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Sfondamento dell'Isonzo
parte della battaglia di Caporetto, nella prima guerra mondiale
Gli slesiani della 12ª Divisione tedesca marciano sul fondo valle Isonzo ii 24 ottobre 1917
Data24 ottobre - 26 ottobre 1917
LuogoSettore del fronte compreso tra Plezzo e Tolmino
EsitoVittoria austro-ungarico-tedesca.
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
257 400 soldati [2]
1 342 cannoni
353 000 soldati [2]
2 518 cannoni
Perdite
106.000 uomini[3] (di cui 60.000 prigionieri[4])Dati completi non disponibili (6.000-7.000 il 24 ottobre 1917[5])
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Lo sfondamento dell'Isonzo (in tedesco Durchbruch am Isonzo) fu la fase iniziale e decisiva della battaglia di Caporetto durante la prima guerra mondiale sul fronte italiano. Dopo il trasferimento di una serie di reparti scelti tedeschi in aiuto all'esercito austro-ungarico, le truppe degli Imperi Centrali sferrarono il 24 ottobre 1917, in cattive condizioni atmosferiche, una potente offensiva tra Plezzo e Tolmino che in soli tre giorni provocò il crollo dell'ala sinistra della 2ª Armata italiana e costrinse il generale Luigi Cadorna ad ordinare nella notte del 27 ottobre una ritirata generale prima sul Tagliamento e poi sul Piave.

La grande offensiva austro-tedesca, denominata in codice operazione Waffentreu ("fedeltà d'armi"), raggiunse immediatamente un totale successo grazie all'abilità dei comandanti e delle truppe che, sfruttando anche una serie di gravi errori tattici dei generali italiani, avanzarono rapidamente sia sulle montagne che nella valle dell'Isonzo dove una divisione tedesca raggiunse Caporetto fin dal pomeriggio del primo giorno. Rimane la più riuscita operazione di sfondamento di tutta la prima guerra mondiale.

Decisioni dei comandi tedeschi e austro-ungarici[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la fine della Undicesima battaglia dell'Isonzo, la situazione delle forze austro-ungariche sul fronte italiano era diventata veramente critica; il comando austro-ungarico aveva preso in considerazione l'eventualità di una ritirata strategica oltre il vallone di Chiapovano, abbandonando l'intero altopiano della Bainsizza, con la conseguenza di rendere precario l'intero schieramento sull'Isonzo a copertura di Trieste e Lubiana[6]. Alla fine di agosto 1917 l'offensiva italiana era stata fermata senza cedere la cresta orientale dell'altopiano della Bainsizza, senza ripiegare sul vallone di Chiapovano e mantenendo il possesso dell'importante testa di ponte di Tolmino e del monte San Gabriele. [7].

Alcuni alti ufficiali ritennero che non fosse più possibile rimanere sulla difensiva e che fosse invece indispensabile sferrare un'offensiva per guadagnare terreno ed anticipare nuove minacce del nemico. Si considerò indispensabile per assicurare il successo di una simile offensiva il concorso di truppe e artiglieria dell'alleata Germania e fin dall'inizio di agosto il generale von Cramon, rapprentante austriaco nel Gran Quartier Generale tedesco a Bad Kreuznach, propose per la prima volta ai generali alleati i piani di attacco contro l'Italia con l'apporto di rinforzi dell'esercito tedesco[8]. Nell'Alto Comando Tedesco di Bad Kreuznach in un primo tempo si accolse con scetticismo queste proposte; in particolare il generale Erich Ludendorff, principale responsabile della condotta strategica della guerra, manifestò una chiara contrarietà ad offensive sul fronte italiano da lui considerate di limitata utilità e in contrasto con i suoi piani operativi[9].

I generale austriaci avevano elaborato una serie di progetti per l'eventuale offensiva e alla fine venne elaborato un piano limitato che prevedeva un'attacco concentrato sull'alto Isonzo, per sfruttare l'importante testa di ponte di Tolmino, a ovest del fiume, minacciare le retrovie del nemico sul basso Isonzo e costringerlo a ripiegare sulla linea di confine[10]. Il 26 agosto il generale Arthur Arz von Straussenburg, capo di stato maggiore generale, presentò questo piano all'imperatore Carlo ottenendo la sua approvazione e il 29 agosto 1917 venne proposto al quartier generale tedesco di Bad Kreuznach[11]. Il generale Ludendorff si mostrò subito contrario; egli riteneva molto rischioso dirottare divisioni tedesche sul fronte italiano mentre nelle Fiandre continuavano gli ostinati attacchi britannici[12]. Il feldmaresciallo Paul von Hindenburg, capo di stato maggiore generale, si dimostrò meno ostile egli per il momento decise di inviare un alto ufficiale qualificato sul posto[13].

Tra il 2 e il 6 settembre 1917 il generale Konrad Krafft von Dellmensingen, esperto di guerra di montagna, essendo stato al comando in precedenza dell'Alpenkorps tedesco, si recò sul fronte italiano ed esaminò accuratamente le posizioni e le caratteristiche geografiche del terreno. Il generale concluse che un offensiva nel settore di Tolmino presentava notevoli rischi ma egli aveva piena fiducia nelle capacità delle truppe tedesche. Il generale quindi espresse parere favorevole al piano di attacco[14].

Nella conferenza decisiva al quartier generale tedesco, dopo il rapporto del generale Krafft von Dellmensingen il generale Ludendorff, pur conservando alcuni dubbi, si convinse e diede la sua approvazione[15]. Il feldmaresciallo von Hindenburg si mostrò sereno e ottimista ed espresse la sua piena fiducia nel successo[16]. Si diede quindi subito inizio ai preparativi per l'offensiva sull'alto Isonzo denominata in codice Waffentreu, "fedeltà d'armi".[17].

L'alto comando italiano[modifica | modifica wikitesto]

Il generale Luigi Cadorna, capo di stato maggiore generale del Regio Esercito, aveva previsto inizialmente di sferrare un'ulteriore offensiva sull'altopiano carsico. Tuttavia, le notizie di movimenti di truppe nemiche, della probabile presenta di turppe tedesche, le carenze di munizioni ed effettivi dell'esercito e soprattutto le notizie di un possibile crollo della Russia, indussero a divulgare una nuova direttiva il 18 settembre in cui affermaba di aver deciso di abbandonare i nuovi progetti offensivi e di organizzare le forze per "la difesa ad oltranza" delle posizioni raggiunte.[18]. A questo scopo il generale richiedeva ai suoi subordinati di predisporre le adeguate misure difensive per respingere il temuto attacco.

L'inattesa direttiva del generale Cadorna del 18 settembre fu accolta con un scetticismo dal generale Luigi Capello; l'energico comandante della 2ª Armata riteneva che di fronte ad un eventuale attacco nemico fosse opportuno organizzare forze adeguate per sferrare un immediato contrattacco a partire dalla Bainsizza verso nord a Tolmino o verso sud a Gorizia. Il generale Capello evidenziò con i suoi subordinati la necessità di adottare un "concetto difensivo-controffensivo"[19]. Il 5 ottobre il generale Cadorna lasciò il suo posto di comando di Udine per trasferirsi a Vicenza e controllare gli apprestamenti difensivi sul fronte trentino Nel frattempo l'Ufficio Situazione del colonnello Calcagno e l'Ufficio Informazioni del maggiore Dupont stavano ricevendo una serie di informazioni contraddittorie sul nemico. I due uffici dello stato maggiore ritenevano probabile una prossima offensiva limitata austro-ungarica sul medio Isonzo con il concorso di poche formazioni germaniche; era invece escluso un attacco nel Trentino. Il colonnello Calcagno riteneva più probabile che le forze nemiche in arrivo avessero un compito difensivo o al massimo controffensivo[20].

Il 9 ottobre il generale Capello aveva convocato a Cormons i comandanti degli otto corpi della sua armata; in questa occasione manifestò grande ottimismo esprimendosi in termini sarcastici sulla presunta efficenza delle truppe tedesche Il generale Capello confermò l'importanza di occupare saldamente l'altopiano della Bainsizza da dove era possibile contrattaccare; l'artiglieria, schierata ancora in posizione avanzata, avrebbe concorso alla controffensiva[21]. Il 10 ottobre il generale Cadorna, dopo aver ricevuto due giorni prima le direttive operative del generale Capello, intervenne a sua volta con una comunicazione alla 2ª Armata in cui egli, pur "approvando in massima" queste direttive, metteva in evidenza alcuni punti[22]. Egli richiedeva che la prima linea del fronte fosse difesa solo da forze limitate e che soprattutto il XXVII corpo d'armata del generale Badoglio trasferisse sulla riva destra dell'Isonzo il grosso delle sue truppe. Inoltre prescriveva che le artiglierie pesanti fossero ritirate dalle posizioni avanzate, esposte all'azione nemica; infine egli richiedeva che venisse preparata una "violentissima contropreparazione" dell'artiglieria da attivare contro le basi di partenza e le strutture di comando, durante il bombardamento iniziale dell'avversario[23].

Queste disposizioni del generale Cadorna prevedevano una pianificazione strettamente difensiva e non concidevano completamente con il pensiero strategico del generale Capello. Quest'ultimo mostrò in apparenza, durante un incontro in ospedale l'11 ottobre con il generale Carlo Porro, di condividere il pensiero del generale, ma parlò ancora di "manovra controffensiva", richiedendo di mantenere sulla riva sinistra dell'Isonzo potenti artiglierie e il grosso del XXVII corpo[24].

Il generale Luca Montuori che assunse più volte temporaneamente il comando della 2ª Armata a causa del precario stato di salute del generale Capello.

In un incontro del 15 ottobre con il colonnello Ugo Cavallero, il generale Capello, rientrato al comando, continuò ad insistere sull'importanza di preparare un controffensiva per controbattere l'attacco nemico che egli prevedeva per la terza decade di ottobre, egli richiese anche rinforzi per costituire una massa di manovra e il 17 ottobre il quartier generale del VII corpo d'armata venne messo a disposizione dell'armata. Il 17 e 18 ottobre il generale Capello riunì nuovamente i comandanti dei suoi corpi d'armata; egli disse che in quella stagone "il nemico non può far nulla" e che i germanici non valevano più degli austro-ungarici, tuttavia ritenne che gli avversari avrebbero attaccato dalla testa di ponte di Tolmino e da Plezzo, contava tuttavia sul "potentissimo" schieramento d'artiglierie del XXVII corpo d'armata[25]. Il 19 ottobre il generale Cadorna rientrò ad Udine ed ebbe subito un colloquio con il generale Capello durante il quale egli finalmente disse chiaramente che, a causa dell'insufficienza di complementi e di mezzi, dovevano essere abbandonati piani ambiziosi di controffensiva e concentrate tutte le risorse su una solida difesa ad oltranza; egli richiedava al generale Capello di inviare ai corpi d'armata direttive precise in questo senso[26].

A partire dal 21 ottobre quindi i comandi italiani cercarono frettolosamente di rinforzare le linee difensive; si tentò di trasferire parte delle batterie dalle posizioni avanzate troppo esposte; una divisione di fanteria e tre battaglioni alpini vennero inviati al fronte minacciato; il generale Capello rientrò a suo comando e diramò una serie di disposizioni operative[27]. Venne disposto che la difesa della valle dell'Isonzo fosse suddivisa tra il IV corpo d'armata sulla riva sinistra e il XXVII corpo d'armata sulla riva destra; venne deciso l'invio della brigata Napoli per rafforzare l'ala sinistra del XXVII corpo d'armata del generale Badoglio[28]. Nella notte del 23 ottobre il generale Capello, in non buone condizioni di salute, tenne un ultima conferenza con i suoi generali e precisò i compiti difensivi nella "dannata ipotesi" di uno sfondamento; egli illustrò anche i compiti delle riserve del VII corpo, assegnate per coprire la direttrice di Caporetto e lo sbocco della valle del Natisone; il generale espresse ancora una volta la sua piena fiducia[29].

In realtà sembra che il generale Cadorna abbia ricevuto fino all'ultimo relazioni ottimistiche dai suoi subordinati e che gli alti comandi siano rimasti scettici sulla potenza e sulla pericolosità dell'offensiva nemica. Ancora il mattino del 23 ottobre al posto di comando del XXVII corpo, il generale Badoglio manifestò al comandante in capo, giunto al suo posto di comando, la sua completa fiducia nella capacità di respingere il nemico[28]. Il mattino del 24 ottobre 1917 il generale Cadorna, che il giorno precedente aveva rassicurato il ministro della guerra, generale Gaetano Giardino[30], diramò un bollettino in cui affermava che "il nemico ci trova saldi e ben preparati"[28].

Il teatro delle operazioni[modifica | modifica wikitesto]

L'offensiva delle forze austro-ungariche e tedesche si svolse in un territorio montuoso aspro e inospitale solcato dal corso del fiume Isonzo, compreso tra il massiccio del Monte Rombon a nord e l'altopiano della Bainsizza, da poco occupato dalle truppe italiane, a sud. Il fiume Isonzo, dopo la sua origine nelle Alpi Giulie, scorre inizialmente verso ovest, costeggiato da cime alte fino a 2.000 metri e quindi si apre in una prima valle, limitata da una catena montuosa settentrionale, compresa tra il Monte Rombon a est, 2.208 metri, e il Monte Canin a ovest (2.585), e una catena meridionale caratterizzata dalle cime un poco meno elevate dello Javorcek, dello Jama Planina e del Polovnik. Nella valle passava la strada che conduceva al passo del Predil a est e vi si trovavano due cittadine, Plezzo a nord del fiume, e Cezsoca a sud[31]. La valle si restringe verso ovest dove si trova la cosiddetta "stretta di Saga", a questo livello l'Isonzo modifica il suo corso e inizia a scorrere verso sud-est costeggiando il Polovnik.

Il fiume percorre un tratto compreso tra la dorsale Polovnik-Krasnij a est e quella Monte Stol-Monte Starinskij a ovest quindi raggiunge una seconda vallata dove si trova la cittadina di Caporetto; questa seconda valle è limitata ad est dell'impressionante massiccio del Monte Nero, mentre a ovest si trovano il Monte Stol, a settentrione, e il Monte Matajur, a meridione; tra questi due monti era stata aperta una strada carreggiabile che da Caporetto arrivava a Cividale del Friuli, mettendo quindi in collegamento il bacino dell'Isonzo con quello del fiume Natisone[32]. L'isonzo scorre ancora verso sud-est fino ad arrivare alla conca di Tolmino, bordeggiato da un'altra serie di monti: a sud-ovest, dopo il Monte Matajur, si eleva la lunga catena del Kolovrat dove si trovano le quote del Monte Kuk, del Monte Piatto e del Monte Podklabuc, a nord-est dopo il Monte Nero, si trovano le montagne che giungono fino a Tolmino: il Monte Rosso, lo Sleme, il Mzli, il Vodil; a sud dell'Isonzo e a est del Podklabuc, la conca di Tolmino si restringe notevolmente e qui si trova la cosiddetta "stretta di Foni"[32], compresa tra il fiume a nord e le dorsali di Costa Rauza e Costa Duole che a sud si connettono con il sistema del Kolovrat.

Il percorso dell'Isonzo cambia nuovamente all'altezza della conca di Tolmino; il fiume scorre ora verso sud-ovest e dalla sua riva destra partono una serie di costoni da est a ovest che si connettono con il massiccio montuoso che si estende invece da nord a sud e comprende il Monte Jeza, lo Jeseniak, il Varda Vhr, il Krad Vhr e il Cukli Vhr. A ovest di questa catena montuosa si trovano altri due costoni dominati dal Globocak e dal Monte Kum che separano la valle del Doblar e la valle dello Iudrio, due affluenti dell'Isonzo. La riva sinistra dell'Isonzo è meno irregolare e montuosa e sono presenti solo le alture di Santa Lucia e Santa Maria, la conca di Tolmino è chiusa a sud dall'altopiano dei Lom e soprattutto dall'altopiano della Bainsizza. L'Isonzo continua a scorrere verso sud a ovest della Bainsizza fino a raggiungere Gorizia e lo sbocco in pianura[33].

Le vie di comunicazione tra il bacino dell'alto Isonzo e la pianura friulana erano molto limitate; a nord una strada da Saga conduceva in Val Resia a Moggio Udinese in direzione del Tagliamento, mentre un altra carregiabile dall'alta valle del Natisone arrivava Tarcento; si trattava di comunicazioni di scadente qualità incassate in un territorio impervio. Migliore era invece la strada maestra che da Caporetto e Stupizza conduceva lungo la valle del Natisone fino a Cividale; esisteva anche una parallela che passava ad ovest del Monte Matajur attraverso la sella di Luico. Erano queste le uniche vie di rifornimento disponibili per le truppe italiane in combattimento tra il Monte Rombon e la conca di Tolmino[34].

Schieramento degli eserciti[modifica | modifica wikitesto]

Le forze italiane[modifica | modifica wikitesto]

Nell'ottobre 1917 l'ala sinistra della 2ª Armata italiana comandata dal generale Capello era schierata lungo l'alta valle dell'Isonzo ma non occupava tutto il terreno; in particolare la conca di Plezzo era in parte ancora in possesso degli austriaci, mentre nella conca di Tolmino le forze austro-tedesche disponevano di una vasta testa di ponte a ovest del fiume. Tra Plezzo e Tolmino invece gli italiani avevano raggiunto e ampiamente superato l'Isonzo anche se le creste dominanti a sud del Monte Nero erano ancora in mano del nemico che difendeva anche i Lom. Dopo l'undicesima battaglia dell'Isonzo la 2ª Armata occupava gran parte dell'altopiano della Bainsizza[35].

La difesa della parte settentrionale delle linee italiane era affidata al IV corpo d'armata del generale Alberto Cavaciocchi che disponeva di tre divisioni in prima linea: da nord e sud la 50ª, la 43ª e la 46ª Divisione fanteria; in riserva c'era la 34ª Divisione fanteria; questi reparti erano schierati a nord dell'Isonzo, nel settore compreso tra il Monte Rombon a nord e il villaggio di Gabrje sulla riva sinistra del fiume. Il comandante della 50ª Divisione, generale Giovanni Arrighi aveva assegnato il settore del Monte Rombon e del monte Cuklja ai tre battaglioni alpini del tenente colonnello Cantoni, mentre la conca di Plezzo era difesa dalla brigata Friuli con due reggimenti; in seconda linea la 50ª Divisione schierava altri quattro battaglioni alpini e un reggimento della brigata Foggia che sbarrava la stretta di Saga[36].

Il cosiddetto "saliente del Monte Nero" era invece difeso dalla 43ª Divisione del generale Angelo Farisoglio con quindici battaglioni, e dalla 46ª Divisione del generale Giulio Amadei che disponeva di diciotto battaglioni combattenti; queste truppe erano schierate nel settore dall'inizio dell'anno e disponevano di posizioni fortificate solide. Il generale Farisoglio difendeva le linee tra la sella di Za Kraju e il Monte Rosso con la brigata Genova, un reggimento della brigata Etna era posizionato sul Monte Nero, i tre battaglioni alpini del V gruppo del colonnello Magliano tra il monte Pleka, il Monte Krasij e Drezenca; era imminente l'arrivo del 9° reggimento bersaglieri del colonnello Radaelli di rinforzo. Dal Monte Rosso alla riva dell'Isonzo a Gabrje si trovavano invece le truppe della 46ª Divisione del generale Amadei[37].

Questa divisione difendeva il Monte Rosso e le linee fino allo Sleme con due reggimenti della brigata Etna, mentre a sud dello Sleme fino allo Mzli era schierata la brigata Caltanissetta con altri due reggimenti che, fortemente provati dalle perdite subite nel mesi agosto, erano già in precarie condizioni. Il generale Amadei infine aveva assegnato alla brigata Alessandria la difesa del settore meno fortificato e più pericoloso dallo Mzli fino alla riva sinistra dell'Isonzo. Queste forze erano in parte sparpagliate nelle retrovie: la brigata Alessandria schierava dal Vodil alla riva del fiume solo un battaglione, mentre altri battaglioni erano posizionati a Smast, sede del comando di divisione, a Kamno e a Selisce[38]. Infine il IV corpo d'armata disponeva in riserva della 34ª Divisione del generale Luigi Basso che tuttavia, privata di molte delle sue forze, era ridotta a soli due reggimenti della brigata Foggia che il 24 ottobre, ancora molto deboli per le perdite subite sulla Bainsizza, erano stazionati nelle retrovie nell'area di Caporetto. Il generale Cavaciocchi aveva ricevuto assicurazioni dal comando della 2ª Armata che importanti rinforzi erano stati assegnati al suo corpo d'armata, ma al momento dell'offensiva austro-tedesca, queste forze, la brigata Potenza e la brigata Massa Carrara, erano ancora lontane tra Cividale e Faedis[39].

A sud dell'Isonzo iniziava il settore delle linee italiane assegnato al XXVII corpo d'armata del generale Pietro Badoglio che, dovendo difendere un ampio settore compreso tra la riva meridionale del fiume e la parte settentrionale dell'altopiano della Bainsizza, aveva schierato la 19ª Divisione a nord, sulla riva destra dell'ansa dell'Isonzo, e altre tre divisioni, la 22ª, 64ª e 65ª, a sud, sulla riva sinistra del fiume, sulla Bainsizza[40]. La 19ª Divisione del generale Giovanni Villani sbarrava da sola l'ampio settore a nord con i suoi ventuno battaglioni, tra cui quattro battaglioni alpini; da nord a sud si succedevano la brigata Taro nella zona di Volzana, la brigata Spezia fino al Monte Jeza e al costone Cemponi, il X gruppo alpini del colonnello Salvioni, dal Varda Vhr, al Krad Vhr, fino alla confluenza del Doblar nell'Isonzo[41]. In seconda linea il generale Villani aveva schierato la brigata Napoli nel settore Clabuzzaro-Kolovrat-Foni ma senza coprire adeguatamente il fondo valle dell'Isonzo, infine la brigata Puglie, dipendente direttamente dal comando del XXVII corpo d'armata, era posizionata vicino alla linea del Globacak[42].

Nella parte settentrionale dell'altipiano della Bainsizza, sulla sinistra dell'Isonzo, erano invece schierate le altre tre deboli divisioni del XXVII corpo d'armata; a nord la 65ª Divisione del generale Guido Coffaro disponeva della brigata Roma e di parte della brigata Belluno; da Mesnjak fino a Hoje la 22ª Divisione del generale Giovanni Battista Chiossi impiegava la sola brigata Pescara, mentre a sud, collegato con il XXIV corpo d'armata del generale Enrico Caviglia, c'era il comando della 64ª Divisione del generale Vittorio Fiorone con un reggimento della brigata Belluno e un battaglione della brigata Taro. Nonostante le ripetute esortazioni del generale Cadorna, la potente artiglieria del XXVII corpo d'armata era ancora schierata in gran parte sul massiccio del Kolovrat e sul Globocak, in posizione pericolosamente avanzata, esposta ad una eventuale penetrazione nemica; dalle ore 12.00 del 22 ottobre inoltre il generale Badoglio aveva trasferito il suo posto di comando nel villaggio di Kosi, a tre chilometri dal precedente quartier generale dell'Ostry Kras dove era rimasto invece il comando dell'artiglieria[43].

Il 17 ottobre era stato messo a disposizione della 2ª Armata del generale Capello anche il VII corpo d'armata con il compito di costituire una massa di riserva nelle retrovie dell'ala sinistra dell'armata e intervenire eventualmente alla giunzione tra il IV e il XXVII corpo d'armata; tuttavia il VII corpo, comandato dal generale Luigi Bongiovanni era costituito da sole due divisioni ancora in corso di completamento e schieramento. La 62ª Divisione del generale Giuseppe Viora nella notte del 24 ottobre aveva la brigata Salerno distesa tra Savogna e Luico in marcia per raggiungere le posizioni assegnate sul Monte Matajur, mentre una brigata di bersaglieri era in avvicinamento a Luico. La 3ª Divisione del generale Ettore Negri di Lamporo era più solida essendo costituita da tre brigate, ma le truppe erano ancora in trasferimento verso le posizioni assegnate: la brigata Arno era a Drenchia con solo deboli avanguardie sul Monte Kuk e sul Kolovrat, la brigata Elba si trovava a Lombai e aveva dislocato piccoli nuclei a Monte Hum, mentre la brigata Firenze costituiva la riserva del VII corpo e stava raggruppando le sue forze tra Clodig e Peternel[44].

Il pomeriggio del 23 novembre il generale Cadorna espresse un certo ottimismo durante un ultimo colloquio con il generale Bongiovanni: "...le truppe facendo il loro dovere, la minaccia austro-tedesca non poteva avere alcuna probabilità di successo". Da queste parole sembra emergere in realtà qualche incertezza del comandante in capo legata alla effettiva capacità delle truppe di sostenere una battaglia difensiva[45]. Alla vigilia dell'offensiva austro-tedesca i soldati italiani mostravano i segni delle continue e logoranti battaglie combattute con modesti risultati e pesanti perdite sul fronte dell'Isonzo. Tra i reparti erano evidenti la stanchezza fisica e psichica e un certo scadimento del morale legato al prolungamento della guerra, al numero elevatissimo di morti e feriti, all'eccessiva durezza della disciplina e alla sensazione di isolamento rispetto alla nazione. L'esercito italiano era una struttura molto rigida, con modesta capacità di iniziativa e di reazione, con alcuni reparti logorati dal continuo impegno in azione, sensibile al panico e alle voci, impreparato a sostenere un combattimento contro un nemico che avrebbe adottato tattiche nuove e inattese[46].

Preparativi delle forze tedesche e austro-ungariche[modifica | modifica wikitesto]

Gli alti comandi tedesco e austro-ungarico procedettero ad una completa riorganizzazione dello schieramento sul fronte italiano costituendo un gruppo d'armate del Trentino affidato al feldmaresciallo Conrad ed un fronte Sud-Occidentale guidato dall'arciduca Eugenio da cui sarebbero dipese le due armate dell'Isonzo del generale Borojevic, la 10ª Armata del generale Krobatin e soprattutto la nuova 14ª armata germanica che venne organizzata appositamente per costituire la massa d'urto principale dell'offensiva contro il fronte giulio. Affidata al comando del generale tedesco Otto von Below, ufficiale esperto, protagonista di molte vittorie in precedenza sul fronte orientale, la 14ª Armata venne attivata il 15 settembre 1917 e il suo quartier generale venne subito trasferito nella zona d'operazioni per coordinare i preparativi dell'offensiva[47]. Il generale von Below, dopo un colloquio l'11 settembre con il generale Ludendorff e il feldmaresciallo von Hindenburg, si recò a Vienna e quindi visitò a Postumia il posto di comando del generale Borojevic prima di raggiungere con i suoi ufficiali il bacino della Sava[48].

Il generale Konrad Krafft von Dellmensingen.
Il generale Otto von Below, comandante in capo della 14ª Armata germanica.

Lo stato maggiore della 14ª Armata, inizialmente stabilito a Kranj, venne costituito con personale particolamente qualificato ed esperto di guerra in montagna; il capo di stato maggiore del generale Otto von Below fu proprio il generale Konrad Krafft von Dellmensingen; il generale Richard von Berendt ebbe il comando dell'artiglieria, il tenente colonnello Jochim e il maggiore von Willisen dirigevano i settori operativi e logistici del comando d'armata. L'alto comando tedesco assegnò alla 14ª Armata i quartier generali del III corpo d'armata bavarese e del LI corpo d'armata[49]. Mentre venne disposto l'invio di notevoli quantità di artiglieria tedesca pesante e da campagna, di reparti di lanciamine e di truppe speciali, alla fine solo sei divisioni tedesche furono effettivamente trasferite alla 14ª armata per l'offensiva. Queste divisioni erano costituite da truppe scelte, in parte già addestrate alla guerra di montagna; una settimana divisione tedesca venne in seguito organizzata raggruppando alcuni battaglioni di cacciatori. Il generale von Below avrebbe anche avuto a disposizione anche alcune delle migliori divisioni austro-ungariche che, al comando del generale Alfred Krauss, sarebbero state impegnate a Plezzo per proteggere il fianco destro dell'attacco principale a Tolmino[50].

Il 15 settembre si svolse a Maribor, posto di comando del Fronte Sud-occidentale, una prima riunione tra il generale Konopicky, capo di stato maggiore dell'arciduca Eugenio, ed il generale Krafft von Dellmensingen. In questa occasione il generale tedesco criticò fortemente il piano d'operazioni proposto dall'ufficiale austriaco che prevedeva solo una modesta offensiva per il "miglioramento delle posizioni". Il generale Krafft von Dellmensingen propose invece un progetto molto più ambizioso che mirasse come obiettivo minimo al raggiungimento della linea del fiume Tagliamento. Dopo alcune discussioni, l'arciduca Eugenio condivise i piani del generale tedesco e venne deciso di ampliare il settore d'attacco coinvolgendo altre forze austro-ungariche a nord e a sud della 14ª Armata tedesca; l'ordine di operazioni prevedeva di "buttare gli italiani...se possibile, fin oltre il Tagliamento". Nonostante l'accordo, ancora il 27 settembre il generale Borojevic manifestò sarcasticamente il suo scetticismo sulla riuscita dell'offensiva durante un nuovo incontro con il generale von Below[51].

Nel frattempo erano in corso i complessi movimenti delle truppe e dei materiali assegnati alla 14ª Armata; le divisioni tedesche, provenienti dagli altri fronti di guerra, vennero raggruppate in un primo momento in Carinzia e Carniola, lungo la valle della Sava Dolinka. Per effetture i trasferimenti delle truppe fu necessario un grande sforzo logistico che richiese l'impiego in un mese di circa 2.500 treni[52]. Per ingannare i servizi di informazioni italiani, l'Alpenkorps venne inizialmente inviato in Trentino e solo ai primi di ottobre si trasferì a Bled; a nord di Lubiana si schierarono altre tre divisioni tedesche, mentre il comando del III corpo d'armata arrivò a Skofja Loka e il LI corpo si stabilì a Kamnik. Le divisioni austro-ungariche di rinforzo furono trasferite a sud-ovest di Lubiana; a Villach e nella valle della Drava si trovavano due divisioni scelte austriache, infine altre due divisioni tedesche arrivarono a Klagenfurt. Per mantenere nell'incertezza gli italiani le truppe destinate all'offensiva vennero trattenute in queste posizioni arretrate e effettuarono solo negli ultimi giorni la marcia verso le posizioni di attacco[53]; inoltre l'afflusso di uomini e mezzi avvenne lentamente con movimenti in gran parte di notte[52].

Truppe d'assalto austriache in addestramento sul fronte dell'Isonzo nel settembre 1917.

Con l'arrivo in rinforzo alle limitate unità aeree austriache di numerosi reparti di caccia tedeschi fu possibile riprendere il controllo dei cieli e proteggere la marcia delle truppe; l'aviazione da ricognizione germanica potè inoltre effettuare accurati rilevamenti fotografici che permisero di ottenere precise informazioni topografiche del terreno[54].

Molto difficile fu l'organizzazione del traffico sulle limitate vie di comunicazione disponibili e il miglioramento delle strade di accesso alla testa di ponte di Tolmino. Le vie di accesso più importanti che passavano per il valico di Piedicolle verso Tolmino e il passo del Predil in direzione di Plezzo, vennero potenziate e mantenute in efficenza. Importante fu anche il posizionamento delle batterie di artiglieria che venne mantenuto segreto e completato solo nell'imminenza dell'offensiva. Sorsero notevoli difficolta per il trasporto e l'equipaggiamento delle truppe; c'erano carenze nella disponibilità di animali da soma e di conducenti e si dovettero anche impiegare mezzi di fortuna; i soldati tedeschi dovettero essere riequipaggiati per la guerra in montagna nella stagione autunnale. Contemporanemante al trasporto dei materiali, le divisioni vennero addestrate per i nuovi compiti: si effettuarono esercitazioni di combattimento, marce in montagna, assalti di pattuglie a quote elevate[55]. L'artiglieria venne fortemente potenziata: sul fronte giulio furono schierati 3.300 cannoni e 650 bombarde, mentre solo la 14ª armata germanica diponeva di 1.600 pezzi di artiglieria, tra cui 300 bombarde[56].

Un reparto di truppe d'assalto tedesche (Stosstruppen); le rapide infiltrazioni effettuate da queste formazioni ebbero un ruolo determinante nella battaglia di Caporetto.

Dal punto di vista tattico i tedeschi decisero di impiegare cannoni prevalentemente di medio e piccolo calibro, più facilmente utilizzabili sul terreno montuoso, per effettuare solo un breve e violento fuco di distruzione che, senza prolungarsi per molte ore, sarebbe stato seguito subito dall'assalto della fanteria. Il generale von Behrendt, distintosi al comando di reparti di artiglieria su altri fronti di guerra, diresse con abilità la dislocazione e l'organizzazione tattica delle batterie[57]. Si previde inoltre di sferrare anche un bombardamento preliminare con granate a gas che sarebbe continuato per quattro ore per saturare la zona e costringere gli artiglieri nemici ad abbandonare i loro cannoni, a cui sarebbe seguito il tiro di distruzione per circa un ora[58]. Dopo il bombardamento, la fanteria tedesca e austroungarica, ammassata in posizione molto ravvcinata alle trincee nemiche, avrebbe dovuto subito passare all'attacco; sarebbero state adottate le nuove tattiche tedesche, già utilizzate con successo dai tedeschi sul fronte orientale e dagli austriaci nei contrattacchi di Flondar e del monte Ortigara, imperniate sull'impiego delle cosiddette Stosstruppen, reparti d'assalto addestrati ad adottare le tattiche di mobilità, potenza di fuoco ravvicinato ed infiltrazione ritenute efficaci ad aprire varchi nelle linee nemiche, avanzando in profondità senza preoccuparsi della copertura sui fianchi e nelle retrovie[59].

La fanteria austro-tedesca d'assalto quindi fu in grado di raggiungere di sorpresa le prime linee italiane scosse dal bombardamento e di proseguire rapidamente segnalando con grandi cartelli numerati e con razzi luminosi le posizioni raggiunte alle unità di seconda schiera[60]. Adottando le direttive tattiche specificate dal generale von Below nel documemto n. 228 del 4 ottobre 1917, i reparti d'assalto tedeschi, guidati da ufficiali abili ed esperti, avanzarono suddivisi in gruppi tattici, sorpresero con la loro inattesa comparsa le posizioni e le batterie italiane, individuarono i punti deboli e attaccarono alle spalle i caposaldi, marciarono con grande rapidità in silenzio e senza sparare[61]. Di grande importanza tattica si rivelò inoltre l'impiego massiccio da parte dei reparti d'assalto tedeschi delle nuove mitragliatrici leggere MG 08/15 che, distribuite abbondantemente ad ogni compagnia, fornirono una grande potenza di fuoco e permisero di effettuare con successo l'infiltrazione e l'aggiramento delle posizioni italiane, i cui difensori si trovarono sistematicamente sorpresi e schiacciati dal fuoco di queste nuove armi automatiche a disposizione dei gruppi d'assalto[62].

Le truppe tedesche e austro-ungariche mostrarono di sopportare stoicamente le difficoltà del clima e del terreno e, pur non prive di dubbi sulla riuscita dell'offensiva e sulla capacità di resistenza dell'esercito italiano, accolsero con fiducia le notizie di una prossima avanzata. Ai reparti vennero distribuite razioni per soli quattro giorni, si prevedeva che i soldati avrebbero potuto impadronirsi dei depositi di materiali del nemico sconfitto[63]. Le divisioni impegnate erano in gran parte formate da soldati di lingua tedesca, reclutati in regioni di forti tradizioni militari, la Pomerania, la Slesia, la Svevia, la Sassonia, la Baviera, la Stiria, il Tirolo, la Carinzia; le truppe erano stanche della guerra ma decise a combattere soprattutto per appropriarsi, dopo la vittoria, di un ricco bottino materiale[64].

Schieramento finale[modifica | modifica wikitesto]

Mentre continuava il difficile movimento di truppe e materiali verso la zona di operazioni, era in corso negli alti comandi tedesco e austro-ungarico la definizione degli ultimi dettagli tattici e degli scopi operativi dell'offensiva. Venne ribadito in un ordine dell'arciduca Eugenio che obiettivo della operazione Waffentreue sarebbe stato "scacciare gli italiani fuori dai confini dell'Impero e, se possibile, anchee al di là del Tagliamento", inoltre il generale von Below pianificò di proseguire l'avanzata senza interruzione anche oltre quel fiume, sboccando in pianura e costringendo il nemico ad abbandonare anche la Carnia, il Cadore e parte del Trentino[65]; non mancavano ufficiali che ipotizzavano avanzate ancor più in profondità in Italia settentrionale.

Per raggiungere questi obiettivi la 14ª Armata del generale von Below avrebbe esteso il suo fronte d'attacco da Tolmino verso nord, trasferendo la sua linea di avanzata principale a nord-ovest di Cividale e proseguendo lungo le direttrici Gemona-Tarcento e Cornino-Pinzano. L'ala destra dell'armata sarebbe stata potenziata e, passando per la stretta di Saga, avrebbe collaborato con le truppe tedesche in marcia lungo l'Isonzo da Tolmino verso Caporetto e Robič. Questa parte della armata dipendeva dal I corpo austro-ungarico del generale Alfred Krauss che era costituito da tre esperte divisioni austriache: la 3ª Divisione Edelweiss, posizionata dal Monte Rombon alla strada del Plendil, la 22ª Divisione Schützen, schierata nel settore di Plezzo, la 55ª Divisione fanteria, dal Monte Javoršček al Monte Nero[66]; in riserva era disponibile anche la divisione di cacciatori (Jäger) tedesca.

L'attacco principale sarebbe stato sferrato a partire dalla testa di ponte di Tolmino, dal Monte Nero a nord fino al Monte Jeza a sud, dal potente III corpo d'armata tedesco (bavarese) del generale Hermann von Stein che disponeva di quattro divisioni; a nord dell'Isonzo avrebbe attaccato la 50ª Divisione austro-ungarica, mentre la 12ª Divisione tedesca avrebbe fatto irruzione lungo la valle del fiume in direzione dei ponti di Caporetto. Più a sud nella testa di ponte sarebbe stato concentrato l'Alpenkorps bavarese rinforzato dal forte battaglione da montagna del Württemberg. Queste truppe speciali avrebbero avuto il compito di conquistare tutte le quote più importanti del massiccio del Kolovrat che dominavano la valle dell'Isonzo e bloccavano l'accesso alle valli del Natisone e dello Iudrio. Il III corpo disponeva in riserva in seconda linea a sette km ad est di Tolmino della 117ª Divisione tedesca[67].

Infine più a sud, tra il Monte Jeza e i Lom di Tolmino, erano schierati il LI corpo d'armata tedesco del generale Albert von Berrer e il XV corpo d'armata austro-ungarico del generale Karl Scotti con altre quattro divisioni a cui era stato assegnato il compito di attaccare e occupare le catene montuose comprese tra la Valle Doblar e la Valle dello Iudrio, marciare su Cividale e guadagnare spazio per l'avanzata sul fianco sinistro anche della 2ª Armata dell'Isonzo. Il LI corpo disponendo di poco spazio nella testa di ponte, dovette schierare in prima linea solo al 200ª Divisione tedesca, mentre la 26ª Divisione tedesca (Württemberg) rimase inizialmente in seconda linea. Il generale Scotti invece posizionò in testa la 1ª Divisione austro-ungarica; la 5ª Divisione tedesca, che era in forte ritardo, rimase più indietro in valle Idria[68].

La 14ª Armata disponeva infine di una serie di formazioni di riserve assegnate dal comando del Fronte Sud-occidentale dell'arciduca Eugenio che avrebbero potuto essere impegnate, sulla base degli sviluppi reali della situazione, in riforzo del gruppo Krauss verso Bergogna o del gruppo Stein in direzione di Robic. A 35 km a est di Tolmino era schierata la 35ª Divisione austro-ungarica, sulla strada di Circhina era in arrivo la 13ª Divisione Schützen, mentre tra Idria e Circhina era in afflusso la 4ª Divisione austro-ungarica[69]. La pianificazione originaria dell'Alto comando tedesco aveva previsto l'intervento di altre divisioni tedesche; in particolare erano stato considerata la possibilità di trasferire sul fronte italiano anche la 195ª Divisione Jäger e la 28ª Divisione fanteria; tuttavia l'evoluzione della guerra sul Fronte occidentale costrinse il generale Ludendorff a modificare le decisioni iniziali[70].

L'andamento della cruenta e logorante battaglia nelle Fiandre che stava mettendo a dura prova le forze tedesche sottoposte alla costante pressione dell'esercito britannico, costrinse l'Alto comando tedesco a comunicare il 10 ottobre al quartier generale della 14ª Armata che queste ultime due divisioni non sarebbero più state disponinbili; inoltre il generale Ludendorff avvertì, sempre il 10 ottobre, che molto presto sarebbero state ritirate le artiglierie pesanti assegnate al fronte italiano. Il 12 ottobre il Quartier generale supremo allertò la 14ª Armata che forse anche una parte delle divisioni tedesche sarebbero state richiamate. Il 18 e 19 ottobre l'Alto comando invece, rassicurato dal rallentamento degli attacchi nemici nelle Fiandre, decise di soprassedere da quest'ultima decisione e autorizzò anche a trattenere una parte dell'artiglieria campale; rimase però evidente l'impazienza del Quartier generale tedesco e il suo desiderio di concludere rapidamente la partecipazione germanica sul fronte italiano[71]. Rassicurati, i generali von Below e Krafft von Dellmensingen poterono quindi proseguire con i preparativi; nonostante ritardi nell'arrivo delle artiglierie e delle munizioni soprattutto nella conca di Plezzo, venne stabilito che l'attacco avrebbe avuto inizio il 22 ottobre, mentre le divisioni avrebbero iniziato la marcia finale di avvicinamento tra il 14 e il 16 ottobre[72].

Operazione Waffentreu[modifica | modifica wikitesto]

«Vedrà che ce la farete!»

«Vedo delinearsi un disastro, contro il quale lotterò fino all'ultimo»

Avvicinamento e primi attacchi[modifica | modifica wikitesto]

La marcia di avvicinamento delle divisioni più lontane dalla linea di partenza, la 12ª e la 26ª Divisione che si trovavano a Klagenfurth, ebbe inizio il 14 ottobre e venne effettuata attraverso la impervia e disagevole strada del passo di Loibl e del passo di Seeberg; gli slesiani della 12ª Divisione furono molto provati da questo ultimo trasferimento attraverso strade ripide, in quote elevate, senza ricoveri, con tappe estenuanti, soste minime per rispettare i tempi di percorrenza stabiliti, e molti disagi. Anche le divisioni che, partite il 16 ottobre dalla valle della Sava, passarono per i valichi di Piedicolle e di Circhina, si affaticarono molto per raggiungere l'area di Tolmino; infine l'Alpenkorps arrivò a Piedicolle da Bled passando per Bohinjska Bistrica attraverso una precaria e scoscesa deviazione[75].

Le truppe marciavano prevalentemente di notte e dovettero muovere anche per sette notti consecutive, giungendo esauste sui luoghi stabiliti; furono previste giornate di riposo per ogni divisione. Per facilitare i movimenti, le truppe da montagna portarono con loro solo l'equipaggiamento e le armi indispensabili per il combattimento mentre tutti i carichi più ingombranti furono lasciati indietro[76]. Le divisioni marciavano suddivise in tre scaglioni con in testa i reparti combattenti, quindi il cosiddetto distaccamento da battaglia con genieri, mitragliatrici pesanti, lanciagranate, lanciamine leggeri, sanità, viveri, carri officina, cucine da campo e una parte dei materiali per radiocomunicazione; infine chiudevano la marcia i carriaggi più pesanti[77].

La marcia di avvicinamento fu resa ancor più faticosa e difficile dalle avverse condizioni atmosferiche; a partire dai primi di ottobre si verificarono forti piogge e bruschi abbassamenti della temperatura, soprattutto dopo il 10 ottobre il tempo rimase quasi sempre fortemente perturbato. Le truppe in movimento soffrirono molto per la pioggia, il fango, la nebbia ed anche la neve; le strade divennero molto disagevoli. L'ultima parte della marcia di avvicinamento fu estremamente faticosa: le colonne si allungarono lungo la strada, le tappe furono prolungate per guadagnare tempo fino a 13-19 ore consecutive, i soldati erano esausti e moralmente scossi, per accelerare i tempi i comandi non concessero soste di riposo durante il trasferimento, ad ovest del passo di Circhina si verificarono ingorghi del traffico. Inoltre nel settore di Plezzo lo schieramento delle artiglieria austriache era in grave ritardo e divenne inevitabile rimandare l'inizio dell'offensiva dal 22 al 24 ottobre[78].

I generali von Below e Krafft von Dellmensingen avevano nel frattempo stabilito il loro posto di comando a Krainbug e nei giorni precedenti l'offensiva controllarono da vicino la marcia delle truppe, ispezionarono molti reparti e cercarono di superare le difficoltà pratiche sorte a causa della fretta e del tempo proibitivo. Si verificarono notevoli problemi per la difficile collaborazione con i comandi austriaci. Nelle sue memorie il generale von Below critica spesso le capacità organizzative degli alleati; egli descrive anche la condizione delle divisioni in marcia da lui ispezionate: la 12ª Divisione slesiana apparve stanca, ottime invece sembrarono le condizioni dei soldati della 26ª Divisione del Württemberg e dei bavaresi dell'Alpenkorps[79].

Mentre le truppe completavano lo schieramento di partenza, si verificarono alcuni episodi di diserzione tra i reparti austro-ungarici reclutati tra le minoranze etniche dell'Impero; in particolare il 21 ottobre disertò il tenente Maxim, ufficiale effettivo di origine romena che, essendo ben informato sugli aspetti generali dell'offensiva, avrebbe potuto fornire molte informazioni agli italiani; i documenti sottratti dal disertore sarebbero stati ritrovati dai tedeschi nei quartier generali della 2ª Armata e del IV corpo d'armata. Negli ultimi giorni le ricognizioni aeree effettivamente individuarono spostamenti di riserve nemiche verso il fronte dell'alto Isonzo[80]; l'artiglieria italiana invece sorprendentemnte non intervenne per ostacolare lo schieramento delle forze austro-tedesche; i comandi della 14ª Armata rimasero dubbiosi sul comportamento del nemico, soprattutto per la scarsa attività delle potente e temuta artiglieria avversaria[81].

Negli ultimi giorni le diviisoni raggiunsero i luoghi di concentramento e i soldati poterono finalmente riposare per alcune ore; il morale migliorò e le truppe apparvero fiduciose di poter raggiungere il successo contro un avversario ritenuto meno pericoloso dei russi e dei francesi. Sui luoghi di raggruppamento si effettuarono le ultime variazioni nello schieramento; la 12ª Divisione tedesca e l'Alpenkorps vennero subito spostate all'interno della testa di ponte di Tolmino; alcuni reparti della 200ª Divisione si portarono in avanti e raggiunsero i piedi del Kolovrat, molto vicino alle trincee avanzate italiane. Il tempo continuava ad essere caratterizzato da pioggia sottile e nebbia, mentre nelle quote più alte cadeva il nevischio[82].

Alle ore 02.00 del 24 ottobre 1917 ebbe inizio il fuoco dell'artiglieria austro-tedesca che proseguì sempre più violento, accompagnato dall'impiego dei gas contro le posizioni nemiche; i riflettori italiani si spensero progressivamente mentre i cannoni dei difensori intervennero solo sporadicamente. Dopo una pausa caratterizzata da un silenzio quasi totale, alle ore 06.00 riprese ancora più intenso il fuoco dell'artiglieria austro-tedesca con effetti impressionanti, accentuati dall'eco delle esplosioni tra le montagne; i lanciamine spararono contro la prima linea italiana, mentre l'artiglieria pesante si concentrò contro i caposaldi e le retrovie[83]. Nel frattempo i reparti d'assalto tedeschi ed austro-ungarici si erano già avvicinati agli avamposti per partire all'attacco subito dopo la fine della preparazione d'artiglieria e sorprendere i difensori; questi movimenti preparatori non vennero individuati e non diedero luogo ad alcun tiro di sbarramento da parte dei cannoni italiani. La visibilità era lievemente migliorata anche se all'alba erano presenti ancora banchi di nebbia; la giornata fu caratterizzata dalla pioggia che cadde quasi costantemente. Alle ore 08.00 circa su quasi tutto il fronte d'attacco la fanteria austro-tedesca passò all'offensiva[84].

L'attacco austro-ungarico nella zona di Plezzo[modifica | modifica wikitesto]

Nella zona di Plezzo, il generale Alfred Krauss, comandante del I corpo d'armata austro-ungarico che aveva ordine di attaccare in questo settore, aveva assegnato il compito decisivo alla 22ª Divisione Schutzen del generale Rudolf Müller, che avrebbe dovuto penetrare rapidamente le linee nemiche, avanzare verso il varco strategico di Saga e conquistare Monte Stol. Questo attacco principale sarebbe stato sostenuto sulla sua destra della 3ª Divisione fanteria Edelweiss del generale Heinrich Wieden von Alpenbach, che avrebbe dovuto conquistare il settore da Čuklja e Plužna, mentre sulla sinistra sarebbe entrata in azione la 55ª Divisione austro-ungarica del generale Felix zu Schwarzenberg che in un primo tempo avrebbe avuto il difficile compito di conquistare le due vette dello Jama Planina e del Krasnij Vrh e quindi avrebbe dovuto marciare a sud in direzione di Caporetto. Il generale Krauss disponeva inoltre in riserva della divisione Jäger tedesca del generale Georg von Wodtke che secondo i piani avrebbe dovuto seguire l'avanzata della divisione Edelweiss[85].

L'attacco austro-ungarico ebbe successo in questo settore soprattutto grazie alla potenza distruttiva del fuoco d'artiglieria e all'intervento massiccio dei reparti tedeschi addetti al lancio di gas che colsero di sorpresa gli italiani e inflissero perdite elevatissime in alcuni settori. La preparazione d'artiglieria ebbe inizio alle ore 02.00 del 24 ottobre e venne effettuata in condizioni ambientali poco favorevoli con pioggia e nebbia nella conca di Plezzo e pioggia ghiacciata e neve sulle quote più elevate[86]; i cannoni spararono granate a gas per circa due ore mezza concentrando il bombardamento sulle artiglierie italiane e sui ricoveri in caverna[87]. Nella fase iniziale entrò in azione il 35° battaglione di lanciagas tedesco che utilizzò fosgene compresso in bombole identificate da una croce gialla[88]; gli artiglieri tedeschi avevano a disposizione 1.000 bombole di gas che erano state consegnate poche ore prima e riuscirono ad impiegarle simultaneamente circa novecento con un meccanismo di accensione elettrica[89]. In totale il I corpo austro-ungarico aveva a disposizione 433 cannoni, ma nel settore del Monte Rombon e del monte Vrsic il tiro d'artiglieria non ebbe molta efficacia; mentre fu il fosgene impiegato dai Gaswerfer tedeschi che ottenne effetti distruttivi nella conca di Plezzo; la brigata Friuli ebbe forti perdite nella sua ala sinistra, in particolare l'87° reggimento fu decimato; molte centinaia di soldati italiani morirono soffocati dal gas all'interno dei ricoveri[90]. Anche l'artiglieria italiana che in un primo tempo aveva risposto al fuoco, venne ben presto soppressa dall'azione dei gas.

Dopo una sospensione alle ore 04.30 l'artiglieria iniziò il fuoco di distruzione alle ore 06.30 che continuò per oltre un ora con il concorso di bombarde e mortai; i danni furono gravi, le comunicazioni furono interrotte, le prime linee e molte postazioni sui monti e a fondo valle furono colpite pesantemente[91]. Subito dopo la fine del bombardamento ebbe iniziò l'attacco delle divisioni del I corpo d'armata. A nord il settore del monte Rombon era difeso dai tre solidi battaglioni alpini Dronero, Saluzzo e Borgo San Dalmazzo al comando del colonnello Cantoni; queste truppe non erano state colpite dal gas che a causa dei venti non era stato efficace e opposero una valida resistenza[92]. L'assalto della 3ª Divisione Edelweiss non ebbe successo; i battaglioni salisburghesi del 59° reggimento e il battaglione di Kaiserjäger tirolesi, nonostante il coraggio e la tenacia dimostrati, si trovarono in grande difficoltà per il tempo nevoso e per il terreno montagnoso quasi impraticabile[93]; i reparti rimasero bloccati sotto la neve davanti alle posizioni degli alpini, nel pomeriggio nuovi attacchi furono respinti con pesanti perdite e il Čuklja rimase in mano italiana[94]. Si concluse con un fallimento anche l'attacco laterale della 59ª brigata da montagna che, dipendente dalla 10ª Armata austro-ungarica, cercava di raggiungere l'accesso alla Valle Racolana[88]. Tuttavia gli alpini, che avevano brillantemente combattuto si sarebbero presto trovati in difficoltà a causa del cedimento delle linee sulla destra che avrebbe messo in pericolo le loro linee di comunicazione.

Le truppe della 22ª Divisione Schützen infatti erano passati all'attacco nella zona di Plezzo e avevano incontrato scarsa resistenza; mentre il comando della 50ª Divisione italiana alle ore 09.40 riferiva al IV corpo d'armata che la situazione era sotto controllo, che era stato ordinato un contrattacco e che le maschere antigas avavano funzionato ottimamente, in realtà i soldati italiani in prima linea erano stati decimati e gli austriaci trovarono molti rifugi pieni di cadaveri uccisi dai gas[95]. La brigata d'avanguardia del generale von Merten guidò l'attacco: il 26° reggimento Schützen della Stiria avanzò facilmente nonostante la forte pioggia, occupò Plužna alle ore 11.30, superò la prima linea e proseguì nella conca di Plezzo che venne raggiunta alle ore 12.00. Anche il 2° reggimento Kaiserschützen fece notevoli progressi; alle ore 17.30 venne superata la terza linea italiana e le avanguardie si avvicinarono al Polovnik. L'avanzata venne rinforzata con l'intervento dei reparti di riserva della divisione, il 3° Schutzen e il 1° Kaiserschutzen che al comando del colonnello Sloninka raggiunsero lo sbarramento di Podčela che copriva l'accesso alla stretta di Saga. Il capitano Siegl del 3° Schutzen guidò l'attacco alle ore 21 del Podčela ma nella notte gli austriaci si fermarono davanti ad un ponte quasi distrutto che sembrava impedire il passaggio[96].

La situazione della 50ª Divisione era critica, i comandanti della brigata Friuli e del 87° reggimento erano stati seriamente feriti e i resti delle truppe di prima linea stavano ripiegando verso Saga; il generale Giovanni Arrighi, comandante della divisione, aveva ordinato un contrattacco ma ben presto vennero le perse le comunicazioni con i comandi superiori, a Saga venne organizzato un debole sbarramento con i resti delle prime linee e il battaglione di riserva Monviso[97]. Nel frattempo si manifestarono crescenti fenomeni di di disgregazione nei reparti; i soldati iniziarono a ripiegare disordinatamente, molti cannoni furono abbandonati, si diffusero notizie di disfatta. Il generale Arrighi, non informato dell'efficace resistenza sulla riva meridionale dell'Isonzo e sul Polovnik, fu inoltre molto allarmato dalla notizia, rivelatasi falsa, che le difese avevano ceduto anche a Krasnij Vrh e che quindi i nemici avanzavano su Tarnova. Il comandante della 50ª Divisione prese la decisione alle ore 18.00 di abbandonare anche la stretta di Saga e ripiegare in Val Uccea su una precaria nuova linea Monte Guardia-Hum-Monte Stol[98].

In realtà nel settore dello Jama Planina e del Krasnij Vrh le difese italiane affidate alla brigata Genova, appartenente alle 43ª Divisione fanteria del generale Angelo Farisoglio, non erano crollate e la 55ª Divisione austro-ungarica del generale Schwarzenberg aveva dovuto combattere aspramente in un terreno montuoso di eccezionale difficoltà, nella nebbia e sotto la neve che l'avevano costretta a rinviare l'attacco iniziale alle ore 09.30. Si dovette inoltre rinunciare all'assalto contro Vrsic-Krasnij Vrh a causa della scarsa efficacia del tiro d'artiglieria e soprattutto perchè l'unica via d'accesso, angusta e coperta dalla nebbia, risultò impraticabile per le truppe sotto il tiro delle mitragliatrici italiane; un tentativo effettuato alle ore 12.00 fallì in mezzo ad una tormenta di neve[99]. Importanti risultati invece furono raggiunti dalla 26ª brigata da montagna austro-ungarica del generale barone von Zeidler-Sterneck; in particolare il 7° reggimento della Carinzia del colonnello Wolff riuscì a mezzogiorno a raggiungere le pendici del Polovnik, a conquistare lo Slaternik, dove un battaglione italiano si arrese, ed a superare la prima linea italiana a nord dello Jana Planina[100]; tuttavia non riuscì l'ulteriore attacco sferrato con il favore della notte alla Sella di Za Kraju per scendere verso Caporetto e i carinziani furono contrattaccati e dovettero combattere fino a mezzanotte per mantenere le posizioni conquistate[101].

La giornata del 24 ottobre si concludeva con notevoli risultati per il I corpo d'armata anche se non era stato ancora raggiunto l'obiettivo decisivo della conquista della stretta di Saga e sul Polovnik e sul Rombon i difensori avevano opposto efficace resistenza. Gli austro-ungarici catturarono circa 3.700 prigionieri e 80 cannoni, la maggior parte grazie all'azione della 22ª Divisione Schutzen. Mentre le forze di prima linea continuavano gli attacchi, il comando del corpo aveva portato avanti fino a Plezzo la divisione Jäger tedesca che era stata inizialmente posta in riserva nelle retrovie; inoltre dopo lo sfondamento in fondo valle a Plezzo, alcuni reparti della 22ª e della Edelweiss deviarono a nord e imboccarono la strada di Planina Gorjčica per minacciare alle spalle le posizioni degli alpini sul Monte Rombon[102].

L'attacco nel saliente del Monte Nero[modifica | modifica wikitesto]

Nel quadro del piano operativo definitivo dell'operazione Waffentreu, il III corpo d'armata tedesco (bavarese) del generale Hermann von Stein avrebbe dovuto svolgere l'attacco più importante ed effettuare lo sfondamento decisivo. Sull'ala destra questo corpo schierava la 50ª Divisione fanteria austro-ungarica del generale Karl von Gerabek che in un primo tempo avrebbe dovuto assaltare le linee italiane ad est dell'Isonzo nel difficile e aspro settore tra il Monte Nero a nord e il villaggio di Dolje a sud. La missione della 50 Divisione appariva difficile a causa della solidità delle linee italiane ancorate ad una serie di posizioni fortificate di montagna. In teoria era previsto che le truppe austro-ungariche sfondassero il fronte e avanzassero da nord-est verso Caporetto, ma in realtà era stato ipotizzato che la divisione avrebbe dovuto soprattutto agganciare le forze nemiche schierate nel suo settore e impegnarle a fondo in attesa dei successi ai suoi fianchi della 55ª Divisione austro-ungarica sulla destra sulla Sella di Za Kraju e della 12ª Divisione tedesca sulla sinistra lungo la valle dell'Isonzo[103].

Le difese italiane si estendevano dal Monte Nero al Vodil; erano costituite da solide posizioni fortificate sulle quote dominanti e nelle gole; una seconda linea era stata già predisposta tra i monti Kozljak e Pleca ed i villaggi di Vrsno e Selisce[103]; il IV corpo d'armata del generale Cavaciocchi presidiava queste forti posizioni a nord fino al Monte Rosso con la 43ª Divisione del generale Farisoglio, e dal Monte Rosso a sud fino a Gabrje con la 46ª Divisione del generale Amadei[104]. Erano disponibili inoltre in riserva gli alpini del V gruppo posizionati a Dreczenca e sul Monte Pleca, e due reggimenti bersaglieri, giunti a Drezenca, sede del comando della 43ª Divisione, la sera del 23 ottobre[105].

Le truppe austro-ungariche della 50ª Divisione non disponevano delle superiorità numerica e dovettero iniziare l'attacco discendendo verso le posizioni nemiche poste più in basso su un difficile terreno scosceso e parzialmente innevato; l'assalto, ritardato fino alle ore 09.30 a causa del tempo e di problemi di spostamento, venne condotto con le tecniche di infiltrazione di piccoli gruppi d'assalto[103] e fu preceduto da un potente bombardamento d'artiglieria effettuato in due fasi tra le 02.00 e le 07.30 che causò notevoli danni[106]. Nel complesso i reparti italiani si difesero con valore ed efficacia nonostante l'insufficiente appoggio delle batterie di artiglieria che non intervennero in modo massiccio e quindi non riuscirono ad ostacolare l'azione del nemico[107].

L'attacco della 50ª Divisione non solo riuscì ad impegnare frontalmente le truppe italiane ma raggiunse anche un notevole successo nel settore compreso tra lo Sleme e il Mrzli dove le forza autro-ungariche sfondarono le difese fin dal primo assalto grazie anche all'importante supporto di fuoco fornito dalle batterie di cannoni al comando del colonnello Mazza. La 15ª brigata da montagna del colonnello Koschak, schierata sull'ala sinistra, ottenne il maggiore successo iniziale: un battaglione del 46° reggimento fanteria avanzò profondamente a sud-ovest del Mzli, mentre il II battaglione del 18° reggimento fanteria del capitano Pratsch dopo lo sfondamento marciò verso il villaggio di Gabrje, favorendo in questo modo la prevista avanzata da Dolje lungo la riva sinistra dell'Isonzo dei tedeschi della 12ª Divisione fanteria. Alcuni reparti della brigata Caltanissetta cercarono di contrattaccare verso lo Mzli ma i loro tentativi furono respinti dall'intervento del 1° reggimento bosniaco[103].

Le forze attaccanti sull'ala destra inizialmente incontrarono maggiori difficolta; le truppe italiane sul Monte Nero, a 2.245 metri, respinsero gli assalti e mantennero il possesso della posizione in quota, mentre i reparti della brigata Etna opposero forte resistenza alle truppe austro-ungariche della 3ª brigata da montagna del colonnello Tlaskal nel settore di Planina Leskovica; mediante l'esplosione di una mina, gli austriaci riuscirono invece a conquistare il Monte Rosso[108]. Nonostante la resistenza di reparti della brigata Caltanissetta in alcune postazioni fortificate e l'intervento del battaglione Belluno in aiuto delle truppe discese dal Monte Rosso, alle ore 11.00 la situazione delle truppe italiane divenne critica. A causa della perdita del Mzli, molti soldati iniziarono a ripiegare verso sud cercando di raggiungere Volarje che tuttavia era già in possesso degli slesiani della 12ª Divisione[109], mentre la 3ª brigata da montagna riuscì ad occupare Planina Leskovica e ad avanzare fino a Krn, catturando 1.000 prigionieri e 13 cannoni[110].

Alcuni reparti italiani continuarono a battersi coraggiosamente sulla seconda linea di resistenza da Kozljak a Vrsno; gli alpini contrattaccarono sul Monte Rosso, mentre il colonnello Magliano organizzò la resistenza sul Pleka con il battaglione alpino Albergian sostenuto da un battaglione del 9° reggimento bersaglieri. Tuttavia nel corso della giornata la situazione dei resti della 43ª e 46ª Divisione stava divenendo sempre più precaria a causa della pressione frontale e soprattutto delle minacce sui fianchi e alle spalle; le truppe italiane potevano vedere gli incendi e i segni della battaglia che si estendeva intorno a loro; le linee di comunicazione attraverso l'Isonzo sembravano in pericolo, Caporetto bruciava, la sola linea di ritirata ancora aperta passava per il ponte di Tarnova[111]. Il generale Farisoglio aveva già deciso alle ore 15.00 di iniziare la ritirata della 43ª Divisione e si era portato con il suo stato maggiore a Caporetto dove venne catturato dalle truppe tedesche già in possesso della città, mentre le sue truppe come quelle della 46ª Divisione del generale Amadei rimasero in gran parte sulle loro posizioni nel saliente del Monte Nero, durante la notte una parte della brigata Etna riuscì a ripiegare attraverso il ponte di Tarnova[112].

Mentre la situazione delle truppe italiane ormai quasi isolate nel saliente del Monte Nero diveniva sempre più difficile, le truppe austro-ungariche continuarono i loro attacchi e mentre la 3ª brigata da montagna incontrava ancora forte resistenza a Kozljak e sul Pleka, la 15ª brigata del colonnello Koschak avanzò profondamente verso sud-Ovest collaborando con gli slesiani in marcia sulla riva sinistra dell'Isonzo. I bosniaci del 1° reggimento e i fanti del 18° reggimento raggiunsero Selisce, Vrsno, quindi Ladra e Idersko[110]. La 50ª Divisione nel corso dei combattimenti del 24 ottobre catturò oltre 7.000 prigionieri e 90 cannoni[110].

Marcia dei tedeschi su Caporetto[modifica | modifica wikitesto]

Inizio dell'attacco nella testa di ponte di Tolmino[modifica | modifica wikitesto]

Il generale Hermann von Stein, comandante del III corpo d'armata tedesco (bavarese).

Nonostante i notevoli successi raggiunti a Plezzo dal I corpo d'armata austro-ungarico del generale Krauss, il crollo delle difese italiane fu provocato soprattutto dall'andamento dei combattimenti più a sud e dai catastrofici sviluppi causati dallo sfondamento e dall'avanzata lungo la valle dell'Isonzo, nel punto di congiunzione del IV e del XXVII corpo d'armata italiani, ad opera della 12ª Divisione di fanteria tedesca, dipendente dal III corpo d'armata tedesco (bavarese) del generale Hermann von Stein[113].

La 12ª Divisione di fanteria del generale Arnold Lequis, reclutata in Slesia e proveniente dal fronte occidentale, era stata ammassata nella testa di ponte di Tolmino a nord e a sud dell'Isonzo: mentre il 63° reggimento e il I battaglione del 23° reggimento erano schierati a Dolje e sul Pan di Zucchero, gli altri due battaglioni del 23° reggimento erano passati a sud del fiume attraverso una passerella e si erano ammassati alle spalle di alcuni reggimenti dell'Alpenkorps. Il terzo reggimento della divisione, il 62°, erano in ritardo a causa di difficoltà di marcia e solo alle ore 05.00 del mattino raggiunse la sua posizioni di riserva a Ljubini[114].

L'offensiva a sud dell'Isonzo a partire dalla testa di ponte di Tolmino ebbe inizio alle ore 07.55 con l'attacco del reggimento della Guardia bavarese dell'Alpenkorps che, seguito subito dietro dal battaglione da montagna del Württemberg, entro trenta minuti superò dopo un breve combattimento l'avamposto italiano di San Daniele, difeso da due compagnie, e proseguì a nord di Volzana in direzione della Costa Rauza, aprendo la strada ai battaglioni del 23° reggimento che poterono avviarsi lungo la valle dell'Isonzo[115].

Il generale Pietro Badoglio, comandante del XXVII corpo d'armata italiano.

Secondo i piani, intorno alla città di Tolmino erano state raggruppate ingenti forze tedesche, oltre 50.000 soldati, teoricamente esposti ad un bombardamento distruttivo da parte dell'artiglieria nemica; in pratica invece i cannoni italiani non intervennero contro le truppe ammassate a valle limitandosi a colpire la cima delle montagne e in questo modo non ostacolarono affatto la concentrazione nemica e la fase di avvicinamento alla linea d'attacco[116]. Il mancato intervento massiccio dell'artiglieria italiana, in particolare di quella del XXVII corpo d'armata del generale Pietro Badoglio costituita da 733 pezzi[117], ha provocato in sede storiografia grandi polemiche riguardo alle cause ed alle responsabilità; secondo i piani stabiliti dal generale Montuori e confermati dal generale Capello il pomeriggio del 23 ottobre, i cannoni italianni avrebbero dovuto intervenire quasi subito dopo l'inizio dell'offensiva nemica con un massiccio fuoco di contropreparazione dalle ore 02.00 per almeno quattro ore[118]. In realtà sembra che il generale Badoglio non applicò queste disposizioni e prescrisse al colonnello Cannoniere, comandante dell'artiglieria del XXVII corpo, di attendere ordini e risparmiare le munizioni. La mancanza di decisione del generale Badoglio, che diede finalmente l'ordine alle ore 06.30, e la successiva interruzione delle comunicazioni tra il suo quartier generale a Kosi e il posto di comando del colonnello Cannoniere a Ostry Kras, resero impossibile sferrare un efficace fuoco di artiglieria. Anche la nebbia ostacolò il tiro dei cannoni italiani[119].

Secondo le fonti tedesche l'intervento dell'artiglieria italiana in posizione sui declivi delle montagne mancò soprattutto per le avverse condizioni climatiche che impedirono l'ossevazione dall'alto degli sviluppi della situazione a fondovalle dove marciavano le colonne tedesche[120]. Si è anche parlato di un possibile piano segreto del generale Badoglio che avrebbe previsto di far avanzare inizialmente le truppe nemiche nella piana di Volzana prima di colpirle di sorpresa con il fuoco concentrato della sua artiglieria. Questa ipotetica "trappola di Volzana" non si realizzò mai; a causa della mancanza di adeguati preparativi e della interruzione delle comunicazioni i cannoni italiani potero solo effetture un tiro sporadico ed inefficace; alle ore 11.00 finalmente il colonnello Cannoniere riuscì a riferire al generale Badoglio che tutte le comunicazioni con le batterie erano interrotte, che era impossibile un'azione di comando e che non si avevano notizie precise[121].

Avanzata dei tedeschi nella valle dell'Isonzo[modifica | modifica wikitesto]

Sulla riva destra dell'Isonzo a partire dalle ore 09.00 i due battaglioni tedeschi del 23° reggimento, seguiti dietro dal 62° reggimento, poterono quindi avanzare sul fondo valle senza difficoltà sfruttando il varco aperto a San Daniele dai soldati del reggimento bavarese della Guardia. Le difese italiane in questo settore erano particolarmente deboli: due compagnie del 208° reggimento della Brigata Taro erano verso Volzana, un plotone del 147° reggimento della Brigata Caltanissetta si trovava a Osteria, mentre mancavano altri reparti fino a Caporetto; era stato previsto che una compagnia mitraglieri si trovasse di fronte a Gabrie e che l'intera Brigata Napoli difendesse l'importante posizione di Foni ma al mattino del 24 ottobre 1917 nessuno dei due reparti si trovava sul posto: solo un battaglione del 76° reggimento della Brigata Napoli era sul monte Pleza e appena una compagnia occupava il settore di Foni fino al fondovalle[122].

Truppe tedesche della 12ª Divisione slesiana in marcia nella valle dell'Isonzo.

L'avanzata degli slesiani del 23° reggimento lungo la riva destra fu agevole e rapida, protetta anche dalla fitta nebbia. I soldati tedeschi marciavano inquadrati sul fondovalle superando con facilità alcuni deboli sbarramenti[123]; la marcia di queste colonne non passò del tutto inosservata; alcuni reparti italiani sulle alture videro queste truppe sconosciute avanzare senza opposizione; anche dal Kolovrat e dal Vodil si osservò la fitta colonna in marcia; si credette impossibile che si trattasse di nemici, quindi si pensò che fossero prigionieri ricondotti nelle retrovie dalle truppe italiane[124].

L'avanzata sulla riva sinistra del 63° reggimento tedesco fu maggiormente ostacolata ma anche queste truppe, che avevano iniziato l'avanzata alle ore 08.00, raggiunsero rapidamente il successo, sopraffacendo uno dopo l'altro i reparti italiani presenti lungo la strada completamente colti di sorpresa dal loro arrivo[125]. Alle ore 09.00 gli slesiani aveano già superato la prima linea dopo aver vinto la resistenza di due compagnie del 156° reggimento italiano della Brigata Alessandria; negli scontri cadde il comandante del I battaglione tedesco, capitano Silcher[126], ma la cittadina di Gabrie venne conquistata e venne catturato il comando del 156° reggimento[127]; un'interruzione stradale già preparata dagli italiani non venne attivata e alle ore 10.00 i tedeschi entrarono a Volarje dove, utilizzando una passerella sul fiume, il I battaglione del 23° reggimento passò a sud dell'Isonzo per ricongiungersi, mentre il 63° reggimento proseguiva lungo la riva sinistra, con gli altri reparti del reggimento che marciavano lungo la riva destra[128].

Alle ore 10.30 le truppe tedesche lanciarono razzi bianchi per segnalare all'artiglieria le posizioni già raggiunte ed evitare errori di tiro, quindi dopo una pausa, ripresero ad avanzare sul fondo valle. Le fonti tedesche descrivono l'avanzata della divisione slesiana lungo le due rive dell'Isonzo: le truppe dimostrarono eccellenti qualità militari e grande slancio superando i vari deboli sbarramenti e raggiungendo alle ore 11.00 la seconda linea di difesa italiana da Foni a Selisce[129]. A Selisce i tedeschi del 63° reggimento dovettero combattere per superare la resistenza del III battaglione del 156° reggimento; in questa fase giunsero da nord i reparti bosniaci della 15ª brigata austroungarica appartenente alla 50ª divisione, che scendevano a valle dopo aver superato la resistenza sul monte Mrzli[130]. Gli italiani furono soppraffatti e l'avanzata lungo la riva sinistra riprese verso Kamno.

Il generale Arnold Lequis, comandante della 12ª Divisione fanteria tedesca.

A sud del fiume il varco strategico di Foni era praticamente indifeso e gli slesiani del 23° reggimento poterono passare quasi senza incontrare resistenza; il III battaglione del 76° reggimento, schierato sul monte Pleza non si accorsero neppure del passaggio di queste truppe e rimase inattivo[131]. I tedeschi superarono Foni e attaccarono le postazioni dell'artiglieria pesante italiana ai piedi del Kolovrat; le batterie di artiglieria, totalmente soprese dall'arrivo dei soldati tedeschi, furono sbaragliate e numerosi cannoni di grosso calibro furono catturati[132]. Infine il 23° reggimento si avvicinò a Osteria, posta sulla riva destra di fronte a Kamno, e qui i tedeschi finalmente furono scorti dalla riva sinistra[133].

Dal posto di comando di Kamno, il colonnello Piscitelli, comandante del II battaglione del 147° reggimento della Brigata Caltanissetta (46ª Divisione fanteria), e i suoi ufficiali osservarono verso mezzogiorno, mentre la fitta nebbia finalmente si diradava, folte colonne di soldati marciare lungo la riva destra dell'Isonzo in direzione di Osteria e Idersko. In un primo momento gli ufficiali e le truppe del battaglione credettero che si trattasse di soldati italiani in ritirata, ma subito dopo sorsero dubbi e inquietanti incertezze. I soldati sconosciuti avanzavano compattamente lungo la riva, indossavano lunghi cappotti e portavano grandi elmetti da oplita; ben presto tra gli italiani si diffuse la sconcertante notizia: si trattava del nemico, truppe tedesche in marcia in profondità oltre la linea del fronte senza incontrare alcuna opposizione[134].

Le truppe tedesche individuate all'ultimo momento dai soldati del 147° reggimento, appartenevano al 23° reggimento della 12ª Divisione slesiana e stavano avanzando in massa verso Osteria difesa solo da un plotone del II battaglione. Nonostante il fuoco delle mitragliatrici impegnate subito dal colonnello Piscitelli per battere dalla riva sinistra le colonne nemiche, i tedeschi dopo un attimo di sosta attaccarono Osteria e sgominarono facilmente il plotone italiano. Subito dopo fu attaccato anche il II battaglione sulla riva sinistra: le truppe tedesche del 63° reggimento, provenienti da Selisce, avanzavano in file compatte sbucando da un gruppo di alberi; dopo un'aspra resistenza il battaglione italiano, attaccato da tutte le parti, venne sbaragliato, il colonnello Piscitelli rimase ucciso negli scontri, i resti ripiegarono su Smast. I tedeschi avanzarono ancora in "perfetto ordine" lungo la riva destra verso Idersko e catturarono quasi al completo un'altro battaglione italiano che, completamente demoralizzato si ritirava da Libussina; il suo comandante preferì arrendersi senza combattere. Poco dopo gli slesiani del 63° reggimento attaccarono lungo la riva sinistra il quartier generale del 147° reggimento italiano: il posto di comando fu travolto e il colonnello Raimondo fu ferito e catturato[135].

Alle ore 13.00 i due battaglioni di punta del 23° reggimento slesiano raggiunsero e conquistarono Idersko dopo aver facilmente superato la resistenza improvvisata di due compagnie del 282° reggimento, appartenenti alla Brigata Foggia, inviate dalla riva sinistra dell'Isonzo dal generale Amadei comandante della 46ª Divisione; il posto comando di questa divisione era già stato trasferito precipitosamente alle notizie dell'arrivo dei tedeschi, da Smast a Ladra e poi a Caporetto[136]. A Idersko gli slesiani sopraffecero anche il locale reparto di carabinieri[137]. La crescente confusione tra i reparti italiani in ritirata rallentò l'afflusso delle riserve della Brigata Foggia; numerosi sbandati entrarono disordinatamente a Ladra e solo con grande difficoltà si riuscì ad instradarli verso Caporetto, dove secondo i testimoni, c'era un "terribile, impressionante" spettacolo di "sfacelo"[138].

Alle ore 14.00, sulla riva sinistra dell'Isonzo, i tedeschi del 63° reggimento dopo aver distrutto il 147° reggimento, occuparono anche intatto l'importante ponte sul fiume tra Ladra e Idersko ed in questo modo stabilirono un solido collegamento con i reparti del 23° reggimento. A questo punto le forze della 12ª Divisione slesiana riorganizzarono il loro schieramento: sulla riva sinistra rimase solo il I battaglione del 63° reggimento, mentre gli altri due battaglioni passarono il ponte e si portarono sulla riva destra per rafforzare la marcia su Caporetto[139]. A sua volta il 23° reggimento spinse avanti lungo il fondo valle solo il II e III battaglione mentre il I battaglione, al comando del capace maggiore Eichholz, deviò a sud per coprire il fianco sinistro della forza principale, e avanzò verso il valico di Luico[140].

Il battaglione del maggiore Eichholz procedette con difficoltà sul terreno impervio e impiegò tre ore per sbucare a nord di Golobi lungo la strada per Luico; alle ore 15.30 le avanguardie tedesche raggiunsero il villaggio e catturarono alcuni piccoli reparti di bersaglieri e colonne di rifornimento italiane colte di sorpresa. Le truppe tedesche furono presto rinforzate dall'arrivo prima di un gruppo di mitraglieri bavaresi e poi del III battaglione del 23° reggimento che, dopo aver lasciato la 11ª compagnia a Idersko, discese a sua volta a sud e arrivò a Golobi. Le forze nemiche si stavano però rinforzando; da Luico erano in arrivo forti reparti italiani, tra cui il 20° bersaglieri, e si temeva un imminente un contrattacco. Il maggiore Eichholz decise quindi di fermare l'avanzata e stabilire la difesa a Golobi; i tedeschi organizzarono le posizioni di copertura ma per il resto della sera e durante la notte non si verificarono attacchi italiani[141].

Nel frattempo durante il pomeriggio del 24 ottobre il grosso della 12ª Divisione slesiana, ormai concentrato sulla riva destra dell'Isonzo, riprese l'avanzata da Iderska puntando decisamente verso Caporetto per completare la vittoria; il II battaglione del 23° reggimento al comando del capitano Illgner guidò la marcia, rafforzato dalla 11ª compagnia distaccata dal III battaglione. In questa fase secondo le fonti tedesche, furono catturati automezzi, cannoni e animali abbandonati dal nemico e alcune centinai di soldati italiani, completamente demoralizzati, si arresero senza opporre resistenza. I tedeschi dovettero tuttavia combattere per raggiungere Caporetto, mentre sulla riva opposta del fiume erano visibili colonne nemiche che ripiegavano confusamente dal Monte Nero[142].

Conquista di Caporetto[modifica | modifica wikitesto]

Colonne italiane a Caporetto il 24 ottobre, circa un ora prima dell'arrivo nella cittadina delle truppe tedesche della 12. Division.

L'attacco a Caporetto ebbe inizio alle ore 15.30 da parte del II battaglione del capitano Illgner e dalla 11ª compagnia del tenente Kuttner, appoggiati da una batteria di artiglieria da montagna austro-ungarica[143]. In questa posizione nelle retrovie avrebbe dovuto essere dislocata la 34ª divisione del generale Basso, costituita principalmente dai tre reggimenti di fanteria della Brigata Foggia del generale Pisani ma a causa della confusione e di ordini contrastanti durante la mattinata questi reparti vennero dispersi tra Saga, Luico e Caporetto[144]. Nonostante il crescente disordine e la grande confusione, il posto di comando della 34ª divisione del generale Basso cercò di organizzare la difesa della città di Caporetto con parte del 282° reggimento del colonnello Vigna richiamato d'urgenza, mentre altri reparti della Brigata Foggia si schierarono nella zona del cimitero[145]. I tedeschi dovettero combattere nelle strade di Caporetto per superare la resistenza; dopo una serie di scontri all'interno dell'abitato, in cui distinsero i soldati del sottufficiale Birchel, la città alle ore 16.00 era ormai in mano della 12ª Divisione. Furono catturati oltre 2.000 prigionieri tra cui il generale Angelo Farisoglio, comandante della 43ª Divisione fanteria, colto di sorpresa dai soldati guidati dal maresciallo Becker mentre cercava insieme ad altri due ufficiali di fuggire in auto verso ovest[143]; anche il generale Pisani, comandante della Brigat Foggia fu fatto prigioniero[146]. Caddero in mano degli slesiani molti veicoli, cavalli, magazzini di viveri ed equipaggimento[143]. Il capitano Platania in precedenza, disorientato e intimorito dall'arrivo dei tedeschi, aveva fatto saltare in aria il ponte sull'Isonzo di propria iniziativa; in questo modo tutte le truppe che rifluivano in disordine da nord-est, in particolare i resti delle brigate Alessandria, Caltanissetta e Foggia, si trovarono tagliate fuori e isolate a nord del fiume[147].

I tedeschi si trovavano, dopo la conquista di Caporetto, oltre 15 chilometri all'interno del territorio nemico ed avevano raggiunto un successo decisivo scardinando completamente la linea del fronte; nonostante la stanchezza, i soldati della 12ª Divisione non si arrestarono nella città ma ripresero subito l'avanzata per sfruttare la favorevole situazione. Il II battaglione del 23° reggimento, rinforzato dalla 11ª compagnia, guidò ancora una volta la marcia, seguito subito dietro dall'intero 63° reggimento[143]. Nel frattempo infatti anche il I battaglione del 63° reggimento si era trasferito a sud dell'Isonzo attraversando, dopo aver trovato distrutto il ponte di Caporetto, al ponte di Idersko; tutta la 12ª Divisione slesiana si trovava ormai sulla riva destra del fiume[148]. L'avanzata procedette anche nella crescente oscurità della sera e della notte, rischiarata a tratti dagli incendi di deposti e villaggi abbandonati dagli italiani[143].

Le truppe tedesche raggiunsero nel buio Staroselo dove incapparono in fortificazioni difese da alcuni reparti italiani che opposero resistenza; grazie alla determinazione del reparto di avanguardia guidato dal tenente Schaffranek anche questa debole opposizione venne superata e furono catturati altri prigionieri. Infine la 12ª Divisione completò la sua missione raggiungendo e occupando alle ore 22.30 Robič in precedenza sede del comando del IV corpo d'armata italiano; il II battaglione del 23° reggimento e il 63° reggimento si fermarono finalmente per la notte e si stabilirono nelle case e nei baraccamenti nemici, mentre nel vicino villaggio di Kred furono sorpresi e catturati altri sbandati italiani. Dietro i reparti di punta, il 62° reggimento era nel frattempo avanzato fino ad Idersko da dove uno dei suoi battaglioni nella notte raggiunse Golobi per rinforzare la posizione tenuta dal I battaglione del 23° reggimento[149]. A Robič i reparti italiani in ritirata diedero segno di collasso e si diffusero voci disfattiste di "fine della guerra" tra i soldati demoralizzati e confusi[150].

Alla fine della giornata del 24 ottobre la 12ª Divisione slesiana, esausta dopo la continua avanzata, schierava tre battaglioni a Golobi, I e III del 23° reggimento e II battaglione del 62° reggimento, mentre due altri battaglioni del 62° erano ancora a Idersko; i reparti di punta erano a Robič: il II battaglione del 23° reggimento e i tre battaglioni del 63° reggimento[151]. La divisione aveva sfondato il fronte italiano e, dopo una avanzata di 27 chilometri in sedici ore, aveva agirato con la sua audace penetrazione lungo l'Isonzo lo schieramento italiano tra Plezzo e Tolmino e inoltre si era portata a distanza d'attacco della valle del Natisone che avrebbe dato accesso alla pianura del Friuli[152].

Durante la marcia i tedeschi catturarono circa 10.000 prigionieri e notevoli quantità di armi ed equipaggiamenti abbandonati dagli italiani in ritirata[152]; la maggior parte dell'artiglieria e dei depositi del IV corpo d'armata erano infatti stazionati nella valle dell'Isonzo e, a causa del disordine, della confusione e della sorpresa, fu impossibile evacuarli in tempo e quindi furono travolti dall'avanzata nemica[153]. Oltre cento cannoni caddero in mano degli slesiani. Le fonti tedesche esaltano l'abilità e la tenacia degli ufficiali e dei soldati tedeschi e parlano di "incomparabile aggressività delle truppe"[154]. Il generale Arnold Lequis che alle ore 13.00 aveva trasferito il suo posto di comando tattico da Rauna, ad est di Tolmino, ad una cascina ad un incrocio a nord di Volzana, era deciso a sfruttare la favorevole situazione e proseguire l'avanzata il 25 ottobre; durante la notte stessa il quartier generale del Kaiser assegnò al generale Lequis la croce Pour le Mérite, la piu alta decorazione al valore, in riconoscimento dei risultati raggiunti dalla sua divisione[154].

L'avanzata dell'Alpenkorps[modifica | modifica wikitesto]

L'Alpenkorps tedesco al comando del generale Ritter von Tutscheck, costituito dalle migliori truppe da montagna disponibili e già impegnato in azione su molti teatri di guerra con pieno successo, aveva uno dei compiti più difficili e importanti per l'esito dell'offensiva della 14ª Armata. Schierati sul fianco sinistro della 12ª Divisione slesiana che avrebbe marciato lungo la valle dell'Isonzo, i reparti alpini tedeschi, formati in maggioranza dai soldati bavaresi, ottimi e aggressivi combattenti[155], avrebbero dovuto assaltare l'imponente massiccio montuoso del Kolovrat che costituiva il bastione principale delle difese italiane; in particolare avrebbero dovuto conquistare i due obiettivi fondamentali del Monte Podklabuc e del Monte Matajur. Le truppe da montagna tedesche attaccarono alle ore 07.55 partendo dalle loro posizioni nella testa di ponte di Tolmino: sulla destra mossero i soldati del reggimento bavarese della Guardia, seguiti dietro dal battaglione da montagna del Württemberg, mentre sulla sinistra venne schierato 1° reggimento cacciatori (Jäger) bavaresi; in secondo linea si trovava il 2° reggimento cacciatori bavaresi che aveva ancora alcuni reparti a est dell'Isonzo[156].

Truppe d'assalto tedesche armate con mitragliatrici leggere MG08/15.

Le difese italiane in questo settore dipendevano dal comando del XXVII corpo d'armata del generale Badoglio ed erano costituite dalle brigate della 19ª Divisione del generale Giovanni Villani che aveva il compito di difendere tutta la zona comprese tra la riva destra dell'Isonzo a sud di Gabrje fino a margine settentrionale dell'altipiano della Bainsizza. La divisione schierava a nord la brigata Taro del brigadier generale Danioni con il 208° e 207° reggimento che presidiavano la linea di resistenza ad oltranza compresa tra Costa Rauza e Costa Duole; le truppe disponibili erano insufficienti e alcuni tratti del fronte erano scarsamente occupati. Piu a sud si trovava la brigata Spezia del generale Gianinazzi che difendeva il settore dalle pendici del monte Jeza al costone Cemponi, in seconda linea tra Monte Plezia e Foni si trovava la brigata Napoli. La 19ª divisione doveva difendere un settore molto esteso del fronte ma disponeva in rinforzo anche di numerose compagnie di mitraglieri e di quattro battaglioni di alpini[157]. Il generale Villani era consapevole della debolezza delle sue difese e soprattutto della mancanza di truppe a protezione della riva destra dell'Isonzo; egli si era uniformato alle direttive del generale Badoglio che prescrivevano di trattenere la brigata Napoli in riserva sulle montagne[158].

Il reggimento bavarese della Guardia aveva concentrato di sorpresa le sue forze e il suo attacco incontrò inizialmente scarsa resistenza; il III battaglione che marciava all'avanguardia discese alcuni ripidi sentieri e quindi si infiltrò nelle linee italiane contrastato solo da sporadico fuoco di fucileria. Il villaggio di San Daniele cadde subito e due compagnie nemiche si arresero; quindi venne occupato il villaggio di Volzana; più a nord avanzarono i soldati del battaglione del Württemberg. Alle ore 08.30 il III battaglione bavarese del capitano von Holnstein arrivò ai piedi del Leisce Vrh, il primo rialzo della Costa Rauza[159]. I bavaresi iniziarono la salita divisi in colonne per compagnia; sulla destra vennero sorpresi alcuni cannoni, mentre al centro e sulla sinistra altre due compagnie aggirarono e infiltrarono una linea trincerata italiana, furono catturati 300 prigionieri. Nelle ore successive le compagnie di destra occuparono dopo un breve scontro il Leisce Vrh e quindi il Kovacic Planina che venne aggirato sui due lati. Alle ore 11.30 le due compagnie del III battaglione raggiunsero anche il Hlevnik dove vennero sbaragliate le batterie dell'artiglieria italiana che sparavano verso nord in direzione dell'Isonzo. Gli artiglieri, completamente ignari del pericolo, vennero sorpresi e i bavaresi catturarono oltre trenta cannoni campali e pesanti[160].

Il maggior generale Ritter von Tutscheck comandante dell'Alpenkorps.

Mentre le compagnie di centro sostavano sul posto, i reparti di sinistra del III battaglione avevano raggiunto il villaggio di Kamenka dove furono respinti alcuni pericolosi contrattacchi e furono catturati altri 200 soldati italiani e notevoli quantità di armi ed equipaggiamenti. Alle ore 14.00, dopo l'arrivo del maggiore Robert Bothmer, il comandante del reggimento bavarese della Guardia, l'avanzata del II battaglione riprese, mentre erano in avvicinamento lungo le pendici della Costa Rauza anche gli altri due battaglioni[161]. Il capitano von Holnstein diresse l'azione dei sui soldati che si spinsero sul margine occidentale del Hlevnik, poi seguirono le creste del Kolovrat e infine discesero a sud-ovest verso il passo Zagladan a 1.072 metri; vennero sorpresi altri reparti nemici provenienti da Foni. Nel pomeriggio anche gli altri due battaglioni si riunirono con i reparti di testa dopo aver superato una sporadica resistenza[162].

Nel frattempo durante tutta la giornata gli svevi del battaglione da montagna del Württemberg avevano marciato sulla destra dei bavaresi; i soldati svevi erano truppe particolarmente agguerrite, tenaci e combattive, tra le migliori dell'esercito tedesco[163] e riuscirono a infiltrarsi nel fondo valle e quindi a risalire con poche perdite il margine settentrionale della Costa Rauza dirigendosi su Foni[161]. Gli elementi di punta erano guidati dall'aggressivo tenente Erwin Rommel, giudicato dal generale Krafft von Dellmensingen nelle sue memorie "uomo di eccezionale capacità"[164]; seguivano dietro il gruppo Schillein e il gruppo Vahrenberg con il comandante del battaglione maggiore Theodor Sproesser[165]. I soldati del tenente Rommel furono le prime truppe tedesche ad avanzare dalla testa di ponte di Tolmino; dopo aver superato i reticolati, le due compagnie percorsero la piana di Volzana, catturarono alcuni cannoni e accerchiarono un reparto italiano, aprendo la strada agli slesiani della 12ª Divisione[166].

Il tenente Ferdinand Schörner, comandante di una compagnia del reggimento bavarese da montagna della Guardia, fu il protagonista dell'audace assalto alla vetta del monte Podklabuc il pomeriggio del 24 ottobre 1917.

Gli svevi del battaglione da montagna del Württemberg, impegnati ad avanzare sul fianco destro dei bavaresi, dovettero combattere una serie di piccoli scontri per superare le posizioni italiane a nord del leisce Vhr e del Hlevnik difese da un battaglione del 76° reggimento fanteria della brigata Napoli; nel pomeriggio finalmente fu raggiunta ed occupata Foni con un assalto a sopresa del gruppo Vahrenberg; il plotone dei difensori venne sopraffatto, furono catturati 24 cannoni e molto materiale[161]; i superstiti del battaglione italiano furono tagliati fuori. Dopo questo successo i würtemburghesi marciarono verso sinistra per riunirsi con il reggimento bavarese della Guardia che nel frattempo aveva raggiunto altri brillanti successi[167].

Mentre una parte dei bavaresi dallo Zagladan avanzava sulla destra ed entro le ore 16.30 raggiungeva ed occupava anche il Monte Piatto e il Bukova Jeza difesi da alcuni reparti della brigata Arno dipendenti dal VII corpo d'armata[168], alle ore 16.00 il III battaglione del reggimento bavarese della Guardia, comandato dal capitano von Holnstein, aveva dato inizio all'attacco contro l'importante posizione del monte Podklabuc, punto culminante a 1.114 metri del sistema del Kolovrat, difeso da un battaglione della brigata Napoli. Dopo il tiro dell'artiglieria tedesca, l'assalto venne sferrato dalla compagnia guidata dal tenente Ferdinand Schörner con l'appoggio di un'altra compagnia, mentre altri reparti presidiarono la val Kamenka ed il I e II battaglione rimasero sullo Zagladan di riserva. Il tenente Schörner condusse i suoi uomini sulle pendici del monte, nell'oscurità crescente raggiunse una posizione al coperto vicino alla cima, quindi, mentre altri reparti effettuavano un attacco diversivo, riuscì a penetrare con il suo reparto in uno stretto varco nei reticolati, ad irrompere di sorpresa nelle postazioni italiane ed a raggiungere la vetta. I difensori, completamente disorientati, non opposero molta resistenza, il tenente Schörner catturò circa 300 prigionieri[169], entro le ore 17.30, con l'arrivo dei rinforzi del resto del III battaglione, il Podklabuc venne totalmente conquistato dalle truppe bavaresi[170]. Nelle ore successive fino a tarda notte i bavaresi rinforzarono le loro posizioni sul Podklabuc, rastrellarono i nuclei superstiti della brigata Arno e della brigata Napoli lungo il Kolovrat e respinsero alcuni contrattacchi[171]; il maggiore Bothmer decise di far salire in vetta anche il II battaglione, mentre nel corso della notte arrivarono di rinforzo da nord i wurttembrughesi del tenente Rommel che catturarono altri prigionieri e diciasette cannoni[172]. Complessivamente il 24 ottobre l'Alpenkorps catturò circa 4.000 soldati italiani[173].

Soldati tedeschi catturano numerosi soldati italiani in una trincea durante le fasi iniziali dell'offensiva sull'Isonzo.

Mentre questi reparti raggiungevano decisivi successi sul crinale del Kolovrat, le altre formazioni dell'Alpenkorps invece si erano trovate in seria difficoltà e non avevano guadagnato molto terreno. Alle ore 09.40 un battaglione del 1° reggimento cacciatori aveva raggiunto il terreno a ovest di Volzana e era salito lungo la Costa Duole per attaccare la quota 732 ma alle ore 10.00 venne fermato dalle posizioni fotificate italiane che erano rinforzate da reticolati e favorite dall'asperità del terreno; il fuoco delle mitragliatrici impedì ogni ulteriore progresso dei tedeschi[174]. Alla fine della giornata del 24 ottobre il 1° reggimento cacciatori, dopo un tentativo fallito di aggiramento, era ancora bloccato sulle pendici di quota 732, mentre anche il 2° reggimento cacciatori, schierato in riserva, non aveva partecipato a grandi combattimenti. Questo ultimo reggimento dell'Alpenkorps aveva marciato dietro il reggimento bavarese della Guardia, aveva sostato a ovest di Volzana fino alle ore 16.20 e quindi si era spostato verso la val Kamenka e la Costa Rauza, ma, ostacolato dal fuoco dell'artiglieria italiana, non raggiunse queste posizioni fino alle ore 20.00; nella notte venne ordinato al reparto di trasferirsi sul Podklabuc per rafforzare le posizioni raggiunte[175].

Nonostante i limitati successi dei reggimenti cacciatori bavaresi, la situazione della 19ª Divisione italiana era già estremamente critica e il generale Villani, che nelle prime ore della battaglia aveva mantenuto un certo ottimismo, stava perdendo il controllo delle sue truppe; solo alle ore 16.00 il generale decise di impiegare le sue riserve costituite dalla debole brigata Napoli. Le linee della 19ª Divisione stavano franando non solo sul Podklabuc ad opera dell'Alpenkorps ma anche più a sud dove il LI corpo d'armata tedesco del generale Albert von Berrer metteva in pericolo le posizioni dello Jeseniak e dello Jeza[176]. Alle ore 17.30 il generale Villani dovette abbandonare il suo posto di comando sullo Jeza per trasferirsi sullo Zagladan dove rischiò di essere ucciso o catturato da truppe tedesche che erano già arrivate in cima[177]. Alle ore 20.00 del 24 ottobre il generale Villani, finalmente consapevole del disastro, inviò da Clabuzzaro al generale Badoglio un drammatico messaggio in cui riferiva che le sue truppe erano "state sopraffatte su tutta l'estensione del fronte" e che le artiglierie erano state "interamente distrutte"[178].

Gli attacchi del gruppo von Berrer e del gruppo Scotti[modifica | modifica wikitesto]

Successi del gruppo von Berrer[modifica | modifica wikitesto]

Il LI corpo d'armata tedesco del generale Albert von Berrer disponeva di due divisioni per il suo attacco a partire dalla parte sud della testa di ponte di Tolmino; tuttavia a causa dell'insufficiente spazio disponibile e del ritardo nell'afflusso delle truppe, al mattino del 24 ottobre solo la 200ª Divisione fanteria del generale Ernst von Below era pronta ad attaccare mentre la 26ª divisione fanteria del generale Ebherard von Hofacker era molto più indietro e nel corso della giornata non entrò in azione, raggiunse Santa Lucia d'Isonzo e si occupò del controllo delle retrovie[179].

Il generale Albert von Berrer, comandante del LI corpo d'armata tedesco.

La 200ª Divisione tedesca attaccò alle ore 7.45 del mattino attraversando il bassopiano davanti al villaggio di Ciginj con il 4° reggimento cacciatori a nord e il 3° reggimento cacciatori a sud, supportati in seconda linea dal 5° reggimento cacciatori; sembra che l'avanzata di queste truppe tedesche colse di sorpresa le difese, mentre anche il fuoco dell'artiglieria italiana risultò scarsamente efficace a causa del terreno paludoso[180]. Il bombardamento preliminare tedesco aveva devastato le trincee avanzate italiane e quindi sull'ala destra della 200ª Divisione il 4° reggimento cacciatori potè inizialmente occupare senza difficoltà il vllaggio di Ciginj, tuttavia la successiva avanzata di questo reparto che aveva in teoria il compito decisivo di assaltare lo Jeza, incontrò rapidamente importanti difficoltà. I soldati tedeschi iniziarono a salire le pendici di Costa Duole contemporaneamente al 1° reggimento cacciatori dell'Alpenkorps schierato più a nord, e superarono, grazie all'azione della compagnia del tenente Maschke, alcuni nidi di mitragliatrici di avamposti della brigata Spezia[181], ma lungo il percorso per raggiungere la Cappella Sleme, a nord dello Jeza, incapparono nelle linee dell'ala destra della brigata Taro e furono bloccati davanti alle difese principali senza poter proseguire oltre. Il 4° reggimento rimase fermo su quella posizione per il resto della giornata[182].

Fu invece il 3° reggimento cacciatori, schierato sull'ala sinistra della 200ª Divisione fanteria, che dimostrò grande abilità nella guerra di montagna e raggiunse i risultati più brillanti in questo settore, contribuendo in modo decisivo allo scardinamento definitivo delle posizioni italiane sulle montagne fin dal primo giorno di offensiva. Il colonnello Ralf von Rango, comandante del reggimento, disponeva del supporto di 48 mitragliatrici pesanti e 72 leggere ed aveva organizzato le sue forze schierando i battaglioni con due compagnie in prima linea ed una di rincalzo, con le migliori truppe d'assalto all'avanguardia[183]. L'avanzata dei tedeschi, guidata dal II battaglione, seguito dal III e infine dal I battaglione, ebbe inizio alle ore 08.00 e si sviluppò con successo lungo i ripidi pendii scoperti, in direzione di Jesenjak. Il II battaglione, potentemente appoggiato dal fuoco dell'artiglieria tedesca, guadagnò rapidamente terreno con agili manovre di aggiramento: le due compagnie di punta conquistarono quota 431 e sorpresero un comando di battaglione italiano, catturando 150 prigionieri, quindi, dopo aver subito il fuoco incrociato dell'artiglieria italiana ed anche i tiri dei cannoni tedeschi, i soldati ripresero ad avanzare alle ore 09.10 e alle ore 09.54 venne raggiunta quota 592. Alle ore 10.10 il II battaglione conquistò Jesenjak, le trincee italiane furono distrutte dal fuoco diretto e i caposaldi, colti di sorpresa e privi di comunicazioni, furono espugnati dai cacciatori[184].

Soldati austro-tedeschi durante una sosta a Santa Lucia d'Isonzo.

Mentre il III e il IV battaglione del 3° reggimento cacciatori seguivano l'avanzata verso quota 431, fin dalle ore 07.55 si era messo in movimento anche il I battaglione ed aveva occupato uno dopo l'altro le quote 260 e 531 dopo aver superato alcuni centri di resistenza italiani che si erano battuti aspramente. Alle ore 09.45 il I battaglione riuscì a superare le difese e alle ore 11.00 raggiunse le cima della importante quota 631 da dove erano visibili le valli più in basso dove furono individuate lunghe colonne italiane in ritirata; sulla sinistra furono scorte le truppe bosniache della 1ª Divisione austro-ungarica in avanzata[185]. Dopo qualche difficoltà causata da un contrattacco di elementi della brigata Spezia e dal tiro su quota 631 da parte dell'artiglieria tedesca che costrinse le truppe ad abbandonare temporaneamente la posizione, alle ore 14.00 i cacciatori del I battaglione ripresero l'avanzata dirigendosi a nord verso l'importante quota 760 che appariva fortemente difesa. L'azione a sorpresa della compagnia del tenente Schneider consenti ai tedeschi di occupare rapidamente dopo un breve combattimento ravvicinato anche quota 760; nel frattempo il II battaglione era impegnato a rastrellare il terreno; vennero catturati numerosi soldati italiani che erano rimasti isolati nei rifugi in caverna[186].

Dal pomeriggio la situazione delle truppe italiane del 125° reggimento della brigata Spezia poste a difesa del Monte Jeza divenne critica; era stato previsto di impiegare in rinforzo il battaglione alpino Val d'Adige che da Dugo aveva iniziato alle ore 14.00 la marcia di avvicinamento[187], questo reparto avrebbe dovuto difendere il cosiddetto "Falso Jeza", la quota 907 situata a 500 metri ad est dello Jeza, ma nel frattempo i tedeschi del II battaglione del 3° reggimento cacciatori avevano già attaccato questa montagna fin dalle ore 11.15 e riuscirono a conquistare il "Falso Jeza" sorprendendo il comando locale e catturando una batteria di cannoni ed altri prigionieri[188]. Gli alpini del battaglione Val d'Adige quindi si stabilirono sullo Jeza e organizzarono una tenace difesa passando anche al contrattacco alle ore 16.30 e mettendo in difficoltà le esauste truppe tedesche del II battaglione. Nonostante l'intenso fuoco dell'artiglieria avversaria che bersagliava lo Jeza, gli alpini, che combattevano isolati dal resto della brigata Spezia, respinsero i primi attacchi e ottennero alcuni successi locali[189].

Nonostante le difficoltà, il colonnello von Rango aveva raggiunto le prime linee e decise di organizzare subito l'attacco allo Jeza concentrando le truppe del III battaglione del capitano Tippelschirch e del IV battaglione del capitano Deminger; furono i soldati della compagnia al comando del tenente Goercke, appartenente al IV battaglione, che guidarono l'assalto sotto la copertura del fuoco delle mitragliatrici. I tedeschi discesero dal "Falso Jeza" e risalirono il pendio raggiungendo la cima dello Jeza; subito dopo intervennero altri reparti del III battaglione e la posizione venne conquistata[190]. A prezzo di 4 ufficiali e 18 soldati morti, il 3° reggimento cacciatori aveva raggiunto il suo più importante obiettivo, catturando 99 cannoni, 75 mitragliatrici, 45 lanciamine e molti prigionieri[190]. Il battaglione alpino Val d'Adige si era battuto coraggiosamente e le fonti tedesche affermano che "gli italiani difesero lo Jeza con straordinario valore"[191], tuttavia alle ore 21.00 i resti del reparto dovettero ripiegare verso Dugo, il maggiore Michel comandante del battaglione, raggiunse Clabuzzaro con cinquanta uomini, altri gruppi tentarono di fuggire verso Peternel e Clodig. Alcuni piccoli nuclei rimasero isolati sullo Jeza e vennero progressivamente eliminati dai tedeschi del 3° reggimento che sostarono nella notte sulla cima dell'altura[192].

Avanzata del gruppo Scotti[modifica | modifica wikitesto]

Nella parte meridionale della testa di ponte di Tolmino, tra Santa Lucia d'Isonzo e i Lom, alle ore 08.00 attaccarono anche le truppe del XV corpo d'armata austro-ungarico del generale Karl Scotti; questa formazione, costituita dalla 1ª Divisione fanteria austro-ungarica del generale Josef Metzger e dalla 5ª Divisione fanteria tedesca del generale Hasso von Wedel doveva avanzare sulla Sella di Rute e sul Costone Cemponi, superare la seconda linea italiana e quindi marciare verso sud-ovest e verso sud conquistando il Varda Vhr, Monte Globocak, il Krad Vhr, il Cukli Vhr e i ponti sull'Isonzo di Ronzina e Log[193]. A causa di problemi nei trasporti e di intasamenti di traffico, al mattino del 24 ottobre la 5ª Divisione tedesca era ancora in ritardo nelle retrovie e quindi il generale Scotti potè impegnare solo la 1ª Divisione austro-ungarica, formazione esperta costituita da ottime truppe da montagna suddivise nelle due brigate al comando dei colonnelli Budiner e von Hellebronth[194]. La difesa italiana tra Scuola Rute, il Krad Vhr e il Cukli dipendeva dal XXVII corpo d'armata del generale Badoglio ed era stata affidata al X gruppo alpini del colonnello Salvioni in contatto sul fianco sinistro con la brigata Spezia; il comando del X gruppo schierò a difesa i tre battaglioni Morbegno, Monte Berico e Vicenza che disponevano di forze insufficienti per resistere al potente attacco austriaco[195].

La 1ª Divisione austro-ungarica aveva fatto avanzare durante la notte le sue avanguardie fino alle posizioni italiane e al mattino diede inizio all'attacco ma, non disponendo di lanciamine per appoggiare la fanteria, l'artiglieria nemica rimase attiva e alle ore 09.00 apri il fuoco infliggendo perdite alle formazioni in fondovalle. Dopo duri combattimenti gli austriaci della brigata Budiner riuscirono ad occupare le posizioni della prima linea nemica: il costone Cemponi cadde alle ore 9.30 e alle ore 10.15 il Cukli Vhr; più tardi nella mattinata, nonostante alcuni contrattacchi degli alpini, venne conquistato anche il Varda Vhr[196]. La brigata von Hellebronth incontrò maggiori difficoltà per superare le difese italiane non indebolite dal fuoco d'artiglieria ma riuscì ugualmente a conquistare alle ore 16.00 il Krad Vhr, ad ovest del villaggio di Javor e a sud del Varda Vhr[196]. I battaglioni alpini Morbegno e Monte Berico si batterono aspramente ma dovettero alla fine abbandonare con gravi perdite le loro posizioni; il battaglione Vicenza difese fino all'ultimo il Krad Vhr; nel tardo pomeriggio questi reparti si stabilirono in difesa della bassa Valle Doblar, mentre il generale Villani, comandante della 19ª Divisione, alle ore 14.00 ordinò l'intervento della brigata Puglie tenuta di riserva[197]. I due reggimenti di questa brigata avrebbero dovuto schierarsi sulla seconda linea difensiva tra il Cicer Vhr, Pusno e il monte Globocak per proteggere l'ultima linea di sbarramento imperniata sulla posizione del Monte Kum ma non ebbero il tempo di organizzare la difesa sotto la pressione delle truppe austro-ungariche della 1ª Divisione fanteria.

La brigata del colonnello Budiner si era rimessa in movimento alle ore 15.30 ed era riuscita a raggiungere e superare dopo accaniti scontri il settore difensivo italiano compreso tra i villaggi di Bjziak e Auska; quindi alle ore 19.15 i soldati della brigata, il III battaglione cacciatori bosniaco e il 53° reggimento fanteria[198], sorpresero a Pusno i reparti in afflusso della brigata Puglie e avanzarono ancora verso Srednje. La battaglia continuò fino alle ore 22.00 quando il comando di brigata ordinò la ritirata alle truppe italiane che abbandonarono Srednje e si stabilirono a difesa del Monte Globocak[199]; la divisione del generale Metzger al termine della giornata del 24 ottobre aveva quindi scardinato due linee difensive imperniate su forti posizioni di montagna ed era pronta ad assaltare il Monte Globocak, l'ultimo ostacolo importante in questo settore prima di aver accesso alla Valle Judrio. Gli austro-ungarici catturarono 4.600 prigionieri, 77 cannoni, 32 mitragliatrici e molto materiale[193].

Mentre la 1ª Divisione austro-ungarica superava la resistenza nemica, la 5ª Divisione tedesca aveva a sua volta iniziato ad avanzare alle sue spalle; il generale von Wedel, desideroso di recuperare il tempo perduto ed entrare in combattimento, sollecità i suoi uomini a riprendere subito il movimento dopo una breve sosta e l'8° reggimento granatieri inziò a muovere alle ore 09.30 verso il Varda Vhr seguito dietro dal 52° reggimento fanteria; il terzo reggimento, il 12° granatieri, e gli obici pesanti rimasero invece fermi nelle retrovie[200]. I granatieri partirono da Santa Lucia d'Isonzo e proseguirono la marcia durante tutta la giornata, bersagliati sporadicamente dal fuoco dell'artiglieria italiana e intralciati dal tempo fortemente piovoso; solo alle ore 20.00 raggiunsero finalmente il Varda Vhr già conquistato dalle truppe austro-ungariche. Il 52° reggimento invece iniziò l'avanzata solo alle ore 16.00 e subì alcune perdite sul fondo valle a causa del tiro dei cannoni nemici; alle ore 22.00 finalmente raggiunse a sua volta il Varda Vhr; nelle retrovie si era messo in movimento anche il terzo reggimento con gli obici da montagna. La 5ª Divisione era in posizione per partecipare il 25 ottobre all'attacco contro Monte Kum, pilastro dell'ultima linea difensiva italiana[201].

L'azione degli alti comandi italiani il 24 ottobre[modifica | modifica wikitesto]

Alle ore 11.00 del 24 ottobre il re Vittorio Emanuele III, recatosi a Carraria, dove era situato il posto di comando del VII corpo d'armata, aveva chiesto informazioni sull'attacco nemico e in particolare aveva ordinato di entrare in comunicazione con il quartier generale del XXVII corpo a Kosi. Le informazioni fornite dal comando del generale Badoglio erano scarse: le comunicazioni con le prime linee era state interrotte dal fuoco dell'artiglieria nemica, ma non si aveva notizia di assalti di fanteria[202]. La realtà era molto diversa; alle ore 12.00 il generale Bongiovanni ebbe finalmente notizia dello sfondamento a Volzana e poco dopo il comando dell'armata comunicò la caduta di Selisce sulla riva sinistra dell'Isonzo[203].

Il generale Bongiovanni a questo punto cercò di schierare le sue forze per bloccare l'avanzata nemica ma le sue truppe erano ancora disperse: quattro battaglioni di bersaglieri erano a Luico, la brigata Arno era tra il Monte Piatto e il Monte Kuk, la brigata Elba nell'alta valle dello Iudrio; male informati sulla posizione delle colonne nemiche, questi reparti non poterono influire sulla situazione e anche un intervento delle brigate Firenze e Napoli verso il passo Zagladan e il Bukova Jeza venne previsto solo per il 25 ottobre; altri contrattacco progettati contro le truppe tedesche in marcia su Caporetto non vennero mai attuati; la notte del 24 ottobre il VII corpo era disperso tra Monte Matajur, Luico, Golobi e i piedi del Kolovrat[204].

Nel frattempo i comandi del IV e del XXVII corpo avevano perso completamente il controllo della situazione. Il generale Badoglio, isolato dalle sue truppe e dalle artiglierie, cercò di recarsi con il suo stato maggiore sulla linea del fronte ma lungo la strada incappò nelle sue truppe in ritirata nel disordine e nel panico; quindi decise di arretrare il suo quartier generale prima a Kambresko e poi a Liga senza poter mai esercitare durante la giornata la funzione di comando. Sembra che egli in pratica non ebbe alcuna notizia della marcia dei tedeschi su Caporetto lungo il fondo valle Isonzo; nella notte egli era ormai tagliato fuori dalle tre divisioni schierate a sud del fiume, mentre aveva scarse informazioni sulla disperata situazione della 19ª Divisione[205]. Avendo trasferito al generale Fiorone, con un messaggio portato dal maggiore Freguglia alle ore 19.15, il controllo delle tre divisioni sulla riva sinistra dell'Isonzo, il generale Badoglio nella notte del 24 ottobre aveva sotto il suo comando solo la brigata Puglie[206]. Il IV corpo d'armata durante la giornata aveva appreso dello sfondamento sul fondo valle Isonzo e aveva cercato di tamponare la falla impiegando le sue modeste riserve della brigata Foggia; il generale Cavaciocchi tuttavia non venne informato in tempo della minaccia su Caporetto e non fu in grado di intervenire a causa del mancato arrivo delle riserve che gli erano state promesse e che alla fine del 24 ottobre erano ancora nell'alta valle del Natisone e nella stretta di Stupizza[207].

Il generale Capello venne inizialmente tenuto informato dell'offensiva nemica; le sue prime disposizioni erano rivolte a potenziare la difesa dell'ala sinistra dell'armata ed in particolare del IV corpo; sembra invece che il comando della 2ª Armata non abbia individuato subito il pericolo costituito dallo sfondamento nel fondo valle Isonzo verso Caporetto. Una serie di reparti vennero messi in movimento nella mattina e alle ore 13.00 venne costituito un comando subordinato, affidato al generale Montuori, per coordinare le operazioni del IV e del VII corpo d'armata[208]. Alle ore 10.00 il generale Capello non sembrava ancora molto preoccupato ma nel pomeriggio le informazioni provenienti dal fronte divennero rare e più confuse. Alle ore 18.05 invece il comandante della 2ª Armata, ormai a conoscenza del crollo del XXVII corpo, avvertì che "il nemico procede lungo fondovalle...est vicino Caporetto"[209]; egli ordinò un contrattacco sul fianco, dispose l'afflusso di altre quattro brigate e comunicò al XXIV e al II corpo, schierati sulls Bainsizza, la necessità di iniziare a ripiegare. Il generale, pur sofferente per la sua malattia, cercava ancora di controllare la situazione e nella notte progettò di organizzare una linea di resistenza Monte Maggiore-Monte Mia-Monte Matajur, Monte Jeza-Monte Globocak[210].

Al Comando Supremo di Udine il generale Cadorna nella mattinata si preoccupò soprattutto di inviare un flusso continuo di rinforzi all'ala sinistra della 2ª Armata; egli riteneva possibile bloccare l'offensiva nemica e mise particolare attenzione a mantenere i collegamenti anord con la zona Carnia ordinando l'occupazione di Monte Maggiore per chiudere l'accesso alla Val Uccea[211]. Il generale Cadorna quindi rimase sorpreso dall'evoluzione rapidamente disastrosa degli avvenimenti; solo nel pomeriggio al Comando Supremo si avvertirono i primi segnali di forte preoccupazione. Alle ore 17.00 il colonnello Angelo Gatti rilevò che a Udine le notizie erano scarse; solo alle ore 22.00 egli apprese che la situazione era catastrofica; tra gli ufficiali c'era grande tensione e segni di collasso, si segnalavano cedimenti di interi reparti; il colonnello Gatti riporta nel suo diario di guerra che si parlò di "Sedan italiana" e di ritirata al Tagliamento[212]. Effettivamente il generale Cadorna, pur non ancora rassegnato alla sconfitta, alle ore 22.45 prescrisse alla 2ª e 3ª Armata di prendere le prime misure per riattivare la linea difensiva del Tagliamento[213].

I combattimenti del 25 ottobre[modifica | modifica wikitesto]

Dopo il primo giorno di combattimenti la situazione delle forze italiane si presentava difficile ma apparentemente non ancora totalmente compromessa; l'esercito aveva già subito perdite elevatissime di uomini e soprattutto di artiglierie e materiali e molti reparti ancora in combattimento sulla prima linea erano ormai tagliati fuori dall'avanzata nemica e rischiavano di doversi arrendere. Numerosi altri reparti erano in frenetico movimento per cercare di raggiuingere le posizioni assegnate, costituire un nuovo schieramento e fermare la marcia degli austro-tedeschi. In realtà alcuni storici ritengono che alla mezzanotte del 24 ottobre 1917 la battaglia di Caporetto fosse già perduta per gli italiani e che lo sfondamento dell'Isonzo fosse ormai irreversibile; le riserve in afflusso era in grado di consolidare in parte le difese della valle dello Iudrio e del terreno a ovest della Bainsizza ma erano troppo lontane e troppo scarse per poter sbarrare le direzioni strategiche più pericoloso della val Uccea, della val Resia, del settore tra il Monte Maggiore e il Monte Mia e soprattutto della valle del Natisone verso Cividale e Udine che erano presidiate solo da poche truppe del debole VII corpo d'armata e che quindi si presentavano aperte all'avanzata germanica[214].

Durante la notte del 24-25 ottobre soffiò il vento di bora e al mattino il tempo migliorò sensibilmente; il cielo divenne sereno e tutte le vette, parzialmente innevate, divennero visibili; in queste condizioni atmosferiche favorevoli le truppe austro-tedesche ripresero con la massima energia l'offensiva per sfruttare la situazione e completare lo sfondamento definitivo. Le direttive della 14ª Armata prevedevano soprattutto che fossero conquistate il Monte Stol e le ultime vette del Kolovrat, in particolare il Monte Matajur, con un azione combinata della 12ª Divisione slesiana, dell'Alpenkorps e della 117ª Divisione, mentre la 50ª Divisione austro-ungarica avrebbe occupato il Monte Mia all'imbocco della valle del Natisone[215].

Settore del gruppo Krauss[modifica | modifica wikitesto]

Alle ore 18.00 del 24 ottobre il generale Arrighi, preoccupato dal crollo delle difese a Plezzo e dalle voci di un cedimento anche sul Krasij Vrh, aveva ordinato alle deboli forze raccolte a Saga di abbandonare quell'importante posizione tattica e ripiegare ancora verso Hum. In realtà fin dalle ore 16.00 sembra che il generale Montuori, recatosi sul posto, avesse già disposto l'abbandono di Saga anche se il suo ordine non pervenne subito ai comandi subordinati[216]. Questo ordine, che dimostrava il pessimismo e la scarsa combattività dei generali, si rivelò un grave errore; in questo modo furono persi i collegamenti sia con gli alpini sul Rombon sia con la 43ª Divisione che sbarrava ancora la strada di Tarnova. Inoltre la ritirata dovette essere effettuata nella notte del 25 ottobre sotto la pioggia e si tramutò presto in rotta con fenomeni di dissoluzione e panico tra i reparti. La strada per Hum si rivelò presto impraticabile per le artiglierie che dovettero essere in parte distrutte e in parte furono catturate dagli austriaci della 22ª Divisione Schützen del generale Muller. Ben presto venne deciso di abbandonare anche Hum e di ripiegare ancora verso il Monte Stol, furono persi i collegamenti e le comunicazioni tra i reparti; crebbe continuamente il numero degli sbandati e la confusione nelle retrovie[217].

Nel settore del Monte Rombon anche gli alpini del colonnello Cantoni, minacciati alle spalle, dovettero ritirarsi cercando di raggiungere il Canin attraverso la Sella Prevala, ma il ripiegamento si concluse con un disastro. Mentre il 59° reggimenti austro-ungarico della divisione Edelweiss occupava le trincee abbandonate del Cukla, gli alpini dovettero marciare in condizioni di tempo proibitive attraverso scoscesi e impervi sentieri di montagna pressati alle spalle dal nemico[218]. Le due brigate della divisione Edelweiss, la 216ª e la 217ª, si misero infatti subito all'inseguimento e cercarono anche di marciare sul fianco sinistro della Val Uccea, riuscendo a raggiungere ed occupare Monte Guardia[219]. In serata i soldati austro-ungarici della divisione occuparono lo Shutnik a metri 1.719 e si apprestavano ad attaccare da due direzioni il Canin a quota 2.592[220].

Le truppe austro-ungariche giunte a Saga avevano potuto riprendere nella notte del 25 ottobre l'avanzata attraverso il ponte di Podcela che era risultato solo parzialmente distrutto e quindi ancora percorribile. Alle ore 08.00 venne occupato il villaggio ormai abbandonato dagli italiani e i soldati della 22ª Divisione marciarono subito per dare l'assalto al Monte Stol che appariva impervio e fortemente presidiato dagli italiani organizzati in caposaldi. Gli austro-ungarici mancavano completamente di artiglieria per colpire le fortificazioni ma venne deciso dal generale Müller di passare ugualmente all'attacco; dopo duri combattimenti venne raggiunta alle ore 13 la linea dell'Hum; quindi due battaglioni del 1° reggimento Kaiserschützen, al comando del capitano Hevrosky e del maggiore Miksch, assaltarono i caposaldi sulle pendici dello Stol riuscendo a guadagnare terreno. Infine poco prima di mezzanotte del 25 ottobre il III battaglione del 1° reggimento Kaiserschützen, proveniente da est, condusse, al comando del maggiore von Forbelsky, l'attacco finale e riuscì a mettere piede sullo Stol occupando alcune posizioni a ovest della quota 1.450, mentre i difensori italiani davano segno di cedimento e iniziavano a ritirarsi[221][219].

Durante la giornata del 25 la situazione delle truppe italiane in questo settore era definitivamente precipitata; i comandi della 50ª Divisione e del IV corpo d'armata non furono assolutamente in grado di controllare la battaglia. Il generale Arrighi alle ore 21.00 decise di abbandonare anche lo Stol; un ordine analogo del IV corpo era già pervenuto nel primo pomeriggio e la ritirata avrebbe dovuto essere protetta dalla brigata Genova, proveniente a Tarnova, e da un reparto di bersaglieri. Il generale Cavaciocchi aveva in un primo tempo deciso di arrestrare fino a Platischis e Nimis ma il generale Montuori ordinò invece di difendere Breginj con l'aiuto della 34ª Divisione. Dopo una serie di ordini confusi e contraddittori e di notizie sempre più drammatiche sull'avanzata nemica, il generale Cavaciocchi decise una nuova ritirata; alle ore 23.30 il generale venne sostituito al comando dei resti del IV corpo dal generale Gandolfo[222].

Settore del gruppo Stein[modifica | modifica wikitesto]

La 12ª Divisione slesiana era stata la protagonista della audace penetrazione fino a Caporetto, Staroselo e a Robic, ma al mattino del 25 ottobre era ampiamente frazionata; una parte delle forze, il 63° reggimento e un battaglione del 23° reggimento, riprese l'avanzata lungo la valle del Natisone per attaccare da dietro il Monte Matajur, mentre i tre battaglioni al comando del maggiore Eicholz, fermi a Golobi, dovettero affrontare i violenti contrattacchi di alcuni battaglioni di bersaglieri[223]. Gli assalti italiani continuarono fino alle ore 12.00 e, sostenuti dal fuoco dell'artiglieria, misero in difficoltà i tedeschi che tuttavia nel primo pomeriggio ripresero il controllo della situazione grazie anche all'arrivo da est delle truppe dell'Alpenkorps che, dopo aver segnalato ocn razzi luminosi il loro arrivo, minacciarono il fianco dei bersaglieri e si spinsero verso Luico. Alle ore 17.00, il maggiore Eicholz sferrò l'attacco decisivo a Golobi, l'assalto ebbe successo e quindi gli slesiani del 23° reggimento continuarono ad avanzare fino a Luico che cadde alle ore 18.00, gli italiani si ritirano e vennero catturati 1.900 prigionieri e 18 cannoni[224]. Mentre i soldati del maggiore Eicholz marciavano ancora e occupavano prima della notte anche i villaggi di Perati e Avsa, nel pomeriggio il 63° reggimento si era spinto da Robic a sud lungo la valle del Natisone raggiungendo Stupizza e catturando numerosi prigionieri di reparti italiani in afflusso su autocarri. Informati del probabile arrivo di forti riserve nemiche, gli slesiani si fermarono[225]. Fin dalle ore 07.00 del mattino il tenente Walter Schnieber con una compagnia del 63° reggimento aveva raggiunto un punto sul versante nord del Monte Matajur a circa 100 metri dalla cima, proteggendo la marcia del resto del reparto lungo la vallata; per questa brillante azione il tenente venne immediatamente decorato dell'ordine pour le mérite[226].

Più a nord nel saliente del Monte Nero la 50ª Divisione austro-ungarica del generale Gerabek attaccò e distrusse i reparti italiani rimasti tagliati fuori e che ancora opponevano tenace resistenza; un battaglione guidato dal capitano Wanka riuscì a raggiungere e conquistare il monte Kozljak, mentre un altro battaglione occupò il Monte Nero; molte colonne di truppe italiane che discendevano dalle montagne per cercare di fuggire, vennero bloccate e catturate[227]. Nel frattempo il comandante della divisione aveva raggiunto con il suo quartier generale il villaggio Idresko dove incontrò il generale Lequis, comandante della divisione slesiana; i due alti ufficiali coordinarono l'avanzata dei loro reparti. La XV brigata da montagna austro-ungarica fu diretta verso Robic dove giunse al termine della giornata e da dove ripartì in direzione del Monte Mia, mentre Sul fianco destro fu preso contatto con i reparti austriaci della 22ª Divisione Schützen provenienti dal monte Stol. Il generale Gerabek fece avanzare il resto della sua divisione verso Monte Joanaz dove si temeva che il nemico stesse organizzando una nuova linea di difesa[228].

Nel massiccio del Kolovrat intanto era continuata la sistematica avanzata delle truppe tedesche; l'Alpenkorps nel corso della notte aveva concentrato le sue forze, e sul Podklabuc, conquistato dal reggimento bavarese della Guardia, affluirono anche il 2° reggimento cacciatori e il battaglione da montagna del Württemberg; il 1° reggimento cacciatori invece era ancora attardato sulla Costa Duole ed avrebbe raggiunto la vetta del Kolovrat solo a tarda sera[229]. Nella mattinata le forze tedesche sul Podklabuc furono ripetutamente contrattaccate da una serie di reparti italiani affrettamente raggruppati per riguadagnare le posizioni perdute; gli attacchi furono condotti coraggiosamente dai soldati delle brigate Firenze, Napoli ed Elba ma vennero tutti respinti con dure perdite[230]. Il III e il I battaglione del reggimento bavarese della Guardia contennero gli attacchi con difficoltà; le stesse fonti tedesche parlano di "rabbiosi contrattacchi condotti con grande valore"[231]. Tuttavia alle ore 10.00 i tentativi italiani erano ormai falliti, le posizioni tedesche sul Podklabuc erano state ulteriormente rinforzate e due battaglioni di bavaresi poterono iniziare la marcia lungo la cresta del Kolovrat in direzione del Monte Kuk[231].

Il tenente Erwin Rommel, comandante del reparto di punta del battaglione da montagna del Württemberg.

Molti reparti italiani furono sorpresi dal nemico di cui si ignorava la presenza e la forza; due ufficiali inferiori italiani della brigata Arno caduti prigionieri sul Monte Piatto delle truppe dell'Alpenkorps hanno descritto la forte impressione suscitata dai soldati bavaresi con i loro "elmi enormi, alti, tozzi, pesanti"[232]. Essi apparvero in ottima forma fisica, giovani, ben equipaggiati, decisi, i caposquadra sembravano efficienti e disponevano, appese al collo, di lampadine elettriche e di carte topografiche per poter agire in autonomia sul campo; i prigionieri italiani erano rapidamente perquisiti, venivano sottratti i beni personali e il cibo[233]. Ad un prigioniero i soldati tedeschi "diedero l'impressione di essere invulnerabili". Secondo la testimonianza, alcuni prigionieri si arresero mostrando soddisfazione e cercando di fraternizzare con i tedeschi che, sicuri della loro superiorità, si mostravano freddi e distaccati[232].

Mentre reparti della 200ª Divisione tedesca, provenienti dal Monte Jeza raggiungevano il Podklabuc e rinforzavano la posizione, i bavaresi dell'Alpenkorps avanzarono quindi verso il Monte Kuk; vennero catturati numerosi prigionieri che si arresero senza combattere e furono individuate numerose altre colonne in fuga a piedi o su autocarri nella confusione verso ovest. Nel frattempo i württemburghesi del battaglione da montagna del mmaggiore Sprösser stavano appoggiando con grande abilità l'avanzata del reggimento bavarese della Guardia. Queste truppe marciarono sui lati del crinale del Kolovrat e il reparto guidato dal tenente Rommel avanzò di sopresa sul margine settentrionale attaccando e sbaragliando con abili tattiche di aggiramento i reparti della brigata Arno, vennero conquistati il passo di Narvek e il monte Nachnoj[234]. Tra le 14 e le 15 i soldati del Württemberg del tenente Rommel aggirarono il Monte Kuk da sud catturando oltre 2.000 prigionieri, quindi continuarono a progredire a sud di Luico e presero alle spalle la brigata Arno che occupava quella cittadina; il monte Kuk venne conquistato e numerosi reparti italiani si arresero[235]. Il tenente Rommel dimostrò grande determinazione: continuò ad avanzare alle spalle del nemico, superò la linea Cepletischis-Avsca e in piena notte riprese subito la marcia con i suoi uomini verso il Monte Matajur[236]; i württemburghesi catturarono altri 1.500 prigionieri[237]. Sul monte Matajur era schierata in difesa la brigata Salerno del generale Gaetano Zoppi che, richiamata frettolosamente dalle riserve era arrivata sul posto solo la sera del 24 ottobre; durante la giornata del 25 ottobre la brigata, passata al comando del colonnello Donato Antonicelli dopo il richiamo del generale Zoppi al quartier generale del VII corpo d'armata a Carraria, rimase completamente isolata sul monte[238].

Il generale von Stein durante la giornata aveva controllato da vicino i brillanti risultati raggiunti dalle sue truppe lungo il Kolovrat in direzione del Matajur, l'occupazione del Podklabuc e del Kuk; il comandante del III corpo, inizialmente prudente, comprese l'importanza degli obiettivi raggiunti: ormai gli sbocchi attraverso le montagne delle valli dell'Isonzo e del Natisone era saldamente in possesso dei tedeschi. La mancanza di reazione del nemico e i contemporanei sussessi dei corpi d'armata del generale von Berrer e del generale Scotti più a sud confermarono il crollo del fronte nemico; il III corpo bavarese aveva catturato 15.000 prigionieri e circa 100 cannoni[239].

Settori del gruppo Berrer e del gruppo Scotti[modifica | modifica wikitesto]

Il generale von Berrer intendeva sfruttare subito gli importanti risultati raggiunti dai suoi soldati il primo giorno dell'offensiva; dopo la caduta nella notte del caposaldo principale italiano del Monte Jeza, il LI corpo d'armata avrebbe fatto avanzare in prima linea anche la 26ª Divisione tedesca del generale von Hofacker che si sarebbe dovuta inserire a sud e a sinistra della 200ª Divisione tedesca del generale Ernst von Below. Quest'ultima divisione sarebbe avanzata con la sua ala destra lungo il margine inferiore del Kolovrat per cooperare con l'Alpenkorps, mentre l'ala sinistra avrebbe dovuto marciare da Cappella Sleme verso il Monte Kum entrando in contatto con le truppe del gruppo Scotti[240].

Al mattino raggiunsero il monte Jeza anche i reparti del 4° reggimento Jäger che il 24 ottobre erano stati bloccati dai difensori; la montagna venne completamente rastrellata e vennero catturate ingenti quantità di armi e materiali abbandonati dagli italiani nelle munite fortificazioni; i tedeschi rimasero impressionati dalla solidità e la potenza delle posizioni costruite dal nemico[241]. Nel frattempo il 3° reggimento Jäger del colonnello von Rango, protagonista dei successi del giorno precedente, riprese l'avanzata in direzione del Monte Podklabuc, si avevano scarse notizie sulla posizione dei bavaresi dell'Alpenkorps che in effetti avevano già conquistato la montagna. Dopo alcune gravi difficoltà causate dal un bombardamento per errore da parte dell'artiglieria tedesca sulle posizioni del Jäger[242], l'avanzata dei cacciatori lungo la strada militare del Kolovrat proseguì rapidamente; alle ore 09.00 venne raggiunto il Monte Natpricciar ed, entro le 10.00 venne conquistata Cappella Sleme[243].

Anche il 4° reggimento Jäger raggiunse Cappella Sleme e quindi attaccò il Monte La Cima dove però incontrò una tenace resistenza da parte del presidio italiano costituito da un battaglione della brigata Firenze[244]; la posizione era fortificata e dotata di artiglieria. Solo alle ore 18.00 i cacciatori tedeschi poterono occupare dopo duri combattimenti ravvicinati il monte dove catturarono otto cannoni e obici pesanti, 24 mitragliatrici e 354 prigionieri. Mentre si combatteva sul Monte La Cima, altri reparti della 200ª Divisione tedesca avevano marciato lungo la strada militare incontrando scarsa resistenza, alla fine della giornata le avanguardie giunsero vicino a Drenchia; anche il villaggio di Clabuzzaro cadde in mano dei tedeschi, vennero catturati altri 1.800 prigionieri[245]. I soldati italiani catturati sembravano demoralizzati ma in buone condizioni fisiche, nei depositi vennero trovati materiali ed vettovagliamenti molto abbondanti che impressionarono le truppe tedesche che si rifornirono con il ricco bottino[246]. La 200ª Divisione aveva portato avanti anche la sua artiglieria e intendeva proseguire l'avanzata anche il 26 ottobre verso il Monte San Martino, il Monte Kum e il villaggio di Trusgne.

L'altra divisione del LI corpo d'armata tedesco, la 26ª Divisione fanteria, il 24 ottobre era rimasta in riserva e al mattino si mise in marcia da Santa Lucia verso Cighino e Jeseniak. L'avanzata fu intralciata dalla scarsezza di strade e dalla presenza lungo le stesse direttrici delle colonne del XV corpo d'armata del generale Scotti, ma nel pomeriggio i tre reggimenti della divisione raggiunsero Modrejce, Cighino e Clabuzzaro, entrando in contatto con l'ala sinistra della 200ª Divisione. Il generale von Berrer non era bene informato dei successi delle sue divisioni: alle ore 08.00 apprese della caduta dello Jeza, mentre solo alle 16.00 seppe della conquista del Podklabuc e dell'avanzata verso Drenchia e Clabuzzaro. Il comandante del LI corpo decise quindi di portarsi può avanti e trasferì il suo posto di comando prima a Modrejce e quindi sul Kolovrat per dirigere da vicino la marcia delle sue truppe. Il generale von Berrer prevedeva, dopo la conquista di Monte San Martino e del Monte Kum, di vanzare direttamente su Azzida e Cividale.

I combattimenti del 26 ottobre[modifica | modifica wikitesto]

Bilancio e conclusioni[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Sostituito dal generale Luca Montuori il 25 ottobre
  2. ^ a b M.Silvestri, Caporetto, p. 202.
  3. ^ M.Silvestri, Caporetto, p. 202.
  4. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 454.
  5. ^ M.Silvestri, Caporetto, p. 166.
  6. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 286-287.
  7. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 280-281.
  8. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 286-287.
  9. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 287.
  10. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 288-289.
  11. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 50.
  12. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 50-51.
  13. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 51.
  14. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 52-55.
  15. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 42.
  16. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 43.
  17. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 290.
  18. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, pp. 376-377.
  19. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, pp. 379-380.
  20. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, pp. 380-383.
  21. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, pp. 383-385.
  22. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, p. 385.
  23. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, p. 386.
  24. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, p. 387.
  25. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, pp. 387-389.
  26. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, p. 390.
  27. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 47-48.
  28. ^ a b c A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 49.
  29. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, p. 393.
  30. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, pp. 395-396.
  31. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 54-55.
  32. ^ a b A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 55.
  33. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 55 e 58.
  34. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 58-59.
  35. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 58.
  36. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 69-71.
  37. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 71-72.
  38. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 72-73.
  39. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 73.
  40. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 75.
  41. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, pp. 403-404.
  42. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 75-76.
  43. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, pp. 406-407.
  44. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 76-77.
  45. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, p. 410.
  46. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, pp. 410-411.
  47. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 51.
  48. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, p. 374.
  49. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 55-56.
  50. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 56-57.
  51. ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, p. 375.
  52. ^ a b M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 296.
  53. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 58-59.
  54. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 63.
  55. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 60-64.
  56. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 293.
  57. ^ F.Fadini, Caporetto dalla aprte dle vincitore, pp. 160-161.
  58. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 293-295.
  59. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 295.
  60. ^ F.Fadini, Caporetto dalla parte del vincitore, p. 160.
  61. ^ F.Fadini, Caporetto dalla parte del vincitore, p. 195.
  62. ^ P.Gaspari/P.Pozzato, Non solo Rommel, anche Rango, pp. 7-17.
  63. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 297-298.
  64. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 298.
  65. ^ K.Krafft von Dellmensingen, Lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 65-66.
  66. ^ K.Krafft von Dellmensingen, Lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 67 e 79.
  67. ^ K.Krafft von Dellmensingen, Lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 68 e 79.
  68. ^ K.Krafft von Dellmensingen, Lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 68 e 78-79.
  69. ^ K.Krafft von Dellmensingen, Lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 68 e 79.
  70. ^ K.Krafft von Dellmensingen, Lo sfondamento dell'Isonzo, p. 71.
  71. ^ K.Krafft von Dellmensingen, Lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 71-72.
  72. ^ K.Krafft von Dellmensingen, Lo sfondamento dell'Isonzo, p. 72.
  73. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 43.
  74. ^ M.Silvestri, Caporetto, p. 195.
  75. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, p. 73.
  76. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, p. 74.
  77. ^ F.Fadini, Caporetto dalla parte del vincitore, p. 238.
  78. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 74-75 e 77-78.
  79. ^ F.Fadini, Caporetto dalla parte del vincitore, pp. 234-241.
  80. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 75-76.
  81. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 80-81.
  82. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 81-82.
  83. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 83-84.
  84. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 84-86.
  85. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 114-116.
  86. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 116.
  87. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 83.
  88. ^ a b G.Pieropan, La Grande Guerra sul fronte italiano, p. 416.
  89. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 116-117.
  90. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 388-389.
  91. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 83-84.
  92. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 382-384.
  93. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, p. 117.
  94. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 385.
  95. ^ G.Pieropan, La Grande Guerra sul fronte italiano, pp. 416-417.
  96. ^ F.Fadini, Caporetto dalla parte del vincitore, p. 251.
  97. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 84.
  98. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 390-391.
  99. ^ F.Fadini, Caporetto dalla parte del vincitore, p. 250.
  100. ^ F.Fadini, Caporetto dalla parte del vincitore, p. 251.
  101. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, p. 118.
  102. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 117-118.
  103. ^ a b c d K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, p. 86.
  104. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 70-71.
  105. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 406.
  106. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 90.
  107. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 405.
  108. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 86-88.
  109. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 92.
  110. ^ a b c K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, p. 88.
  111. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 406.
  112. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 89-93.
  113. ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 94.
  114. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 88-89.
  115. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 89 e 95.
  116. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 399-400.
  117. ^ M.Silvestri, Caporetto, p. 117.
  118. ^ P.Pieri/G.Rochat, Pietro Badoglio, pp. 206-207.
  119. ^ P.Pieri/G.Rochat, Pietro Badoglio, pp. 207-209.
  120. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 89.
  121. ^ P.Pieri/G.Rochat, Pietro Badoglio, pp. 209 e 226-228.
  122. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 400-401.
  123. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 89.
  124. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 402-403.
  125. ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 402.
  126. ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 89.
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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  • Alberto Monticone, La battaglia di Caporetto, Udine, Gaspari editore, 1999
  • Piero Pieri-Giorgio Rochat, Pietro Badoglio, Milano, Mondadori, 2002
  • Gianni Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, Milano, Mursia, 1988
  • Mario Silvestri, Caporetto una battaglia e un enigma, Milano, BUR, 2003
  • Mario Silvestri, Isonzo 1917, Milano, BUR, 2001

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]