Occupazione giapponese di Singapore

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Occupazione giapponese di Singapore
Occupazione giapponese di Singapore - Localizzazione
Occupazione giapponese di Singapore - Localizzazione
Dati amministrativi
Nome ufficiale大日本帝國(昭南 )
Dai Nippon Teikoku (Shōnan)
Lingue ufficialiGiapponese
InnoKimi ga yo
Dipendente da Impero giapponese
Politica
Forma di StatoColonia
Forma di governo
Nascita15 febbraio 1942
CausaBattaglia di Singapore
Fine12 settembre 1945
CausaResa del Giappone
Territorio e popolazione
Bacino geograficoSud-est asiatico
Economia
ValutaDollaro emesso dal governo giapponese
Religione e società
Religione di StatoShintoismo
L'Impero giapponese al suo apogeo nel 1942

(in verde scuro i territori posseduti dal 1895, In verde i territori occupati fino al 1930, in verde chiaro i territori occupati fino al 1942)

Evoluzione storica
Preceduto daBandiera del Regno Unito Stabilimenti dello Stretto
Succeduto daBandiera del Regno Unito Amministrazione militare britannica (Malesia)
Ora parte diBandiera di Singapore Repubblica di Singapore

L'Occupazione giapponese di Singapore fu un avvenimento svoltosi durante la seconda guerra mondiale, e che ebbe luogo tra il 1942 e il 1945.

Il periodo di occupazione nipponica iniziò in seguito alla battaglia di Singapore, durante la quale le truppe dell'esercito imperiale giapponese sgominarono le forze armate britanniche presenti nella città portuale, la quale ricopriva un ruolo di primaria importanza strategica e commerciale, tanto da essere soprannominata la Gibilterra d'oriente.

Gli occupanti assegnarono il nome di Shōnan (昭南) all'isola di Singapore, che divenne colonia dell'Impero del Grande Giappone. Singapore tornò sotto il dominio britannico dopo la sconfitta del Giappone nella Guerra del Pacifico (1941-1945) e la conseguente vittoria degli Alleati.[2]

I britannici mentre firmano la resa incondizionata con cui cedono al Giappone la sovranità di Singapore.

Antefatto[modifica | modifica wikitesto]

Il generale Tomoyuki Yamashita. Comandante della spedizione giapponese in Malesia e Singapore.

Il Giappone era intenzionato a espandere il proprio dominio e a tal proposito giustificò la sua politica militare aggressiva con la scusa di voler liberare l'Asia sud-orientale e il Pacifico dalla presenza del colonialismo statunitense e britannico.[3]

Il 31 dicembre 1942 fu il giorno del successo giapponese nella Campagna della Malesia, che spalancò le porte al dominio del Sol Levante nella penisola malese. Tuttavia gli Alleati provvidero a distruggere il ponte che attraversando lo Stretto di Johor collegava la penisola con Singapore, affinché sull'isola si potesse organizzare una manovra difensiva anti-giapponese. Infatti nell'isola era situata la principale base militare britannica del Sud-est asiatico, e le forze Alleate credevano di poter resistere all'offensiva nemica.

L'8 febbraio 1942 i giapponesi agli ordini del generale Tomoyuki Yamashita diedero inizio all'invasione del piccolo territorio singaporiano. Il contingente anglosassone comandato da Sir Arthur Percival si arrese il 15 febbraio seguente. L'esercito giapponese quindi completò la conquista di Malesia e Singapore in soli due mesi.[4] Il primo ministro del Regno Unito Winston Churchill definì tale sconfitta come la peggior disfatta della storia britannica.[5]

La dominazione giapponese[modifica | modifica wikitesto]

Durante il periodo in cui Singapore fu posta sotto la giurisdizione nipponica, i colonizzatori si macchiarono di una lunga serie di barbarie e crimini di guerra, soprattutto per mezzo della Kempeitai, ovvero la polizia militare imperiale giapponese.

Il 10 ottobre 1943, la Kempeitai arrestò e torturò ben 57 cittadini singaporiani, con l'accusa di aver collaborato con gli incursori anglo-australiani che poche settimane prima avevano causato l'affondamento di alcune navi della marina imperiale giapponese presso il porto dell'isola; tra i civili ingiustamente incolpati, furono in 15 a morire in carcere a causa dei maltrattamenti subiti. L'evento è passato alla storia con il nome di Double Tenth incident[6], ma non fu certo l'unico caso di violenza compiuto dai giapponesi a Singapore, i quali vigilavano le strade della città e perseguitavano in special modo i cittadini di etnia cinese.

Gli invasori tentarono inoltre di imporre la propria cultura in maniera coercitiva: insegnando la lingua giapponese nelle scuole e, obbligando gli studenti a rivolgersi verso Tokyo cantando Kimi ga yo, l'inno nazionale nipponico.

A peggiorare la situazione fu la crisi economica dovuta alla dominazione giapponese. Infatti a causa dell'inflazione i generi alimentari e tutti gli altri beni di largo consumo subirono un notevole incremento dei prezzi. I cibi più diffusi divennero la patata dolce e la tapioca, assai più economici del riso.

Nel settembre 1945 una folla festante accoglie il ritorno dei britannici dopo la capitolazione finale dei giapponesi.

Nella primavera del 1942 i soldati giapponesi e circa 20 000 prigionieri di guerra britannici e australiani, cominciarono la costruzione di un tempio shintoista (神社, Jinja) in un'area boschiva di Singapore. La struttura aveva lo scopo di commemorare le vittime giapponesi perite durante la recente campagna malese.[7] Il santuario ricalcava lo stile architettonico del Tempio di Yasukuni, edificio sacro di Tokyo in cui si venerano le anime dei soldati che hanno dato la vita per l'Imperatore del Giappone. La nuova struttura fu completata e inaugurata nel settembre 1942. Nei pressi del santuario shintoista, fu concessa la realizzazione di un luogo di culto cristiano nel quale anche i prigionieri britannici potessero onorare i propri connazionali caduti in battaglia. Il tempio giapponese fu smantellato quando a causa dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki del 6 e 9 agosto 1945, l'imperatore in carica Hirohito, nel suo celebre discorso alla nazione, annunciò la resa del Giappone, formalizzata circa un mese più tardi. Singapore tornò così sotto il controllo dei britannici, dopo oltre tre anni di occupazione nipponica.

Note[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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