Storia del colonialismo in Africa: differenze tra le versioni

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====I Boeri====
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{{vedi anche|Guerre anglo-boere}}
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Discendenti dai coloni olandesi che si erano insediati a [[Città del Capo]] nel XVII secolo, i [[Boeri]] (che chiamavano se stessi ''Afrikaner'' e la loro lingua ''[[Afrikaans]]'') si ritrovarono sotto il dominio britannico dopo che il Regno Unitò occupò l'estremintà meridionale del Continente durante le [[Guerre napoleoniche]] e vide confermata la sua conquista nel [[Trattato anglo-olandese del 1814]]. Insofferenti alle leggi degli occupanti (in particolare a quella che decretò l'abolizione della schiavitù), nel 1836 abbandonarono il territorio del Capo e si diressero verso l'interno (in un'epica migrazione chiamata [[Grande Trek]]), dove fondarono due repubbliche: lo [[Stato Libero dell'Orange]] (nel 1854) e il [[Transvaal]] (nel 1856). La scoperta di diamanti e oro nei due giovani Stati attrasse un elevato numero di avventurieri inglesi e suscitò l'interesse delle compagnie minerarie britanniche, prime fra tutte la [[De Beers]] del magnate sudafricano [[Cecil Rhodes]].<ref>Hosea Jaffe, ''op. cit.'' (p. 140)</ref>
Discendenti dai coloni olandesi che si erano insediati a [[Città del Capo]] nel XVII secolo, i [[Boeri]] (che chiamavano se stessi ''Afrikaner'' e la loro lingua ''[[Afrikaans]]'') si ritrovarono sotto il dominio britannico dopo che il Regno Unito occupò l'estremità meridionale del Continente durante le [[Guerre napoleoniche]] e vide confermata la sua conquista nel [[Trattato anglo-olandese del 1814]]. Insofferenti alle leggi degli occupanti (in particolare a quella che decretò l'abolizione della schiavitù), nel 1836 abbandonarono il territorio del Capo e si diressero verso l'interno (in un'epica migrazione chiamata [[Grande Trek]]), dove fondarono due repubbliche: lo [[Stato Libero dell'Orange]] (nel 1854) e il [[Transvaal]] (nel 1856). La scoperta di diamanti e oro nei due giovani Stati attrasse un elevato numero di avventurieri inglesi e suscitò l'interesse delle compagnie minerarie britanniche, prime fra tutte la [[De Beers]] del magnate sudafricano [[Cecil Rhodes]].<ref>Hosea Jaffe, ''op. cit.'' (p. 140)</ref>


Un primo tentativo britannico di predere il controllo del Transvaal venne fermato dalla vittoria degli ''Afrikaner'' nella [[battaglia di Majuba Hill]], che pose ternmine alla [[Prima guerra boera]]; un [[Seconda guerra boera|secondo conflitto]] con le due Repubbliche deflagrò nel 1899 in seguito al fallimento delle trattative per un accordo tra la [[Colonia del Capo]] e i Boeri.<ref>Hosea Jaffe, ''op. cit.'' (pp. 130 e 152)</ref> La conduzione della guerra da parte dei britannici fu brutale: per stroncare il morale degli uomini al fronte, le fattorie boere vennero date alle fiamme e la popolazione civile catturata venne rinchiusa in [[Campo di concentramento|campi di concentramento]], dove le durissime condizioni di detenzione condussero alla morte oltre {{formatnum:26000}} donne e bambini boeri.<ref>François-Xavier Fauvelle, ''Histoire de l'Afrique du Sud'', Éditions du Seuil, 2013 (p. 369)</ref> Nei campi vennero internati anche {{formatnum:120000}} africani provenienti dalle due repubbliche boere, di questi {{formatnum:20000}} perirono durante la prigionia. Al termine del conflitto, oltre {{formatnum:25500}} prigionieri boeri vennero deportati nell'Impero britannico.<ref>François-Xavier Fauvelle, ''op. cit.'' (p. 367)</ref>
Un primo tentativo britannico di prendere il controllo del Transvaal venne fermato dalla vittoria degli ''Afrikaner'' nella [[battaglia di Majuba Hill]], che pose termine alla [[Prima guerra boera]]; un [[Seconda guerra boera|secondo conflitto]] con le due Repubbliche deflagrò nel 1899 in seguito al fallimento delle trattative per un accordo tra la [[Colonia del Capo]] e i Boeri.<ref>Hosea Jaffe, ''op. cit.'' (pp. 130 e 152)</ref> La conduzione della guerra da parte dei britannici fu brutale: per stroncare il morale degli uomini al fronte, le fattorie boere vennero date alle fiamme e la popolazione civile catturata venne rinchiusa in [[Campo di concentramento|campi di concentramento]], dove le durissime condizioni di detenzione condussero alla morte oltre {{formatnum:26000}} donne e bambini boeri.<ref>François-Xavier Fauvelle, ''Histoire de l'Afrique du Sud'', Éditions du Seuil, 2013 (p. 369)</ref> Nei campi vennero internati anche {{formatnum:120000}} africani provenienti dalle due repubbliche boere, di questi {{formatnum:20000}} perirono durante la prigionia. Al termine del conflitto, oltre {{formatnum:25500}} prigionieri boeri vennero deportati nell'Impero britannico.<ref>François-Xavier Fauvelle, ''op. cit.'' (p. 367)</ref>


====Il ruolo dell'Italia====
====Il ruolo dell'Italia====

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Voce principale: Storia dell'Africa.

La storia del colonialismo in Africa il susseguirsi delle interferenze esterne (in particolare arabe, europee e turche) manifestatesi sul suolo africano nel corso dei secoli.[1] In una prospettiva eurocentrica, il termine è utilizzato prevalentemente per indicare la presenza europea in Africa nei cento anni compresi tra il 1881 (l'anno in cui la Francia proclamò il suo protettorato sulla Tunisia)[2] e il 1980 (l'anno in cui venne riconosciuta l'indipendenza della Rhodesia, ultima colonia europea in Africa);[3] l'epoca della spartizione dell'Africa i cui protagonisti furono soprattutto Francia e Gran Bretagna e, in misura minore, Germania, Portogallo, Italia, Belgio e Spagna.[4]

Sbarco di Jan van Riebeeck al Capo, nel 1652, con un contingente di coloni olandesi (dipinto di Charles Bell, metà Ottocento)

Indicativamente, possono essere distinti tre periodi. Il primo, dal VII al XV secolo, quando gli Arabi conquistano l'Africa settentrionale e la Valle del Nilo,[5] raggiungono il Sahel attraversando il Sahara, si insediano sulla costa orientale del Continente fondandovi delle colonie e sviluppano il commercio degli schiavi.[6] Il secondo periodo, dal XV al XIX secolo, quando sulla costa occidentale e meridionale del Continente arrivano i mercanti europei che danno inizio ai commerci con l’Africa sub-sahariana e successivamente alla tratta atlantica degli schiavi[7] e quando i Turchi ottomani conquistano quasi tutti i territori arabi dell' Africa settentrionale.[8] Infine, un terzo periodo, il più breve, tra il XIX e il XX secolo, quando gli Europei, dichiarato illegale il commercio degli schiavi, prendono il controllo di tutto il continente africano, comprese le regioni dell’interno e quelle precedentemente colonizzate dagli Arabi.[9] Al termine di questo processo, l'Africa risulterà divisa in Stati indipendenti entro i confini in gran parte tracciati dalle ex potenze coloniali.[10]

Gli Arabi e l'Africa

Quando, nel 1482, il Regno del Portogallo edificò il Castello di Elmina (primo insediamento europeo nel Golfo di Guinea), gli Arabi erano in contatto con l'Africa sub-sahariana da almeno sei secoli.[11]

L'esplorazione, la conquista e la colonizzaione

Lo stesso argomento in dettaglio: Conquista omayyade del Nordafrica.

Partiti dall'Higiaz nel VII secolo, conquistata l'Africa del Nord (dove imposero lingua e religione), gli Arabi raggiunsero attraverso le vie commerciali trans-sahariane il margine meridionale del deserto, il Sahel, e i grandi imperi sorti sul medio corso del Niger (come l'Impero del Ghana).[11] A differenza di quanto accadde nell'Africa settentrionale (dove gli Arabi si insediarono nelle terre conquistate, relegando ai margini le preesistenti popolazioni berbere), nella regione saheliana, l'insediamento di coloni fu marginale; in compenso fu preponderante la loro influenza politica, culturale, religiosa e soprattutto commerciale.[12] Parallelamente, gli Arabi iniziarono l'esplorazione e la colonizzazione dell'Africa orientale, dove fondarono una lunga catena di città costiere e di sultanati (da Mogadiscio a Kilwa) che prosperarono grazie al commercio di avorio e di schiavi.[13]

La tratta araba

Lo stesso argomento in dettaglio: Tratta araba degli schiavi.

Per gli Arabi, l'intero continente africano fu il più grande fornitore di schiavi, oltre che preziosa riserva di oro e derrate alimentari durante tutto il Medioevo.[14] La tratta araba prese forma lungo la Valle del Nilo nella seconda metà del VII secolo, quando i Regni cristiani sconfitti dal califfo Omar ibn al-Khattab furono costretti a pagare un tributo annuo in schiavi all'Egitto.[15] L'unificazione politica dell'Africa settentrionale sotto gli Omyyadi fu inoltre la premessa per lo sviluppo delle piste carovaniere, lungo le quali, nel corso dei secoli, transitarono circa nove milioni di schiavi provenienti dalla regione saheliana.[16] Con cadenza regolare, carovane provenienti da nord sostavano nelle oasi situate in prossimità delle miniere di sale e ripartivano con il prezioso carico verso il Sahel, dove il sale veniva scambiato con oro e schiavi.[17] Una seconda direttrice della tratta araba si sviluppò in direzione est: dalla regione dei Grandi Laghi, altri otto milioni di schiavi vennero deportati attraverso il Mar Rosso e l'Oceano Indiano sino al Medio Oriente.[16]

Il primo colonialismo

Lo stesso argomento in dettaglio: Colonialismo.
Mappa dell'Africa occidentale realizzata dal cartografo portoghese Lázaro Luís nel 1563.

Attraverso gli Arabi, le notizie dell'abbondanza di oro e di schiavi nella Guinea arrivarono in Europa attorno al XIV secolo:[18] dapprima rari mercanti raggiunsero il Sahel per via terrestre, successivamente i Portoghesi cercarono una via diretta e marittima verso l'Africa subsahariana iniziando l'esplorazione della costa che li avrebbe portati a circumnavigare l'intero continente.[19]

Esplorazione e commercio

Lo stesso argomento in dettaglio: Età delle scoperte e Portogallo nell'età delle scoperte.

Costeggiando il litorale africano, i mercanti lusitani instaurarono rapporti commerciali con gli abitanti della Guinea, scambiando tessuti, grano, cavalli e metalli provenienti dall'Europa con pepe, avorio, oro e schiavi provenienti dalle regioni interne del Continente: le relazioni economiche tra europei e africani si svolsero senza conflittualità, con gli Stati guineani in posizione di forza e in grado di imporre regole e tributi.[20] Per tal motivo, la penetrazione degli europei fu lenta e graduale: i primi insediamenti, precari e di piccole dimensioni, sorsero sulla costa o sulle isole poco distanti dal continente.[21] In Africa orientale, i Portoghesi dovettero invece scontare la rivalià dei mercanti arabi, da tempo insediati nella regione, ai quali contesero il dominio sulla rotta per l'India.[22]

Nel XVI secolo il continente africano era un punto di riferimento portuale e marittimo in special modo per portoghesi, inglesi, francesi e olandesi, che possedevano bastimenti fissi in rotta lungo le grandi vie di comunicazione marittima fungendo da centri di smistamento e raccolta delle merci e dei prodotti africani (oro, pelli, avorio, legni pregiati, caffè, pietre preziose) destinati ad essere esportati in Europa. Il commercio di schiavi cominciò appoggiandosi al traffico già ampiamente utilizzato dagli arabi.

La tratta atlantica degli schiavi

Lo stesso argomento in dettaglio: Tratta atlantica degli schiavi africani e Costa degli Schiavi.

In tre secoli, dagli inizi del XVI secolo agli inizi del XIX, circa 11 milioni di schiavi furono venduti dagli stati africani ai mercanti europei e deportati attraverso l'Oceano Atlantico nelle Americhe.[23] Inizialmente gli schiavi erano acquistati dai Portoghesi nel Regno del Benin o nel Regno del Congo e deportati soprattutto in Brasile; successivamente nella tratta degli schiavi fecero il loro ingresso anche le Province Unite, la Francia e la Gran Bretagna, che acquistarono schiavi per le proprie colonie americane dal Regno del Dahomey, dall'Impero Oyo e dall'Impero Ashanti.[23] Questi stati si arricchirono notevolmente grazie alla tratta che risultò determinante anche per la loro ascesa politica.[24]

Il secondo colonialismo, l'imperialismo

Lo stesso argomento in dettaglio: Imperialismo.

A inizio Ottocento, gli Stati europei dichiararono illegale il commercio di schiavi e per far rispettare il divieto, la Gran Bretagna inviò una squadra navale a pattugliare l'Atlantico meridionale.[25] I Regni africani che avevano prosperato con la tratta decaddero e di riflesso alcuni Stati europei (come la Danimarca e i Paesi Bassi) abbandonarono i loro possedimenti sul Continente.[26] La frequentazione delle coste africane diminuì fortemente, ma non cessò del tutto: lentamente, nei decenni centrali dell'Ottocento, si sviluppò il commercio dell'olio di palma, della gomma, del caffè, dei frutti di cola e del cacao.[27] Gli uomini attivi in quello che era chiamato commercio legittimo (in opposizione alla tratta, un commercio ormai vietato) chiesero sempre più insistentemente l'intervento dei rispettivi Paesi per proteggere i loro interessi e contemporaneamente crebbe la pressione dell'opinione pubblica europea per un'azione decisa contro la schiavitù e contro la tratta perpetuata dagli Arabi (rivelate al grande pubblico dagli esploratori che percorrevano il continente).[28]

Nei trent'anni compresi tra il 1881 (protettorato francese sulla Tunisia) e il 1911 (annessione italiana della Libia e conquista franco-spagnola del Marocco), l'intero continente africano (con poche eccezioni) venne conquistato da sette Paesi europei: alle tradizionali potenze coloniali (Regno Unito, Francia, Spagna e Portogallo) si aggiunsero Germania, Italia e Belgio.[29]

In pochissimi anni furono organizzate le amministrazioni e gli eserciti nei territori stessi, imitando il modello europeo. Nei primi anni del XX secolo, ogni popolazione di ogni colonia africana cominciò ad avere un'educazione, un modello amministrativo, una politica e una lingua del tutto simile al paese europeo colonizzatore. A differenza del primo colonialismo, l'imperialismo si basò su un vantaggio militare e scientifico assoluto (le potenze europee avevano nel frattempo beneficiato della rivoluzione industriale) e venne sorretto da una forte ideologia imperiale: l'espansionismo e il razzismo, la convinzione dei colonizzatori di essere superiori alle popolazioni indigene, che si ritrovarono integrate nelle strutture politiche ed economiche create dai colonizzatori europei.

Il dominio coloniale europeo sul Continente africano durò alcuni decenni, dopodiché iniziò la stagione della decolonizzazione: nel 1951 l'Italia concesse l'indipendenza alla Libia, nel 1956 divennero indipendenti Sudan, Marocco e Tunisia e nei successivi vent'anni (dal 1957 al 1977) tutti gli Stati africani divennero nazioni indipendenti.[30]

Il dibattito storiografico

Lo stesso argomento in dettaglio: Imperialismo (dibattito storiografico).

Le cause che innescarono la "corsa alle colonie" (chiamata scramble, dall'inglese corsa affrettata, ma anche scalata, arrampicata, zuffa) sono tuttora, un problema storiografico molto dibattuto. Possiamo qui individuare alcune interpretazioni:

  • Spiegazioni generali del fenomeno coloniale del XIX secolo:
  • Spiegazioni relative all'Africa:
    • Lo scramble fu innescato dalla volontà del Regno Unito di controllare il Canale di Suez, completato nel 1869, fondamentale per assicurare, attraverso il Mediterraneo, un collegamento rapido con l'India britannica.[35]
    • Lo scramble fu innescato dalle mire del re belga Leopoldo II, intenzionato a costruirsi un dominio personale sul bacino del Congo.[36]
    • Lo scramble fu innescato dalle richieste di quanti erano attivi del "commercio legittimo" dopo l'abolizione della tratta degli schiavi.[37]

In generale i benefici economici che le nazioni europee trassero dai loro possedimenti coloniali africani furono sempre molto minori di quelli che i promotori delle imprese coloniali si aspettavano.[38] La conquista dell'Africa fu inoltre accompagnata da una buona dose di improvvisazione (riflesso della politica interna) e di suggestioni quasi mitiche (l'accesissima rivalità fra Francia e Gran Bretagna per mettere le mani sulle sorgenti del Nilo che sfociò nel confronto di Fascioda).[39] Questo non toglie ogni validità alla spiegazione economica, ma spinge a rivalutare i fattori politici: spiega inoltre perché le potenze europee si siano rassegnate con relativa facilità a rinunciare ai loro imperi coloniali dopo la Seconda guerra mondiale.[40]

Vi è invece un certo accordo tra gli storici nell'indicare il punto di partenza della corsa all'Africa a fine Ottocento: la Questione d'Oriente, ossia la debolezza strutturale dell'Impero ottomano (ormai soprannominato il "Malato d'Europa") incapace di contenere le spinte centrifughe nei Balcani e in Egitto.[41]

La Questione d'Oriente e l'Egitto

Lo stesso argomento in dettaglio: Questione d'Oriente e Occupazione britannica dell'Egitto.

Dal XVI secolo tutti gli Stati arabi dell'Africa settentrionale (con l'eccezione del Marocco) vennero conquistati e annessi all'Impero ottomano.[42] Dal XVIII secolo, tuttavia, nonostante i tentativi di riforma, questo entrò in una lunga fase di decadenza che avrebbe portato alla sua dissoluzione. Nel 1878 il Congresso di Berlino mise in luce tutta la debolezza dell'Impero ottomano, ormai incapace di controllare efficacemente le sue province.[43] In autonomia dal sultano di Istanbul, l'Eyalet d'Egitto, provincia ottomana governata da Mehmet Ali, aveva iniziato un ambizioso e costoso piano di modernizzazione basato principalmente sull'importazione di macchinari e tecnologie dall'Europa pagate con l'esportazione di cotone egiziano.[44] Il processo di modernizzazione proseguì anche sotto la guida del viceré Isma'il Pascià: in particolare questi completò la costruzione del Canale di Suez, finanziata attraverso l'emissione di obbligazioni, in gran parte acquistate da risparmiatori francesi.[45]

Inizialmente scettica sulla sua realizzazione, la Gran Bretagna comprese appieno l'importanza del Canale di Suez una volta che questo venne ultimato (nel 1869) e lo pose al centro della sua politica estera per assicurarsi un collegamento diretto con l'India.[46]

La Grande depressione del 1873 mise in difficoltà l'economia egiziana e costrinse Isma'il a vendere le proprie obbligazioni; nel 1875, il governo inglese acquistò così la parte di azioni del Canale di Suez di proprietà di Isma'il. Quando, nel 1879, Isma'il dichiarò la bancarotta e annunciò che non avrebbe rimborsato il debito, Gran Bretagna e Francia, i principali creditori, assunsero congiuntamente il controllo delle finanze egiziane e costrinsero Isma'il ad abdicare.[45]

Nel frattempo proseguiva il declino dell'Impero Ottomano, che perse un'altra provincia: con il Trattato del Bardo, nel 1881, la Francia proclamò il suo protettorato sul Beilicato di Tunisi, sino a quel momento dipendente da Istanbul. L'anno seguente, nel 1882, in Egitto scoppiò una rivolta xenofoba guidata dal colonnello Orabi Pashà che prese di mira soprattutto i cittadini europei: la Gran Bretagna intervenne per reprimere la sommossa e al termine delle operazioni militari lasciò le sue truppe nel Paese.[47]

La Conferenza di Berlino

Lo stesso argomento in dettaglio: Conferenza di Berlino (1884).

A partire dal 1876, con la fondazione dell'Associazione internazionale africana, Leopoldo II, sovrano del Belgio, progettò di trasformare il bacino del fiume Congo in una colonia sotto il suo diretto controllo e a questo scopo mandò in Africa il già celebre esploratore britannico Henry Morton Stanley; la Francia rispose inviando il proprio agente Pietro Savorgnan di Brazzà, italiano naturalizzato francese, nella regione del fiume Congo.[48] Temendo che la sovrapposizione delle rivendicazioni sul continete africano e le tensioni che ne derivavano si ripercuotessero sull'Europa, il cancelliere tedesco Otto von Bismarck convocò nella capitale tra il 15 novembre 1884 e il 26 febbraio 1885 una serie di incontri, noti collettivamente come Conferenza di Berlino, in cui venne stabilito che le pretese su un territorio africano sarebbero state riconosciute internazionalmente solo se espressione dell'effettivo controllo da parte della potenza occupante; in aggiunta la Conferenza sancì la creazione dello Stato Libero del Congo, colonia personale di Leopoldo II.[49]

Alla Conferenza parteciparono: l'Austria-Ungheria, il Belgio, la Danimarca, la Francia, l'Italia, i Paesi Bassi, il Portogallo, il Regno Unito, la Russia, gli Stati Uniti d'America, la Spagna, la Svezia-Norvegia e la Turchia.[50]

La colonizzazione

Lo stesso argomento in dettaglio: Spartizione dell'Africa.

Le potenze coloniali favorivano generalmente l'insediamento di coloni provenienti dalla metropoli nei rispettivi possedimenti africani, in particolare nelle regioni ritenute climaticamente adatte agli europei: i francesi in Algeria, gli italiani in Libia. La Germania invitò i suoi cittadini insediarsi come coltivatori e allevatori nell'Africa Tedesca del Sud-Ovest.[51] Il Regno Unito incoraggiò l'emigrazione degli Inglesi in Sudafrica, nella Rhodesia Meridionale, sugli Altipiani del Kenya; inoltre promosse l'emigrazione verso l'Africa anche dei sudditi provenienti dall'India britannica (i coolies, in alcuni casi legati da un contratto di indentured labour) che si diressero prevalentemente in Kenya, in Uganda e nel Natal).[52]

Le "filosofie" a cui si ispiravano le politiche coloniali delle potenze europee erano differenti. La Francia proponeva un modello basato sull'assimilazione in cui gli africani potevano ottenere gli stessi diritti dei francesi se acquisivano la cultura e i valori della nazione francese. Promotore e interoprete di questa politica fu il governatore del Senegal Louis Faidherbe: nel 1848 la Seconda Repubblica introdusse il suffragio universale maschile nella metropoli e lo estese immediatamente alle colonie (revocato da Napoleone III nel 1952, il diritto di voto venne reintrodotto definitivamente nel 1879).[53]

La Gran Bretagna invece cercava di non interferire nella cultura e nelle usanze locali, mantenendo ad esempio al potere sotto tutela inglese i capi tradizionali o lasciando il diritto di famiglia sotto la giurisdizione di corti indigene (modello dell'indirect rule). La filosofia del colonialismo inglese fu in particolare espressa dal governatore della Nigeria, lord Frederick Lugard. Questo sistema di governo incontrava minori resistenze presso le popolazioni colonizzate, ma privilegiava gli elementi più conservatori delle società indigene.[52]

In numerose colonie, come i due Congo e le colonie portoghesi, fu introdotto il lavoro forzato, con conseguenze drammatiche per i popoli africani. In altri casi i lavori pubblici più faticosi e pericolosi (ad esempio costruzione delle ferrovie) venivano fatti fare ad abitanti di altre colonie, ad esempio indiani o "coolies" cinesi legati da un contratto di indentured labour (di fatto una forma di schiavitù temporanea).

Il Congo

Lo stesso argomento in dettaglio: Stato Libero del Congo e Congo Belga.

Nello Stato Libero del Congo il re Leopoldo II del Belgio per rifarsi dalle colossali spese sostenute per colonizzare la regione inaugurò un sistema di sfruttamento intensivo delle risorse naturali del paese. Raccogliere la maggior quantità possibile di gomma selvatica (caucciù) divenne il compito principale degli agenti dello Stato e gli indigeni furono costretti al lavoro forzato e sottoposti a un regime di terrore e rappresaglie armate. Le notizie delle atrocità portarono alla nascita di una campagna di protesta, specialmente in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, guidata dal giornalista inglese Edmund Dene Morel e dal diplomatico Roger Casement che eseguì un'ispezione e preparò un rapporto sulla situazione del paese. Nel 1908, alla morte di Leopoldo II, il Congo venne annesso al Belgio e sottoposto alla sovranità del Parlamento belga. Questa data segnò la fine del regime del terrore, anche se il lavoro forzato e le punizioni corporali continuarono ad essere diffuse nella colonia.[54]

L'Africa francese

Lo stesso argomento in dettaglio: Impero coloniale francese.

La Francia era decisa a dare continuità territoriale ai propri possedimenti costieri. In particolare, concepì l'ambizioso progetto di riunire tutte le sue basi sul litorale dell'Africa occidentale in un unico territorio che si estendesse dal Maghreb al Golfo di Guinea e dalla foce del Senegal Senegal a quella del Congo. Inoltre, attraverso il controllo sull'Alto Nilo e sull'Etiopia, questo enorme spazio si sarebbe dovuto congiungere alla Somalia francese: la speranza di quest’ultimo collegamento naufragò nel 1898, quando la colonna militare partita da Brazzaville in direzione del Mar Rosso dovette ritirarsi di fronte ad una spedizione britannica in marcia verso sud. I francesi dovettero così rinunciare all'Alto Nilo (che venne annesso al Sudan anglo-egiziano): l'episodio è noto come "Incidente di Fascioda" (dal nome della località in cui si incrociarono le due colonne militari).[55]

Lo stesso modello di sfruttamento venne riprodotto nel vicino Congo francese (attuale Repubblica del Congo), con conseguenze drammaticamente analoghe. L'esploratore Pietro Savorgnan di Brazzà, mandato ad investigare nel 1905, dopo che alcuni omicidi efferati commessi dai funzionari bianchi avevano turbato l'opinione pubblica, stese un severo rapporto, che il Parlamento Francese decise di distruggere senza pubblicarlo. Lo scrittore André Gide, che visitò il Congo venti anni dopo, riferì che poco era cambiato nella situazione del paese.

Le colonie tedesche

Lo stesso argomento in dettaglio: Impero coloniale tedesco.

La Germania procedette alle annessioni senza un piano preciso, assecondando principalmente le iniziative di singoli avventurieri e uomini d'affari attivi in Africa: nel 1884, il Cancelliere Otto von Bismarck accordò la sua protezione alle rivendicazioni dell'imprenditore Adolf Lüderitz in quella che sarebbe diventata l'Africa Tedesca del Sud-Ovest, a quelle dell'esploratore Gustav Nachtigal nel Togoland, a quelle dei commercianti attivi nel Golfo del Biafra (il Camerun tedesco) e, l'anno seguente, a quelle del controverso avventuriero Carl Peters nell'Africa Orientale Tedesca.[56]

La colonia dell'Impero che attrasse il maggior numero di emigranti fu l'Africa tedesca del Sud-Ovest. Qui, l'afflusso di allevatori e agricoltori nella regione del fiume Swakop e nei pressi di Okahandja provocò la reazione degli Herero, la popolazione nativa dedita alla pastorizia, che nel 1904 insorsero e massacrarono duecento coloni. La repressione della rivolta venne affidata al generale Lothar von Trotha, al quale venne chiesto di annientare la popolazione Herero.[57] L'ordine genocida a von Trotha venne in seguito modificato da Gugliemo II (secondo le nuove disposizioni gli Herero che si fossero arresi sarebbero stati risparmiati, mentre non vi sarebbe stata grazia per i capi della rivolta) e in seguito il cancelliere Bernhard von Bülow annullò anche l'ordine sul lavoro coatto dei prigionieri Herero.[58] Ciononostante, gli Herero sconfitti da von Trotha vennero privati di tutto il bestiame in loro possesso, furono espulsi dalle loro terre e sospinti in massa a est, nelle regioni desertiche, dove morirono di fame e di sete 65 000 Herero[57] (oltre i tre quarti dell'intera popolazione),[58] insieme agli Herero, morirono circa 10 000 Nama (la metà della popolazione totale) che si erano aggiunti all'insurrezione: si verificò in questo modo il Genocidio degli Herero e dei Nama.[58]

I possedimenti iberici

Lo stesso argomento in dettaglio: Impero coloniale portoghese e Impero coloniale spagnolo.

Portogallo e Spagna cercarono di ampliare verso l'interno i loro antichi possedimenti. Con l'Ultimatum britannico del 1890, il Portogallo dovette rinunciare a creare continuità territoriale tra l'Africa Orientale Portoghese e l'Africa Occidentale Portoghese lungo il corso dello Zambesi (la Mappa rosa), ma consolidò la sua presenza storica sulle isole di Sao Tomé e Principe, sulla Guinea portoghese e sulle Isole di Capo Verde. La Spagna diede una dimensione territoriale alla sua influenza sul litorale africano posto davanti all'arcipelago delle Canarie (Río de Oro, Sahara spagnolo), annesse un tratto della costa di fronte alle isole di Fernando Poo e Annobón (istituendo la Guinea Spagnola) e, in accordo con Francia, occupò il litorale compreso tra le città di Ceuta e di Melilla (il Marocco Spagnolo).

I territori britannici

Lo stesso argomento in dettaglio: Impero britannico.

Preso il controllo dell'Egitto nel 1882, la Gran Bretagna si ritrovò responsabile anche del Sudan egiziano, dove, lo stesso anno, scoppiò una rivolta di ispirazione religiosa contro l'amministrazione del Chedivé: un esercito egiziano di 10 000 uomini mandato a riprendere il controllo della provincia venne annientato, mentre ebbe più successo la spedizione britannica comandata dal generale Horatio Kitchener che nel 1898 riconquistò tutto l'Alto Nilo.[59] Contemporaneamente, la flotta dislocata nell'Oceano indiano per reprimere la tratta degli schiavi intensificò la presenza britannica in Africa orientale: nel 1896, dopo un brevissimo conflitto, la Gran Bretagna annesse il Sultanato di Zanzibar e, più a nord, avviò la conquista del Kenya e dell'Uganda, collegando infine i due territori al Sudan anglo-egiziano.[60] Obiettivo finale sarebbe stata la congiunzione longitudinale di tutti i territori posti tra il Sudafrica e l'Egitto: "dal Capo al Cairo".[61]

I Boeri

Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre anglo-boere.

Discendenti dai coloni olandesi che si erano insediati a Città del Capo nel XVII secolo, i Boeri (che chiamavano se stessi Afrikaner e la loro lingua Afrikaans) si ritrovarono sotto il dominio britannico dopo che il Regno Unito occupò l'estremità meridionale del Continente durante le Guerre napoleoniche e vide confermata la sua conquista nel Trattato anglo-olandese del 1814. Insofferenti alle leggi degli occupanti (in particolare a quella che decretò l'abolizione della schiavitù), nel 1836 abbandonarono il territorio del Capo e si diressero verso l'interno (in un'epica migrazione chiamata Grande Trek), dove fondarono due repubbliche: lo Stato Libero dell'Orange (nel 1854) e il Transvaal (nel 1856). La scoperta di diamanti e oro nei due giovani Stati attrasse un elevato numero di avventurieri inglesi e suscitò l'interesse delle compagnie minerarie britanniche, prime fra tutte la De Beers del magnate sudafricano Cecil Rhodes.[62]

Un primo tentativo britannico di prendere il controllo del Transvaal venne fermato dalla vittoria degli Afrikaner nella battaglia di Majuba Hill, che pose termine alla Prima guerra boera; un secondo conflitto con le due Repubbliche deflagrò nel 1899 in seguito al fallimento delle trattative per un accordo tra la Colonia del Capo e i Boeri.[63] La conduzione della guerra da parte dei britannici fu brutale: per stroncare il morale degli uomini al fronte, le fattorie boere vennero date alle fiamme e la popolazione civile catturata venne rinchiusa in campi di concentramento, dove le durissime condizioni di detenzione condussero alla morte oltre 26 000 donne e bambini boeri.[64] Nei campi vennero internati anche 120 000 africani provenienti dalle due repubbliche boere, di questi 20 000 perirono durante la prigionia. Al termine del conflitto, oltre 25 500 prigionieri boeri vennero deportati nell'Impero britannico.[65]

Il ruolo dell'Italia

Lo stesso argomento in dettaglio: Colonialismo italiano.
Mappa delle colonie in Africa nel 1928

L'Italia, in questa situazione ebbe, per lo più, un ruolo secondario e di rappresentanza. Le mire espansionistiche del governo italiano si indirizzarono inizialmente verso una zona dell'Africa orientale, nella quale l'insediamento coloniale appariva più agevole, sia perché esploratori e missionari avevano aperto un varco in quella regione, sia perché la concorrenza degli altri Paesi, nella zona era meno agguerrita. Dopo aver acquistato nel giugno del 1882 la baia di Assab, sulla costa meridionale del Mar Rosso, nel febbraio del 1885 il governo italiano inviò i primi contingenti dell'esercito in quella che avrebbe formato la futura colonia dell'Eritrea, stanziandosi poi in Somalia e ponendo le basi per la successiva avanzata in Abissinia (ora Etiopia); ma la pronta reazione delle truppe abissine costrinse inizialmente alla resa. Dopo questa prima sconfitta l'Italia subì, il 1º marzo 1896, la pesante disfatta di Adua, nella quale caddero sul campo circa 7.000 uomini. Il 26 ottobre 1896 fu conclusa la pace di Addis Abeba, con la quale l'Italia rinunciava alle sue mire espansionistiche in Abissinia. La disfatta provocò forti reazioni in tutta Italia, dove vi fu chi propose un immediato rilancio del progetto coloniale e chi, come una parte del partito socialista, propose di abbandonare immediatamente queste imprese.

Nel 1911-12 il Governo Giolitti, dopo una serie di accordi con la Gran Bretagna e la Francia, che ribadivano le rispettive sfere d'influenza nell'Africa settentrionale, dichiarò guerra all'Impero ottomano (Guerra italo-turca) e occupò la Tripolitania e la Cirenaica, dando vita alla formazione ai due Governi della Tripolitania e della Cirenaica, il cui possesso venne consolidato nel corso degli anni Venti. Nel 1934 i due governi furono riuniti nella Libia italiana.

Il colonialismo italiano venne poi rilanciato dal regime fascista nella seconda metà degli anni trenta, che comportò la conquista dell'Etiopia.

Quadro sinottico

L'Africa dopo la Conferenza di Berlino
L'Africa alla vigilia della Prima Guerra Mondiale; notare l'espansione britannica in senso verticale, e l'espansione francese in senso orizzontale
L'Africa alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale

Colonie e protettorati britannici

Colonie e protettorati francesi

Colonie tedesche

Colonie portoghesi

Colonie italiane

Colonie e territori del Belgio

Colonie e protettorati spagnoli

Mandati della Società delle Nazioni

Sintesi dei possedimenti europei

Situazione nel 1939:

  • Totale Territori Francesi: 11.074.644 km²
  • Totale Territori Britannici: 10.684.888 km²
  • Totale Territori Italiani: 3.622.049 km²
  • Totale Territori Belgi: 2.395.266 km²
  • Totale Territori Portoghesi: 2.089.449 km²
  • Totale Territori Spagnoli: 313.150 km²

Totale Territori Europei: 30.179.386 km² nel 1939

Situazione nel 1951:

  • Totale Territori Francesi: 11.074.644 km²
  • Totale Territori Britannici: 10.684.888 km²
  • Totale Territori Belgi: 2.395.266 km²
  • Totale Territori Portoghesi: 2.089.449 km²
  • Totale Territori Italiani: 500.047 km²
  • Totale Territori Spagnoli: 313.150 km²

Totale Territori Europei: 27.050.960 km² nel 1951

Situazione nel 1961:

  • Totale Territori Francesi: 2.407.176 km²
  • Totale Territori Britannici: 5.872.270 km²
  • Totale Territori Belgi: 49.797 km²
  • Totale Territori Portoghesi: 2.089.449 km²
  • Totale Territori Spagnoli: 293.494 km²

Totale Territori Europei: 10.712.186 km² nel 1961

Situazione nel 1971:

  • Totale Territori Francesi: 25.435 km²
  • Totale Territori Britannici: 393.248 km²
  • Totale Territori Portoghesi: 2.089.449 km²
  • Totale Territori Spagnoli: 293.494 km²

Totale Territori Europei: 2.801.626 km² nel 1971

Le ex-colonie italiane in sintesi

Lo stesso argomento in dettaglio: Colonialismo italiano § Le colonie italiane.

Africa italiana

L'Africa italiana, prima del 1935, comprendeva i possedimenti:

  Km2 Abitanti
Province libiche 455.000 860.000
Sahara libico 1.300.000 50.000
Eritrea 125.000 560.000
Somalia italiana 465.000 1.250.000
totale 1935:
Africa Italiana 2.345.000 2.720.000

Africa orientale italiana

Lo stesso argomento in dettaglio: Africa Orientale Italiana.

Con tale termine veniva indicata l'entità coloniale, creata in virtù di un decreto dell'11 novembre 1938, che riuniva i territori dell'Eritrea, della Somalia italiana e dell'Etiopia. L'A.O.I fu divisa in 6 governatorati, di cui si riportano i dati relativi a superficie e popolazione, secondo i calcoli del maggio 1939:

  Km2 Abitanti
Amara 197.500 2.000.000
Galla - Sidama 322.200 4.000.000
Scioa 65.500 1.850.000
Harar 206.850 1.600.000
totale:
Impero d'Etiopia 792.050 9.450.000
Somalia 702.000 1.500.000
Eritrea 231.280 1.500.000
totale:
A.O.I. 1.725.330 12.100.000

Totale Africa Italiana 1938: 3.480.330 km², 13.010.000 ab.

Effetti del colonialismo e la decolonizzazione

Negli anni della Seconda Guerra Mondiale avvennero profondi mutamenti politici, che toccarono anche gli Stati africani:

  • molti africani parteciparono come membri delle armate delle rispettive potenze coloniali alla lotta contro il fascismo in Europa e in Asia;
  • nel 1941 venne formulata la Carta Atlantica da W. Churchill e F.D. Roosevelt (in cui si enunciava il diritto all'autodeterminazione di tutti i popoli, che sancisce il diritto di un popolo sottoposto a dominazione straniera ad ottenere l'indipendenza e poter scegliere autonomamente il proprio regime politico);
  • la guerra aveva portato a un generale indebolimento delle grandi potenze europee che avevano colonie in Africa.

Gli ideali di libertà diffusisi in seguito alla vittoria delle democrazie nella Seconda guerra mondiale fornirono lo sfondo ideale al malcontento dei neri verso la dominazione coloniale.

Quindi negli anni intorno al 1950 iniziò una spinta autonomistica delle popolazioni delle colonie africane: i popoli indigeni reclamavano il diritto di essere indipendenti dal paese europeo colonizzatore e di decidere del proprio destino, con insurrezioni e movimenti di protesta in cui si intrecciavano rivendicazioni politiche, economiche e sociali.

Si possono fare alcune considerazioni:

  • L'opposizione degli indigeni al colonialismo è guidata dalle élite africane;

A essi si affiancano:

1. il ceto medio indigeno, formato da professionisti, imprenditori e agricoltori che avevano accesso al mercato delle esportazioni (essi sono provenienti dai ceti popolari neri, che hanno avuto una certa scolarizzazione e sono riusciti ad affermarsi nella società delle colonie; essi rivendicano la libertà politica ed economica);

2. i ceti popolari africani, che si limitano a ribellarsi allo sfruttamento come manodopera a cui li sottopongono i colonizzatori europei, che lasciano così nella povertà.

  • In molti paesi questa ribellione degli abitanti locali contro il colonialismo fu guidata da partiti politici che si ispiravano ai principi di un "socialismo africano", che si distingueva in modo piuttosto netto dalle ideologie socialiste di matrice occidentale.

In genere, i leader politici africani rappresentarono il socialismo soprattutto come rifiuto del sistema economico capitalistico portato dai colonizzatori, a favore del recupero di valori tradizionali africani come il senso della comunità o della famiglia o la dignità del lavoro agricolo.

Davanti a questa opposizione, i paesi europei colonizzatori dovettero sempre concedere l'indipendenza alle colonie:

  • pacificamente, limitandosi a fare passare tutta la struttura amministrativa e militare creata nelle colonie nelle mani di funzionari delle élite africane europeizzate;
  • dopo lunghe lotte, che videro grandi spargimenti di sangue nell'opposizione tra le armate coloniali europee e i guerriglieri africani che erano passati all'aperta ribellione contro il colonialismo (essi spesso operarono scelte di tipo marxista-leninista ed erano attivamente sostenuti dai paesi socialisti).

Le colonie divennero quindi stati africani indipendenti, con strutture politiche ed economiche governate da un ceto dirigente indigeno europeizzato. Era così avvenuta la decolonizzazione, cioè la fine degli imperi coloniali, poiché i paesi europei colonizzatori riconoscevano l'indipendenza alle colonie. Ottenuta l'indipendenza, gli Stati africani sorti dalla decolonizzazione avevano grandi problemi interni, in cui avevano un grande peso i problemi portati dallo sfruttamento del colonialismo europeo:

  • forti disuguaglianze sociali;

Ma accanto ad essa esiste una massa povera e analfabeta di contadini nelle zone rurali poco sviluppate, che conoscono solo le strutture tradizionali (come famiglia patriarcale, tribù e gruppo religioso) e hanno poche possibilità di ascesa sociale. Con lo sviluppo urbano, poi, i contadini emigrati in città divengono solo manodopera operaia malpagata alle dipendenze delle grandi imprese. Le masse povere africane sopravvivono tuttora in una misera condizione di povertà, fame, malattie e sovraffollamento, subendo gli effetti della mancanza di adeguate strutture sanitarie e scolastiche.

  • arretratezza economica: la scolarizzazione nella popolazione è bassa. Ciò porta all'arretratezza tecnica ed industriale (grande dispendio di lavoro e bassa produttività) e a difficoltà ad organizzare una economia moderna.

Quindi l'economia resta debole e basata perlopiù sullo sfruttamento delle risorse agricole e minerarie, destinate all'esportazione (come ai tempi del colonialismo); inoltre gli utili di piantagioni, miniere e imprese industriali vanno a una limitata élite di privilegiati che tesaurizza la ricchezza e alle grandi imprese straniere (perlopiù quelle delle ex – potenze colonizzatrici, che possiedono le risorse africane dal tempo del colonialismo).

Ciò ovviamente ostacola il pieno sviluppo dell'economia africana in ogni settore e il raggiungimento di un dignitoso tenore di vita per la popolazione.

  • tensioni interne a carattere etnico: i nuovi stati africani avevano ereditato dal colonialismo anche i propri confini, disegnati casualmente da diplomatici europei che avevano tracciato linee di confine tra le loro colonie. Ciò portava una mancanza di unità etnica e politica nei nuovi stati: spesso entro i confini di un paese erano compresi molte etnie diverse tra loro, divise da antichi odi tribali.

Ciò esplode spesso in feroci lotte tra fazioni, tribù e regioni e numerose crisi interne e internazionali.

I nuovi stati avevano grande vulnerabilità politica ed economica ed avevano continui problemi interni.

Il bisogno, reale o immaginario, di prevenire la disintegrazione dei nuovi stati rafforzando l'autorità centrale spinse la classe dirigente indigena a organizzare forme di governo fortemente autoritarie: apparvero governi a partito unico o addirittura regimi militari, dominati da figure tiranniche. Questi governi tuttavia furono sempre inefficienti, erano caratterizzati dalla cattiva applicazione delle leggi e la violenza usata per eliminare gli oppositori e non produssero nessun miglioramento a livello sociale o economico.

Questi governi riuscivano a mantenersi al potere grazie all'importante appoggio delle imprese straniere (appartenenti alle ex – potenze colonizzatrici dell'Africa o anche alle due superpotenze Usa e Urss, emerse dopo la Seconda Guerra Mondiale), a cui veniva in cambio dai governi africani concesso il permesso di continuare a sfruttare le risorse africane a vantaggio delle grandi potenze economiche (europee e non).

I nuovi stati indipendenti africani sono quindi ora legati alle grandi potenze europee (spesso quelle del colonialismo) dalla sudditanza politica ed economica, in un mondo in cui attualmente i rapporti economici e politici si fanno sempre più complessi e articolati.

Vi è quindi ora una diversa forma di dipendenza economica, culturale, sociale e politica dei paesi africani dalle potenze economiche, che ha dato luogo al cosiddetto neocolonialismo.

Recentemente, in alcuni stati africani, stanno iniziando lenti e difficili processi di sviluppo economico e democratizzazione della vita politica:

  • molte organizzazioni umanitarie internazionali (talora aiutate dai governi africani) stanno aiutando le masse popolari nere a porre basi per un miglioramento del tenore di vita. Esse procedono a realizzare infrastrutture sanitarie e scolastiche e ad aiutare gli indigeni ad avviare piccole imprese economiche per il proprio sostentamento.
  • le classi dirigenti dei paesi africani stanno iniziando a organizzare governi democratici (in cui il popolo può godere della libertà ed eleggere i propri rappresentanti).

Inoltre esse stanno tentando di stipulare accordi con le imprese straniere che possano limitare uno sfruttamento indiscriminato delle risorse africane a vantaggio delle potenze economiche e possano garantire un miglioramento delle condizioni economiche per le popolazioni africane.

Le popolazioni africane vengono sottomesse e derubate da secoli.

Le popolazioni africane stanno cercando di divenire capaci di governarsi autonomamente e di migliorare le proprie condizioni economiche. Esse stanno anche cercando di trasformare i propri rapporti con le potenze economiche, cercando di rapportarsi con loro alla pari e non in condizioni di sudditanza economica, anche per evitare pulsioni xenofobe[67].

Note

  1. ^ John Reader, Africa. A Biography of the Continent, Hamish Hamilton, Londra, 1997. Edizione italiana: Africa. Biografia di un continente, Mondadori, 2001 (p. 276)
  2. ^ Suraiya Faroqhi, Geschichte des Osmanischen Reiches, Beck, 2000. Edizione italiana: Storia dell’Impero ottomano, Il Mulino, 2018 (p. 117)
  3. ^ Michael Charlton, The Last Colony in Africa: Diplomacy and the Independence of Rhodesia, Blackwell Pub, 1990
  4. ^ Catherine Coquery-Vidrovitch, Petite histoire de l'Afrique, La Découvert, 2010. Edizione italiana: Breve storia dell'Africa, Il Mulino, 2011 (p. 158, mappa)
  5. ^ Bernard Lewis, The Arabs in History, Oxford University Press, 1993. Edizione italiana: Gli Arabi nella storia, Laterza, 2006 (pp. 55-56)
  6. ^ Paul Lovejoy, Transformations of Slavery: A History of Slavery in Africa, Cambridge University Press, 2012. Edizione italiana: Storia della schiavitù in Africa, Bompiani, 2012 (p. 34)
  7. ^ Olivier Grenouilleau, Quand les Européens découvraint l'Afrique intériere, Tallandier, 2017 (pp. 17 e 19)
  8. ^ Suraiya Faroqhi, op. cit. (pp. 67-68)
  9. ^ Paul Lovejoy, op. cit. (p. 447)
  10. ^ Putzger Historischer Weltatlas, Cornelsen, 1999 (pp. 144-145)
  11. ^ a b Tidiane N'Diaye, Le génocide voilé. Enquête historique, Gallimard, Parigi, 2008 (p. 93)
  12. ^ Alain Gallay, De mil, d'or et d'esclaves. Le Sahel précolonial, Presse polytechniques et universitaires romandes, Losanna, 2011 (p. 56)
  13. ^ Jacques Heers, Négriers en terres d’islam, Perrin, Parigi, 2007 (p. 87)
  14. ^ Alain Gallay, op. cit. (p. 14)
  15. ^ Catherine Coquery-Vidrovitch, op. cit. (p. 85)
  16. ^ a b Olivier Grenouilleau, Les traites négrières, Gallimard, 2004. Edizione italiana: La tratta degli schiavi, Il Mulino, 2006 (p. 149)
  17. ^ Felipe Fernández-Armesto, 1492. The Year Our World Began, Bloomsbury Publishing, 2013 (p. 55)
  18. ^ Catherine Coquery-Vidrovitch, op. cit. (p. 86)
  19. ^ Felipe Fernández-Armesto, op. cit. (p. 51)
  20. ^ John Thornton, Africa and Africans in the Making of the Atlantic World, 1400-1800, Cambridge University Press, 1998. Edizione italiana: L'Africa e gli africani nella formazione del mondo atlantico, 1400-1800, Il Mulino, 2010 (p. 60)
  21. ^ Arlindo Manuel Caldeira, Escravos e Traficantes no Império Portugués, 2013. Edizione italiana: Schiavi e trafficanti attraverso l'Atlantico, Mimesis, 2020 (p. 59)
  22. ^ Glenn J. Ames, The World Encompassed: The Age of European Discovery (1500-1700), Pearson Education Inc, 2008. Edizione italiana: L'età delle scoperte geografiche (1500-1700), Il Mulino, 2011 (pp. 33-41)
  23. ^ a b Lisa Lindsay, Captives as Commodities: The Transatlantic Slave Trade, Pearson Education Inc., New Jersey (USA), 2008
  24. ^ Alain Gallay, op. cit. (p. 17)
  25. ^ Paul Kennedy, op. cit. (p. 237)
  26. ^ Paul Lovejoy, op. cit. (p. 400): la Costa d'Oro danese venne ceduta al Regno Unito nel 1850, mentre i Paese Bassi vendettero la Costa d'Oro olandese nel 1872.
  27. ^ Olivier Grenouilleau (2006), op. cit. (p. 308)
  28. ^ Paul Lovejoy, op. cit. (p. 396 e 408)
  29. ^ Henk Wesseling, Verdeel en heers. De deling van Africa, 1880-1914, Amsterdam, 1991. Edizione italiana: La spartizione dell'Africa 1880-1914, Corbaccio, Milano, 2001 (p. 19)
  30. ^ Putzger Historischer Weltatlas, Cornelsen, 1999 (pp. 144-145). L'indipendenza della Rhodesia, effettiva dal 1965, verrà riconosciuta dal Regno Unito solo nel 1980.
  31. ^ Henk Wesseling, op. cit. (p. 517)
  32. ^ Lenin, L'Imperialismo, fase suprema del capitalismo, 1917
  33. ^ Niall Ferguson, Empire. How Britain Made the Modern World, Penguin Books, 2018 (p. 115)
  34. ^ James L. Gelvin, The Modern Middle East. A History, Oxford University Press, 2005. Edizione italiana: Storia del Medio Oriente moderno, Einaudi, 2021
  35. ^ Henk Wesseling, op. cit. (p. 66)
  36. ^ David Van Reybrouck, Congo, 2010. Edizione italiana: Congo, Feltrinelli, 2016
  37. ^ Catherine Coquery-Vidrovitch, Petite histoire de l’Afrique, La Découverte, 2011. Edizione italiana: Breve storia dell’Africa, Il Mulino, 2012
  38. ^ Paul Bairoch, Economics and World History, University of Chicago Press, 1993. Edizione italiana: Economia e storia mondiale, Garzanti, 1996
  39. ^ Henk Wesseling, op. cit. (p. 12)
  40. ^ David Landes, op. cit. (p. 429)
  41. ^ Henk Wesseling, op. cit. (p. 32)
  42. ^ Putzger Historischer Weltatlas, Cornelsen, Berlino, 1999 (p. 65)
  43. ^ Harald Kleinschmidt, Geschichte der internationalen Beziehungen, Reclam, Stoccarda, 1998 (p. 286)
  44. ^ David Landes, The Wealth and Poverty of Nations, Norton & Company, 1998 (p. 417)
  45. ^ a b Harald Kleinschmidt (1998), op. cit. (p. 271)
  46. ^ Paul Kennedy, The Rise and Fall of British Naval Maestry, 1976. Edizione italiana: Ascersa e declino della potenza navale britannica, Garzanti, 2010
  47. ^ Henk Wesseling (2001), op. cit. (p. 77)
  48. ^ John Reader, Africa. A Biography of the Continent, Hamish Hamilton, Londra, 1997. Edizione italiana: Africa. Biografia di un continente, Mondadori, 2001 (pp. 453 e 458)
  49. ^ Harald Kleinschmidt, op. cit. (p. 290)
  50. ^ John Reader, op. cit. (p. 462)
  51. ^ Horst Gründer, Geschichte der deutschen Kolonien, Schöningh, Paderborn, 2005 (pp. 123-127)
  52. ^ a b Philippa Levine, The British Empire. Sunrise to Sunset, Harlow, Pearson, 2007
  53. ^ Ferguson, Civilization: The West and the Rest, Penguin, 2011. Edizione italiana: Occidente, Mondadori, 2017 (pp. 194-195)
  54. ^ Il giornalista americano Adam Hochschild, autore del bestseller storico King Leopold's Ghost (Ed. it. Gli spettri del Congo), ritiene che 10.000.000 di congolesi siano morti negli anni in cui il paese era sottoposto al dominio personale di Leopoldo II.
  55. ^ David Levering Lewis, The Race to Fashoda, Weidenfeld & Nicolson, New York, 1987 (pp. 133, 135, 210)
  56. ^ Harald Kleinschmidt, op. cit. (p. 291)
  57. ^ a b Hosea Jaffe, 300 years: a history of South Africa, 1980. Edizione italiana: Sudafrica: storia politica, Jaka Book, 1997 (pp. 136-137)
  58. ^ a b c Horst Gründer, op. cit. (pp. 121-122)
  59. ^ Niall Fergusson (2008), op. cit. (p. 222)
  60. ^ Paul Kennedy, op. cit. (pp. 236 e seguenti)
  61. ^ Kenneth Panton, Historical Dictionary of the British Empire, Rowman & Littlefield, 2015 (p. 113)
  62. ^ Hosea Jaffe, op. cit. (p. 140)
  63. ^ Hosea Jaffe, op. cit. (pp. 130 e 152)
  64. ^ François-Xavier Fauvelle, Histoire de l'Afrique du Sud, Éditions du Seuil, 2013 (p. 369)
  65. ^ François-Xavier Fauvelle, op. cit. (p. 367)
  66. ^ Occupato nel 1882, ma formalmente ottomano fino al 1914, indipendente dal 1922. Truppe britanniche restano nella Zona del Canale di Suez dal Trattato anglo-egiziano del 1936 alla Crisi di Suez del 1956.
  67. ^ Steve Hess e Richard Aidoo, Charting the Roots of Anti-Chinese Populism in Africa, Springer International Publishing, 2015.

Voci correlate

Collegamenti esterni