Ifigonia in Culide

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Ifigonia. Commedia e tragedia classica in tre atti
Dattiloscritto originale dell'opera, conservato a Torino nell'archivio del Centro Universitas Scholarium.
AutoreHertz De Benedetti
1ª ed. originale1928
Generepoema
Sottogeneregoliardia
Lingua originaleitaliano
AmbientazioneCorinto, 69 a.C.
ProtagonistiIfigonia
Altri personaggiRe di Corinto, Allah Ben Dhur, Don Peder Asta, Uccellone conte di Belmanico, Spiro Kito, Enter O' Clisma, In Man Lha, Bel Pistolino d'Oro, Coro di nobili, vergini e popolo

Ifigonia in Culide è un poemetto goliardico in tre atti, composto a Torino nel 1928 da Hertz De Benedetti, all'epoca studente astigiano di medicina, e in seguito medico urologo. Esso venne pubblicato in forma anonima, sotto forma di dattiloscritto senza data e senza firma, e per questo motivo per lunghi anni si fecero congetture di ogni tipo sull'autore, sulla sua città di provenienza e sulla datazione dell'opera.[1] Scritta in versi e strutturata come una tragedia greca (il titolo è un chiaro rimando a Ifigenia in Aulide), Ifigonia è una parodia burlesca del genere tragico che, come vuole lo spirito goliardico, fa ampio utilizzo di termini scurrili e allusioni sessuali. Il poemetto (divenuto uno dei simboli della goliardia italiana) ha avuto amplissima diffusione fra gli studenti di tutta Italia,[2] passando di mano in mano su edizioni clandestine riprodotte in proprio a mano o con la macchina per scrivere, delle quali venivano fatte altre copie ugualmente clandestine con la carta carbone, o riprodotte col ciclostile.[3]

A causa di questa modalità di diffusione dell'opera, le versioni dell'Ifigonia in circolazione possono essere differenti in alcune parti dalla versione originale, perché molti dei copisti vollero aggiungervi del loro sotto forma di rime, strofe e personaggi apocrifi.[4] Via via nel corso degli anni, ai versi venne associato dai copisti anche tutto un ricco apparato di glosse e note fuori testo fintamente serie ma in realtà umoristiche.[5]

Attribuzione dell'opera[modifica | modifica wikitesto]

La rivelazione del nome dell'autore si ebbe nel 1975 grazie a Cesare Perfetto, inventore e patron del Salone Internazionale dell'Umorismo di Bordighera. Egli volle assegnare in quell'anno il premio Rama di Palma d'oro proprio ad Ifigonia, consegnando il premio nelle mani di colui che l'aveva composta.[6] L'autore, Hertz De Benedetti,[7] aveva scritto il suo poemetto nel 1928 quando, giovane goliarda, frequentava la Facoltà di medicina a Torino[8] e partecipava nel contempo molto attivamente alla scapigliata vita goliardica torinese guidata all'epoca da Ovidio Borgondo (detto Cavur),[9] autore e attore in tutte le riviste teatrali studentesche torinesi degli anni venti e trenta, messe in scena con la Compagnia Teatrale Goliardica Camasio e Oxilia che Borgondo stesso aveva fondato.[5] Il titolo originario era Ifigonia. Commedia e tragedia classica in tre atti.[10] Nelle sue memorie, scritte dopo la guerra e dedicate al suo ventennio di vita universitaria, Cavur non mancò di nominare (pur indirettamente, attraverso il suo soprannome goliardico)[11] l'amico Hertz De Benedetti,[12] e di raccontare la nascita davanti ai suoi occhi del poemetto, da Cavur definito «un capolavoro che fece, e continua a fare, il giro di tutte le scuole, i collegi e le Università d'Italia».[13] De Benedetti, conseguita la laurea, si specializzò in urologia e si trasferì a Vercelli, ma allo scoppio della seconda guerra mondiale fu richiamato in servizio come ufficiale medico e inviato in Montenegro. Dopo la guerra continuò a lavorare presso il reparto di Urologia dell'Ospedale di Vercelli e ne divenne il Primario.

Prima diffusione tramite copie dattiloscritte[modifica | modifica wikitesto]

Per oltre quarant'anni, nonostante l'immediato successo, nessuno osò pubblicarla a stampa, e Ifigonia (come già detto) circolò per tutta la Penisola soltanto in copie uniche dattiloscritte semiclandestine, ma ciò non ostacolò affatto la sua diffusione.[14] Nel 1961 a Torino un gruppo di goliardi avrebbe voluto pubblicare a stampa il poemetto (ormai divenuto celeberrimo), commentandolo con note e postille e arricchendolo con sedici disegni relativi alle parti salienti del testo, e aveva già preso accordi con una tipografia.[15] Tale edizione però non vide mai la luce, perché l'avvocato Roberto Vittucci Righini, a quel tempo alla testa del M.O.V.A.T. (Maximus Ordo Victoriae Augusta Taurinorum),[15] dissuase fermamente sia i goliardi che la tipografia dal procedere alla sua stampa e alla diffusione, reputando troppo elevato (nella temperie sociale italiana dell'epoca) il rischio di guai giudiziari che ne sarebbe derivato.[16]

Ifigonia stampata[modifica | modifica wikitesto]

Le prime versioni stampate di Ifigonia comparvero in vendita a Torino sulle bancarelle dei libri usati[17] soltanto nel 1969, in calce al Libretto Rosso dell'Universitario (una raccolta scherzosa di canti goliardici)[18] quando la rivoluzione sessuale degli anni sessanta aveva ormai operato un sostanziale mutamento nella morale comune (anche se le prime edizioni non indicavano né il nome vero dell'editore, né la città di edizione). Nel 1970 l'Ifigonia venne inclusa in una raccolta di canti goliardici curata da Alfredo Castelli[19] e Roberto Brivio,[20] pubblicata (in attinenza alle strofe spudorate) come allegato a La Mezz'ora, una delle storiche riviste erotiche italiane rivolte al pubblico maschile edite a Milano in quegli anni. Nel 1971 a Roma venne pubblicata in edizione propria, abbinata al poemetto ottocentesco Processo di Sculacciabuchi con prefazione del giornalista Enrico de Boccard.

Hertz De Benedetti accettò di uscire allo scoperto come autore del poema soltanto nel 1975, quando si era ormai ritirato dalla professione medica.[6] Non rivendicò mai alcun diritto d'autore sulla sua opera.

Ifigonia in teatro[modifica | modifica wikitesto]

È testimoniata[21] la prima recita pubblica di Ifigonia nello stesso 1928 a Torino, sotto i portici di piazza Carlo Felice davanti alla Casa del Caffè, da parte dello stesso Hertz De Benedetti, che declamò le prime strofe del poemetto che stava componendo per sottoporle al giudizio degli amici della Nave Ammiraglia. Ma Ifigonia, qualche anno dopo (nel 1939), venne recitata al Teatro Carignano di Torino. Si trattò di un'unica rappresentazione serale, che riuscì a ottenere il visto della censura come spettacolo ad inviti, limitato al solo pubblico maschile maggiorenne. Questa rappresentazione ebbe luogo grazie agli sforzi di Giò Lanza, goliarda anch'egli, membro della Compagnia Teatrale Goliardica Camasio e Oxilia, che ne compose anche le musiche. La scelta del teatro non avvenne per caso: proprio in quel teatro nello stesso 1939 la rivista goliardica Giovanotti in aula!, la più famosa e la più fortunata tra quelle allestite dalla Compagnia Teatrale Goliardica Camasio e Oxilia, era rimasta in scena da gennaio ad aprile e con successo di pubblico. Gli interpreti di questa Ifigonia furono gli stessi goliardi-attori che avevano preso parte a Giovanotti in aula!, con Hertz De Benedetti con una parrucca dalle lunghe trecce bionde nella parte della protagonista. Giò Lanza, musicista, dagli anni cinquanta lavorò poi nel campo della pubblicità presso l'Agenzia Armando Testa, e nel 1961 riutilizzò per il Carosello della carne Simmenthal interpretato da Walter Chiari e Sylva Koscina la musichetta da lui creata nel 1939 per la strofa dell'Ifigonia: «Noi siamo felici, noi siamo contenti / le chiappe del culo porgiam riverenti (...)».

Il 1º febbraio 2014 l'Associazione Goliardica Turritana di Sassari, in collaborazione con l'Università degli Studi di Sassari, il Conservatorio di Musica "Luigi Canepa", l'Accademia di Belle Arti "Mario Sironi" e la compagnia teatrale MabTeatro ha allestito una rappresentazione dell'opera presso il teatro "Giuseppe Verdi" di Sassari[22]

Trama[modifica | modifica wikitesto]

Nonostante l'assonanza del titolo, la trama della tragedia non è affatto ispirata all'Ifigenia in Aulide, ma è piuttosto la parodia della trama della Turandot di Giacomo Puccini la quale a sua volta, riprendeva la vicenda dell'originaria Turandot, fiaba teatrale del 1762 di Carlo Gozzi. La Turandot di Puccini, dopo la prima alla Scala di Milano il 26 aprile 1926, andò in scena al Teatro Regio di Torino il 17 marzo 1927 (alla presenza di Umberto II di Savoia, allora Principe di Piemonte), e rimase per lungo tempo in cartellone, con successo e con una grande eco di stampa.[23] Le sue melodie (come la celebre Nessun dorma) ebbero un'immediata presa popolare. Hertz De Benedetti ebbe l'idea di scrivere il suo poema dopo aver assistito alla rappresentazione di quest'opera al Regio. È curioso notare però, per bizzarra coincidenza, come i personaggi del Re e della sua figliola sembrino avere dei punti in comune con il Re Bischerone del pisano Domenico Luigi Batacchi, di cui si riporta l'incipit:

«Sopra il trono sedea di Pontadera
- siccome scrive il padre Sparagione -
un re congiunto a un'orrida mogliera;
Lasagna, ella chiamossi; ei Bischerone;
e gentil figlia avean, che gran prurito
sentia, dove grattarselo è proibito.»

Atto primo[modifica | modifica wikitesto]

Il dramma si svolge nella reggia di Corinto, nell'anno 69 a.C. La principessa Ifigonia, tormentata da incontenibili prurigini erotiche nella zona vaginale e stanca di essere costretta a rimanere forzatamente vergine, chiede al Re suo padre di trovarle al più presto un marito, aitante e (soprattutto) ben dotato, con cui trovare sollievo potendosi congiungere carnalmente. Sotto consiglio del gran sacerdote Enter O' Clisma il sovrano bandisce in tutta fretta un concorso, e decide che gli aspiranti sposi, per poter ottenere la mano di sua figlia, dovranno risolvere un indovinello.

Atto secondo[modifica | modifica wikitesto]

Si presentano gli aspiranti sposi. I primi tre (Allah Ben Dhur, Don Peder Asta e Uccellone conte di Belmanico) non hanno fortuna, e vengono condannati dal sovrano a pene severe per aver sbagliato. Sarà invece Spiro Kito (il cui nome, oltre che la parodia del nome dell'Imperatore del Giappone, è un riferimento al batterio Treponema pallidum appartenente al phylum spirochaetes, agente patogeno della sifilide)[24] a risolvere il suo indovinello e a ottenere la mano di Ifigonia.

Atto terzo[modifica | modifica wikitesto]

Dopo le nozze, invece di assolvere al suo debito coniugale, Spiro Kito evita con ogni pretesto di entrare nel letto della sposa. Ifigonia, sempre più irritata e stanca di aspettare la consumazione del matrimonio, affronta di petto il marito e gli chiede spiegazioni sul perché della lunga attesa. Spiro Kito, avvilito, le svela di celare un terribile segreto: egli non potrà mai accontentarla, perché è totalmente privo di pene. E, piangendo, le racconta di come l'abbia perso: esso gli è stato roso, senza che lui se ne accorgesse, da un terribile e famelico verme solitario, che abitava stabilmente l'intestino di un bonzo che egli aveva sodomizzato. Spiro Kito invita quindi Ifigonia a rassegnarsi al destino. Ma Ifigonia, lungi dal rassegnarsi, impazzisce per la collera, e quando il padre ignaro di tutto e premuroso si presenta sulla porta della camera dei due sposi recando in dono un vasetto di vaselina per agevolare gli amanti, ella sfoga tutta la sua rabbia gettandosi contro di lui e castrandolo a morsi. Il dramma si conclude con il suicidio di Ifigonia che, ancora in preda alla follia, si getta nel water e scompare azionando lo sciacquone.

I protagonisti[modifica | modifica wikitesto]

  • Il Re di Corinto, padre di Ifigonia
  • Ifigonia, la protagonista
  • Allah Ben Dhur, primo pretendente, nobile arabo
  • Don Peder Asta, secondo pretendente, nobile spagnolo
  • Uccellone conte di Belmanico, terzo pretendente, nobile italiano
  • Spiro Kito, quarto pretendente, nobile giapponese
  • Enter O' Clisma, gran sacerdote
  • In Man Lha, gran cerimoniere
  • Bel Pistolino d'Oro, elefante sacro
  • Coro di nobili, vergini e popolo

Opere derivate[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1976 nel film Cugine mie viene messa brevemente in scena.

Nel 1986 circa si dichiarava in vendita Ifigonia, videogioco d'avventura per home computer prodotto dalla Quickly Software di Milano[25][26], tuttavia non ci sono evidenze dirette della sua esistenza e forse si trattava di una burla[27][28].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Una voce, chiaramente priva di fondamento, attribuì per alcuni anni il Coro delle Vergini nientemeno che ad un giovane Gabriele D'Annunzio (questa leggenda si era diffusa tra gli studenti, equivocando scherzosamente con i titoli di due delle sue opere, Il libro delle vergini del 1884 e Le vergini delle rocce del 1895).
  2. ^ Ifigonia era così popolare che di essa comparve nel 1970 persino una parodia a fumetti, la Nasonia, ripulita ad uso del pubblico giovanissimo cui era destinata. Vi agivano le caricature di Claudio Villa (il Re), Mike Bongiorno (il Gran Cerimoniere), il Professor Cutolo (il Gran Sacerdote), Antonella Steni (Nasonia) e, tra i pretendenti, i nasutissimi Gino Bartali, Nicola Arigliano e Giorgio Gaber, quest'ultimo vincitore della gara. La tragedia si concludeva quando Giorgio Gaber rivelava di essere in realtà il paffuto Bobby Solo. Nasonia estirpava le tonsille al canoro genitore e si suicidava.
  3. ^ Benigni derubato dai politici, in Corriere della Sera, 13 novembre 1999. URL consultato il 19 luglio 2008 (archiviato dall'url originale il 17 dicembre 2014).
  4. ^ In una di queste versioni apocrife in circolazione il Re di Corinto veniva chiamato Banano I, e gli veniva attribuita anche una moglie, tale "Filippa".
  5. ^ a b Franco Ressa, A conti fatti, beati i matti: i Goliardi letterati, pag. 12.
  6. ^ a b Marco Albera, Manlio Collino, Aldo Alessandro Mola, Saecularia Sexta Album, Studenti dell'Università a Torino, Sei secoli di Storia, pag. 114.
  7. ^ Franco Ressa, A conti fatti, beati i matti: i Goliardi letterati, pag. 9.
  8. ^ Il dattiloscritto originale di Ifigonia venne esposto nel 2008 a Torino tra i pezzi in visione della mostra L'Università di Torino. Vicende e protagonisti di una storia plurisecolare, che si svolse dall'11 giugno al 24 luglio presso l'antico Palazzo dell'Università di Torino in via Po 17 (il palazzo, esempio di barocco piemontese e sede dell'Università fino al XIX secolo, risale al 1720 ed ospita oggi gli uffici del Rettorato).
  9. ^ Ovidio Borgondo detto “Cavur” (Cavur, scritto proprio così, senza la "o"), noto artista di teatro leggero e del varietà (Buenos Aires, Argentina, 1899-1961), di famiglia originaria di Crescentino, fu il protagonista della vita goliardica italiana e torinese tra le due guerre. Fuoricorso pluribollato, dopo diciassette anni passati ad Economia e Commercio cambiò Facoltà, si iscrisse a Giurisprudenza e si laureò finalmente nel Giugno del 1940, a quarant'anni, in Legge. Si iscrisse subito a Scienze Politiche, dove conseguì dopo un anno (nel novembre 1941), la sua seconda laurea. Si iscrisse successivamente a Medicina, ma dovette interrompere gli studi. Per giustificare la sua permanenza all'Università, aveva propalato in giro la falsa leggenda di essere beneficiario di un lascito di un ricco zio prete defunto, il quale avrebbe dato disposizione di corrispondergli il vitalizio fino a che egli fosse rimasto iscritto all'Ateneo. Ma si trattava di uno scherzo: anche se Cavur per gioco si divertiva ad impersonare lo studente inetto e nullafacente, in realtà per mantenersi lavorava come autore e attore di rivista, sfruttando la sua vena artistica sui palcoscenici di tutta Italia. Nell'ambito della scena teatrale torinese, dopo aver partecipato con successo alla rivista goliardica Fra gonne e colonne del 1928, scrisse e fu protagonista delle riviste studentesche Come me la godo! (1930, in collaborazione con Angelo Nizza e Riccardo Morbelli), Va' all'inferno! (1932), Meglio un asino vivo (1933, di nuovo in collaborazione con Angelo Nizza e Riccardo Morbelli), Attenzione, attenzione! (1937), Giovanotti in aula! (1939), Io?...Mai stato! (1945). Nell'allestimento delle sue riviste torinesi, Cavur si avvalse della collaborazione del regista dell'EIAR Riccardo Massucci, già regista del celeberrimo programma radiofonico I quattro moschettieri (che andò in onda dal 1934 al 1937 proprio dagli studi dell'EIAR di Torino).
  10. ^ Come si vede, le trascrizioni posteriori di successive generazioni di copisti ne hanno persino stravolto il titolo originale, aggiungendovi il suffisso "in Culide".
  11. ^ Il soprannome goliardico di Hertz De Benedetti, attributogli dagli amici dopo il 1928, era Ifigonia
  12. ^ Ovidio Borgondo Cavur, fin dagli anni venti, aveva riunito gli amici compagni di goliardia e di bagordi in un gruppo chiamato La Nave Ammiraglia (nel quale, oltre a Cavur nelle vesti di Ammiraglio, tutti i membri ricoprivano scherzosi incarichi marinareschi). Questo gruppo si ritrovava a Torino, in piazza Carlo Felice, presso la Casa del Caffè (un locale non più esistente, all'angolo con Corso Vittorio Emanuele). Anche Hertz De Benedetti fu uno dei "marinai" membri della Nave Ammiraglia, e tutti i compagni della Nave Ammiraglia presero poi parte alle riviste messe in scena da Cavur.
  13. ^ Marco Albera, Un ventennio di vita e teatro goliardico torinese: l'autobiografia inedita di Ovidio Borgondo detto Cavur, 1919-1942 (Tesi di Laurea), Torino, 1991.
  14. ^ D'altronde sarebbe stato molto rischioso stamparla: il Codice Zanardelli (risalente al 1889 e rimasto in vigore fino al 1930) comminava minaccioso all'art. 339 (oltre al sequestro dell'opera) la reclusione per «Chiunque offenda il pudore con scritture, disegni o altri oggetti osceni, sotto qualunque forma distribuiti o esposti al pubblico…» e il successivo Codice Rocco del 1930 all'art. 528 continuava a minacciare la galera per «Chiunque (…) metta in circolazione scritti, disegni, immagini o altri oggetti osceni di qualsiasi specie (…)».
  15. ^ a b Franco Ressa, A conti fatti, beati i matti: i Goliardi letterati, pag. 13
  16. ^ In effetti, anche la legge di Pubblica Sicurezza (T.U. 6-11-1926 n.1848), all'art.112. avvertiva che «non possono esporsi a pubblica vista, né offrirsi in vendita, né detenersi per vendere, né fabbricare (…) a fine di vendita o di distribuzione, scritti, stampati, incisioni, litografie, figure (…) offensivi della pubblica decenza…».
  17. ^ Ifigonia non fu messa in vendita nelle paludate librerie normali, ma sulle bancarelle dei venditori dei libri d'occasione (che a Torino si trovavano tradizionalmente in Corso Siccardi).
  18. ^ La versione di Ifigonia pubblicata nel 1969 non conteneva tutto il ricco apparato di note. Esso invece comparve integralmente sulla successiva edizione curata da Castelli e Brivio nel 1970 ne I Canti Goliardici, che proponeva la versione dell'Ifigonia diffusa a Milano dall'Ordo Spadonis negli anni sessanta, la quale a sua volta riprendeva la versione torinese (con le note) del 1961 (quella che si tentò inutilmente di editare).
  19. ^ Alfredo Castelli (Milano, 1947) è un fumettista italiano. È noto soprattutto per aver ideato, nel 1982, la sua serie di maggior successo: Martin Mystère, il detective dell'impossibile, tuttora pubblicata da Sergio Bonelli Editore con cadenza bimestrale. È anche uno storico del fumetto e di letteratura popolare.
  20. ^ Roberto Brivio (Milano, 1938) è un attore, autore, cantante, chansonnier e cabarettista italiano, membro negli anni Sessanta del gruppo di cabaret de I Gufi.
  21. ^ Renato Mariani, Piero Finà, Degoliardicare - Goliardus necne, tertium non datur, pag. 206.
  22. ^ Ifigonia in Culide: unica rappresentazione al Teatro G.Verdi Archiviato il 4 febbraio 2017 in Internet Archive. sardegnaeventi24.it
  23. ^ «La grande "première" di domani sera al Regio», La Stampa, 16 marzo 1927, pag. 5; «La Turandot al Regio - I Principi e il gran pubblico - L'opera d'arte e la cronaca del successo», La Stampa, 18 marzo 1927, pagina 3.
  24. ^ Nell'epoca in cui venne scritta l'Ifigonia (epoca in cui tutti i maschi maggiorenni frequentavano abitualmente e normalmente le case di tolleranza) la sifilide e la gonorrea erano estremamente diffuse, molto più di oggi e in tutti gli strati sociali (negli anni Trenta a Torino erano aperte ben quattordici Case di Tolleranza ed erano attivi ben sette Dispensari Celtici, sorta di ambulatori per il trattamento e la cura delle malattie veneree: via Principe Tommaso 21; corso San Maurizio 73; Corso Duca degli Abruzzi 73; via IV Marzo 11; via Villarbasse 23; Istituto Dermopatico, via Santa Chiara 19; Sifilocomio, via Cherasco 23). Tra le due, la sifilide era una vera piaga (è noto che ne fu contagiato persino Lenin, e si sospetta che lo siano stati anche Adolf Hitler e Benito Mussolini). Essa era a quel tempo una malattia praticamente inguaribile perché recidivante anche a distanza di venti o trent'anni dalla presunta guarigione che, se giunta al terzo stadio, poteva portare alla morte (il pittore Édouard Manet morì proprio per questo). Essa causava gravi danni neurologici che si manifestavano dapprima nell'incapacità di controllare i movimenti muscolari, e successivamente nella paralisi completa, nella cecità e nella demenza (il gangster Al Capone, che aveva contratto la sifilide da giovane, morì ad Alcatraz in queste penose condizioni). Non esistevano ancora la penicillina e gli antibiotici, che hanno finalmente permesso nel dopoguerra di combattere efficacemente queste malattie. In quegli anni, ai malati di sifilide si somministravano pomate al mercurio, e ai malati di gonorrea una soluzione di protargolo o argento proteinico (e questi rimedi sono scherzosamente citati nel poema: «Io son Don Peder Asta, gran nobile spagnolo, / astuto oltre ogni dire, viaggio col protargolo / e sei preservativi, per non subire l'onta / di prendermi lo scolo all'atto della monta!»). Prima della comparsa degli antibiotici (e cioè ai tempi in cui Hertz De Benedetti scriveva l'Ifigonia), un'altra terapia seguita nella cura della sifilide era di infettare intenzionalmente le persone che ne erano affette inoculando loro il plasmodium (il protozoo responsabile dell'insorgenza della malaria), affinché ne sviluppassero la febbre, secondo il metodo sviluppato dal medico austriaco Julius Wagner-Jauregg. Egli aveva osservato che, curando con la somministrazione del chinino i sifilitici nei quali la malaria era stata indotta artificialmente, la mortalità della sifilide diminuiva.
  25. ^ Ifigonia (JPG), in Sperimentare con l'elettronica e il computer, anno 20, n. 2, Cinisello Balsamo, JCE, febbraio 1986, p. 20, OCLC 799901371.
  26. ^ Ifigonia (JPG) (pubblicità), in Sperimentare con l'elettronica e il computer, anno 20, n. 7/8, Cinisello Balsamo, JCE, luglio/agosto 1986, p. 95, OCLC 799901371.
  27. ^ Lost Games & Programmi (Wanted List), su ready64.org.
  28. ^ Rari anche i riferimenti alla Quickly, che pubblicizzava inoltre il programma Biturbo e un'imprecisata rivista su nastro per Amstrad CPC.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Ifigonia - Tragedia classica in tre atti Corinto anno 69 A.C di Gianluigi De Marchi e Marcello Andreani Illustrazioni di Matteo Anselmo, Erga Edizioni, Genova, ISBN 978-88-8163-501-6.
  • Marco Albera, Manlio Collino, Aldo Alessandro Mola, Saecularia Sexta Album, Studenti dell'Università a Torino, Sei secoli di Storia, Elede Editore, Torino, 2005.
  • Franco Ressa, A conti fatti, beati i matti: i Goliardi letterati, Scipioni Editore, Viterbo, 1999, ISBN 88-8364-051-9.
  • Franco Ressa, La Goliardia. Ovidio Borgondo “Cavur”, Roberto Chiaramonte Editore, Collegno, 2007.
  • Marco Albera, Un ventennio di vita e teatro goliardico torinese: l'autobiografia inedita di Ovidio Borgondo detto Cavur, 1919-1942 (Tesi di Laurea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino. Relatore: Guido Davico Bonino, Anno Accademico 1990-91).
  • Processo di Sculacciabuchi e Ifigonia, prefazione di Enrico De Boccard, Edizioni Homerus, Roma, 1971.
  • I Canti Goliardici, a cura di Alfredo Castelli con presentazione di Roberto Brivio, Inteuropa Editore, Milano, 1970 (Supplemento a «La Mezzora» n. 53).
  • I Canti Goliardici n.2 , a cura di Alfredo Castelli con presentazione di Roberto Brivio, Williams Editore, Milano, 1974.
  • Il Libretto Rosso dell'Universitario - Raccolta di commedie, drammi, ballate, cazzate, sproloqui, ecc., Editrice Le Colonne - Piemonte in Bancarella, Torino, 1969.
  • Massimo Centini, Bordelli Torinesi – Quando le case chiuse erano aperte, Editrice Il Punto Piemonte in Bancarella, Torino, 2013, pp. 336.
  • Renato Mariani, Piero Finà, Degoliardicare - Goliardus necne, tertium non datur, Edizioni ETS, Pisa, 2010, pp. 238.

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