Volo su Vienna

Il volo su Vienna del 9 agosto 1918, detto anche "folle volo", fu una trasvolata compiuta da otto Ansaldo S.V.A. dell'87ª Squadriglia aeroplani battezzata "La Serenissima", ideata dal poeta italiano Gabriele D'Annunzio, con la quale vennero lanciati nel cielo di Vienna migliaia di manifestini tricolori contenenti una provocatoria esortazione alla resa e a porre fine alle belligeranze.
Antefatti[modifica | modifica wikitesto]

Il volo era stato progettato dallo stesso Gabriele D'Annunzio più di un anno prima, ma difficoltà tecniche e politiche, legate soprattutto al problema dell'autonomia degli apparecchi per un volo di mille chilometri e al rischio che il Poeta potesse finire in mani nemiche, con conseguenze propagandistiche incommensurabili, avevano indotto il comando supremo dapprima a negare il consenso e poi a ordinare cautamente delle prove di collaudo. Il 4 settembre del 1917 D'Annunzio compì con un Caproni Ca3, pilotato dai tenenti Pagliano e Gori, un volo di dieci ore e mille chilometri senza particolari problemi ma, a ridosso della successiva partenza per Vienna, l'autorizzazione venne definitivamente negata. In verità, D'Annunzio aveva già considerato il problema dell'autonomia di volo, sottoponendolo ai tecnici della Pomilio, la fabbrica torinese che all'epoca costruiva gli S.V.A. Il problema era stato brillantemente risolto, attraverso una serie di piccole modifiche aerodinamiche e strutturali, da Ugo Zagato, un giovane caporeparto della Pomilio, destinato a divenire un protagonista nella storia dell'automobile.[1]

Poiché D'Annunzio non aveva il brevetto di pilotaggio, fu necessario approntare un velivolo SVA biposto. Il velivolo modificato andò però distrutto in un banale incidente pochi giorni prima dell'impresa. Il poeta non si perse d'animo e riuscì a far modificare presso le officine della Ansaldo (SVA era l'acronimo di Savoia, Verduzio Ansaldo, dai nomi dei due progettisti e della ditta produttrice) un secondo velivolo, approntato in tempo record da Giuseppe Brezzi, modificando il serbatoio del carburante a forma di sedile (ribattezzato "la seggiola incendiaria"). Lo SVA modificato, pilotato dal capitano Natale Palli, poteva così prendere parte al "folle volo". Così l'autorizzazione necessaria all'impresa arrivò sotto forma di un bizzarro messaggio che avrebbe voluto attingere al dannunzianesimo (moda dell'epoca):[2]
«Il volo avrà carattere strettamente politico e dimostrativo; è quindi vietato di recare qualsiasi offesa alla città [...] Con questo raid l'ala d'Italia affermerà la sua potenza incontrastata sul cielo della capitale nemica. |

Un primo tentativo venne compiuto il 2 agosto, ma a causa della nebbia incontrata sulle Alpi e in Pianura Padana i tredici apparecchi che vi parteciparono dovettero rinunciare all'impresa; sette velivoli riuscirono a ritornare alla base, mentre altri furono costretti ad atterrare in campi diversi e tre aerei risultarono perfino inutilizzabili. Un ulteriore, secondo tentativo si compì l'8 agosto, ma il vento contrario mandò a monte l'impresa anche questa volta. Dopo questi due fallimenti, il progetto dannunziano rischiò seriamente di esser rimandato in un futuro indeterminato e in ogni caso molto lontano; D'Annunzio, tuttavia, riuscì a ottenere che il volo si effettuasse il giorno successivo, anche per sfruttare al massimo l'«effetto sorpresa», già parzialmente compromesso avendo il tenente Censi gettato un ingente carico di volantini in territorio austriaco per alleggerire il velivolo.[3]
Il volo[modifica | modifica wikitesto]
Poiché gli era stato ordinato di non proseguire se nella rotta lo stormo si fosse ridotto a meno di cinque SVA, all'alba del 9 agosto D'Annunzio convocò nell'hangar i piloti più fidati: Natale Palli, Antonio Locatelli, Gino Allegri, Aldo Finzi, Piero Massoni, Ludovico Censi, Giordano Bruno Granzarolo, Alberto Masprone, Vincenzo Contratti, Giuseppe Sarti e Francesco Ferrarin, legandoli a un solenne giuramento: «Se non arriverò su Vienna, io non tornerò indietro. Se non arriverete su Vienna, voi non tornerete indietro. Questo è il mio comando. Questo è il vostro giuramento. I motori sono in moto. Bisogna andare. Ma io vi assicuro che arriveremo. Anche attraverso l'inferno. Alalà!». Finalmente, alle 5:30, dal Campo di Aviazione di San Pelagio (nel comune di Due Carrare, Padova) partirono gli undici apparecchi (dieci SVA monoposto e uno SVA modificato a due posti, guidato dal capitano Palli, nel quale si trovava D'Annunzio).
Pochi minuti dopo la partenza, il capitano Alberto Masprone per un’avaria deve fare un atterraggio di fortuna, per cui l’aereo è danneggiato e l’ufficiale si rompe la mandibola, il tenente Vincenzo Contratti e il sottotenente Francesco Ferrarin devono a loro volta riportare indietro gli aerei per un irregolare funzionamento del motore. Il tenente Giuseppe Sarti fu costretto ad atterrare per un arresto del motore, posandosi sul campo di Wiener Neustadt e incendiando il velivolo prima di esser fatto prigioniero da alcuni ufficiali austriaci.[3]

Gli otto aerei superstiti, invece, proseguirono il proprio volo verso la capitale austriaca, organizzati a cuneo e guidati dai seguenti piloti: il capitano Natale Palli e il maggiore Gabriele D'Annunzio; il tenente Ludovico Censi; il tenente Aldo Finzi; il tenente Giordano Bruno Granzarolo; il tenente Antonio Locatelli; il tenente Pietro Massoni; il sottotenente Girolamo Allegri detto «Fra’ Ginepro» per la folta barba. Dopo aver sorvolato la valle della Drava, i monti della Carinzia, e infine le città di Reichenfels, Kapfenberg e Neuberg, senza nessun agguato dall'aviazione austriaca (solo due caccia austriaci che avevano avvistato la formazione si affrettarono ad atterrare per avvertire il comando, ma non furono creduti), e superando formazioni temporalesche, la formazione italiana giunse su Vienna in gruppo compatto alle 9:20, mentre nelle strade e piazze sottostanti si stava verificando un grande concorso di folla, impaurita della presenza degli aeromobili.[3] Grazie alla limpidezza del cielo, lo stormo poté abbassarsi a una quota inferiore agli 800 metri e lanciare 50 000 copie di un manifestino in italiano preparato da D'Annunzio che recitava:[4]
«In questo mattino d'agosto, mentre si compie il quarto anno della vostra convulsione disperata e luminosamente incomincia l'anno della nostra piena potenza, l'ala tricolore vi apparisce all'improvviso come indizio del destino che si volge. |
Il testo di D'Annunzio venne giudicato mancante di efficacia, nonché impossibile da rendere correttamente in tedesco, da Ferdinando Martini che così commentò:
«Quando D'Annunzio fece le sue prime prove come soldato, la gente, poco fidando nel suo valore o nella sua bellica abilità, disse: "Scriva e non faccia". Ora io dico di lui, dopo altre molte prove: "Faccia e non scriva"» |
(Ferdinando Martini[5]) |
Furono perciò lanciate anche 350 000 copie di un secondo, più pratico quanto efficace, manifestino scritto da Ugo Ojetti e tradotto in tedesco:
Versione in tedesco:
Lernt die Italiener kennen.
Man sagt von euch, dass ihr intelligent seid, jedoch seitdem ihr die preussische Uniform angezogen habt ihr seid auf das Niveau eines Berliner-Grobians herabgesunken, und die ganze Welt hat sich gegen euch gewandt.
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Avvenimenti successivi[modifica | modifica wikitesto]

Dopo aver sganciato i manifestini lo stormo prese la via del ritorno, scegliendo un percorso diverso da quello intrapreso all'andata per scongiurare il verificarsi di attacchi della contraerea. Dopo aver valicato le Alpi, la formazione aerea sorvolò Lubiana, Trieste e Venezia, dove D'Annunzio scelse di far cadere un messaggio augurale per comunicare all'ammiraglio e al sindaco il felice esito dell'impresa; alle 12:40, infine, gli aerei rientrarono al campo di San Pelagio dopo aver percorso in sette ore e dieci minuti mille chilometri, e oltre ottocento su territorio austriaco a sfida di ogni avversità balistica e aerea. Un comunicato ufficiale del Comando Supremo riportò:[6]
«Zona di guerra, 9 agosto 1918. Una pattuglia di otto apparecchi nazionali, un biposto e sette monoposti, al comando del maggiore D'Annunzio, ha eseguito stamane un brillante raid su Vienna, compiendo un percorso complessivo di circa 1.000 chilometri, dei quali oltre 800 su territorio nemico. I nostri aerei, partiti alle ore 5:50, dopo aver superato non lievi difficoltà atmosferiche, raggiungevano alle ore 9:20 la città di Vienna, su cui si abbassavano a quota inferiore agli 800 metri, lanciando parecchie migliaia di manifesti. Sulle vie della città era chiaramente visibile l'agglomeramento della popolazione. I nostri apparecchi, che non vennero fatti segno ad alcuna reazione da parte del nemico, al ritorno volarono su Wiener-Neustadt, Graz, Lubiana e Trieste. La pattuglia partì compatta, si mantenne in ordine serrato lungo tutto il percorso e rientrò al campo di aviazione alle 12:40. Manca un solo nostro apparecchio che, per un guasto al motore, sembra sia stato costretto ad atterrare nelle vicinanze di Wiener-Neustadt.» |
Anche D'Annunzio, esultante per il buon esito della sua impresa, inviò alla Gazzetta del Popolo di Torino il seguente telegramma: «Non ho mai sentito tanto profondo l'orgoglio di essere italiano. Fra tutte le nostre ore storiche, questa è veramente la più alta…Solo oggi l'Italia è grande, perché solo oggi l'Italia è pura fra tante bassezze di odii, di baratti, di menzogne».
Il volo su Vienna, pur essendo stato militarmente inoffensivo, ebbe una vastissima eco morale, psicologica e propagandistica sia in Italia sia all'estero, e compromise sensibilmente l'opinione pubblica dell'Impero asburgico. La stessa stampa austriaca accolse favorevolmente l'«incursione inerme» (così fu definita) degli aerei italiani a Vienna: analogamente, il Frankfurter Zeitung condusse una critica aspra e virulenta «non contro gl'Italiani, ma contro le autorità, a cui i Viennesi devono gratitudine per la visita degli aviatori. La popolazione non fu avvisata prima, e non fu dato l'allarme quando gli aviatori arrivarono. Non occorre dire quale catastrofe poteva accadere se, invece di proclami, avessero gettato bombe. Non si comprende come abbiano varcato centinaia di chilometri senza essere avvistati dalle stazioni di osservazione austriache».[3] L'Arbeiter Zeitung, invece, si pose una domanda, destinata a rimanere senza risposta:
«Dove sono i nostri D'Annunzio? |
(Arbeiter Zeitung) |
Musica[modifica | modifica wikitesto]
Il cantautore Enrico Ruggeri ha dedicato all'impresa dannunziana il singolo Il volo su Vienna tratto dall'album Un viaggio incredibile del 2016.
Un anno dopo, al volo su Vienna è tributato anche il brano Rombo di giovane ala del gruppo genovese Ianva, tratto dall'album Canone Europeo al quale prende parte (seppur in un altro brano, non correlato al tema) lo stesso Enrico Ruggeri.
Note[modifica | modifica wikitesto]
- ^ Nestore Morosini, Zagato atto terzo, Corriere della Sera, 12 giugno 1993, p. 8.
- ^ Guglielmo Gatti, Vita di Gabriele d'Annunzio, Sanconi, 1956, p. 325.
- ^ a b c d Alberto Pellegrino, Il tenente Ludovico Censi e il volo su Vienna, su new.lecentocitta.it. URL consultato il 2 ottobre 2016.
- ^ Annamaria Andreoli, D'Annunzio e Trieste: nel centenario del primo volo aereo, De Luca, 2003, p. 36.
- ^ Annamaria Andreoli, Il vivere inimitabile: vita di Gabriele D'Annunzio, Mondadori, 2000, p. 556, ISBN 88-04-47412-2.
- ^ Vittorio Martinelli, La guerra di D'Annunzio: da poeta a dandy a eroe di guerra e comandante, P. Gaspari, 2001, p. 326, ISBN 88-86338-72-4.
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
- In volo per Vienna, a cura di Gregory Alegi, Museo dell'aeronautica Gianni Caproni, Museo storico italiano della guerra, Trento, 1998.
- D'Annunzio poeta avviatore. Storia di un volo, a cura della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, s.l. s.d.
- Roberto Gentilli, Paolo Varriale, I Reparti dell'aviazione italiana nella Grande Guerra, AM Ufficio Storico, Roma, 1999.
- Vittorio Martinelli, La guerra di D'Annunzio: da poeta a dandy a eroe di guerra e comandante, Gaspari, Udine, 2001 ISBN 978-88-86338-72-1.