Utente:Demiurgo/Storia giudiziaria dell'attentato di via Rasella

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Processi per l'eccidio delle Fosse Ardeatine e per l'attentato di via Rasella[modifica | modifica wikitesto]

Nei processi agli ufficiali tedeschi responsabili dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, celebrati dinanzi a corti militari britanniche (von Mackensen-Mälzer e Kesselring) e italiane (Kappler), l'attentato di via Rasella è stato giudicato un atto illegittimo sul piano del diritto internazionale bellico. L'azione partigiana, essendo stata compiuta da combattenti privi dei requisiti di legittimità previsti dal regolamento annesso alla IV Convenzione dell'Aia del 1907, legittimava i tedeschi a reagire con una rappresaglia che avesse posseduto una serie di requisiti; per la completa mancanza di tali requisiti, le esecuzioni delle Fosse Ardeatine sono state giudicate un crimine di guerra.

A partire da una sentenza emessa nel 1950 dal Tribunale civile di Roma, sul piano del diritto interno l'azione gappista è stata invece considerata, in tutte le sentenze emesse sul caso da giudici civili e penali italiani, un atto di guerra legittimo in quanto riferibile allo Stato italiano allora in guerra con la Germania. L'attribuzione giuridica dell'attentato allo Stato italiano fu stabilita principalmente sulla base di alcuni decreti legislativi luogotenenziali emanati più di un anno dopo il suo compimento, a partire dall'aprile 1945, dai governi Bonomi III e Parri formati dai partiti antifascisti del CLN.

I due eventi e le vicende ad essi collegate sono stati inoltre oggetto di diversi altri procedimenti giudiziari, soprattutto per diffamazione.

Il processo Caruso (1944)[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Processo a Pietro Caruso.
Pietro Caruso (a sinistra) e il suo collaboratore Roberto Occhetto al processo

In seguito alla liberazione di Roma e a guerra ancora in corso, il 24 luglio 1944 l'Alto Commissario per la punizione dei delitti fascisti, Mario Berlinguer, emanò un ordine di cattura contro Pietro Caruso, che durante l'occupazione tedesca era stato questore della città per la Repubblica Sociale Italiana.

Il reato contestato a Caruso era quello di «avere in Roma, posteriormente all'8 settembre 1943 e fino al giugno 1944, valendosi delle funzioni di questore assunte alle dipendenze dell'illegale governo fascista repubblichino, prestato aiuto, assistenza e collaborazione al tedesco invasore». La prima, e più grave, fra le imputazioni contenute nell'atto di accusa era di aver consegnato «il 24 marzo 1944 al comando militare tedesco 50 detenuti politici e comuni affinché fossero sottoposti ad esecuzione sommaria dal comando stesso quale atto di rappresaglia indiscriminata conseguente all'attentato di via Rasella».

La prima udienza avanti all'Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo era stata fissata per il 18 settembre 1944, nell'aula magna della Corte di Cassazione; ma quel giorno l'udienza non si poté tenere a causa dei disordini che culminarono nel linciaggio di Donato Carretta, ex direttore del carcere di Regina Coeli.

Durante il processo, Caruso si difese senza negare i fatti a lui addebitati, bensì affermando di averli commessi per obbedire ad ordini superiori, da lui ritenuti leciti. Il pubblico accusatore sostenne che Caruso avrebbe dovuto rifiutarsi di eseguire l'ordine dei tedeschi e argomentò che il concorso nel reato da parte di Caruso «anche se il delitto si sarebbe ugualmente compiuto, implica una diretta responsabilità che non può sfuggire alla meritata sanzione»[1]. Viceversa, l'avvocato difensore affermò che l'eccidio delle Ardeatine era stato perpetrato interamente dai tedeschi, senza nessun apporto da parte di Caruso[2].

Il giorno dopo l'unica udienza, 21 settembre 1944, fu pronunciata la sentenza di morte e immediatamente eseguita a Forte Bravetta mediante fucilazione alla schiena.

L'organizzazione dei processi ai militari tedeschi[modifica | modifica wikitesto]

Nel dopoguerra si pose il problema di processare i militari tedeschi accusati di aver commesso crimini di guerra in Italia. Con la dichiarazione di Mosca del 30 ottobre 1943, gli Alleati avevano deciso che il giudizio sui crimini di guerra commessi dalle forze dell'Asse sarebbe spettato alle autorità dei Paesi occupati che ne erano stati vittime, mentre i principali capi politici e militari sarebbero stati processati da tribunali internazionali, quali quelli poi istituiti a Norimberga e a Tokyo. Il 26 febbraio 1945 il governo italiano creò una "Commissione Centrale per l'accertamento delle atrocità commesse dai tedeschi e dai fascisti dopo il 25 luglio 1943", alla quale fu riconosciuta la facoltà di condurre investigazioni circa i crimini commessi in Italia e di trasmetterne i risultati alle autorità alleate. Tuttavia la consegna dei militari tedeschi prigionieri degli anglo-americani non sarebbe stata automatica, dovendo essere autorizzata caso per caso[3].

In un primo momento, nell'agosto 1945, gli Alleati decisero che per i crimini di guerra commessi in Italia sarebbero stati organizzati due processi. Il primo avrebbe riguardato l'eccidio delle Fosse Ardeatine, il più eclatante caso indagato, e avrebbe visto come imputati i seguenti ufficiali tedeschi:

Il secondo processo avrebbe dovuto essere un processo unico, contro tutti i comandanti d'armata, di corpo d'armata e di divisione (tra cui nuovamente Kesselring e Wolff) che avevano «partecipato all'organizzazione di rappresaglie su vasta scala tra la metà di giugno e la fine del settembre 1944». Entrambi i processi si sarebbero svolti dinanzi a corti militari britanniche, mentre i tribunali italiani avrebbero avuto giurisdizione solo sui militari tedeschi di grado più basso[4].

Dai documenti dell'epoca emerge che gli Alleati (e soprattutto i britannici) erano riluttanti a concedere all'Italia la possibilità di processare i tedeschi, per vari motivi legati alla sua particolare posizione di nazione sconfitta a cui, dopo l'armistizio, era stato riconosciuto lo status di cobelligerante ma non certo quello di alleata. Permettere agli italiani di processare i tedeschi avrebbe inoltre implicato la consegna, ai paesi occupati dall'Italia negli anni 1940-1943, dei militari italiani a loro volta accusati di crimini, fatto che si temeva avrebbe avuto un effetto negativo sulla collaborazione tra gli anglo-americani e le nuove forze armate italiane. Consapevole che l'esclusione delle istituzioni italiane dai processi più importanti rappresentava una manifestazione di sfiducia, che lasciava presagire le dure clausole che sarebbero state imposte all'Italia nella prossima conferenza di pace di Parigi, il governo italiano chiese, tramite un memorandum per la Commissione alleata datato 13 giugno 1946, che le corti giudicanti avessero una composizione mista italo-britannica, ma tale richiesta rimase inascoltata. Infine, fu deciso di processare separatamente Kesselring, accusando solo lui per il sistema di ordini che aveva provocato i massacri avvenuti tra la tarda primavera e l'estate del 1944, mentre il processo per le Fosse Ardeatine avrebbe visto imputati i soli von Mackensen e Mälzer[5].

Il processo von Mackensen-Mälzer (1946)[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Processo a Eberhard von Mackensen e Kurt Mälzer.

Il processo contro von Mackensen e Mälzer fu celebrato nei giorni 18-30 novembre 1946 a Roma, dinanzi a un tribunale militare britannico. Entrambi i generali avevano partecipato al processo decisionale che aveva portato all'ordine di fucilare dieci prigionieri per ogni militare caduto in via Rasella. In sua difesa, von Mackensen affermò di aver dato disposizioni, su proposta di Kappler stesso, affinché fosse ucciso un numero di persone inferiore a quello di 320 ottenuto applicando la proporzione 10 a 1 (numero che in ogni caso sarebbe stato comunicato a Hitler e annunciato pubblicamente[6]), selezionando solo uomini già condannati a morte (che dunque sarebbero stati comunque fucilati) o a lunghe pene detentive, in modo da risparmiare la popolazione romana. Le esecuzioni di altre persone oltre ai condannati sarebbero avvenute quindi per iniziativa di Kappler, il quale avrebbe tradito la fiducia del generale, non potendo quest'ultimo immaginare che «il servizio di sicurezza avrebbe poi agito in modo da gettare il fango sull'onore dell'esercito tedesco»[7]. L'accusa ritenne peraltro veritiero che Kappler avesse comunicato ai due generali che solo quattro dei prigionieri da fucilare erano estranei all'attentato. Nessuno dei due imputati addusse come giustificazione l'aver dovuto eseguire ordini superiori ed entrambi affermarono che il massacro delle Fosse Ardeatine era stato la reazione non solo a via Rasella ma a tutta una serie di azioni della Resistenza romana, alla quale solo una risposta drastica avrebbe potuto porre fine[6].

Durante il processo fu riconosciuto che per rispondere all'attentato di via Rasella, ritenuto un crimine, «le Autorità tedesche erano autorizzate a compiere una rappresaglia, qualora fossero giunte alla conclusione che non si sarebbero potuti scoprire i responsabili e che ci sarebbe stato pericolo per la sicurezza delle loro truppe». Tuttavia, mentre per la difesa erano presenti entrambe le condizioni, per l'accusa non era stata condotta un'inchiesta adeguata, dato che, come ammesso dagli stessi imputati, l'esecuzione della rappresaglia aveva avuto inizio prima che le indagini fossero completate. Per essere considerata legittima, la rappresaglia avrebbe dovuto possedere tre requisiti: doveva essere «proporzionata», «ragionevole» ed eseguita «nel rispetto dei principi fondamentali di guerra come il rispetto della vita dei non combattenti e degli interessi dei neutrali». L'accusa contestò la sussistenza dei primi due requisiti, valutando la rappresaglia sproporzionata e irragionevole (avrebbe viceversa ritenuto legittima la demolizione con esplosivo delle case di via Rasella), mentre non considerò il terzo in quanto non era stato coinvolto nessun interesse neutrale e «il crimine per cui [era stata adottata] la rappresaglia era stato commesso da non combattenti». Riscontrando la mancanza dei requisiti di legittimità della rappresaglia, la corte emise nei confronti di entrambi gli imputati una sentenza di condanna a morte tramite fucilazione[6] (metodo di esecuzione considerato più onorevole dell'impiccagione praticata a Norimberga).

Il 29 giugno 1947, seguendo la stessa sorte della condanna a morte inflitta in quell'anno al feldmaresciallo Kesselring, le condanne di von Mackensen e Mälzer furono commutate in ergastolo dal generale John Harding, comandante in capo delle forze britanniche in Europa, a cui spettava il giudizio di secondo grado. Reclusi nel carcere di Werl, Mälzer vi morì nel marzo 1952, mentre von Mackensen fu graziato nell'ottobre dello stesso anno insieme a Kesselring.

Il processo Kesselring (1947)[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Processo ad Albert Kesselring.
Kesselring sul banco degli imputati a Venezia

Il 17 febbraio 1947 iniziò a Venezia il processo al feldmaresciallo Albert Kesselring, considerato il massimo responsabile della conduzione della guerra antipartigiana in Italia. Per il massacro delle Fosse Ardeatine fu avanzato il primo dei due capi d'imputazione: «coinvolgimento nell'uccisione, per rappresaglia, di circa 335 cittadini italiani»[8].

Il processo, celebrato a Venezia dal febbraio al maggio 1947, si concluse con una condanna a morte tramite fucilazione, non eseguita per intervento del governo britannico.

Il processo Kappler (1948-1952)[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Processo a Herbert Kappler.
Kappler dinanzi al tribunale militare di Roma

Nel 1948 fu celebrato il processo a carico del tenente colonnello (SS-Obersturmbannführer) Herbert Kappler e di alcuni dei suoi subordinati del servizio di sicurezza che avevano partecipato all'eccidio: il maggiore (SS-Sturmbannführer) Borante Domizlaff, il capitano (SS-Hauptsturmführer) Hans Clemens, il maresciallo capo (SS-Hauptscharführer) Johannes Quapp, il maresciallo ordinario (SS-Oberscharführer) Kurt Schütze e il sergente maggiore (SS-Scharführer) Karl Wiedner.

Il processo civile per via Rasella (1949-1957)[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Processo civile per l'attentato di via Rasella.

Sulla base della qualificazione dell'attentato di via Rasella come atto illegittimo operata dalla sentenza di primo grado del processo Kappler, nel 1949 diverse persone variamente danneggiate dall'attentato e dalle sue conseguenze intrapresero un'azione civile presso il Tribunale di Roma, per ottenere il risarcimento dei danni da parte dei responsabili dell'azione gappista.

Agirono in giudizio i parenti di alcune vittime delle Fosse Ardeatine: i familiari dei fratelli Alfredo e Adolfo Sansolini (militanti socialisti)[9][10], di Amedeo Lidonnici (arrestato insieme al cugino Gaetano Forte, carabiniere e militante demolaburista)[11], dei fratelli Gino e Duilio Cibei (arrestati con l'accusa di sabotaggio)[12][13], a cui poi si aggiunsero i genitori dei fratelli Italo e Spartaco Pula (militanti del Partito d'Azione)[14][15], i genitori di Antonio Pisino (partigiano di Bandiera Rossa)[16] e la vedova di Augusto Renzini (membro del Fronte clandestino di resistenza dei carabinieri)[17]. Facevano parte del gruppo degli attori anche Orfeo Ciambella ed Efrem Giulianetti, rimasti feriti nell'attentato, e Giorgio e Giorgina Stafford, i quali avevano subito il saccheggio del proprio appartamento da parte di truppe tedesche o fasciste accorse sul posto dopo l'esplosione e la seconda anche gravi danni alla persona per effetto della stessa. I genitori di Piero Zuccheretti, dodicenne ucciso dalla deflagrazione, non aderirono all'azione legale in quanto non informati[18].

Furono citati in giudizio i tre membri di sinistra della giunta militare del CLN, il comunista Giorgio Amendola (deputato), l'azionista Riccardo Bauer e il socialista Sandro Pertini (senatore), e i gappisti Carlo Salinari, Franco Calamandrei e Rosario Bentivegna, i quali avevano tutti affermato il proprio coinvolgimento nella decisione e nell'esecuzione dell'attentato nel corso delle testimonianze da loro rese nel processo Kappler. Il collegio difensivo comprendeva alcuni tra i più importanti avvocati del tempo: Fausto Gullo (deputato e già ministro della Giustizia), il professor Arturo Carlo Jemolo (professore dell'Università di Roma), Federico Comandini, Saverio Castelletti, Paolo Greco (professore dell'Università di Torino) e Dante Livio Bianco[19]; morto quest'ultimo nel 1953, fu sostituito da Carlo Galante Garrone[20].

L'iniziativa fu disapprovata dall'Associazione Nazionale Famiglie Italiane Martiri (ANFIM), nata dopo la liberazione di Roma per rappresentare i familiari delle vittime del massacro delle Fosse Ardeatine, mentre il padre dei fratelli Cibei rinunciò all'azione, poiché – secondo quanto comunicò al proprio difensore – nel riesaminare il testo della citazione a comparire «con maggiore tranquillità di animo» si convinse «che l'azione giudiziaria tende[va] a perseguire scopi dei quali non [si era] reso esattamente conto» in un primo momento[21].

Secondo la tesi degli attori, l'attentato di via Rasella[22][23].

Il Tribunale, con sentenza in data 26 maggio-9 giugno 1950, respinse la richiesta di risarcimento e riconobbe che l'attentato «fu un legittimo atto di guerra», per cui «né gli esecutori né gli organizzatori possono rispondere civilmente dell'eccidio disposto a titolo di rappresaglia dal comando germanico»[24]. «L'atto di guerra, da chiunque attuato nell'interesse della propria Nazione, non è di per sé, e per il singolo, da considerarsi illecito, salvo che tale non sia espressamente qualificato da una norma di legge interna». La mancanza di comandanti e di uniformi militari manifesti è resa inevitabile dalle condizioni di clandestinità giustificate dal tipo di combattimento; dunque via Rasella è un atto di guerra a danno di un nemico che occupa in stato guerra il territorio, ed è da escludersi «che la morte o il ferimento dei cittadini che si trovavano casualmente in quel luogo siano stati voluti, e che sia stato voluto il successivo eccidio delle Cave Ardeatine»[25][26][27].

Con sentenza in data 5 maggio 1954, la Corte d'Appello civile di Roma confermò la sentenza di primo grado. L'attentato «ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra, essendosi verificato durante l'occupazione della città ed essendosi risolto in prevalente se non esclusivo danno delle forze armate germaniche. I competenti organi dello Stato non hanno ravvisato alcun carattere illecito nell'attentato di via Rasella, ma anzi hanno ritenuto gli autori degni del pubblico riconoscimento, che trae seco la concessione di decorazioni al valore; lo Stato ha completamente identificato le formazioni volontarie come propri organi, ha accettato gli atti di guerra da esse compiuti, ha assunto a suo carico e nei limiti consentiti dalle leggi le loro conseguenze. Non vi sono quindi rei da una parte, ma combattenti; non semplici vittime di una azione dannosa dall'altra, ma martiri caduti per la Patria»[28][29].

Con sentenza emanata in data 11 maggio 1957 e pubblicata il successivo 2 agosto, la Corte di Cassazione ribadì il carattere di legittima azione di guerra dell'attentato, disattendendo la tesi dei ricorrenti secondo i quali non avrebbe potuto trattarsi di atto di guerra in quanto all'epoca Roma era città aperta. Secondo il resoconto di Zara Algardi, la Corte ritenne provato «che la formula della "città aperta" era stata fittizia: i nazisti transitavano infatti per le vie della città con le loro colonne motorizzate e gli angloamericani la bombardarono più volte dal cielo. La dichiarazione che Roma era città aperta (...) non fu mai accettata dagli angloamericani. Né Roma fu mai rispettata come città aperta da parte della Germania, che disconosceva il legittimo governo italiano»[30]. La Corte affermò che ogni «attacco contro i tedeschi rispondeva agli incitamenti impartiti dal governo legittimo... e costituiva quindi un atto di guerra riferibile allo stesso governo»[31][32][33].

Rinviata la causa per l'attentato di via Rasella, in Il Popolo, 15 febbraio 1950, p. 4.

http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/1958_Pafundi_BCG.pdf#page=39

Il processo Priebke (1996-1999)[modifica | modifica wikitesto]

http://www.difesa.it/GiustiziaMilitare/RassegnaGM/Processi/Priebke_Erich/Pagine/default.aspx

http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?file=golpdf/uni_1996_08.pdf/07INT01A.pdf

http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/golpdf/uni_1996_08.pdf/06INT02A.pdf

http://leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed775/bt01.htm

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/10/01/ecco-perche-priebke-non-punibile.html

Il procedimento penale per via Rasella (1997-1999)[modifica | modifica wikitesto]

Strage di via Rasella: "No all'archiviazione", in Corriere della Sera, 3 maggio 1997.

Maria Antonietta Calabrò, "Via Rasella fu un atto di guerra illegittimo", in Corriere della Sera, 28 giugno 1997.

Michele Brambilla, "Questi processi sono vere rappresaglie", in Corriere della Sera, 28 giugno 1997.

Maria Corbi, «Quel giudice studi la storia», in La Stampa, 28 giugno 1997.

Wladimiro Settimelli, «Via Rasella fu atto illegittimo di guerra». Il giudice mette sotto accusa i partigiani (PDF), in l'Unità, 28 giugno 1997.

Daniele Mastrogiacomo, I partigiani sott'accusa, in la Repubblica, 28 giugno 1997.

Giorgio Bocca, Sdoganato Kappler, in la Repubblica, 28 giugno 1997.

Con la toga da 26 anni è al vertice della carriera, in la Repubblica, 28 giugno 1997.

Mauro Remondino, Valiani: "No, anche Churchill disse di uccidere i tedeschi", in Corriere della Sera, 28 giugno 1997.

Silvio Lanaro, Quel giudice dichiara criminale tutta la Resistenza, in l'Unità, 28 giugno 1997, pp. 1 e 6.

Paolo Mondani, «Aberrante il giudizio su via Rasella». Napolitano duro sulla scelta del gip (PDF), in l'Unità, 29 giugno 1997.

m s c, 'Non si processa la storia', in la Repubblica, 29 giugno 1997.

Massimo Novelli, 'Che coincidenze con Priebke...', in la Repubblica, 29 giugno 1997.

R. I., Scalfaro: un giudice non processa la storia, in Corriere della Sera, 29 giugno 1997.

Franco Coppola, 'Sì, cancellano la Resistenza', in la Repubblica, 29 giugno 1997.

La richiesta del gip Pacioni di riaprire le indagine sull'attentato di via Rasella a Roma, su radioradicale.it, 29 giugno 1997. URL consultato il 9 ottobre 2022.

R. I., "Giudici, siete figli della Liberazione", in Corriere della Sera, 30 giugno 1997.

Davide Giacalone, Via Rasella in Tribunale, 1997.

'Non si può riscrivere la storia', in la Repubblica, 30 giugno 1997.

(ES) Los partisanos. Polémica en Italia por un atentado antinazi, in Clarín, 30 giugno 1997. URL consultato il 19 luglio 2018.

Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, La Resistenza non si cancella (PDF), in l'Unità, 1º luglio 1997, p. 6.

Il punto sulla vicenda giudiziaria dell'attentato di via Rasella, su radioradicale.it, 1º luglio 1997. URL consultato il 9 ottobre 2022.

(FR) Ariel F. Dumont, Réquisitoire contre la Résistance italienne, in L'Humanité, 1º luglio 1997. URL consultato il 9 giugno 2018.

Dino Martirano, Dino Messina, Flick: nessun intervento su via Rasella, in Corriere della Sera, 3 luglio 1997.

a.cap., E il Quirinale chiamò il CSM: su via Rasella quel GIP si sbaglia, in la Repubblica, 3 luglio 1997.

Ernesto Galli della Loggia, Se il giudice fa lo storico, in Corriere della Sera, 3 luglio 1997.

r. cri., Il ministro Flick «Via Rasella atto di guerra», in La Stampa, 3 luglio 1997, p. 13.

Flick: «Non intervengo per la decisione su via Rasella», in l'Unità, 3 luglio 1997, p. 12.

Indro Montanelli, Caso Moro: non c'è più nulla da scoprire, in Corriere della Sera, 6 luglio 1997. URL consultato il 25 aprile 2017 (archiviato dall'url originale l'8 novembre 2015).

Giampaolo Pansa, Noi, belligeranti illegittimi, in L'Espresso, XLIII, n. 27, 10 luglio 1997, pp. 64-66.

Mario Scialoja, Ve la do io la storia, in L'Espresso, XLIII, n. 27, 10 luglio 1997, pp. 66-67.

Una veglia su via Rasella, in La Stampa, 11 luglio 1997.

R. R., Via Rasella, la Procura chiede una nuova archiviazione, in Corriere della Sera, 10 dicembre 1997.

Il pm su via Rasella: «Non fu reato» (PDF), in l'Unità, 10 dicembre 1997.

http://www.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed221/pdfbt03a.pdf http://legislature.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed222/s030.htm

Il gip di via Rasella chiede di lasciare, in Corriere della Sera, 31 gennaio 1998.

Claudio Lazzaro, Archiviata l'inchiesta su via Rasella, in Corriere della Sera, 17 aprile 1998.

Wladimiro Settimelli, Via Rasella: «Voleva essere una strage». Archiviata l'inchiesta sull'attentato (PDF), in l'Unità, 17 aprile 1998.

22 luglio 1998 http://leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/ivquater/035/divq035.pdf

«Resistenza riabilitata» (PDF), in l'Unità, 25 febbraio 1999.

http://legislature.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed222/s030.htm

http://archivio.agi.it/articolo/7fc2fc08b4fbfc8511c97a2b2ee5228e_19980416_via-rasella-strage-amnistiata-era-contro-i-nazisti/

Con l'ordinanza del 16 aprile 1998, il giudice per le indagini preliminari di Roma, Maurizio Pacioni, disponeva l'archiviazione del procedimento penale a carico di Rosario Bentivegna, Carla Capponi e Pasquale Balsamo, iniziato a seguito di una denuncia presentata da alcuni parenti delle vittime civili dell'attacco. Il Giudice escludeva la qualificazione dell'atto come legittima azione di guerra, ravvisando tutti gli estremi oggettivi e soggettivi del reato di strage, altresì rilevando tuttavia l'estinzione del reato a seguito dell'amnistia prevista dal decreto 5 aprile 1944 per tutti i reati commessi "per motivi di guerra".

Decidendo con sentenza n.1560/99[34] sul ricorso presentato da Bentivegna, Balsamo e Capponi, la prima sezione penale della Corte di Cassazione annullava la precedente ordinanza, affermando per la prima volta in sede penale la natura di legittimo atto di guerra dell'attacco di Via Rasella. La legittimità dell'azione, per la Suprema Corte, deve essere «valutata nel suo complesso, senza che sia possibile scinderne le conseguenze a carico dei militari tedeschi che ne costituivano l'obiettivo da quelle coinvolgenti i civili che ne rimasero vittima, in rapporto alla sua natura di "azione di guerra"». Tra i vari elementi a supporto della legittimità dell'azione, la Corte ha citato la sentenza emessa il 25 ottobre 1952 dal Tribunale Supremo Militare[35] nell'ambito del processo Kappler, facendo riferimento a una copia viziata da un refuso: dalla frase «commesso da persone che non hanno la qualità di legittimi belligeranti» era omessa la parola «non», cosicché il suo significato risultava stravolto. A causa di ciò, la Corte ha erroneamente assunto che la sentenza del 1952 avesse «rovesciato» la qualificazione dell'attentato come atto illegittimo operata dalla prima sentenza Kappler del 1948. Secondo il filosofo del diritto Vincenzo Zeno-Zencovich la vicenda, emblematica della fragilità delle ricostruzioni giudiziarie in materia storica, dimostra che «nessuna sentenza di assoluzione potrà sopire il dibattito sulla opportunità o sulla temerarietà dell'attentato del 23 marzo 1944»[36].

Altri procedimenti giudiziari[modifica | modifica wikitesto]

Familiari di Pietro Caruso contro Documento Film[modifica | modifica wikitesto]

Resta e Zeno-Zencovich 2013, p. 869 e ss.

Gappisti contro Giorgio Pisanò[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1962 il saggista Giorgio Pisanò, già milite della RSI e storico esponente della destra neofascista, nel suo libro intitolato Sangue chiama sangue sostenne una teoria del complotto secondo cui lo scopo dell'attentato di via Rasella era l'eliminazione, tramite la previdibile rappresaglia tedesca, di esponenti della Resistenza romana rivali del PCI.

Secondo quanto riporta lo storico Joachim Staron, Pisanò fu citato in giudizio per diffamazione dai partigiani e fu assolto[37].

Elena Rossignani contro Robert Katz, George Pan Cosmatos e Carlo Ponti[modifica | modifica wikitesto]

Giorgio Amendola e Antonello Trombadori contro Giorgio Almirante e Marco Pannella[modifica | modifica wikitesto]

Mirella Serri, I partigiani: «Falsificazione della storia», in La Stampa, 28 giugno 1997, p. 5. (archiviazione)

Erich Priebke contro Rosario Bentivegna[modifica | modifica wikitesto]

https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/file/Inventario%20del%20Fondo%20Rosario%20Bentivegna%201944-2012.pdf#page=17

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/10/28/quegli-autori-mi-diffamano-priebke-chiede-un.html

Erich Priebke contro Rosetta Stame[modifica | modifica wikitesto]

http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/13_ottobre_12/rosetta-stame-figlia-una-vittima-dd4a2c30-3363-11e3-b13e-20d7e17127ae.shtml

Rosario Bentivegna contro Il Giornale[modifica | modifica wikitesto]

Il 7 agosto 2007 la Cassazione ha confermato la condanna al risarcimento inflitta dalla Corte d'appello di Milano al quotidiano Il Giornale per diffamazione ai danni di Rosario Bentivegna[38][39]. La Corte, partendo dalla qualificazione dell'attacco come legittimo atto di guerra rivolto a colpire esclusivamente i militari occupanti, ha ritenuto che alcune affermazioni contenute in articoli pubblicati dal quotidiano milanese nel 1996, per i Supremi Giudici tendenti a parificare le responsabilità degli esecutori dell'attacco di Via Rasella e dei comandi nazisti nella causazione della strage delle Fosse Ardeatine, erano gravemente lesive dell'onorabilità personale e politica del Bentivegna. Le affermazioni del Giornale furono:

  • che il Battaglione "Bozen" fosse costituito interamente da cittadini italiani, mentre per la Cassazione facendo parte dell'esercito tedesco, i suoi componenti erano sicuramente altoatesini che avevano optato per la cittadinanza germanica.
  • che i componenti del "Bozen" fossero «vecchi militari disarmati», mentre per la Cassazione essi erano «soggetti pienamente atti alle armi, tra i 26 e i 43 anni, dotati di sei bombe e "machine­pistolen"».
  • che le vittime civili fossero sette, mentre per la Cassazione nessuno mette più in discussione che furono due.
  • che dopo l'attacco erano stati affissi manifesti in cui si intimava ai responsabili dell'attacco di consegnarsi per evitare una rappresaglia ma, per la Corte l'asserzione trova puntuale smentita nel fatto che la rappresaglia delle Fosse Ardeatine era iniziata circa 21 ore dopo l'attacco, e soprattutto nella direttiva del Minculpop la quale disponeva che si tenesse nascosta la notizia di Via Rasella, che venne effettivamente data a rappresaglia già avvenuta.

Anna Tarquini, «Via Rasella legittimo atto di guerra»: il Giornale condannato (PDF), in l'Unità, 8 agosto 2007.

Rosario Bentivegna contro Giuliano Castellino[modifica | modifica wikitesto]

http://www.circoloculturalemontesacro.it/cultura/storia/newsletter_memoria/newsletter_memoria_3.html

Fosse ardeatine sentenza choc, in la Repubblica, 9 febbraio 2007.

Wladimiro Settimelli, Il giudice calpesta la Storia: le Ardeatine? Colpa dei partigiani (PDF), in l'Unità, 9 febbraio 2007.

http://leg15.camera.it/resoconti/resoconto_allegato.asp?idSeduta=109&resoconto=bt01&param=n4-02597

Giancarlo Scarpari, Il giudice e la storia: il massacro delle Fosse Ardeatine, in Il Ponte, LXIII, n. 5-6, Firenze, Il Ponte Editore, maggio-giugno 2007, pp. 88-92.

Elena Bentivegna contro Il Tempo[modifica | modifica wikitesto]

Il 22 luglio 2009 la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di Elena Bentivegna (figlia di Carla Capponi e Rosario Bentivegna) contro il quotidiano Il Tempo che aveva pubblicato un articolo dove gli autori dell'attacco di via Rasella venivano definiti "massacratori di civili". La sentenza ha stabilito che l'epiteto utilizzato è lesivo della dignità dei partigiani e per questo diffamatorio, in quanto quello di via Rasella fu "legittimo atto di guerra contro il nemico occupante".[40]

https://www.jstor.org/stable/23205360

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Arringa del pubblico ministero, citata in Algardi 1973, p. 84.
  2. ^ Algardi 1973, p. 87.
  3. ^ Pezzino 2001, pp. 11-13.
  4. ^ Pezzino 2001, pp. 14-15.
  5. ^ Pezzino 2001, pp. 15-18.
  6. ^ a b c Processo al generale von Mackensen e al generale Maelzer, Rapporto sui processi ai Criminali di Guerra. La Commissione delle Nazioni Unite sui Crimini di Guerra Volume VIII, Londra, HMSO, 1948 (originale in inglese, pp. 1-7), da difesa.it. N.B. Nella pagina il processo è erroneamente datato al 1945.
  7. ^ Mackensen si difende, in La Stampa, 24 novembre 1946.
  8. ^ Processo al feldmaresciallo Albert Kesselring, Rapporto sui processi ai Criminali di Guerra. La Commissione delle Nazioni Unite sui Crimini di Guerra Volume VIII, Londra, HMSO, 1949 (originale in inglese, pp. 9-14), da difesa.it.
  9. ^ Alfredo Sansolini, scheda su mausoleofosseardeatine.it. I collegamenti nelle note successive rinviano a schede contenute nello stesso sito.
  10. ^ Adolfo Sansolini.
  11. ^ Amedeo Lidonnici.
  12. ^ Gino Cibei.
  13. ^ Duilio Cibei
  14. ^ Italo Pula.
  15. ^ Spartaco Pula.
  16. ^ Antonio Pisino.
  17. ^ Augusto Renzini.
  18. ^ Intervista a Giovanni Zuccheretti, fratello di Piero, in Portelli 2012, pp. 233-5.
  19. ^ Eredi di vittime delle Ardeatine chiedono danni al C.L.N., in La Stampa, 7 giugno 1949.
  20. ^ http://metarchivi.istoreto.it/biografie/p_bio_vis.asp?id=464
  21. ^ Il padre di due martiri ritira la denuncia contro i GAP (PDF), in l'Unità, 26 marzo 1949, p. 2.
  22. ^ L'inizio della causa per l'attentato di via Rasella (PDF), in l'Unità, 13 luglio 1949, p. 4.
  23. ^ Si riprende il processo per i fatti di via Rasella, in Il Popolo, 3 febbraio 1950, p. 2.
  24. ^ Tribunale civile di Roma, sentenza del 26 maggio-9 giugno 1950, citata in Algardi 1973, p. 104.
  25. ^ Tribunale civile di Roma, sentenza del 26 maggio-9 giugno 1950.
  26. ^ L'attentato di via Rasella è stato un atto di guerra, in La Stampa, 10 giugno 1950.
  27. ^ La Magistratura conferma la legittimità dell'azione di guerra di Via Rasella (PDF), in l'Unità, 10 giugno 1950, p. 1.
  28. ^ Corte d'Appello civile di Roma, prima sezione, sentenza 5 maggio 1954, citata in Algardi 1973, p. 104.
  29. ^ Encomiabile atto di guerra l'azione dei GAP a via Rasella (PDF), in l'Unità, 8 maggio 1954, p. 4.
  30. ^ Algardi 1973, p. 105.
  31. ^ Corte di Cassazione di Roma, Sezioni Unite, sentenza 11 maggio 1957, citata in Algardi 1973, p. 105. L'omissione segnalata dai puntini di sospensione è così nel testo di Algardi.
  32. ^ g. g., Roma non è stata una "città aperta", in La Stampa, 10 maggio 1957.
  33. ^ La Cassazione definisce atto di guerra l'azione dei partigiani in via Rasella (PDF), in l'Unità, 10 maggio 1957, p. 1.
  34. ^ Sentenza della Corte Suprema di Cassazione n.1560 del 23 febbraio 1999.
  35. ^ La sentenza n. 1714, erroneamente citata come sentenza n. 1711.
  36. ^ Vincenzo Zeno-Zencovich, Il refuso che cambia la Storia, in Domenica (inserto de Il Sole 24 Ore), 25 marzo 2012.
  37. ^ Staron 2007, p. 241. L'autore non indica la data precisa del processo, citando sul punto uno scritto del 1976 reperito nel fondo Herbert Kappler.
  38. ^ "Repubblica" online del 7 agosto 2007, "Cassazione: 'Via Rasella fu atto di guerra' - Il Giornale condannato per diffamazione"
  39. ^ la sentenza della Cassazione, 6 agosto 2007, n. 17172.
  40. ^ [1]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

  Portale Seconda guerra mondiale: accedi alle voci di Wikipedia che parlano della seconda guerra mondiale

[[Categoria:Processi per l'eccidio delle Fosse Ardeatine e per l'attentato di via Rasella| ]