenti alla Domus Aurea furono destinate a nuovi utilizzi, demolendo o sotterrando edifici (ad esempio il Vestibulum e lo stesso padiglione sul colle Oppio), colmando lo stagno per edificare un anfiteatro, aprendo nuovamente l'area alla viabilità ordinaria, permettendo così il ricongiungimento dei quartieri centrali con quelli più esterni del Celio e dell'Esquilino. Anche il Palatino fu oggetto di nuovi interventi edilizi, con la costruzione del palazzo di Domiziano. Sul Celio fu completato il tempio del divo Claudio, mentre sull'Oppio furono edificate prima le terme di Tito e poi le terme di Traiano. Sulla Velia, in luogo del Vestibulum, Adriano edificò il tempio di Venere e Roma. Nella valle fra i colli, in prossimità dell'anfiteatro Flavio furono pure edificati i Ludi, palestre per l'allenamento dei gladiatori, dei quali il più celebre era il Ludus Magnus.

Colosseo

Lo stesso argomento in dettaglio: Anfiteatro Flavio.

Nel 72 l'imperatore Vespasiano, della dinastia flavia, fece avviare i lavori di costruzione di un nuovo anfiteatro nella vallata tra la Velia, il colle Oppio e il Celio, in cui si trovava lo stagnum della Domus Aurea, citato dal poeta Marziale. L'edificio era il primo grande anfiteatro stabile di Roma, dopo due strutture minori o provvisorie di epoca giulio-claudia (l'amphiteatrum Tauri e l'amphiteatrum Caligulae) e dopo ben 150 anni dai primi anfiteatri in Campania. I lavori furono finanziati, come altre opere pubbliche del periodo, con il provento delle tasse provinciali e il bottino del saccheggio del tempio di Gerusalemme (70 d.C.).

Lo specchio d'acqua fu ricoperto da Vespasiano con un gesto "riparatorio" contro la politica del "tiranno" Nerone che aveva usurpato il terreno pubblico, destinandolo ad uso proprio, rendendo così evidente la differenza tra il vecchio ed il nuovo principato. Vespasiano fece dirottare le Aquae Neronianae nell'acquedotto per uso civile, bonificò il lago e vi fece gettare delle fondazioni, più resistenti nel punto in cui sarebbe dovuta essere edificata la cavea. Le fondazioni sono costituite da una grande platea in tufo di circa 13 m di spessore, foderata all'esterno da un muro in laterizio[45]. Sopra la platea fu posta una piattaforma in travertino, sopraelevata rispetto all'area circostante, su cui fu edificato l'anfiteatro.

La struttura portante è costituita da pilastri in blocchi di travertino, collegati da perni: dopo l'abbandono dell'edificio si cercarono questi elementi metallici per fonderli e riutilizzarli, scavando i blocchi in corrispondenza dei giunti: a questa attività si devono i numerosi fori ben visibili sulla facciata esterna. I pilastri erano collegati da setti murari in blocchi di tufo nell'ordine inferiore e in laterizio superiormente. La struttura era sorretta da volte e archi, sfruttati al massimo per ottenere sicurezza e praticità. All'esterno è usato il travertino, come nella serie di anelli concentrici di sostegno alla cavea. In queste pareti anulari si aprono vari archi, decorati da paraste che li inquadrano. Le volte a crociera (tra le più antiche del mondo romano) sono in opus caementicium e spesso sono costolonate tramite archi incrociati in laterizio, usato anche nei paramenti. I muri radiali, oltre i due ambulacri esterni, sono rafforzati da blocchi di tufo.

Vespasiano vide la costruzione dei primi due piani e riuscì a dedicare l'edificio prima della propria morte nel 79.

Terme di Tito

Lo stesso argomento in dettaglio: Terme di Tito.

Le Terme di Tito furono costruite dall'imperatore Tito nell'80, all'epoca dell'inaugurazione del Colosseo, e portate a termine sotto il principato di Domiziano. Erano state progettate inizialmente come riadattamento ad uso pubblico dei grandiosi bagni privati della Domus Aurea neroniana,[23] in coerenza col programma imperiale di restituzione al popolo romano degli spazi urbani che Nerone aveva espropriato.

Terme di Traiano

Lo stesso argomento in dettaglio: Terme di Traiano.

Le terme di Traiano furono erette, a pochi anni dall'incendio della Domus Aurea (104 d.C.), dall'architetto Apollodoro di Damasco, impegnato negli stessi anni anche nellla realizzazione del foro e dei mercati di Traiano; furono concluse nel 109 d.C. da Traiano, che le inaugurò il 22 giugno. Furono le prime "grandi terme" di Roma e, all'epoca, erano il più grande edificio termale esistente al mondo.

Alcune fonti tardo antiche e alto medievali attribuiscono buona parte della costruzione delle terme a Domiziano (81-96 d.C.), ma la datazione all’età traianea è, però, confermata dai numerosi bolli laterizi rinvenuti a più riprese nell’area[46]. Le terme erano ancora in uso nel IV o V secolo d.C., quando esse furono adornate di statue dal praefectus urbis Felice Campaniano. Si ritiene che il complesso abbia perso la sua funzione termale dopo il taglio degli acquedotti effettuato nel 537 d.C. da Vitige, re dei Goti, per costringere Roma alla resa [47].

La costruzione delle Terme di Traiano fu eseguita intervenendo su un’area urbana di oltre sei ettari, parte della quale corrispondeva al padiglione esquilino della Domus Aurea. Anche le terme di Tito e altre strutture rinvenute nell’angolo sud-occidentale furono interessate dalla realizzazione delle terme. Tutti gli edifici preesistenti erano caratterizzati da un orientamento nord-sud, a differenza delle terme di Traiano, che sono disposte su un asse nordest/sudovest e sono ruotate di 36° rispetto all’orientamento nord/sud dell’edilizia preesistente, per sfruttare al massimo la luce e il calore solare, garantendo al calidarium il massimo irraggiamento tra il mezzogiorno e il tramonto.

In seguito al grave incendio, databile intorno al 104 d.C., che colpì la famosa residenza di Nerone, Apollodoro demolì tutto ciò che rimaneva dei piani superiori del complesso, lasciando soltanto i locali del piano terreno che usò come basamento per le future terme. Contestualmente ordinò la demolizione e l'interramento di numerosi edifici adiacenti, in modo da ottenere una vasta area sulla quale poter realizzare l’impianto termale. Proprio queste operazioni di demolizioni e interramento hanno sigillato e salvaguardato una buona parte della Domus Aurea e del quartiere pretraianeo[48].

Le terme di Traiano appartengono al cosiddetto "Grande Tipo Imperiale". L’impianto termale era composto da due parti principali: gli edifici del recinto e il corpo centrale. Il recinto (330 x 315 m), probabilmente un'invenzione dell'architetto Apollodoro[49], delimitava la piattaforma sulla quale era costruito il complesso: esso era rettangolare, porticato su tre lati, con ambienti destinati ad attività sociali e culturali, e racchiudeva al suo interno un'ampia area verde scoperta, identificata con una grande palestra (xystus o palaestra).[50]. Il recinto terminava con un’imponente esedra al centro del lato sudoccidentale, sopra i resti della Domus Aurea. All’interno essa era fornita di gradinate a guisa di un teatro e può darsi che servisse per assistere alle gare ginniche che si svolgevano nello xystus[51].

L'ingresso monumentale alle terme si trovava al centro del lato settentrionale e si apriva con una sorta di propileo. Altri accessi al complesso erano localizzati nel recinto ed erano costituiti da scale, necessarie per superare il dislivello tra il piano del quartiere circostante e quello del nuovo edificio[52]. Tra i resti pertinenti al recinto, visibili nel Parco del Colle Oppio, c'è una sala bi-absidata sul lato settentrionale del complesso, orientata come la Domus Aurea. Altre esedre più piccole, invece, si aprivano nel perimetro: due di queste erano poste negli angoli settentrionali. Ciascuna di esse era costituita da due strutture semicircolari e concentriche. La loro funzione è ancora incerta. L’esedra nordorientale è quella meglio conservata: tradizionalmente interpretata come ninfeo con fontane, essa presenta lungo la parete undici nicchie alternativamente rettangolari e semicircolari, ed è coperta da una semicupola decorata a cassettoni ottagonali e triangolari.[53].

Tempio di Venere e Roma

Lo stesso argomento in dettaglio: Tempio di Venere e Roma.

Dove si trovava il sito del vestibulum della Domus Aurea, l'imperatore Adriano decise la costruzione del Tempio di Venere e Roma. Si procedette così a spostare la statua colossale di Nerone nei pressi dell'anfiteatro Flavio con l'aiuto di ventiquattro elefanti, dedicandola ora al dio Sole.[31]

Archeologia attuale dell'area

Di tutto il complesso della Domus Aurea le parti sopravvissute alla distruzione successiva alla morte di Nerone e tuttora visibili sono:

  • il padiglione sottostante le Terme di Traiano sul colle Oppio (la Domus Aurea per antonomasia),
  • le opere murarie del ninfeo di Nerone sul Celio (liberamente visibili lungo via Claudia),
  • un tratto dell'Arcus Neroniani, l'acquedotto sul Celio che derivava l'acqua dell'Aqua Claudia per il complesso neroniano (arcate visibili lungo via Santo Stefano Rotondo e in Piazza della Navicella).

Il padiglione sotto le terme di Traiano, sebbene in restauro, è visitabile nei fine settimana previa prenotazione[54].

Opere d'arte

Ovunque erano presenti sculture di artisti famosi, tra cui alcune di Prassitele, mentre gli affreschi di Fabullo davano grazie agli edifici per i loro colori vivaci e luminosi, dove il bianco era il colore dominante. L'oro, le pietre preziose, i marmi e i mosaici attribuivano all'edificio una ricchezza di decorazioni accecante. Erano quindi rappresentati sulle pareti e sui soffitti a volta, paesaggi, animali, trofei e scene mitologiche.[37]

La famosa statua della Venere kallipige (da kalòs = bello; e pyghè = sedere) è una replica romana di un originale ellenistico di II sec. a.C., rinvenuta a Roma nella Domus Aurea, facente parte della Collezione Farnese, oggi esposta nel Museo archeologico nazionale di Napoli (inv. 6020). Il nome attribuito erroneamente a questa statua, si riferiva invece in antico ad un'altra statua esposta in un tempio a Siracusa. Questa opera, per il suo carattere malizioso e leggero, viene inquadrata nel cd. "rococò ellenistico". La dea, in procinto di bagnarsi, solleva la pesante veste e si volge indietro per guardare la sua splendida nudità posteriore che si rispecchia nell'acqua. Seppure integrata dall'Albacini nella testa e nella spalla, tuttavia l'immagine è corretta come ci viene attestato da gemme e statuette in bronzo.

La statua del gruppo del Laocoonte fu trovata il 14 gennaio del 1506[55] scavando in una vigna sul colle Oppio di proprietà di Felice de Fredis, nelle vicinanze della Domus Aurea di Nerone: l'epitaffio sulla tomba di Felice de Fredis in Santa Maria in Aracoeli ricorda l'avvenimento[56].

Note

  1. ^ a b c d e Cizek 1986, p. 114.
  2. ^ Cassio Dione, LXII, 16-18.
  3. ^ a b Segala & Sciortino 2005, p. 7.
  4. ^ a b c Cizek 1986, p. 116.
  5. ^ TacitoAnnali, XV, 41.2.
  6. ^ TacitoAnnali, XV, 38-39.1; Cassio Dione, LXII, 18.2.
  7. ^ Domus Transitoria, in: Samuel Ball Platner (completato e rivisto da Thomas Ashby), A Topographical Dictionary of Ancient Rome, Oxford University Press, Londra, 1929, pp. 194, 195 (disponibile online su Lacus Curtius).
  8. ^ TacitoAnnali, XV, 40.2
  9. ^ a b Segala & Sciortino 2005, p. 5.
  10. ^ a b Segala & Sciortino 2005, p. 10.
  11. ^ Vandenberg 1984, pp. 198-200.
  12. ^ a b TacitoAnnali, XV, 42.1.
  13. ^ Carandini 2010, p. 48.
  14. ^ TacitoAnnali, XV, 52.1.
  15. ^ SvetonioOtone, 7.1.
  16. ^ a b c d e f Segala & Sciortino 2005, p. 14.
  17. ^ a b c d e f g h i j k l m n o Aurea, Domus, in: L. Richardson jr, A New Topographical Dictionary of Ancietn Rome, The John Hopkins University Press, Baltimora e Londra, 1992, pp. 119-121.
  18. ^ a b c d e Segala & Sciortino 2005, p. 15.
  19. ^ Vandenberg 1984, pp. 201 ss.
  20. ^ British Archaeology, giugno 1999
  21. ^ Underground Rome
  22. ^ Archaeology, giugno/luglio 2001
  23. ^ a b c d e Segala & Sciortino 2005, p. 12.
  24. ^ a b Segala & Sciortino 2005, p. 13.
  25. ^ Cizek 1986, p. 115 precisa che non è possibile sapere con precisione, sulla base dei dati archeologici attuali, quale meccanismo idraulico generasse la rotazione della cupola.
  26. ^ Carandini 2010, p. 48, Albula nel senso che si trattava di acque sulfuree.
  27. ^ Plinio il VecchioNaturalis Historia, XXXIII, 54.
  28. ^ Plinio il VecchioNaturalis Historia, XXXVI, 111.
  29. ^ MarzialeEpigrammi, 2.
  30. ^ a b c SvetonioNerone, 31.1.
  31. ^ a b c d Segala & Sciortino 2005, p. 11.
  32. ^ Plinio il VecchioNaturalis Historia, XXXIV, 45-46.
  33. ^ Plinio il VecchioNaturalis Historia, XXXIV, 46.
  34. ^ CNI XII 3 (Martin V); Muntoni 2 (Pius II); Berman 390; apparentemente non pubblicato, ma vedi Gnecchi II, p. 80, 9 (dritto) e Gnecchi III, p. 42 = Toynbee pl. 29, 7 (retro). Vedi anche BMC 156-157 e Cohen 468 per i sesterzi della stessa tipologia (che però datano al 223 d.C.).
    Fronte: IMP CAES M AVREL SEV ALEXANDER AVG, busto laureato e drappeggiato di Severo Alessandro a destra.
    Retro: PONTIF MAX TR P III COS P P; l'anfiteatro Flavio (Colosseo), è mostrato frontalmente con quattro livelli: il primo con archi, il secondo con archi che contengono statue, il terzo con nicchie che contengono statue e il quarto con finestre quadrate e clipei circolari; in una vista a volo d'uccello si può vedere l'interno con due file di spettatori. All'esterno, a sinistra Severo Alessandro è in piedi e sacrifica su un basso altare; dietro a lui la Meta Sudans e una grande statua del Sole. A destra un edificio a due piani con due timpani e una statua maschile (Jupiter?) accanto.
  35. ^ Gnecchi p. 89, 23 and Tav. 104, 6; cf. Cohen 166.
    Fronte: IMP GORDIANVS PIVS FELIX AVG, busto laureato con drappo e corazza;
    Retro: MVNIFICENTIA GORDIANI AVG, toro che combatte con elefante nel Colosseo visto dall'altro; Colosso di Nerone e Meta Sudans, e Tempio di Venere e Roma, o Ludus Magnus sull'altro lato.
  36. ^ Plinio il Vecchio, XXXV, 51.
  37. ^ a b c Cizek 1986, p. 115.
  38. ^ Vandenberg 1984, p. 200.
  39. ^ Segala & Sciortino 2005, pp. 14-15.
  40. ^ SvetonioVespasiano, 9.1.
  41. ^ Marziale, De Spectaculis , 2.5-6.
  42. ^ a b c d e f Amanda Claridge, Rome, An Oxford Archaeological Guides, Oxford University Press, Londra, 1998, pp. 307-308, ISBN 019288003-9.
  43. ^ Plinio il VecchioNaturalis historia, XXXVI, 111.
  44. ^ Plinio il VecchioNaturalis Historia, XXXVI, 163.
  45. ^ R. Bianchi Bandinelli e M. Torelli, Arte romana, scheda 99, 1976.
  46. ^ Coarelli 1984, p. 204.
  47. ^ Procopio, Bell. Goth., V, 19.
  48. ^ De Fine Licht 1974, pp. 6-12.
  49. ^ De Fine Licht 1974, p. 6.
  50. ^ Volpe 2007, pp. 428-434.
  51. ^ Volpe 2007, p. 428.
  52. ^ De Fine Licht 1974, p. 6.
  53. ^ Carboni 2003, pp. 65-80.
  54. ^ Progetto Domus Aurea - Visita al cantiere di restauro Domus Aurea - CoopCulture
  55. ^ Una recente scoperta nell’Archivio storico “Innocenzo III” di Segni di un incunabolo della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio e riportante a margine una nota del proprietario del libro, anticipa di quattro giorni tale rinvenimento. Fu scritta da Angelo Recchia da Barbarano (Romano, Vt), giurista che tra il 1519 ed il 1550 fu a lungo al servizio delle magistrature capitoline e della Camera Apostolica, per poi divenire nel 1557 uno dei Conservatori dell’Università La Sapienza. La nota è ritenuta autorevole da Luca Calenne e Alfredo Serangeli, gli studiosi che si sono occupati della scoperta. Fin dall'inizio è, però, balzato agli occhi che la data riportata dal Recchia (cioè il quarto giorno prima delle idi di gennaio, vale a dire il 10 gennaio) non corrispondeva a quella ufficiale, considerata tale da cinquecento anni sulla base di una lettera del fiorentino Filippo Casavecchia, che poneva l’eccezionale ritrovamento della statua quattro giorni dopo, cioè il 14 dello stesso mese.
  56. ^ AA. VV. Laocoonte: alle origini dei Musei Vaticani, 2006

Bibliografia

Fonti primarie
Fonti storiografiche moderne
in italiano
  • Andrea Carandini, Le case del potere nell'antica Roma, Roma-Bari, Laterza, 2010, ISBN 978-88-420-9422-7.
  • Eugen Cizek, La Roma di Nerone, Milano, Ed.Garzanti, 1986.
  • Filippo Coarelli, Guida archeologica di Roma, Verona, Arnoldo Mondadori Editore, 1984.
  • Filippo Coarelli, Roma, Bari & Roma, Laterza, 2012.
  • Valentina Costa, La Domus Aurea di Nerone "una casa risplendente dell'oro", Genova, Brigati, 2005.
  • Fabiola Fraioli, Regione IV. Templum Pacis, a cura di Andrea Carandini, collana Atlante di Roma antica, Milano, Mondatori Electa, 2012, pp. 281-306, ISBN 978-88-370-8510-0.
  • Irene Jacopi, Domus Aurea, Milano, Electa Mondadori, 1999.
  • Elisabetta Segala & Ida Sciortino, Domus Aurea, Milano, Electa Mondadori, 2005, ISBN 88-370-4105-5.
  • Philipp Vandenberg, Nerone, Milano, Rusconi, 1984.
in inglese
  • Larry F. Ball, The Domus Aurea and the Roman architectural revolution, Cambridge, Cambridge University Press, 2003.
  • Alasdair Palmer, Nero's pleasure dome, collana London Sunday Times, 1999.

Collegamenti

È raggiungibile dalla stazione Colosseo.
È raggiungibile dalla fermata Colosseo del tram 3

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