Antonio di Padova: differenze tra le versioni

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[[Immagine:Simone Martini 048.jpg|thumb|left|200px|<small>[[San Francesco d'Assisi]] e Sant'Antonio di Padova in un affresco di [[Simone Martini]]</small>]]
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Il viaggio durò parecchi mesi. Per Antonio di Padova si rivelò un'occasione fondamentale, poiché aveva conosciuto l'insegnamento di Francesco d'Assisi solo attraverso le testimonianze di chi lo aveva seguito. Il capitolo, presieduto dal cardinale Antonio Capocci, ebbe luogo nella valle attorno alla [[Porziuncola]] dove si raccolsero più di tremila frati. Il frate Giordano da Giano descrisse l'avvenimento: {{quote|Un Capitolo così, sia per la moltitudine dei religiosi come per la solennità delle cerimonie, io non vidi mai più nel nostro Ordine. E benché tanto fosse il numero dei frati, tuttavia con tale abbondanza la popolazione vi provvedeva, che dopo sette giorni i frati furono costretti a chiudere la porta e a non accettare più niente; anzi restarono altri due giorni per consumare le vivande già offerte e accettate.}}
Il viaggio durò parecchi mesi. Per Antonio di Padova si rivelò un'occasione fondamentale, poiché aveva conosciuto l'insegnamento di Francesco d'Assisi solo attraverso le testimonianze di chi lo aveva seguito. Il capitolo, presieduto dal cardinale Antonio Capocci, ebbe luogo nella valle attorno alla [[Porziuncola]] dove si raccolsero più di tremila frati. Il frate Giordano da Giano descrisse l'avvenimento: {{quote|Un Capitolo così, sia per la moltitudine dei religiosi come per la solennità delle cerimonie, io non vidi mai più nel nostro Ordine. E benché tanto fosse il numero dei frati, tuttavia con tale abbondanza la popolazione vi provvedeva, che dopo sette giorni i frati furono costretti a chiudere la porta e a non accettare più niente; anzi restarono altri due giorni per consumare le vivande già offerte e accettate.}}
Il Capitolo durò per tutta l'Ottava di [[Pentecoste]] dal [[30 maggio]] all'[[8 giungo]] [[1221]] e si analizzarono molti problemi: lo stato dell'Ordine, la richiesta di novanta missionari per la [[Germania]], la discussione sulla nuova Regola.
Il Capitolo durò per tutta l'Ottava di [[Pentecoste]] dal [[30 maggio]] all'[[8 giugno]] [[1221]] e si analizzarono molti problemi: lo stato dell'Ordine, la richiesta di novanta missionari per la [[Germania]], la discussione sulla nuova Regola.


Le richieste di modifica della Regola primitiva furono per Francesco un considerevole problema. Lassisti e Spiritualisti rischiavano di spaccare l'Ordine in due tronconi. L'Ordine s'era troppo ingrandito e ai giovani accorsi con entusiasmo mancava un'eguale adesione alla disciplina, mentre ai dotti risultavano strette le disposizioni sulla povertà assoluta. Con la mediazione del Cardinale si giunse ad un compromesso che cercava di salvaguardare ad un tempo l'autorità morale di Francesco e l'integrità dell'Ordine. La nuova Regola verrà poi approvata da [[Papa Onorio III]] il [[29 novembre]] [[1223]].
Le richieste di modifica della Regola primitiva furono per Francesco un considerevole problema. Lassisti e Spiritualisti rischiavano di spaccare l'Ordine in due tronconi. L'Ordine s'era troppo ingrandito e ai giovani accorsi con entusiasmo mancava un'eguale adesione alla disciplina, mentre ai dotti risultavano strette le disposizioni sulla povertà assoluta. Con la mediazione del Cardinale si giunse ad un compromesso che cercava di salvaguardare ad un tempo l'autorità morale di Francesco e l'integrità dell'Ordine. La nuova Regola verrà poi approvata da [[Papa Onorio III]] il [[29 novembre]] [[1223]].
l<nowiki>'</nowiki>''Assidua'' riporta che: {{quote|''Concluso il Capitolo nel modo consueto, quando i ministri provinciali ebbero inviato i fratelli loro affidati alla propria destinazione, solo Antonio restò abbandonato nelle mani del ministro generale, non essendo stato chiesto da nessun provinciale in quanto, essendo sconosciuto, pareva un novellino buono a nulla. Finalmente, chiamato in disparte frate Graziano, che allora governava i frati della Romagna, Antonio prese a supplicarlo che, chiedendolo al ministro generale, lo conducesse con sé in [[Romagna]] e là l'impartisse i primi rudimenti della formazione spirituale. Nessun accenno fece ai suoi studi, nessun vanto per il ministero ecclesiastico esercitato, ma nascondendo la sua cultura e intelligenza per amor di Cristo, dichiarava di non voler conoscere, amare e abbracciare altri che [[Gesù]] crocifisso.}}
l<nowiki>'</nowiki>''Assidua'' riporta che: {{quote|''Concluso il Capitolo nel modo consueto, quando i ministri provinciali ebbero inviato i fratelli loro affidati alla propria destinazione, solo Antonio restò abbandonato nelle mani del ministro generale, non essendo stato chiesto da nessun provinciale in quanto, essendo sconosciuto, pareva un novellino buono a nulla. Finalmente, chiamato in disparte frate Graziano, che allora governava i frati della Romagna, Antonio prese a supplicarlo che, chiedendolo al ministro generale, lo conducesse con sé in [[Romagna]] e là l'impartisse i primi rudimenti della formazione spirituale. Nessun accenno fece ai suoi studi, nessun vanto per il ministero ecclesiastico esercitato, ma nascondendo la sua cultura e intelligenza per amor di Cristo, dichiarava di non voler conoscere, amare e abbracciare altri che [[Gesù]] crocifisso.}}
Quando quasi tutti erano partiti per tornare ai loro luoghi di provenienza, Antonio fu notato da Frate Graziano, che apprezzando soprattutto l'umiltà e la profonda spiritualità di Antonio, decise di prenderlo con sé e lo assegnò all'eremo di [[Montepaolo]], vicino all'odierna [[Castrocaro]].
Quando quasi tutti erano partiti per tornare ai loro luoghi di provenienza, Antonio fu notato da Frate Graziano, che apprezzando soprattutto l'umiltà e la profonda spiritualità di Antonio, decise di prenderlo con sé e lo assegnò all'eremo di [[Montepaolo]], vicino all'odierna [[Castrocaro]].
Qui arrivò nel giungo 1221 con altri confratelli e vi rimase un anno dedicandosi ad una vita semplice, a lavori umili, alla preghiera e alla penitenza.
Qui arrivò nel giugno 1221 con altri confratelli e vi rimase un anno dedicandosi ad una vita semplice, a lavori umili, alla preghiera e alla penitenza.


Nella seconda metà del [[1222]] la comunità francescana scese a valle per assistere alle ordinazioni sacerdotali nella cattedrale di [[Forlì]]. l<nowiki>'</nowiki>''Assidua'' racconta che {{quote|venuta l'ora della conferenza spirituale il Vescovo ebbe bisogno di un buon predicatore che rivolgesse un discorso di esortazione e di augurio ai nuovi sacerdoti. Tutti i presenti però si schermirono dicendo che non era loro possibile né lecito improvvisare. Il superiore si spazientì e rivoltosi ad Antonio gli impose di mettere da parte ogni timidezza o modestia e di annunciare ai convenuti quanto gli venisse suggerito dallo Spirito. Questi dovette obbedire suo malgrado e "La sua lingua, mossa dallo [[Spirito Santo]], prese a ragionare di molti argomenti con ponderatezza, in maniera chiara e concisa}}
Nella seconda metà del [[1222]] la comunità francescana scese a valle per assistere alle ordinazioni sacerdotali nella cattedrale di [[Forlì]]. L<nowiki>'</nowiki>''Assidua'' racconta che {{quote|venuta l'ora della conferenza spirituale il Vescovo ebbe bisogno di un buon predicatore che rivolgesse un discorso di esortazione e di augurio ai nuovi sacerdoti. Tutti i presenti però si schermirono dicendo che non era loro possibile né lecito improvvisare. Il superiore si spazientì e rivoltosi ad Antonio gli impose di mettere da parte ogni timidezza o modestia e di annunciare ai convenuti quanto gli venisse suggerito dallo Spirito. Questi dovette obbedire suo malgrado e "La sua lingua, mossa dallo [[Spirito Santo]], prese a ragionare di molti argomenti con ponderatezza, in maniera chiara e concisa}}
Della predica di Antonio giunse notizia ai superiori ad [[Assisi]], che lo richiamarono alla predicazione.
Della predica di Antonio giunse notizia ai superiori ad [[Assisi]], che lo richiamarono alla predicazione.



Versione delle 19:46, 20 ott 2008

Antonio di Padova
Francisco de Zurbarán, Sant'Antonio da Padova, ca. 1640, Museo del Prado di Madrid
 
NascitaLisbona, 15 agosto 1195
MortePadova, 13 giugno 1231
Venerato daChiesa cattolica
CanonizzazioneSpoleto, 13 maggio 1232, da Papa Gregorio IX
Santuario principaleBasilica di Sant'Antonio, Padova
Ricorrenza13 giugno
AttributiLibro, pesce, giglio, Bambin Gesù
Patrono dipoveri, oppressi, donne incinte, affamati, viaggiatori, animali, oggetti smarriti, pescatori, cavalli, marinai, nativi americani, sterilità.

«Qui, in terra, l'occhio dell'anima è l'amore, il solo valido a superare ogni velo. Dove l'intelletto s'arresta, procede l'amore che con il suo calore porta all'unione con Dio»

Fernando Martim de Bulhões e Taveira Azevedo (Lisbona, 15 agosto 1195 - Padova, 13 giugno 1231) fu un frate francescano portoghese, canonizzato dalla Chiesa cattolica come sant’Antonio di Padova (in port. Santo António de Lisboa) e, più recentemente, proclamato Dottore della Chiesa.

Prima agostiniano a Coimbra (1210), poi (1220) francescano, viaggiò molto vivendo prima in Portogallo quindi in Italia e in Francia. Nel 1221 si recò al Capitolo Generale ad Assisi dove vide di persona Francesco. Professore di teologia e valente predicatore, fu inviato da San Francesco a combattere l'eresia catara in Francia. Fu trasferito poi a Bologna e quindi a Padova. Morì all'età di 36 anni. Definito da molti cattolici come Taumaturgo cioé autore di prodigi, per la notevole mole di eventi miracolosi a lui ascritti sin dai primi tempi dopo la sua morte e fino ad oggi.

Il contesto storico

Gli anni in cui visse Antonio di Padova si collocano nel cuore del Medioevo. Tutta l'Europa era scossa da profondi cambiamenti: la nascita della società urbana e dei Comuni; l'aumento della produzione agricola e la conseguente maggior mobilità delle persone e ripresa dei commerci fra campagna e città. Artigiani e commercianti, notai e medici, mercanti e banchieri s'apprestavano a dar vita ad una nuova classe sociale: la borghesia, che andava ad aggiungersi ai cavalieri, al clero e ai nobili.

In questo quadro di grandi cambiamenti, la Chiesa visse mutamenti significativi:

  • Il fiorire delle Cattedrali, monumento tipico della città che rinasceva: dopo l'XI secolo, la Cattedrale divenne (così come lo erano stati i monasteri nei secoli precedenti) il centro della vita religiosa.
  • L'epoca delle Crociate, in tutto sette: le prima nel 1096, l'ultima nel 1270.
  • L'epoca dei papi Innocenzo III e suo nipote Gregorio IX. Assertori del potere papale e riformatori in campo spirituale, avvertirono entrambi l'esigenza di rinnovare le istituzioni ecclesiastiche, sospinti anche da un incalzante movimento popolare che criticava l'eccessivo interesse della Chiesa per le "cose terrene". Sotto questi due Papi sono nati gli Ordini mendicanti, i francescani e i domenicani.
Sant'Antonio al momento dell'uscita in processione il 13 giugno, Chiesa Maria SS. Immacolata di Catenanuova (EN)

Da Fernando ad Antonio

Dell'infanzia di Antonio di Padova si conoscono poche cose con certezza: il nome di battesimo Fernando, e la città natale Lisbona. Già sulla data di nascita gli storici disputano, anche se la maggior parte concorda per il 15 agosto 1195; l'anno di nascita è calcolato sottraendo dalla data della morte, 13 giugno 1231, gli anni citati dal Liber miraculorum, scritto verso la metà del Quattordicesimo secolo.

La biografia più antica fu compilata da un frate anonimo nel 1232 sulla base di informazioni ricevute dal vescovo Soeiro II Viegas, vescovo di Lisbona dal 1210 al 1232. Quest'opera, nota come Vita prima o Assidua riporta le poche notizie a disposizione sui suoi primi anni.

«I fortunati genitori di Antonio possedevano, dirimpetto al fianco ovest di questo tempio, un'abitazione degna del loro stato, la cui soglia era situata proprio vicino all'ingresso della chiesa. Erano essi nel primo fiore della giovinezza allorché misero al mondo questo felice figlio; e al fonte battesimale gli posero nome Fernando. E fu ancora a questa chiesa, dedicata alla santa Madre di Dio, che lo affidarono affinché apprendesse le lettere sacre e, come guidati da un presagio, incaricarono i ministri di Cristo dell'educazione del futuro araldo di Cristo.»

Antonio di Padova nacque dunque a Lisbona in una nobile famiglia. Sua madre si chiamava Maria Taveira e suo padre Martino Alfonso de' Buglioni, cavaliere del re e, secondo alcuni, discendente di Goffredo di Buglione[1]. La residenza della nobile famiglia era nei pressi della cattedrale di Lisbona, dove egli fu infatti battezzato con il nome di Fernando. Presso questo luogo egli ebbe la prima educazione spirituale dai canonici della cattedrale. Si ritiene, ma è incerto, che il padre lo abbia indirizzato al mestiere delle armi. Nel 1210 a quindici anni, egli invece decise di entrare a far parte degli Agostiniani dell'Abbazia di San Vincenzo di Lisbona. Più avanti negli anni, nei suoi Sermoni scriverà:

«Chi si ascrive a un ordine religioso per farvi penitenza, è simile alle pie donne che, la mattina di Pasqua, si recarono al sepolcro di Cristo. Considerando la mole della pietra che ne chiudeva l'imboccatura, dicevano: chi ci rotolerà la pietra? Grande è la pietra, cioè l'asprezza della vita di convento: il difficile ingresso, le lunghe veglie, la frequenza dei digiuni, la parsimonia dei cibi, la rozzezza delle vesti, la disciplina dura, la povertà volontaria, l'obbedienza pronta… Chi ci rotolerà questa pietra dall'entrata del sepolcro? Un angelo sceso dal cielo, narra l'evangelista, ha fatto rotolare la pietra e vi si è seduto sopra. Ecco: l'angelo è la grazia dello Spirito Santo, che irrobustisce la fragilità, ogni asperità ammorbidisce, ogni amarezza rende dolce con il suo amore.»

Rimase nel convento di San Vincenzo di Lisbona per circa due anni. Poi, volendo un maggiore raccoglimento, ostacolato dalle frequenti visite di amici e parenti, chiese ed ottenne il trasferimento presso il convento di Santa Croce a Coimbra, città allora capitale del Portogallo e distante 230 km da Lisbona. A Coimbra il giovane agostiniano giunse quindi nel 1212 all'età di circa 17 anni. Il convento era grande ed aveva una settantina di monaci. Vi rimase per circa 8 anni e qui ebbe la sua principale formazione culturale e spirituale. Qui divenne sacerdote ed essendo versato nelle Sacre Scritture e nella predicazione, gli si prospettò una carriera all'interno dell'Ordine, ma due avvenimenti contribuirono a scrivere una storia diversa.

I difficili inizi

Al re Alfonso I succedette, sul trono del Portogallo, il figlio Sancho I ed alla morte di questi (1211) il nipote Alfonso II. Alfonso I ci è tramandato come un re devoto; i suoi successori, tuttavia, tesero a intromettersi nelle decisioni ecclesiastiche a vari livelli decisionali. Alfonso II nominò come priore di Santa Croce una persona che potesse supportare la nuova linea politica e che mostrò scarsissimo interesse per la vita ascetica e ancor più scarsa capacità di gestire il monastero: dilapidò in breve tempo, infatti, le sostanze del ricchissimo monastero con uno stile di vita dissoluto. Le sue gesta scandalizzarono la comunità e fu raggiunto persino dalla scomunica di papa Onorio III. Se ne poté, tuttavia, disinteressare grazie alla distanza da Roma ed all'appoggio del re.

A poco a poco la comunità monastica di Coimbra finì per spaccarsi in due correnti: da una parte i sostenitori del nuovo priore, dall'altra coloro che desideravano condurre un vita sobria e dedicata alla contemplazione di Dio. Tra questi anche Fernando, che aveva ottenuto di trasferirsi a Coimbra proprio per questo motivo.

Il primo incontro con il francescanesimo

Nel 1219 Francesco d'Assisi approntò una spedizione missionaria alla volta del Marocco, con l'intento di convertire i musulmani d'Africa. I membri della spedizione, i tre sacerdoti Berardo, Pietro ed Ottone e i due fratelli laici, Adiuto e Accursio, forse transitarono anche a Coimbra e fecero una forte impressione su Fernando.

Giunti in Africa, i cinque furono uccisi per decapitazione poco dopo il loro inizio di evangelizzazione. I loro corpi furono riportati a Coimbra pochi mesi dopo. Antonio riferì che il loro martirio costituì per lui la spinta decisiva all'ingresso nell'ordine Francescano nel settembre 1220. Quindi la missione e la totale disponibilità fino alla morte, furono probabilmente le spinte interiori che lo portarono al francescanesimo. Egli volendo sottolineare maggiormente questo deciso mutamento di vita, preferì cambiare il suo nome di battesimo: da Fernando in Antonio, in onore del monaco orientale a cui era dedicato il romitorio di Olivares dove vivevano i primi francescani portoghesi.

Non appena ebbe superato le opposizioni dei confratelli Agostiniani, si unì ai Francescani e di lì a poco chiese a Giovanni Parenti, suo superiore, il permesso di partire come missionario. Nell'autunno del 1220 s'imbarcò con un confratello, Filippino di Castiglia, alla volta del Marocco. Tuttavia, giunto in Africa, contrasse una non meglio specificata malattia tropicale e dopo alcuni mesi perdurando il male venne convinto da Filippino a tornare a Coimbra. I due frati si imbarcarono diretti verso la Spagna, ma la nave si imbatté in una tempesta e fu spinta naufragando sulle coste della Sicilia, nei pressi della città di Messina. Soccorsi dai pescatori, i due vennero portati in un vicino convento francescano.

Qui Antonio apprese che a maggio, in occasione della Pentecoste, Francesco aveva radunato tutti i suoi frati per il Capitolo Generale. L'invito a parteciparvi era esteso a tutti e nella primavera del 1221 Antonio e i frati di Messina cominciarono a risalire l'Italia a piedi.

L'incontro con Francesco di Assisi

San Francesco d'Assisi e Sant'Antonio di Padova in un affresco di Simone Martini

Il viaggio durò parecchi mesi. Per Antonio di Padova si rivelò un'occasione fondamentale, poiché aveva conosciuto l'insegnamento di Francesco d'Assisi solo attraverso le testimonianze di chi lo aveva seguito. Il capitolo, presieduto dal cardinale Antonio Capocci, ebbe luogo nella valle attorno alla Porziuncola dove si raccolsero più di tremila frati. Il frate Giordano da Giano descrisse l'avvenimento:

«Un Capitolo così, sia per la moltitudine dei religiosi come per la solennità delle cerimonie, io non vidi mai più nel nostro Ordine. E benché tanto fosse il numero dei frati, tuttavia con tale abbondanza la popolazione vi provvedeva, che dopo sette giorni i frati furono costretti a chiudere la porta e a non accettare più niente; anzi restarono altri due giorni per consumare le vivande già offerte e accettate.»

Il Capitolo durò per tutta l'Ottava di Pentecoste dal 30 maggio all'8 giugno 1221 e si analizzarono molti problemi: lo stato dell'Ordine, la richiesta di novanta missionari per la Germania, la discussione sulla nuova Regola.

Le richieste di modifica della Regola primitiva furono per Francesco un considerevole problema. Lassisti e Spiritualisti rischiavano di spaccare l'Ordine in due tronconi. L'Ordine s'era troppo ingrandito e ai giovani accorsi con entusiasmo mancava un'eguale adesione alla disciplina, mentre ai dotti risultavano strette le disposizioni sulla povertà assoluta. Con la mediazione del Cardinale si giunse ad un compromesso che cercava di salvaguardare ad un tempo l'autorità morale di Francesco e l'integrità dell'Ordine. La nuova Regola verrà poi approvata da Papa Onorio III il 29 novembre 1223.

l'Assidua riporta che:

«Concluso il Capitolo nel modo consueto, quando i ministri provinciali ebbero inviato i fratelli loro affidati alla propria destinazione, solo Antonio restò abbandonato nelle mani del ministro generale, non essendo stato chiesto da nessun provinciale in quanto, essendo sconosciuto, pareva un novellino buono a nulla. Finalmente, chiamato in disparte frate Graziano, che allora governava i frati della Romagna, Antonio prese a supplicarlo che, chiedendolo al ministro generale, lo conducesse con sé in Romagna e là l'impartisse i primi rudimenti della formazione spirituale. Nessun accenno fece ai suoi studi, nessun vanto per il ministero ecclesiastico esercitato, ma nascondendo la sua cultura e intelligenza per amor di Cristo, dichiarava di non voler conoscere, amare e abbracciare altri che Gesù crocifisso.»

Quando quasi tutti erano partiti per tornare ai loro luoghi di provenienza, Antonio fu notato da Frate Graziano, che apprezzando soprattutto l'umiltà e la profonda spiritualità di Antonio, decise di prenderlo con sé e lo assegnò all'eremo di Montepaolo, vicino all'odierna Castrocaro. Qui arrivò nel giugno 1221 con altri confratelli e vi rimase un anno dedicandosi ad una vita semplice, a lavori umili, alla preghiera e alla penitenza.

Nella seconda metà del 1222 la comunità francescana scese a valle per assistere alle ordinazioni sacerdotali nella cattedrale di Forlì. L'Assidua racconta che

«venuta l'ora della conferenza spirituale il Vescovo ebbe bisogno di un buon predicatore che rivolgesse un discorso di esortazione e di augurio ai nuovi sacerdoti. Tutti i presenti però si schermirono dicendo che non era loro possibile né lecito improvvisare. Il superiore si spazientì e rivoltosi ad Antonio gli impose di mettere da parte ogni timidezza o modestia e di annunciare ai convenuti quanto gli venisse suggerito dallo Spirito. Questi dovette obbedire suo malgrado e "La sua lingua, mossa dallo Spirito Santo, prese a ragionare di molti argomenti con ponderatezza, in maniera chiara e concisa»

Della predica di Antonio giunse notizia ai superiori ad Assisi, che lo richiamarono alla predicazione.

Ortodossia e teologia: il martello degli eretici

Scendendo da Montepaolo, cominciò il suo nuovo incarico predicando nei villaggi e nelle città della Romagna allora funestata da continue guerriglie civili, che sembrano endemiche in tale regione. Diffusi erano gli scontri tra clan familiari e le vendette reciproche, e se non bastasse l'eresia catara trovava ampio seguito. Antonio senza sosta vagava esortando alla pace e alla mitezza. Trattava con particolare rigore quelli che chiamava "cani muti": i potenti e i notabili che avrebbero avuto l'incarico di guidare e proteggere le popolazioni, ma di cui si disinteressavano per inseguire il proprio tornaconto economico. Nei Sermoni scriverà:

«La verità genera odio; per questo alcuni, per non incorrere nell'odio degli ascoltatori, velano la bocca con il manto del silenzio. Se predicassero la verità, come verità stessa esige e la divina Scrittura apertamente impone, essi incorrerebbero nell'odio delle persone mondane, che finirebbero per estrometterli dai loro ambienti. Ma siccome camminano secondo la mentalità dei mondani, temono di scandalizzarli, mentre non si deve mai venir meno alla verità, neppure a costo di scandalo»

Insieme alle istanze morali Antonio si dedicò alla predicazione contro i cristiani eterodossi, gli «eretici». A quel tempo i movimenti considerati ereticali più importanti erano i Catari (significa i puri), detti anche Albigesi, dal nome dalla città di Albi nella Francia meridionale, e i patarini diffusi in Lombardia.

Tutti i movimenti si caratterizzavano per un profondo desiderio di rinnovamento spirituale, per una visione del Cristo come creatura più divina che umana, per un'aperta ostilità nei confronti di tutto ciò che era materiale e terreno. In tal senso l'ostilità verso la Chiesa, che esse identificavano prevalentemente nel potere temporale del papa e nei preti corrotti, era estremamente netta. Il Francescanesimo stesso si iscrisse in questa corrente di rinnovamento, collocandosi però fin dall'inizio all'interno della Chiesa per modificarla dall'interno. In questa stessa corrente di rinnovamento nell'ortodossia si colloca Antonio: la tradizione gli darà l'appellativo di "martello degli eretici" ("malleus haereticorum").

Antonio constatò che la riflessione teologica e antieretica era impossibile senza solide basi dottrinali e insistette per ottenere, tra l'altro, la fondazione nel 1223 del primo studentato teologico francescano a Bologna, presso il convento di Santa Maria della Pugliola. Francesco stesso, che pure aveva sperato che la preghiera e la dedizione potessero bastare, si trovò ad approvare l'iniziativa di Antonio:

«A frate Antonio, mio vescovo, frate Francesco augura salute. Mi piace che tu insegni teologia ai nostri fratelli, a condizione però che, a causa di tale studio, non si spenga in esso lo spirito di santa orazione e devozione, com'è prescritto nella regola.»

L'operato di Antonio contribuì, in questo senso, a cambiare il volto del Francescanesimo che in quegli anni si costruiva una regola e un'identità. Ricevette l'incarico di predicare nell'autunno del 1222 e il territorio affidatogli comprendeva, oltre alla Romagna, l'Emilia, la Marca Trevigiana, la Lombardia e la Liguria. Quando papa Onorio III chiese a Francesco di Assisi di inviare qualcuno dei suoi come missionario nella Francia meridionale per convertire i catari e gli albigesi, questi inviò Antonio.

La predicazione francese contro gli eretici

In terra francese, Antonio giunse nel tardo autunno del 1224 e rimase un paio d'anni, fino alla morte di Francesco. La Provenza, la Linguadoca, la Guascogna sono le regioni dove maggiormente predicò, poiché ad Arles, Montpellier e Tolosa l'influenza degli eterodossi era più forte. A riguardo della sua oratoria e del suo approccio umano, un cronista dell'epoca, il francese Giovanni Rigauldt, dice che

«gli uomini di lettere ammiravano in lui l'acutezza dell'ingegno e la bella eloquenza (…) Calibrava il suo dire a seconda delle persone, così che l'errante abbandonava la strada sbagliata, il peccatore si sentiva pentito e mutato, il buono era stimolato a migliorare, nessuno, insomma, si allontanava malcontento»

L'itinerario di Antonio in Francia è incerto. Si sa che nel novembre del 1225 partecipò al Sinodo di Bourges, convocato dal primate d'Aquitania per valutare la situazione della Chiesa francese e per pacificare le regioni meridionali. All'arcivescovo Simone de Sully, che si lamentava degli eretici, Antonio, invitato quel giorno a predicare, disse: «Adesso ho da dire una parola a te, che siedi mitrato in questa cattedrale... L'esempio della vita dev'essere l'arma di persuasione; getta la rete con successo solo chi vive secondo ciò che insegna...».

Domenico Beccafumi, Sant'Antonio e il miracolo della mula, 1537, Museo del Louvre

Lo stesso Arcivescovo, riportano le cronache, chiese ad Antonio che lo confessasse per trovare la forza di mettere in pratica ciò che gli aveva ricordato. Il Provinciale della Provenza, Giovanni Bonelli da Firenze, lo nominò prima Guardiano del convento di Le Puy-en-Velay e poi Custode, cioè superiore, di un gruppo di conventi attorno a Limoges. Qui, vicino a Brive, Antonio trovò una grotta che gli ricordava gli anni passati nel romitorio di Montepaolo, e lì «amava ritirarsi, da solo, in una grande austerità di vita, applicandosi alla contemplazione e alla preghiera.» Le agiografie riportano numerosi miracoli e fatti inspiegabili attribuiti ad Antonio, il più celebre è quello della bilocazione di Montpellier, durante la quale sarebbe apparso a predicare in due luoghi diversi.

L'esperienza francese si concluse presto: il 3 ottobre 1226, in una cella della Porziuncola morì a 44 anni Francesco d'Assisi. Frate Elia, vicario generale dell'Ordine, fissò per la Pentecoste dell'anno seguente il Capitolo Generale per la nomina del successore, estendendo l'invito anche ad Antonio di Padova, superiore dei conventi di Limoges.

Padova

Le fonti sono incerte sul periodo del viaggio di Antonio dalla Francia a Padova: un'antica tradizione riporta che imbarcatosi per mare naufragò nuovamente in Sicilia, dove sono conservate numerose reliquie attribuitegli. Raggiunse Assisi il 30 maggio 1227, festa di Pentecoste e giorno d'apertura del Capitolo Generale, che doveva eleggere il successore di Francesco. Molti prevedevano che il Capitolo eleggesse Elia, il vicario generale di Francesco e suo compagno di missione in Oriente. Le cronache riportano che Elia fosse geniale organizzatore ma di temperamento piuttosto focoso. I superiori dell'Ordine gli preferirono il più prudente fra Giovanni Parenti, ex magistrato, nativo di Civita Castellana e Provinciale della Spagna. Questi, che aveva accolto Antonio di Padova nell'Ordine anni prima, lo nominò ministro provinciale per l'Italia settentrionale; in pratica, la seconda carica per importanza dopo la sua. Antonio aveva 32 anni. I successivi quattro, gli ultimi della sua vita, saranno i più importanti per la sua eredità spirituale.

Lo stile

Le cronache e le agiografie riferite a quegli anni riportano come Antonio sapesse far convivere grande rigore e dolcezza d'animo. Riporta la Benignitas: «Resse con lode per più anni il servizio dei frati, e sebbene per eloquenza e dottrina si può dire superasse ogni uomo d'Italia, tuttavia nell'ufficio di prelato si mostrava cortese in modo mirabile e governava i suoi frati con clemenza e benignità.» Giovanni Rigauld, suo biografo francese, dirà che nonostante la carica di Guardiano: «non sembrava affatto superiore, ma compagno dei frati; voleva essere considerato uno di loro, anzi inferiore a tutti. Quando era in viaggio, lasciava la precedenza al suo compagno… E pensando che Cristo lavò i piedi ai suoi discepoli, lavava anche lui i piedi ai frati e si adoperava a tenere puliti gli utensili della cucina» Antonio stesso nei sermoni scrisse:

«La vita del prelato deve splendere d'intima purezza, dev'essere pacifica con i sudditi, che il superiore ha da riconciliare con Dio e tra loro; modesta, cioè di costumi irreprensibili; colma di bontà verso i bisognosi. Invero, i beni di cui egli dispone, fatta eccezione del necessario, appartengono ai poveri, e se non li dona generosamente è un rapinatore, e come rapinatore sarà giudicato. Deve governare senza doppiezza, cioè senza parzialità, e caricare sé stesso della penitenza che toccherebbe agli altri… Inargentino i prelati le loro parole con l'umiltà di Cristo, comandando con benignità e affabilità, con previdenza e comprensione. Ché non nel vento gagliardo, non nel sussulto del terremoto, non nell'incendio è il Signore, ma nel sussurro di una brezza soave ivi è il Signore.»

In un'altra predicazione scrisse: «Assai più vi piaccia essere amati che temuti. L'amore rende dolci le cose aspre e leggere le cose pesanti; il timore, invece, rende insopportabili anche le cose più lievi.»

A differenza di quanto accadeva in altri contesti religiosi, la Regola francescana imponeva ai Ministri Provinciali di visitare i conventi e i religiosi affidati alle loro cure:

«I frati, che sono ministri e servi degli altri frati, visitino e ammoniscano i loro fratelli e li correggano con umiltà e carità (...) Benché sia permesso di provvedersi un buon corredo di cultura, pur si ricordi più di ogni altro di essere complice nei costumi e nel contegno, favorendo così la virtù. Abbia in orrore il denaro, rovina principale della nostra professione e perfezione; sapendo di essere capo di un Ordine povero e di dover dare il buon esempio agli altri, non si permetta alcun abuso in fatto di denaro. Non sia appassionato raccoglitore di libri e non sia troppo intento allo studio e all'insegnamento, per non sottrarre all'ufficio ciò che dedica allo studio. Sia un uomo capace di consolare gli afflitti, perché è l'ultimo rifugio dei tribolati, onde evitare che, venendo a mancare i rimedi per guarire, gli infermi non cadano nella disperazione. Per piegare i protervi alla mansuetudine non si vergogni di umiliare e abbassare sé stesso rinunciando in parte al suo diritto per guadagnare l'anima.»

La provincia di Padova allora ricopriva un ampio territorio. Accompagnato dal giovane padovano Luca Belludi, cominciò dall'estremità orientale, da Trieste: di lì sconfinò in Istria e Dalmazia. Nuovi conventi vennero fondati a Pola, Muggia e Parenzo; rientrato in Friuli, passò per Udine, Cividale, Gorizia, Gemona. Da lì a Conegliano, Treviso, Venezia per poi tornare a Padova, prima di proseguire per i conventi dell'Emilia, della Lombardia e della Liguria.

Il rientro a Padova

La Basilica di Sant'Antonio di Padova

Nella quaresima del 1228 Antonio rientrò a Padova dove coltivò legami e relazioni anche con gli esponenti di altri ordini. Divenne amico del superiore dei benedettini, l'abate Giordano Forzatè, e del conte Tiso di Camposampiero, facoltoso e generoso verso i francescani. Nel giardino dei conti Papafava e dei Carraresi la tradizione colloca la pietra sulla quale Antonio saliva per predicare. Tra le persone conosciute e più fidate Antonio fondò una sorta di confraternita, così com'era in uso nel medioevo. Dal nome della chiesa di Santa Maria della Colomba, dov'erano soliti ritrovarsi, presero il nome di "Colombini". Avevano per divisa un saio grigio e si dedicavano ad opere caritative. Antonio soggiornò a Padova per pochi mesi, ma decise, una volta scaduto il mandato di Ministro Provinciale nel 1230, di tornarvi definitivamente.

Nei Sermoni tracciò il profilo del superiore che deve «eccellere per purezza di vita», avere «larga cognizione delle Sacre Scritture», possedere doti di eloquenza, disciplina e fermezza.

Antonio di Padova e Gregorio IX. L'Arca del Testamento

Durante il suo mandato di Superiore dell'Italia settentrionale, Antonio lasciò la Provincia soltanto in due occasioni, nel 1228 e nel 1230: entrambe le volte – per diversi mesi – le mete furono Roma e Assisi.

A marzo 1228 il Ministro Generale, fra Giovanni Parenti, lo mandò a chiamare «per un'urgente necessità della sua famiglia religiosa»: si era nuovamente infiammata la disputa tra l'ala conservatrice e quella riformatrice dell'Ordine ed era necessario trovare un accordo che salvaguardasse tanto l'unità dell'ordine quanto l'integrità del messaggio di Francesco. Antonio fu scelto anche in virtù del suo passato: s'era battuto per aprire ai frati la via dello studio, ma aveva saputo mantenere viva la povertà francescana. Dava ampie garanzie d'imparzialità ad entrambi gli schieramenti contrapposti di un ordine che si era ingigantito in pochissimi anni e non poteva più trovare conforto nella guida di Francesco.

Vanno inoltre ricordate le difficoltà logistiche legate al governo di decine di migliaia di frati disseminati per tutta l'Europa in un tempo dove la maggior parte dei viaggi veniva intrapresa a piedi, su strade insicure e dove i mezzi di comunicazione erano pressoché inesistenti.

La vertenza gravava attorno a punti diversi: c'era chi spingeva ad un maggior impegno negli studi, privilegiando il frate sacerdote a discapito del frate laico. Altri volevano mitigare la rigida povertà di Francesco con una regolamentazione più consona ad una comunità che da "girovaga" stava trasformandosi in "residenziale". La questione aveva ormai raggiunto posizioni radicali e apertamente polemiche trasformandosi in uno sgradevole: o con Francesco o contro Francesco.

L'Ordine decise che la disputa aveva travalicato la sua stessa autorità e che era giunto il momento di sottoporre la questione al Papa. Antonio venne incaricato in tutta fretta di prepararsi ad andare a Roma e sottoporre a papa Gregorio IX i termini della questione.

Il primo viaggio a Roma

Le cronache non riportano i particolari di come Antonio portò a termine il suo incarico, tuttavia pare che a papa Gregorio IX il giovane frate piacque molto e anziché congedarlo, lo trattenne con sé per predicare a lui e ai cardinali le meditazioni quaresimali. Quelle prediche furono un tale successo che l'ottuagenario Pontefice, rompendo ogni protocollo, lo chiamò «arca del Testamento», «peritissimo esegeta», «esimio teologo». Quattro anni più tardi, canonizzandolo, ricorderà quei giorni di quaresima: «personalmente sperimentammo la santità e l'ammirevole vita di lui, quando ebbe a dimorare con grande lode presso di noi.» L'impressione fu molto forte anche tra i cardinali e i prelati di curia, i quali – scrive ancora l'Assidua – «l'ascoltarono con devozione ardentissima» e qualcuno di loro lo invitò a predicare al popolo.

Erano i giorni della Settimana Santa e a Roma confluivano pellegrini da ogni parte. Antonio, sebbene conoscesse alcune di quelle lingue, iniziò a predicare nella volgata del popolo di Roma[2]. Da lì a pochi mesi Antonio ebbe modo di incontrarsi nuovamente con il Pontefice, che giunse in Assisi per canonizzare Francesco, dichiararlo santo e benedire la prima pietra della Basilica dove avrebbe riposato il suo corpo.

Il secondo viaggio a Roma

Visione di Sant'Antonio da Padova di Gaetano Lapis

La basilica di cui Gregorio IX aveva benedetto la prima pietra venne completata in due anni. L'ordine scelse la Pentecoste per fissare il Capitolo Generale e per traslare il corpo di Francesco dalla Chiesa di San Giorgio alla cripta del nuovo edificio. La basilica venne inaugurata il 25 giugno. Ancora una volta i frati erano accorsi a migliaia da ogni parte d'Europa, e con loro sfilarono in processione autorità di ogni grado, prelati, vescovi e i tre Cardinali Legati inviati per l'occasione da papa Gregorio. La folla fu tale che travolse il servizio d'ordine e si temette per le spoglie di Francesco. Frate Elia, si vide costretto a sbarrare le porte e «mettere in salvo» il corpo sotto lastre di marmo. Lì rimase, nonostante le critiche di cui Elia fu fatto oggetto per la decisione, sino al 1818 quando Pio VII ne autorizzò la rimozione.

La folla non gradì affatto la piega che gli avvenimenti avevano preso e la situazione degenerò tristemente in una rissa collettiva, con grande scandalo e maggiori proteste, che misero in imbarazzo l'Ordine Francescano giungendo sino alle orecchie del Papa.

Se nel periodo di costruzione della Basilica la disputa interna all'Ordine si era sopita, con l'apertura del nuovo Capitolo si riacutizzò. Il testamento di Francesco infatti ribadiva la necessità della povertà assoluta e una parte dei Francescani voleva inserirlo come parte integrante della Regola dell'Ordine. Nell'impossibilità di dirimere la questione si decise di nominare una commissione di sette frati per riportare a Gregorio IX la questione. Antonio, chiamato a farne parte dovette partire nuovamente per Roma. Gregorio IX prese la sua decisione da lì a pochi mesi, promulgando il 28 settembre la Bolla Quia elongati.

Tornato ad Assisi, Antonio accusò diversi disturbi: chiese ed ottenne d'essere sollevato dall'incarico di Ministro Provinciale. Si ritirò a Padova, dove gli succedette come Superiore il pisano fra Alberto.

Ritorno alle origini: la predicazione

Terminò la stesura del secondo volume dei Sermoni che gli era stato commissionato dal Cardinale Rinaldo Conti che diverrà Alessandro IV. Privilegiò poi la predicazione e il confessionale; in questo senso la quaresima del 1231 fu il suo testamento spirituale.

Antonio predicò in favore dei poveri e delle vittime dell'usura:

«Razza maledetta, sono cresciuti forti e innumerevoli sulla terra, e hanno denti di leone. L'usuraio non rispetta né il Signore, né gli uomini; ha i denti sempre in moto, intento a rapinare, maciullare e inghiottire i beni dei poveri, degli orfani e delle vedove… E guarda che mani osano fare elemosina, mani grondanti del sangue dei poveri. Vi sono usurai che esercitano la loro professione di nascosto; altri apertamente, ma non in grande stile, onde sembrare misericordiosi; altri, infine, perfidi, disperati, lo sono apertissimamente e fanno il loro mestiere alla luce del sole»

Il linguaggio della sua predicazione, che in buona parte ci è stata tramandata, era semplice e diretto: «La natura ci genera poveri, nudi si viene al mondo, nudi si muore. È stata la malizia che ha creato i ricchi, e chi brama diventare ricco inciampa nella trappola tesa dal demonio.»

Il testamento di Antonio: la quaresima del 1231

Durante la Quaresima dal 6 febbraio al 23 marzo 1231, la sua predicazione fu una novità per quei tempi; secondo l'Assidua gli venne assegnato un gruppo di guardie del corpo, che formassero un cordone di sicurezza tra lui e la folla.

Il 15 marzo 1231 fu modificata la legge sui debiti: «su istanza del venerabile fratello il beato Antonio, confessore dell'ordine dei frati minori» il podestà Stefano Badoer stabilì che il debitore insolvibile senza colpa, una volta ceduti in contropartita i propri beni, non venisse più imprigionato né esiliato.

Gli ultimi anni

La Quaresima e la predicazione avevano fiaccato Antonio, che in diverse occasioni aveva dovuto farsi portare a braccia sul pulpito. Afflitto dall'idropisia e dall'asma tanto da non poter più camminare, acconsentì a ritirarsi per una convalescenza nel convento di Santa Maria Mater Domini. Il suo riposo, tuttavia, si dovette bruscamente interrompere. Spadroneggiava a quel tempo, tra Verona e Vicenza, Ezzelino III da Romano, emissario dell'imperatore Federico II contro i liberi Comuni. Riuscito a farsi eleggere Podestà di Verona, città guidata dai conti di Sambonifacio, aveva intrecciato con loro un doppio matrimonio: lui con Zilia, sorella del conte Rizzardo, e questi con sua sorella Cunizza. Una volta ottenuto il potere, passò sopra i legami di parentela e ruppe l'alleanza con i Sambonifacio, mandando in carcere il cognato. Alcuni cavalieri del conte Rizzardo ripararono a Padova e da lì cercarono di organizzarne la liberazione. Verso la fine di maggio Antonio partì alla volta di Verona, per ottenere da Ezzelino la grazia per il conte Rizzardo; non riuscì ad ottenere nulla. Ezzelino fu irremovibile, anzi risparmiò ad Antonio la sorte del conte Rizzardo soltanto per rispetto dell'abito che portava.

Il 13 giugno 1231 si sentì mancare e, compreso che non gli restava molto da vivere, chiese d'essere riportato a Padova dove desiderava morire. Fu riportato verso Padova su un carro agricolo trainato da buoi (i venti chilometri della strada romana oggi sono chiamati via "del Santo"). In vista delle mura la comitiva incontrò frate Vinotto che, viste le condizioni del moribondo, consigliò di fermarsi all'Arcella, nell'ospizio accanto al monastero delle Clarisse dove sarebbe stato al sicuro dalle "sante intemperanze" della folla quando si fosse sparsa la notizia della morte. I confratelli temevano che la folla si precipitasse sul carro per toccare il corpo del Santo.

Al convento i confratelli adagiarono Antonio per terra. Ricevuta l'estrema unzione, morì. Aveva 36 anni.

La disputa per la sepoltura

La notizia della morte d'Antonio si diffuse rapidamente e quel che temeva padre Vinotto s'avverò. Le reliquie di un Santo erano viste come portatrici, oltre che di vantaggi spirituali e miracoli, di prosperità sicura in tempi di pellegrinaggi e di fede diffusa. Gli abitanti di Capodiponte, nella cui giurisdizione si trovava Arcella, arrivarono per primi: «Qui è morto e qui resta»; spalleggiati dalle clarisse: «Non lo abbiamo potuto vedere da vivo, che ci resti almeno da morto». L'indomani giunsero all'Arcella i frati di Santa Maria Mater Domini per traslare la salma, ma furono affrontati, armi in pugno, dagli uomini più giovani di Capodiponte. Ogni forma di dialogo pacato risultò inutile, sicché i frati rientrarono a Padova dove si rivolsero al Vescovo. Questi, saputo che Antonio aveva espresso precisa volontà di morire in città, nel suo convento, diede loro ragione e incaricò il Podestà di sedare gli animi, anche con la forza, se necessario. L'uso della forza non si rese necessario e il 17 giugno, all'Arcella, si svolse la cerimonia funebre.

Il culto

La Chiesa (con papa Gregorio IX) per la mole di miracoli attribuitagli, lo canonizzò a un anno dalla morte. Pio XII, che nel 1946 ha annoverato sant'Antonio tra i Dottori della Chiesa cattolica, gli ha dato il titolo di Doctor Evangelicus, in quanto nei suoi scritti e nelle prediche che ci sono giunte era solito sostenere le sue affermazioni con citazioni del Vangelo.

Gli fu dedicata la grande Basilica di Padova; sia la basilica che Sant'Antonio vengono comunemente chiamati in città "Il Santo". La sua data di nascita ci è stata tramandata dalla tradizione, e la sua festa cade il 13 giugno (giorno della sua morte); a Padova, in occasione della ricorrenza, si svolge un'imponente celebrazione con processione.

Sant'Antonio col Bambin Gesù in un'immaginetta devozionale

Fin dal giorno dei funerali la tomba di Antonio divenne meta di pellegrinaggi che durarono per giorni. Devoti di ogni condizione sociale sfilavano davanti alla sua tomba toccando il sarcofago e chiedendo miracoli, grazie e guarigioni. A causa della folla le autorità decisero di disciplinare il flusso e tutta Padova – si legge nell'Assidua –«nei giorni prefissati veniva in processione a piedi nudi», anche di notte.

In quel periodo furono attribuiti alla sua intercessione molti miracoli e, «a furor di popolo», il vescovo e il podestà li sottoposero al giudizio del papa.

Papa Gregorio IX, che conosceva Antonio, avendo assistito alle sue prediche, accolse gli ambasciatori padovani e nominò una commissione di periti, presieduta dal vescovo di Padova, per raccogliere le testimonianze e le prove documentarie utili al processo di canonizzazione.

Secondo l'Assidua la commissione fu sommersa a Padova «da una gran folla, accorsa per deporre con le prove della verità, di essere stata liberata da svariate sciagure grazie ai meriti gloriosi del beato Antonio». Il Vescovo ascoltò «le deposizioni confermate con giuramento», mise per iscritto i «miracoli» approvati e promosse le indagini necessarie. Completato l'esame diocesano, inviò al Papa una seconda delegazione. A Roma l'istruttoria fu assegnata al cardinale Giovanni d'Abbeville, che in pochi mesi esaurì il compito assegnatogli.

Fu Gregorio IX stesso che pose fine al processo quando tagliò ogni ritrosia rimasta fissando al 30 maggio, festa di Pentecoste, la cerimonia ufficiale di canonizzazione e che inviò per questo una Bolla ai fedeli e al podestà di Padova. Nella Cattedrale di Spoleto, Gregorio IX ascoltò la lettura dei cinquantatré miracoli approvati e, dopo il canto del Te Deum, proclamò solennemente e ufficialmente santo frate Antonio, fissandone la festa liturgica nel giorno anniversario della sua nascita in cielo, il 13 giugno. I fedeli poterono festeggiare Antonio come santo esattamente un anno dopo la sua morte.

Per l'afflusso di pellegrini che affluiva a Padova sulla tomba, si iniziò la costruzione di una chiesa più capiente che fu terminata nel 1240. Nel 1263 il Ministro Generale dei francescani, Bonaventura da Bagnoregio, fece traslare la salma di Antonio di Padova nella nuova basilica. Si narra che durante l'ispezione prima del trasporto dei resti mortali, sarebbe stata rinvenuta la lingua intatta e rosea come fosse viva. Ogni anno, ancora oggi, i frati Antoniani in Padova ricordano quel ritrovamento.

La denominazione

Sebbene "il Santo" venga comunemente chiamato "Sant'Antonio da Padova", questa denominazione non indica la sua originaria provenienza poiché egli era nato e cresciuto nel Portogallo. Il suo nome viene affiancato alla città di Padova perché qui ha avuto luogo la sua attività più significativa. Tra l'altro è usanza che i frati prendano il nome di provenienza dal convento a cui appartengono, quindi in questo senso è corretto riferirsi a Sant'Antonio di Padova (nel senso di appartenenza) ma non da Padova. Soltanto in Portogallo egli è chiamato comunemente Santo António de Lisboa, ovvero "Sant'Antonio da Lisbona", sua città natale.

Sant'Antonio di Padova patrono

Sant'Antonio è festeggiato dalla Chiesa Cattolica il 13 giugno, e all'estero è patrono del Portogallo, del Brasile e della città di Beaumont, in Texas.

In Italia, inoltre, è il protettore dei seguenti paesi:Nicolosi (Ct) e Città S. Angelo (Pe) - Paesi Gemellati in onore di S. Antonio Caggiano (SA)Agromonte Magnano (PZ), Le Castella (KR), Anzino (VB), Arbus (MD), Fluminimaggiore (CA), Anacapri (NA), Andretta (AV), Badoere (TV), Bisaccia (AV), Busachi (OR), Capistrello (AQ), Carunchio (CH), Castel Viscardo (TR), Ceglie Messapica (BR), Cerreto Sannita (BN), Cianciana (AG), Conca dei Marini (SA), Cutrofiano (LE), Ferrazzano (CB), Fragagnano (TA), Furnari (ME), Gravina di Catania (CT), Lodè (NU), Lamezia Terme (CZ), Maletto (CT), Melissano (LE), Montefalcione (AV), Montefalcone nel Sannio (CB), Montesardo (LE), Montesilvano (|PE), Nova Siri Marina (MT), Olivetta San Michele (IM), Orta Nova (FG), Pago del Vallo di Lauro (AV), Palazzo San Gervasio (PZ), Peia (BG),Petrizzi (CZ), Pietrarubbia (PU), Poggiardo (LE), Poggiomarino (NA), Ravarino (MO), Rotonda Pz Rotondella (MT), San Paolo di Civitate (FG), Santa Croce di Magliano(CB)Santa Maria Nuova (AN), Santa Croce ad Orsolone (NA), Soleto (LE), Stigliano (MT), Torrecuso (BN), Tramonti (SA), Valledolmo (PA), Vigarano Mainarda (FE), Zollino (LE), Ruffano (LE), Giuliano Teatino (CH), Settebagni (Roma), Borgagne (LE), Minervino di Lecce (LE), Felline di Alliste (LE), Ripabianca (PG).

Canti in onore di Sant'Antonio

  • Si Quaeris – un responsorio antico per invocare il Santo, scritto dal suo confratello Giuliano da Spira per il primo officio ritmico in onore di S. Antonio.

Note

  1. ^ Cfr. prof. Giuseppe Trombetta, Il taumaturgo di Dio
  2. ^ Nei verbali del processo di Canonizzazione è riportata la descrizione di un presunto miracolo secondo cui, come nella Pentecoste degli apostoli, tutti «sentivano e capivano» esattamente come se egli si esprimesse contemporaneamente nell'idioma nativo di ciascuno

Bibliografia

Pubblicazione in ordine cronologico.

  • Edoardo Luini. Sant’Antonio di Padova: maestro di vita cristiana: pagine dai suoi sermoni, Localizzazioni: FI0098 - Biblioteca nazionale centrale di Firenze
  • Giuseppe Trombetta. Il taumaturgo di Dio. La Gaia Scienza - Jubilaeum
  • Emanoel de Azevedo (1713-1798). Vita di Sant’Antonio di Padova taumaturgo portoghese dell'abate Emanuelle de Azevedo di Coimbria. Edizione: Nuovamente prodotta alla luce dal p. Savino Bachechi, Firenze 1829
  • Breve racconto della vita, miracoli e morte del grande taumaturgo Sant’Antonio di Padova. Bologna 1873
  • Vita e miracoli di Sant’Antonio da Padova. Firenze 1880
  • Pio Ciuti. S. Antonio da Padova. Tredici conferenze intorno alla vita del santo e orazione panegirica, Giarre, Libreria francescana. 1931
  • Antonio Cojazzi. Sant’Antonio da Padova nella testimonianza d'un suo contemporaneo. Torino 1931
  • Giuseppe Fiocco. Il reliquiario della lingua del Santo. Padova 1963
  • Alfonso Salvini. Sant’Antonio di Padova. Cinisello Balsamo 1989
  • Piero Lazzarin. Un santo, una basilica, una città. Storia e segreti di un santuario notissimo e poco conosciuto. Virtù e vizi di una piccola grande città. Padova 1990
  • Claudio Mazza. Un Santo per amico: agiografia di Sant’Antonio da Padova per gli amici del Beato Annibale. Milano 1992
  • Enrico Camisani. L'evangelico dottore Sant’Antonio di Padova. Brescia 1992
  • Chiara Amata. Sant’Antonio di Padova. Milano 1997

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