Storia della Romagna

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Voce principale: Romagna.

La Romagna è stata presente in Italia con valore di regione dall'VIII al XIX secolo, fino alla fondazione del Regno d'Italia.
Per offrire una descrizione complessiva del territorio romagnolo, questa voce si occupa anche dei secoli precedenti e della storia dal 1861 ad oggi.

La Romagna preromana

La Preistoria

La Romagna fu abitata già dall'epoca preistorica, come dimostrano molti ritrovamenti, tra cui Cesena e Monte Poggiolo, presso Forlì.

Il Monte Poggiolo di Forlì è un colle su cui sorge un interessante castello, che deve ancora essere restaurato. A poca distanza da esso, in una località chiamata Ca' Belvedere, sono stati ritrovati, a partire dal 1983, migliaia di reperti risalenti a circa un milione di anni fa, considerati di grande importanza per la storia d'Europa. In effetti, fino a oggi, risulta essere il sito preistorico più antico d'Europa.

Dagli Umbri ai Celti

I primi abitanti dell'attuale Romagna di cui si hanno notizie furono gli Umbri e gli Etruschi; a seguire, circa nel 350 a.C. il territorio fu conquistato dal popolo che dette la propria importante impronta alla Romagna: i Celti. Tuttavia le etnie che già vi abitavano non scomparirono totalmente; infatti, con ogni probabilità, il grande commediografo di Sarsina (oggi in provincia di Forlì) Tito Maccio Plauto era di origine umbra.

Migrati dal nord, i Celti si stanziarono in Italia, più precisamente nella Gallia Cisalpina, che è un territorio che parte dalle Alpi e comprende la Pianura Padana, una parte dell'Appennino settentrionale e dell'Italia nord-orientale presumibilmente fino a Senigallia, l'antica Sena Gallica. Tra le numerose tribù celtiche scesero in Italia anche i Senoni, i Lingoni, e i Boi.

L'epoca Celtica

All'ondata celtica, gli Umbri e gli Etruschi resistettero militarmente finché possibile, per poi soccombere all'esercito avversario. Sconfitti gli Etruschi sul Ticino, i Boi e i Senoni superarono l'Eridano (l'antico nome del Po) scacciando gli ultimi gruppi di resistenti. Raggiunta la costa adriatica, i Senoni riuscirono a occupare un vasto territorio che fu chiamato poi dai romani ager gallicus, i cui confini, come racconta Tito Livio, furono subito chiari: le terre comprese tra il fiume romagnolo Utis (oggi il Montone) e il fiume Esino, che scorre presso l'odierna Jesi. Così, mentre Lingoni e Boi si stanziarono nella Pianura Padana settentrionale, i Senoni popolarono la Romagna meridionale spingendosi fino alla metà settentrionale delle odierne Marche.

L'insediamento celtico, a distanza di oltre duemila anni ha tramandato tra le altre cose anche il dialetto romagnolo, derivato dal latino ma con un consistente substrato celtico, come ha rilevato il linguista Giacomo Devoto. Le inflessioni romagnolesche perdurano fino ai territori oltre Senigallia.

L'egemonia romana

La conquista

La permanenza dei Celti fu subito minacciata dalla potenza dei Romani. Un pericolo di cui i Celti si resero conto già prima della realizzazione di quella Via Emilia che, iniziata nel 181 a.C., sarà il mezzo di penetrazione romana nei territori. Nonostante tutto, davanti all'imminente pericolo i Senoni e i Boi rimasero disuniti, probabilmente per contrasti sul controllo dei commerci nell'alto Adriatico.

Nel 390 a.C., per risposta all'avanzata romana, i Senoni comandati da Brenno occuparono Roma con un esercito che annoverava tra le proprie file anche alcuni romagnoli dell'epoca. Ma è Roma la predestinata alla vittoria: infatti nel 295 a.C. con la vittoria a Sentino iniziò il tramonto dei Senoni, che pochi anni dopo furono definitivamente sopraffatti.

Molte città della Romagna sono state fondate sotto il controllo dei romani: Faventia (Faenza) Ariminum (Rimini), Forum Livii (Forlì), Forum Cornelii (Imola), Forum Popili (Forlimpopoli), e altre ancora.

Epoca Repubblicana

Nel 192 a.C., quando Publio Cornelio Scipione (detto l'africano) cacciò i Celti oltre il Po, sarà la successiva battaglia di Milano a scacciare i Galli oltre le Alpi e a chiudere il loro dominio dopo oltre tre secoli di stanziamento in Italia e in Romagna.

Nonostante la conquista romana, l'eredità celtica non fu affatto cancellata. L'occupazione fu infatti rispettosa dei predecessori: Senoni e Lingoni non compromessi con Annibale furono autorizzati a rimanere nei territori e, pare, beneficiarono anche della distribuzione e della messa a coltura delle terre attraverso il sistema di centuriazione romana. Con il processo di romanizzazione lo "strato" celtico dei romagnoli non scomparve, ma si sovrappose alla nuova cultura imperante. Sotto il dominio della potenza romana e al centro della lotta fra Mario e Silla, la Romagna parteggiò per Mario, al quale si alleò anche Ravenna, che eresse in suo nome una statua nel foro. La scelta fu, però, deleteria, perché intere città andarono distrutte nel corso della guerra civile: toccò, ad esempio, a Forlì nell'88 a.C.. La città, più tardi, venne ricostruita dal pretore Livio Clodio.

Infatti, proprio a Ravenna si diresse la flotta di Metello, luogotenente di Silla, che vi pose il centro delle sue operazioni. Così, diretto verso la via Emilia, Metello interruppe le comunicazioni mariane e poi sbaragliò a Faenza gli uomini di Carbone e Normanno. Successivamente arrivò la crisi della repubblica romana e l'avvento di quei "regimi personali" che culminano con Cesare. Proprio Cesare, che ancora ricorda le narrazioni delle grandi invasioni celtiche, vide nella Gallia Cisalpina la chiave per la conquista dell'impero e un territorio con le migliori truppe. Era infatti la Romagna il consolato più ambito.

Il convegno di Lucca del 56 a.C. assegnò a Cesare (come stabilito fra lui e Pompeo) il consolato della Gallia per il 48 a.C.: ma quando il Senato fece retromarcia e intimò a Cesare di cedere il governo della Gallia e sciogliere il suo esercito, Cesare reagì da par suo. Il 12 gennaio del 49 a.C. varcò il Rubicone, al tempo confine invalicabile per un generale in armi e oggi corso d'acqua della provincia di Forlì-Cesena, diretto verso Rimini e poi su Roma. Da questo gesto incominciò la sua straordinaria avventura che lo porterà alla vittoria su Pompeo nella battaglia di Farsalo del 48 a.C. e al definitivo dominio di Roma. Anche in questo caso la Romagna dimostrò una sorta di "vocazione" ai grandi appuntamenti della storia.

Epoca Imperiale

Con Augusto e l'epoca imperiale acquistarono crescente importanza Ravenna e il porto di Classe. Come ci racconta Plinio nella sua Naturalis historia, l'Italia è geograficamente suddivisa in 11 regioni. La Romagna è compresa nell'ottava regione, detta Gallia Togata Cisalpina e ha per confini l'appennino, il Po e Rimini, o come dice il Rossetti "il Crustumium, che si ritiene rappresentato dal fiume Conca: quindi con ciò ne risulterebbe un terzo spostamento del confine gallico, il quale sarebbe così passato dal Rubicone al Conca".

La ripartizione del territorio italico cambiò con Traiano prima e con Adriano poi: l'Italia era composta da 18 province, suddivisione approvata da Costantino nel 336 e poi ammessa dall'imperatore Giustino I. In questa importante divisione la Gallia Cispadana era separata in due province distinte, decima e undecima, chiamate rispettivamente Emilia e Flaminia e aventi Bologna e Ravenna come capitali. Una divisione significativa di due territori che già allora erano sostanzialmente distinti.

Le invasioni germaniche e l'Esarcato

Dopo Cesare e il successivo potere augusteo la storia della Romagna ricalcò quella di un impero che dopo secoli di costante declino inizia a dare segni di collasso, per poi cedere sotto il peso delle continue invasioni germaniche. Nel 402 Alarico, re dei Visigoti, invase l'Italia e saccheggiò la Flaminia e fece prigioniera Galla Placidia, figlia di Teodosio e sorella di Arcadio e Onorio. Nel 410 avvenne il Sacco di Roma di Alarico.

Sessantasei anni dopo, nel 476: Odoacre, re degli Eruli, scese in Italia, entrò vittorioso a Ravenna dove depose Romolo Augusto. Proprio con la data del 476 gli storici hanno concordato la fine dell'Impero Romano e l'inizio del Medioevo (più precisamente l'Alto Medioevo).

A Odoacre seguì Teodorico, che conservò come Odoacre leggi e costumi romani. Fu in questo periodo che avvenne un fatto di eccezionale importanza per la storia romagnola: la nascita nel 585 dell'Esarcato. Fondato dall'esarca Smaragdo, fu una provincia di dominio bizantino con capitale Ravenna, sulla base delle disposizioni imperiali di Maurizio. Similmente al cesaropapismo orientale (poteri temporali e spirituali in un solo uomo) al vertice dell'Esarcato si trovava l'esarca, con pieni poteri religiosi, politici e militari su un territorio comprendente oltre Ravenna anche gran parte della futura Romagna e del nord delle Marche, che includeva anche le città di Ferrara, Bologna e Adria. Le invasioni in suolo italico continuano e nel 568 è il turno dei Longobardi capitanati da Alboino che l'anno successivo si impossessa di Piacenza, Parma, Reggio e Modena. Ma la potenza longobarda trova proprio nell'Esarcato Ravennate un grande ostacolo.

La Romagna

Lo stesso argomento in dettaglio: Esarcato di Ravenna.

Nonostante i continui attacchi l'Esarcato bizantino resistette ai Longobardi. L'esarca, che aveva sede a Ravenna, difese strenuamente il territorio compreso tra il fiume Sillaro e il Reno: l'"insula esarcale" (così veniva chiamata l'area attorno a Ravenna) rimase l'unica regione della Valle padana retta da leggi, costumi e sistema alimentare di derivazione romana.

È in questa circostanza che sorse il termine Romagna: mentre il territorio sottoposto ai Longobardi venne denominato Langbard, da cui Longobardia (poi Lombardia), l'insula esarcale divenne per contrapposizione "Romandiola" [= ridotta, residua terra dei romani], "Romania" e poi "Romagna".

I due secoli di vita dell'Esarcato furono decisivi per la caratterizzazione culturale, giuridica, linguistica e produttiva del territorio, ma soprattutto di differenziazione con Bologna che, anche grazie all'apporto longobardo alla sua università degli studi, assorbì fortemente la cultura degli occupanti.
Lo dimostrò in modo inconfutabile la calata in Italia di Federico Barbarossa contro i Longobardi: mentre Bologna partecipò alla Lega Lombarda e alla battaglia del Carroccio (Legnano) nel 1176 e fece dello stendardo il simbolo del suo emblema municipale, le città romagnole rimasero indifferenti. Forlì, in particolare, desiderosa di conquistare spazi di autonomia dal potere papale i più ampi possibile, cominciò ben presto a coltivare le sue caratteristiche tendenze ghibelline.

La "romanità" di queste zone ha avuto, pare, influenza non piccola anche in campo artistico: secondo Henri Focillon, infatti, l'arte romanica, soprattutto in architettura, deriva dall'adattamento dell'arte imperiale bizantina, ben presente a Ravenna, ad altri ambienti, come quelli rurali, ad esempio. Pertanto, già verso la metà del primo millennio dell'era cristiana, nelle pievi delle campagne tra Ravenna e Forlì il romanico aveva compiutamente assunto quelli che saranno per secoli i suoi caratteri definitivi. Stiamo parlando dell'area allora chiamata "Romània" (da cui l'odierno "Romagna"), cosa che giustificherebbe lo stesso aggettivo "romanico": si tratterebbe appunto dello stile "della Romania".

Diversità storiche fra la Romagna e l'area oggi detta emiliana si riscontrarono in differenti settori della vita economica e produttiva: nelle campagne della Longobardia il ruolo centrale che le città avevano giocato in età romana venne assunto da nuove realtà di stampo rurale come le corti, i villaggi o i potenti monasteri di campagna. Al contrario, nella Romania la città continuò a rappresentare — secondo il modello romano — il perno della vita civile, amministrativa, religiosa ed economica.

La valorosa storia dell'Esarcato terminò nel 751, dopo un secolo e mezzo di gloriose vicende, con la conquista da parte del potente Re longobardo, Astolfo. Alla conquista longobarda seguì quella Franca: nel 756 Pipino re dei Franchi cedette la Romagna al Pontefice Stefano II. Così, dopo una fase di alterne vicende nel controllo politico della Romagna tra i Longobardi e l'arcivescovo di Ravenna, l'intervento dei Franchi è decisivo per la soluzione del conflitto in favore della Chiesa.

Comuni e Signorie

Il crollo del potere bizantino non compromise l'integrità e l'unità della regione, grazie alla capacità degli arcivescovi di Ravenna di difendere il territorio sia dal potere del Pontefice sia dalle mire dell'Imperatore.
Ravenna, infatti, costituì nelle terre esarcali una specie di principato vescovile. Nel 999 ottenne dall'imperatore Ottone III il riconoscimento della signoria sopra un'area che andava, ad ovest, dall'alta Valle del Santerno alle Valli di Comacchio, e ad est, dai monti feretrani al mare di Rimini. Quel territorio cispadano orientale fu definitivamente e per sempre denominato Romagna[1].

La contesa tra papato ed impero per il predominio sulla Romagna terminò solo nel 1278, quando Rodolfo I d'Asburgo accettò di cederla al Pontefice in cambio dell'incoronazione imperiale. In realtà, neanche questo atto servì a sedare gli animi: anzi, parte della popolazione e dei signori della Romagna, come è il caso, in primo luogo, di Forlì e degli Ordelaffi, accentuò le proprie simpatie ghibelline (=antipapali) in nome della lotta per l'autonomia e l'autogoverno.
In definitiva, la Romagna tardomedioevale, lungi dall'obbedire compatta al potere temporale della Chiesa, si caratterizzò, per spirito di indipendenza e per grande rissosità.
Come già afferma Vochting: "La storia della Romagna nel passaggio dal Medioevo al Rinascimento, ha caratteri affini alla storia delle altre parti dell'Italia settentrionale e centrale".

In Romagna, dai Comuni si svilupparono piccole Signorie che, protette alle spalle dall'Appennino ai fianchi e di fronte dal mare, fiumi e paludi, poterono gestire abbastanza a lungo la loro autonomia con gli stati cresciuti intorno.
Nella Divina Commedia Dante Alighieri, che visse gli ultimi anni a Ravenna, dove morì nel 1321, descrisse la Romagna in due passaggi:

  1. Nel XIV canto del Purgatorio rievocava la Romagna "del buon tempo antico", quando i suoi confini comprendevano anche Bologna e Ferrara. Era il territorio dell'Esarcato. Il poeta scrive infatti che si estendeva tra 'l Po e 'l monte e la marina e 'l Reno.
  2. Nel XXVII canto dell'Inferno descrisse con precisione invece la Romagna a lui contemporanea. Dante sapeva che in Romagna vi erano sette città, corrispondenti ad altrettante diocesi:

700 anni dopo nulla è cambiato, se non che la Cervia medievale (quella distante dalla costa) è scomparsa nel Seicento; al suo posto è stata fondata un'altra città, posta direttamente sul mare, ma di dimensioni ben inferiori.

Nel XIV secolo, quando il papato era stato trasferito in Francia, ad Avignone, le città romagnole erano in mano a famiglie di parte ghibellina. Alla metà del secolo lo Stato pontificio incaricò il cardinale spagnolo Egidio Albornoz di riportare la Romagna sotto il dominio papale. Nel 1355 sconfisse i Malatesta, che chiesero la pace e passarono dalla parte guelfa. Poco dopo furono imitati da Guido da Polenta di Ravenna.
Negli anni seguenti Albornoz riportò anche la conquista di Cesena (1357), Faenza e Forlì (1359), con la distruzione di Forlimpopoli (1360). Il cardinale prese residenza a Forlì, la città che si era opposta di più allo Stato della Chiesa.
Albornoz morì nel 1367. Passarono pochi anni e le più potenti famiglie romagnole ripresero le loro mire sulle città. Gli Ordelaffi e i Manfredi tornarono a governare rispettivamente Forlì e Faenza. Cesena invece fu coinvolta nella guerra di Firenze contro lo Stato pontificio (Guerra degli Otto Santi) e fu messa a ferro e fuoco nel 1377 da un battaglione di soldati mercenari bretoni al soldo di papa Gregorio XI.

Nel 1371 lo Stato Pontificio ordinò il censimento di tutte le famiglie della Romagna. Il rapporto, divenuto celebre, intitolato Descriptio Romandiole, fu firmato dal cardinale Anglic de Grimoard. In seguito a questo lavoro il Pontefice decide di creare la Provincia di Romagna, con capoluogo Ravenna, che attraverserà indenne i secoli fino al 1816, quando verrà sdoppiata in due Legazioni (Ravenna e Forlì). Le uniche modifiche territoriali intercorse riguardano:

  • la cessione di una porzione del territorio appenninico ai de Medici, che andrà a costituire la Romagna toscana[2];
  • la cessione, temporanea, dei comuni compresi tra la Via San Vitale ed il Reno agli Este di Ferrara [3]; tutti verranno ricompresi dal 1816 nella Legazione di Ravenna.

Da notare che il termine Provincia non è diminutivo rispetto a quello di Regione: semplicemente quest'ultimo termine era usato piuttosto di rado; Provincia veniva preferito per le reminiscenze storiche e perché esprimeva bene il concetto di territorio con autonome funzioni amministrative nella giurisdizione di un potere centrale[4].

Per quanto riguarda l'organizzazione produttiva, non mancarono nel Medioevo romagnolo piccoli proprietari che lavorarono la propria terra, ma fu un modello molto meno diffuso di quello che prevedeva la distinzione fra proprietà e lavoro, nella quale la prima era dei nobili. Se il romagnolo (l'Esarcato docet) era mal disposto al sopruso, nell'epoca dei signori locali (Malatesta, Da Polenta, Ordelaffi, ecc.) gli antenati dei moderni romagnoli rifiutarono un ruolo passivo nel gioco di equilibri tra papa e imperatore.

Nel 1377 Papa Urbano VI concesse a Bologna il vicariato sul territorio imolese. Nel 1389 la città emiliana costruì, al confine tra Imola e Faenza, l'enclave di Castel Bolognese.

Tra 1499 e 1500 il condottiero Cesare Borgia, su mandato di papa Alessandro VI (anch'egli della famiglia Borgia), sconfisse una dopo l'altra le signorie delle città romagnole. A Forlì dovette superare la strenua resistenza di Caterina Sforza, signora di Imola e Forlì, asseragliata nella rocca di Ravaldino (oggi nel centro della città di Forlì). Nel 1501 il Papa lo proclamò "Duca di Romagna".
Nel 1506 il successore Papa Giulio II effettuò un viaggio in Romagna, il primo di un papa nella veste di Capo di stato. Il viaggio, iniziato alla fine di agosto, toccò Savignano, Cesena, Forlimpopoli, Forlì, Faenza, Imola e Bologna) (11 novembre). Non si fermò a Ravenna poiché la città nel 1441 era passata sotto il dominio di Venezia (vi rimase fino al 1509). Giulio II tornò a Roma nel febbraio dell'anno seguente.
Proprio nel 1507 morì il Borgia. La Romagna ridiventò in poco tempo terra di conquista di potenze esterne come i Visconti, Venezia e il Granducato di Toscana. Il Ducato non esisteva più.

Già dalla metà del '400 la Repubblica di Firenze aveva conquistato, o acquisito, una fetta consistente di territori romagnoli, spingendosi fin quasi alle porte di Forlì, a ridosso della Via Emilia lambendo terre ricche di grano e prossime alle saline di Cervia. L'ascesa al potere, alla metà del Cinquecento, di Cosimo I de' Medici consolidò il dominio del Granducato di Toscana nei territori romagnoli; il simbolo più caratteristico fu la costruzione ex novo della città fortezza di Terra del Sole.
Il territorio della cosiddetta "Romagna Toscana" rimarrà assoggettato a Firenze fin oltre l'unità d'Italia. Dal punto di vista ecclesiastico questo legame rimarrà molto a lungo e sarà reciso solo nel 1975, con il trasferimento delle parrocchie dei comuni di Verghereto, Bagno di Romagna, Galeata e Santa Sofia dalla Diocesi di Sansepolcro a quella di Cesena.
Mentre la fascia appenninica passava sotto il controllo di Firenze, più a nord il ducato di Ferrara acquisiva il possesso dell'area di pianura che andava da Conselice a Fusignano. Essa divenne nota con il nome di "Romagna Estense" o Romandiòla e nel corso del Cinquecento vide emergere come centro principale la florida cittadina commerciale di Lugo.

Nel 1559 la pace di Cateau-Cambrésis divise i territori a sud del Po tra Farnese (duchi di Parma e Piacenza), Estensi (duchi di Ferrara, Modena e Reggio) e Stato Pontificio (Romagna). Fu un assetto stabile, che resterà immutato per ben tre secoli, fino all'unificazione dell'Italia.

Dal "Risorgimento" all'Unità d'Italia

Sul finire del XVIII secolo la politica giurisdizionalista dei granduchi di Toscana portò alla soppressione dell'abbazia di Galeata e alla aggregazione dei suoi territori toscani alla Diocesi di Sansepolcro e romagnoli alla Diocesi di Bertinoro (1785).

Nel 1794 il comune di Castel Bolognese, enclave di Bologna in territorio romagnolo, venne distaccato dalla Legazione di Bologna e fu annesso a quella di Ravenna.

Nel 1796 arrivarono in Romagna i francesi di Napoleone. Pur nella presenza di alcuni fatti tragici (sacco di Lugo, spoliazioni, pesanti contribuzioni),si può affermare senza dubbio che la calata napoleonica abbia portato una ventata di novità. È proprio con Napoleone che al territorio romagnolo venne conferito ufficiale riconoscimento con la nascita della provincia del Pino (Ravenna) e del Rubicone (Forlì). La capitale della Romagna napoleonica fu Forlì, grazie alla sua centrale posizione geografica.

Napoleone significò anche sommi torti: nel 1800 il Bonaparte chiuse la gloriosa università di Cesena (vecchia di 5 secoli) in parte per non dare concorrenti a Bologna e in parte per fare uno sgarbo a Pio VI, irriducibile avversario cesenate, che aveva costretto a trasferirsi a Parigi.
Dopo la caduta di Napoleone, nel marzo 1814 Pio VII potè ritornare in Italia. Durante il viaggio il papa cesenate attraversò la Romagna (aprile-maggio). Il notabilato locale, più favorevole all'Austria, lo accolse freddamente. Molto più calda fu la reazione popolare.
Nel 1815 il Congresso di Vienna restituì la Romagna allo Stato della Chiesa ripristinando lo status quo ante. Durante il ventennio napoleonico era sorto un notabilato di idee giacobine. Di fronte al ripristino del potere temporale del Papa, i notabili legati al regime giacobino si organizzarono in società segrete (di matrice massonica), che presero parte attiva nei moti del 1820, 1830-31 e 1848.

In seguito ai moti del 1831, l'Impero austriaco, alleato e protettore della Santa Sede, consigliò al Papa di introdurre una serie di riforme nel governo delle Legazioni: più decentramento e contemporanea eliminazione del monopolio degli ecclesiastici nelle più alte cariche amministrative. Queste riforme andavano incontro alle aspirazioni dei cittadini, che auspicavano di contare di più.
Il governo pontificio ascoltò i consigli di Vienna, ma l'editto di riforma dell'amministrazione locale, emanato il 5 luglio 1831, deluse in gran parte le attese poiché lasciava quasi tutto com'era prima. Col tempo, l'opposizione si rinvigorì con la propaganda mazziniana e l'azione garibaldina, che trovarono in Romagna un terreno favorevole al loro diffondersi.

Nei confronti del governo pontificio, i romagnoli avevano due atteggiamenti opposti tra loro: nelle città covava il malcontento e la spinta rivoluzionaria; nelle campagne ed in collina, invece, la popolazione non dimostrava insofferenza verso i Legati pontifici, ed era abbastanza refrattaria ai movimenti liberali.
Nel 1833 si costituiscono un po' in tutta la Romagna gruppi di "Volontari pontifici". Si tratta formazioni militari autoorganizzate nate con lo scopo della difesa dell'ordine pubblico. Erano aperte a tutti: il reclutamento, infatti, avveniva senza distinzione di censo. Tali formazioni divennero note con il nome di Guardie civiche.
Dal canto suo, la massoneria romagnola si schierò prevalentemente con la parte repubblicana, nonostante la compresenza di massoni vicini a Casa Savoia (Luigi Carlo Farini).

In occasione dei moti del 1845 il tema della Romagna fece breccia in tutte le organizzazioni patriottiche d'Italia. Già Giuseppe Mazzini aveva dedicato un opuscolo alla questione, intitolato appunto Romagna. Nel 1846 il torinese Massimo D'Azeglio pubblicò la sua opera Degli ultimi casi di Romagna. Il pamphlet ebbe un successo inaspettato e divenne uno dei manifesti del programma moderato per il Risorgimento della nazione.

Nell'estate 1857 Papa Pio IX, a 350 anni di distanza da Giulio II, effettuò un viaggio nelle Legazioni romagnole. Partì da Roma il 4 maggio, poi visitò, nell'ordine, tutti i centri da Cattolica ad Imola, dove giunse il 9 giugno. Il 21 luglio si fermò a Bologna e poi si diresse verso Ravenna (26 luglio). Fu l'ultimo viaggio di un Capo dello stato pontificio in Romagna.

Nel 1859 il Regno di Sardegna occupò militarmente le quattro Legazioni pontificie di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì. Le proteste del Papa non sortirono alcun effetto poiché l'operazione aveva già ottenuto il via libera della Francia, che in cambio ebbe Nizza e la Savoia.
Nel 1860 il Regno di Sardegna organizzò dei plebisciti di annessione[5], che si tennero l'11 e 12 marzo.
Le Legazioni di Ravenna e Forlì divennero province. Ravenna però fu privata del circondario di Imola, che venne annesso alla Provincia di Bologna.

La pregiudiziale antiromagnola

Durante il Regno d'Italia

Dopo la costituzione del Regno d'Italia (1861), la monarchia negò la realizzazione di qualsiasi istituzione autonoma romagnola, temendo pericolose tendenze destabilizzanti. Era troppo fresco il ricordo di figure quali Felice Orsini, Piero Maroncelli e Aurelio Saffi. Storiche, politiche, etniche: tutte le oggettive ragioni pro-Romagna non superarono la pregiudiziale antiromagnola della monarchia.

Nel 1864 cadde definitivamente l'ipotesi, auspicata da Vincenzo Gioberti e Carlo Cattaneo, di organizzare il Regno d'Italia in termini federalistici e ci si incamminò verso uno Stato centralista di matrice napoleonica. Le presunte regioni divennero "Circoscrizioni di decentramento statistico-amministrative" senza peso politico, semplici strumenti operativi del potere. Tutto questo nonostante la Commissione istituita a Torino nel 1860 presso il Consiglio di Stato espresse pieno assenso per un'impostazione federalistica.

Intanto la parola d'ordine rimase sempre "stemperare nel moderatismo degli ex-ducati il rivoluzionarismo romagnolo". Fu questa la ratio che portò Luigi Carlo Farini, originario di Russi, a consegnare alla monarchia una regione nata disseppellendo il termine "Emilia", esistito soltanto all'epoca augustea, per la durata di un secolo e per un territorio assai diverso dall'attuale e con la sottrazione di Imola (città in cui Andrea Costa, tra i grandi fautori di quel cooperativismo che tanto darà alla Romagna, fonderà il Partito Socialista Rivoluzionario Romagnolo) alla provincia ravennate a favore di Bologna. Tra le proteste, spicca quella di Carlo Cattaneo.

L'Italia Repubblicana

Il discorso regionalistico che non si afferma con il regime sabaudo torna all'ordine del giorno dopo il 2 giugno 1946, entrando nei lavori dell'Assemblea Costituente. A sostenere l'autonomia romagnola sono personaggi come Aldo Spallicci, Giuseppe Fuschini, Emilio Lussu.

Nel suo intervento all'Assemblea Costituente del 4 giugno 1947, Spallicci si richiama alla Romagna con questi termini:

«Forse in Italia non c'è altra terra meglio individuata della nostra. La caratteristica viva e passionale del suo senso politico sempre vigile dai primi albori del Risorgimento ai giorni nostri, la fede e l'ardore dei suoi migliori (…) La Romagna rimane e libera all'aria ed al vento la bandiera della sua passione per tutte le cause giuste[6]»

La richiesta di istituzionalizzare la Romagna come Regione fu avanzata anche da Molise, Salento, Emilia lunense (ex ducato di Parma). Se la pregiudiziale antimonarchica scompare, l'urgenza di stabilire le regioni nel più breve tempo possibile lascia tutto immutato, eccezion fatta per uno spiraglio democratico: è concesso di rimandare a tempi migliori la questione. Come dirà Palmiro Togliatti:"Noi vogliamo le Regioni nel più breve tempo possibile. Senza porre ostacoli che ci impediscano di arrivare a questo risultato, lasciamo aperta una possibilità automatica di correzioni. Vi è un articolo che lo prevede: applichiamo quell'articolo. Questa è la giusta linea democratica." Rimane ancora aperto il discorso regionalistico. Non sanata dalla costituente, l'ambizione della Romagna di divenire regione autonoma distinta dall'Emilia è sfociata dall'inizio degli anni "90 nell'attività del Movimento per l'Autonomia della Romagna (MAR), fondato dall'onorevole socialista Stefano Servadei, dal senatore democristiano Lorenzo Cappelli e da altri, che tuttora si batte per ottenere la regione Romagna, dopo aver raccolto oltre 90.000 aderenti. La norma che potrebbe consentire ai romagnoli di esprimersi con un referendum sulla nascita della nuova regione, aggirando gli ostacoli politico-burocratici che attualmente rendono impossibile lo svolgersi del referendum, è contenuta come disposizione transitoria nel progetto di riforma federalista dello Stato voluto in particolare dalla Lega Nord-Padania con il nome di Devoluzione.

Note

  1. ^ Natale Graziani, La Romagna regione storica d'italia, Bologna University Press, 2002.
  2. ^ Oggi la Romagna toscana è ridotta a tre comuni: Firenzuola, Palazzuolo sul Senio e Marradi.
  3. ^ Lugo, Massa Lombarda, Conselice, Fusignano e Alfonsine
  4. ^ Natale Graziani, La Romagna regione storica d'italia, Bologna University Press, 2002.
  5. ^ Che gli storici hanno rivelato come palesemente falsati.
  6. ^ Stefano Servadei, «E Ba' dla Rumagna», La Voce di Romagna, 19 ottobre 2008, pag.10.