Utente:Facquis/Sandbox/Storia del Regno d'Italia (1943-1946)
La storia del Regno d'Italia tra il 1943 e il 1946 è quel periodo compreso tra la caduta del fascismo e la nascita della Repubblica Italiana, passando attraverso la guerra civile.
Il crollo dello Stato
[modifica | modifica wikitesto]Il malcontento verso il regime
[modifica | modifica wikitesto]In seguito all'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale e alle sconfitte riportate dall'esercito in Grecia, Africa Orientale e Nordafrica il consenso verso il regime fascista iniziò a declinare.[1] Nel 1942 le ripetute sconfitte delle potenze dell'Asse, e l'acquisizione da parte delle forze alleate di nuove basi militari in Nordafrica, consentirono all'aviazione britannica e statunitense di incrementare notevolmente i bombardamenti contro le città portuali dell'Italia centro-meridionale (come Napoli, Palermo, Foggia, Livorno) e le città industriali dell'Italia settentrionale (principalmente Milano, Genova e Torino).[2] I bombardamenti alleati sull'Italia, spesso preceduti o seguiti dal lancio di volantini propagandistici, furono eseguiti nell'ottica di persuadere il popolo italiano a ritirare il sostegno al regime.[3] I bombardamenti dell'inverno del 1942 misero a dura prova il popolo italiano, che fu costretto a fronteggiare il freddo, la carenza di cibo e il vertiginoso aumento dei prezzi dei beni di prima necessità.[4]
Tra il 1942 e il 1943 la produzione bellica favorì lo sviluppo dei grandi stabilimenti industriali dell'Italia settentrionale a discapito delle aziende di piccola e media dimensione.[5] In questi anni gli operai specializzati furono ricollocati nelle fabbriche tedesche in cambio delle forniture di acciaio e carbone, causando così la netta diminuzione delle disparità salariali all'interno delle fabbriche.[5] Negli stabilimenti fu introdotta la supervisione militare, aumentarono i ritmi di produzione e venne prolungato l'orario a dodici ore giornaliere.[5] Queste dure condizioni di lavoro e i bassi salari provocarono nel gennaio del 1943 i primi brevi scioperi nelle fabbriche torinesi.[6] Il mancato ascolto delle proteste da parte dei dirigenti sfociò il 5 marzo 1943 con la proclamazione degli scioperi antifascisti allo stabilimento Fiat Mirafiori.[7] L'ondata di sciopero di diffuse in tutta la città di Torino e la provincia, arrivando a coinvolgere il 15 marzo 1943 oltre centomila lavoratori.[8] Il 23 marzo la protesta dilagò anche a Milano, coinvolgendo per cinque giorni la Falck, la Pirelli e molti altri stabilimenti necessari al proseguimento dello sforzo bellico.[9]
Nelle campagne dell'Italia centrale la consegna forzata a prezzi bloccati del grano e delle altre merci all'ammasso dei prodotti agricoli, costrinse le famiglie agricole a rivolgersi ai traffici del mercato nero.[10] Questa condizione si rivelò ancora peggiore per le famiglie contadine dell'Italia meridionale che essendo fortemente impattate dalla coscrizione obbligatoria e dal sistema dei latifondi diedero luogo a diverse proteste, in particolare nella poverissima Basilicata.[11]
Il carovita e la disoccupazione colpì anche la piccola borghesia cittadina, che iniziò un progressivo distanziamento da regime.[12]
Le dimissioni di Mussolini e l'armistizio
[modifica | modifica wikitesto]La già tesa situazione italiana fu definitivamente compromessa il 10 luglio 1943 con lo sbarco in Sicilia delle truppe alleate e il bombardamento di Roma nove giorni più tardi.[12] In questo contesto, per salvare la monarchia dagli Alleati e dalle pressioni popolari, verificato il sostegno dei comandi militari e dei gerarchi fascisti il re Vittorio Emanuele III organizzò le dimissioni di Benito Mussolini da capo del governo.[12] Il 24 luglio su richiesta del presidente della Camera Dino Grandi si riunì il Gran consiglio del fascismo, la seduta si concluse nella notte del 25 luglio con la sfiducia del duce da parte dei gerarchi fascisti.[12] Il giorno successivo Benito Mussolini si recò all'udienza col re che ne richiese le dimissioni, comunicandogli la decisione di sostituirlo col generale Pietro Badoglio; non appena l'udienza fu tolta il duce venne arrestato.[13]
La notizia della caduta del fascismo fu accolta con entusiasmo dalla popolazione civile che manifestò per la fine della guerra e contro i simboli del regime appena concluso.[13] Le manifestazioni e gli scioperi furono brutalmente repressi dalla nuova giunta militare, preoccupata dalla possibilità dello scoppio di un'insurrezione.[14] La giunta guidata da Badoglio se da un lato forniva alla Germania nazista rassicurazioni riguardo al proseguimento dello sforzo bellico, dall'altro iniziava ad intavolare con gli Alleati i negoziati per la resa.[14] Nei quarantacinque giorni di negoziazioni tra il governo Badoglio e gli Alleati, le truppe della Wehrmacht diedero il via all'operazione Achse occupando l'Italia settentrionale e centrale.[14] Il 3 settembre 1943 Badoglio firmò l'armistizio di Cassibile accettando la resa incondizionata verso le forze alleate e il riconoscimento dello status di Stato cobelligerante.[14] La mancata difesa di Roma rese impossibile per le forze alleate lo sbarco aviotrasportato sulla capitale e decisero allora di ripiegare sullo sbarco a Salerno.[14] Su pressione degli Alleati l'8 settembre 1943 il generale Badoglio annunciò via radio la firma dell'armistizio, ordinando all'esercito di porre fine alle ostilità verso gli Alleati.[15]
Il "Regno del Sud" e la Repubblica Sociale Italiana
[modifica | modifica wikitesto]Subito dopo l'annuncio fu attuata la fuga di Vittorio Emanuele III dalla capitale verso Brindisi, dove fu istituito in concerto con inglesi e americani il cosiddetto "Regno del Sud".[15]
Nel frattempo l'esercito si dissolse e oltre mezzo milione di soldati italiani furono internati dai tedeschi nei campi di concentramento della Germania,[15] vi furono anche degli episodi di resistenza a Cefalonia e a Roma.[16] Nell'Italia settentrionale occupata i tedeschi istaurarono il regime collaborazionista della Repubblica Sociale Italiana (RSI), ponendoci a capo Benito Mussolini, liberato il 12 settembre con l'operazione Quercia.[16]
Il Comitato di Liberazione Nazionale
[modifica | modifica wikitesto]Con l'approvazione delle leggi eccezionali del fascismo (regio decreto 6 novembre 1926, n. 1848), furono disciolti tutti i partiti politici operanti nel territorio italiano, con eccezione del Partito nazionale fascista. Alcuni di essi, peraltro, si trasferirono o si ricostituirono all'estero, principalmente in Francia. Il 28 marzo 1927, a Parigi, tra il PRI, il PSI, il PSULI (nome assunto dai socialisti riformisti di Turati), la Lega italiana dei diritti dell'uomo e l'ufficio estero della CGIL di Bruno Buozzi si costituì la Concentrazione Antifascista. Ne rimasero fuori il Partito Comunista d'Italia e gli aderenti ai partiti non ricostituitisi in esilio (liberali, popolari, ecc.).
Nel maggio del 1928, il Comitato centrale della Concentrazione antifascista, indicò nell'instaurazione della repubblica democratica dei lavoratori, l'obiettivo finale della battaglia antifascista[17]. Dopo la confluenza del PSULI di Turati, Treves e Saragat nel Partito Socialista Italiano di Pietro Nenni (luglio 1931), anche il movimento liberal socialista di Carlo Rosselli, Giustizia e Libertà entrò nella Concentrazione Antifascista (ottobre 1931).
Nel maggio del 1934, la Concentrazione Antifascista si sciolse, a causa dell'orientamento del Partito Socialista verso un patto d'unità d'azione con il Partito Comunista, ma senza mettere in discussione la scelta antifascista e repubblicana dei suoi partiti[18]. Il patto d'unità d'azione tra socialisti e comunisti fu stipulato nell'agosto del 1934 e rimase in vigore sino al 1956.
Nel frattempo, in Italia, si formarono clandestinamente altri nuclei antifascisti legati a Giustizia e Libertà, soprattutto a Milano, con Ferruccio Parri e Riccardo Bauer e a Firenze, con Ernesto Rossi. Su impulso di tali componenti, il 4 giugno 1942, fu costituito, con la pregiudiziale repubblicana, il Partito d'Azione, riprendendo il nome dell'omonimo partito mazziniano del 1853[19] e che rappresenterà, nel 1944/45, per rilevanza desumibile dal collegamento con le unità partigiane, la seconda forza del CLN (il partito politico collegato al maggior numero di formazioni partigiane sarà il Partito Comunista Italiano).
Parallelamente si costituirono le prime brigate partigiane.[16] Di fronte a questa delegittimazione del potere regio, perciò, si affermarono come nuovi soggetti politici i partiti italiani, ricostituitisi nonostante il formale mantenimento del divieto, e uniti nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN): ne facevano parte il Partito Comunista Italiano, il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, Democrazia del Lavoro, il Partito d'Azione, la Democrazia Cristiana e il Partito Liberale Italiano[20]. Il CLN si affermò anche sulla scena internazionale, come soggetto complesso, plurimo, che si candidava all'egemonia politica nel Paese con il Congresso di Bari (28-29 gennaio 1944), in cui unanimemente i partiti aderenti chiesero l'abdicazione del Re nonché la composizione di un Governo con pieni poteri e con la partecipazione di tutti i sei partiti, per affrontare la guerra e « [...] al fine di predisporre con garanzia di imparzialità e libertà la convocazione di un'Assemblea costituente appena cessate le ostilità».
La guerra di liberazione
[modifica | modifica wikitesto]I tedeschi attuarono l'operazione Achse e altre operazioni minori, con le quali le truppe tedesche occuparono le zone dell'Italia non ancora liberate dagli Alleati, inserendo il Trentino-Alto Adige e le provincie di Belluno, Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana all'interno di due zone di operazioni nelle quali esercitarono una sorta di sovranità sostanziale.
Il 13 ottobre 1943 il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania. L'Italia si trovò così divisa in due: il Regno del Sud al fianco degli alleati contro la Germania e la Repubblica Sociale Italiana.
L'11 gennaio 1944 furono fucilati a Verona, dopo un drammatico processo pubblico, gli ex gerarchi fascisti Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli, Carluccio Pareschi, a seguito della condanna a morte che il tribunale decretò a tutti coloro che il 25 luglio 1943 avevano votato la sfiducia a Mussolini nell'ordine del giorno proposto da Dino Grandi al Gran Consiglio del Fascismo.
Il 22 gennaio 1944 gli anglo-americani sbarcarono nell'Italia Centrale, nella zona compresa tra Anzio e Nettuno. L'attacco aveva lo scopo di aggirare le forze tedesche attestate sulla Linea Gustav e di liberare Roma. La lunga battaglia che ne derivò è comunemente conosciuta come battaglia di Anzio.
Il 24 marzo i tedeschi compirono l'eccidio delle Fosse Ardeatine in cui persero la vita 335 civili italiani, come atto di rappresaglia per l'attentato di via Rasella eseguito da partigiani gappisti contro il Polizeiregiment "Bozen" e avvenuto il giorno prima in via Rasella. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, è diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione. Le "Fosse Ardeatine", antiche cave di pozzolana site nei pressi della via Ardeatina, sono diventate un monumento a ricordo dei fatti.
Il 5 giugno 1944, il giorno dopo la liberazione di Roma, Vittorio Emanuele III nomina il figlio Luogotenente Generale del Regno in base agli accordi tra le varie forze politiche che formano il Comitato di Liberazione Nazionale, che prevedono di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto. Umberto, dunque, esercita di fatto le prerogative del sovrano senza tuttavia possedere la dignità di re, che rimane a Vittorio Emanuele III, rimasto in disparte a Salerno.
Nel 1945 la provincia di Aosta e quella di Imperia caddero sotto l'occupazione della Francia, che non fece mistero dei suoi progetti annessionistici: per sbloccare la situazione intervenne personalmente il presidente statunitense Harry Truman che ordinò perentoriamente il ritiro al generale Charles de Gaulle, disposizione che fu poi eseguita, mentre il governo italiano ordinò la soppressione della vecchia provincia di Aosta con decreto legislativo luogotenenziale nº 545 del 7 settembre 1945 riaccorpandola alla provincia di Torino.[21]
La svolta di Salerno
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1944 si ebbe l'improvviso riconoscimento del Governo Badoglio da parte dell'Unione Sovietica, fatto che spiazzò sia gli angloamericani (all'oscuro delle relative trattative) sia la sinistra politica italiana, che fino ad allora aveva una posizione di netta chiusura nei confronti della monarchia.
Su pressione di Stalin i comunisti italiani diedero la loro disponibilità a entrare nel governo e gli altri partiti di sinistra si sentirono obbligati a fare altrettanto per non restare fuori dai giochi politici[22].
Si pervenne così alla "svolta di Salerno": i partiti politici mettevano da parte i sentimenti antimonarchici per rimandare alla fine della guerra la questione istituzionale e accettavano di entrare in un nuovo governo guidato da Badoglio; il Sovrano accettava di cedere i suoi poteri a suo figlio allorché Roma fosse stata liberata. Nel frattempo il governo avrebbe spostato la sua sede a Salerno, vicino al quartier generale alleato di Caserta. Tale vicinanza aveva anche valenza politica in quanto ora gli Alleati avevano maggior considerazione del governo italiano.
Il 4 giugno 1944, con l'ingresso delle truppe alleate, Roma fu liberata. Vittorio Emanuele III nominò suo figlio Umberto II luogotenente del Regno. Fu nominato un nuovo Governo, in cui entrarono tutti i partiti del Comitato di liberazione e il cui Presidente del Consiglio fu Bonomi.
Il precedente accordo tra la Corona e il CLN fu formalizzato nel decreto legge luogotenenziale n. 151/1944 in cui si stabiliva che alla fine della guerra sarebbe stata convocata un'Assemblea costituente per dare una Costituzione allo Stato e risolvere la questione istituzionale[23]. I Ministri, nel frattempo, si sarebbero impegnati ad agire senza in nulla pregiudicare la risoluzione della questione istituzionale.
Il Governo, inoltre, con tale decreto si attribuiva la funzione legislativa[23]. Essendo lo Statuto del Regno (meglio noto come Statuto Albertino) una costituzione flessibile (esso cioè non prevedendo l'esistenza di leggi costituzionali poteva essere modificato con legge ordinaria), di fatto tale decreto dava vita a una sorta di assetto costituzionale transitorio, che introduceva una nuova forma di legislazione: il decreto legislativo luogotenenziale.
L'insurrezione dell'aprile del 1945
[modifica | modifica wikitesto]Grazie agli approvvigionamenti ottenuti nell'inverno tra il 1944 e il 1945 in primavera gli alleati poterono lanciare l'offensiva contro l'esercito tedesco sfondando in più punti la Linea Gotica portando gli alleati alla liberazione il 21 aprile 1945 di Bologna. L'arrivo degli alleati a Milano fu anticipato dalla insurrezione partigiana proclamata dal CLN il 25 aprile, questa data sarà poi scelta come festività nazionale per ricordare la liberazione. Le potenze dell'Asse in Italia capitolarono il 29 aprile 1945, e il 2 maggio il comando tedesco firmò a Caserta la resa delle sue truppe in Italia e per procura anche la resa formale dei reparti della RSI.
La nascita della Repubblica
[modifica | modifica wikitesto]L'Italia dopo la liberazione
[modifica | modifica wikitesto]Al 1° maggio 1945 l'Italia settentrionale fu completamente liberata dall'occupazione tedesca.[24] Il clima insurrezionale che si era venuto a creare però permise nei primi giorni del mese la commissione di numerosi omicidi e crimini, mentre gli operai armati occuparono le fabbriche.[24] Nonostante la disoccupazione di massa, l'inflazione galoppante e la diffusa presenza di armi, in ottemperanza ai protocolli di Roma e alla sostanziale contrarietà dell'Unione Sovietica e del PCI, i comitati di liberazione non tentarono la rivoluzione armata.[25] Per contenere qualunque pericolo gli Alleati si occuparono immediatamente del disarmo delle brigate partigiane, infliggendo pesanti pene a coloro i quali non avessero consegnato le armi.[26] Gli Alleati sottoposero al loro controllo i prefetti nominati dal CLN, senza però sostituirli, inoltre per mantenere stabile il consenso popolare imposero alle industrie il divieto di licenziamento e grazie anche agli aiuti governativi il mantenimento del salario.[27]
La classe imprenditoriale
[modifica | modifica wikitesto]La classe operaia
[modifica | modifica wikitesto]Il referendum e le elezioni
[modifica | modifica wikitesto]Il 31 gennaio del 1945, con l'Italia divisa e il Nord sottoposto all'occupazione tedesca, il Consiglio dei ministri, presieduto da Ivanoe Bonomi, emanò un decreto che riconosceva il diritto di voto alle donne (decreto legislativo luogotenenziale n. 23 del 2 febbraio 1945). Venne così riconosciuto il suffragio universale, dopo i vani tentativi fatti nel 1881 e nel 1907 dalle donne dei vari partiti.
Dopo la fine della guerra si cominciò a mettere in discussione la forma di Stato monarchica. Il re Vittorio Emanuele III tentò di salvare il potere regio abdicando in favore del figlio Umberto II, tuttavia il 2 giugno del 1946 un referendum istituzionale sancì la fine della monarchia e la nascita della Repubblica Italiana; in contemporanea vennero eletti i delegati a un'Assemblea Costituente, col compito di redigere una nuova Costituzione. Per la prima volta nella storia italiana, anche le donne ebbero il diritto al voto. Il 1º luglio Enrico De Nicola venne nominato primo Presidente della Repubblica Italiana. Il 25 giugno 1946 cominciarono ufficialmente i lavori dell'Assemblea Costituente con Giuseppe Saragat alla presidenza; la nuova costituzione repubblicana entrò in vigore il 1º gennaio 1948.
Contestualmente al referendum istituzionale del 2 giugno 1946 venne eletta l'Assemblea Costituente, che elaborò e approvò la Costituzione della Repubblica Italiana, che entrò in vigore il 1º gennaio 1948.
L'Italia dopo la liberazione: maggio 1945 - gennaio 1946
[modifica | modifica wikitesto]Nei primi giorni del maggio 1945, in seguito alla resa delle forze nazifasciste e la fine della guerra di liberazione, in Italia continuò a persistere un clima insurrezionalista alimentato dalla diffusa presenza di armi, dalla disoccupazione di massa e dall'inflazione principalmente dovuta alla circolazione dell'Am-lira.[28] In ottemperanza ai protocolli di Roma del 1944, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) riconobbe immediatamente il Governo militare alleato (Allied Military Government, sigla AMG) opponendosi in quei giorni a qualsiasi tentativo di occupazione o rivolta armata.[29][30] L'AMG si occupò fin da subito delle operazioni di disarmo delle brigate partigiane, stabilendo pesanti pene contro coloro i quali non le avessero consegnate.[31] L'AMG sottopose al suo controllo i prefetti nominati dal CLNAI, e per mantenere stabile il consenso popolare obbligò le industrie a stipendiare gli operai vietandone il licenziamento.[32]
Dopo lunghe contrattazioni i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) costituirono il 21 giugno 1945 il governo Parri, un governo di unità nazionale a cui presero parte la Democrazia Cristiana (DC), il Partito Comunista Italiano (PCI), il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP), il Partito Liberale Italiano (PLI), il Partito d'Azione (PdA) e il Partito Democratico del Lavoro (PDL).[33] Nei cinque mesi di governo la posizione di Alcide De Gasperi, ministro degli esteri e segretario della DC, grazie ai frequenti contatti le forze alleate diventò preponderante.[34] A novembre i liberali del PLI, in concerto con la DC, sfiduciarono l'azionista Ferruccio Parri e in accordo col PCI e il PSIUP il 10 dicembre 1945 De Gasperi fu nominato presidente del consiglio di un nuovo governo di unità nazionale.[35] Il primo governo De Gasperi dovette immediatamente affrontare le proteste della Confindustria verso il blocco dei licenziamenti, così a partire dal gennaio 1946, in accordo con la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL), il divieto fu progressivamente rimosso.[36] La Confindustria riuscì a ottenere anche la stipula dei contratti nazionali, mentre la CGIL riuscì a introdurre la tredicesima, un periodo minimo di vacanza e la scala mobile, un sistema automatico di ricalcolo del salario in funzione dell'inflazione.[37]
La nascita della Repubblica e la Costituzione
[modifica | modifica wikitesto]Il referendum e le elezioni: gennaio 1946 - giugno 1946
[modifica | modifica wikitesto]Con l'intenzione di evitare un eccessivo slittamento delle elezioni politiche, le sinistre (PCI e PSIUP) convinte di avere la maggioranza nel Paese, acconsentirono alla proposta di De Gasperi di svolgerle solo dopo le elezioni amministrative.[34] La divisione esistente nell'elettorato democristiano relativamente alla forma istituzionale da scegliere, monarchia o repubblica, spinse De Gasperi a richiedere alle sinistre l'organizzazione di un referendum al posto di delegare la scelta all'Assemblea Costituente così come stabilito da un decreto del 1944.[38] De Gasperi infine riuscì anche a limitare l'azione della Costituente: il potere legislativo rimase nelle mani del governo, mentre l'assemblea fu incaricata principalmente di redigere la nuova Costituzione.[38]
Grazie alle leggi varate tra il 1944 e il 1945 dal secondo e dal terzo governo Bonomi le prime libere elezioni dalla presa del potere da parte del fascismo si svolsero a suffragio universale e con la partecipazione delle donne.[39][40] Tra il 10 marzo e il 7 aprile 1946 si tennero così le prime elezioni amministrative a suffragio universale, dalle quai iniziarono a delinearsi i rapporti di forza tra DC, PCI e PSIUP.[41] Negli stessi giorni il governo stabilì l'elezione proporzionale dell'Assemblea Costituente e l'organizzazione del referendum sulla forma di Stato, scelta condivisa anche con il Governo militare alleato e il luogotenente Umberto di Savoia, erede del re Vittorio Emanuele III.[42] Nella campagna elettorale le sinistre del PCI e del PSIUP si pronunciarono a favore della repubblica, mentre la DC rimase neutrale nonostante la posizione filomonarchica delle gerarchie vaticane.[43] La campagna elettorale ebbe una svolta il 9 maggio 1946 con l'abdicazione di Vittorio Emanuele III a favore del figlio Umberto II, nel tentativo di rafforzare l'opzione monarchica sostenuta solo dal Blocco Nazionale della Libertà.[43]
Il 2 giugno 1946 si tenne così il referendum sulla forma istituzionale dello Stato. La lenta esecuzione dello spoglio favorì la diffusione delle manifestazioni favorevoli o contrarie alla repubblica, particolarmente violente furono quelle che si svolsero Napoli l'11 giugno.[44] Quando ormai lo spoglio sembrava essere stabilmente a favore della repubblica, De Gasperi appellandosi al decreto sulla nuova costituzione dello Stato approvato due mesi precedenti,[45] assunse il 12 giugno 1946 le funzioni di Capo provvisorio dello Stato provocando la protesta di Umberto II che il giorno successivo partì volontariamente verso il Portogallo.[44] Finalmente il 18 giugno la Corte suprema di Cassazione proclamò i risultati: la repubblica prevalse con il 54,3% dei consensi, contro il 45,7% dei voti per la monarchia.[46] I risultati furono contestati dai partiti del Blocco Nazionale della Libertà, i cui ricorsi però furono respinti.[46] Il referendum restituì l'immagine di un paese profondamente diviso, il nord e il centro votarono compattamente per la repubblica, il sud per la monarchia.[47]
Il 2 giugno 1946 contemporaneamente al referendum si tennero anche le elezioni per l'Assemblea Costituente. La DC ottenne 207 seggi raccogliendo il consenso maggiore nelle zone rurali, il PSIUP con 115 seggi si confermò il partito più votato nelle città operaie del nord a discapito del PCI, che con 104 deputati non riuscì a realizzare la maggioranza assoluta con i socialisti.[48] Dei partiti minori i liberali PLI e i repubblicani del PRI ottennero una discreta rappresentanza, rispettivamente 33 e 23 seggi, gli azionisti del PdA ne racimolarono solo 7.[48] Tra i nuovi partiti presenti alle elezioni si distinse con 30 seggi il Fronte dell'Uomo Qualunque, un movimento populista di destra sorto attorno all'omonimo giornale fondato dal commediografo Guglielmo Giannini, che ripudiava le ideologie e che per il proprio atteggiamento di generica sfiducia nella classe politica diede vita a quella tendenza definita appunto qualunquismo.[48]
Alla sua prima seduta, il 28 giugno 1946, l'Assemblea Costituente, sotto la presidenza di Giuseppe Saragat, elesse quindi Capo Provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, con 396 voti su 501, al primo scrutinio. De Nicola poi sarà il primo ad assumere le piene funzioni di Presidente della Repubblica Italiana il 1º gennaio 1948.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Ginsborg, p. 6.
- ^ Baldoli, p. 40.
- ^ Baldoli, p. 41.
- ^ Spriano, p. 729.
- ^ a b c Ginsborg, p. 20.
- ^ Spriano, p. 730.
- ^ Spriano, p. 736.
- ^ Spriano, p. 743.
- ^ Spriano, p. 749.
- ^ Ginsborg, p. 29.
- ^ Ginsborg, p. 41.
- ^ a b c d Ginsborg, p. 7.
- ^ a b Ginsborg, p. 8.
- ^ a b c d e Ginsborg, p. 9.
- ^ a b c Ginsborg, p. 10.
- ^ a b c Ginsborg, p. 11.
- ^ Il documento fu pubblicato ne La Libertà del 20 maggio 1928. Cfr.: Santi Fedele, I Repubblicani in esilio nella lotta contro il fascismo (1926-1940), Le Monnier, Firenze, 1989, p. 40
- ^ Santi Fedele, cit., p. 83
- ^ Giovanni De Luna, Storia del Partito d'Azione. 1942-1947, Feltrinelli, Roma, 1982
- ^ PROMEMORIA 9 settembre 1943 Viene costituito il Comitato di Liberazione Nazionale da dammil5.blogspot.it, 9 settembre, 2010
- ^ Decreto legislativo luogotenenziale 7 settembre 1945, n. 545, articolo 1, in materia di "Ordinamento amministrativo della Valle d'Aosta."
- ^ Enrico Serra, Professione: Ambasciatore d'Italia (volume secondo), Franco Angeli, Milano, 2001, p. 91
- ^ a b PARLALEX - Archivio di legislazione comparata Testo del D.L.Lgt. n. 151/44
- ^ a b Ginsborg, p. 87.
- ^ Ginsborg, p. 88.
- ^ Ginsborg, p. 89.
- ^ Ginsborg, p. 90.
- ^ Ginsborg, p. 87.
- ^ Cattaneo, p. 25.
- ^ Ginsborg, p. 88.
- ^ Ginsborg, p. 89.
- ^ Ginsborg, p. 90.
- ^ Ginsborg, p. 116.
- ^ a b Ginsborg, p. 117.
- ^ Ginsborg, p. 118.
- ^ Ginsborg, p. 125.
- ^ Ginsborg, pp. 126-128.
- ^ a b Ginsborg, p. 119.
- ^ Decreto legislativo luogotenenziale 8 luglio 1944, n. 151, in materia di "Assemblea per la nuova costituzione dello Stato, giuramento dei Membri del Governo e facolta' del Governo di emanare norme giuridiche."
- ^ Decreto legislativo luogotenenziale 21 febbraio 1945, n. 23, in materia di "Estensione alle donne del diritto di voto."
- ^ Ballini, p. 222.
- ^ Ballini, p. 223.
- ^ a b Ballini, p. 224.
- ^ a b Ballini, p. 226.
- ^ Decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98, articolo 2, in materia di "Integrazioni e modifiche al decreto-legge Luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151, relativo all'Assemblea per la nuova costituzione dello Stato, al giuramento dei Membri del Governo ed alla facolta' del Governo di emanare norme giuridiche."
- ^ a b Ballini, p. 225.
- ^ Ginsborg, p. 129.
- ^ a b c Ginsborg, p. 130.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Claudia Baldoli, I bombardamenti sull'Italia nella Seconda Guerra Mondiale. Strategia anglo-americana e propaganda rivolta alla popolazione civile (PDF), in DEP Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile, n. 13-14, Venezia, luglio 2010.
- Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, traduzione di Marcello Flores e Sandro Perini, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2006, ISBN 978-88-06-16054-8.
- Paolo Spriano, Gli scioperi del marzo 1943, in Studi Storici, n. 4, 1972, pp. 726-761.
- Pier Luigi Ballini, Il referendum del 2 giugno 1946 (PDF), in Maurizio Ridolfi (a cura di), Almanacco della Repubblica - Storia d'Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologie repubblicane, Milano, Paravia Bruno Mondadori, 2003, pp. 222-229, ISBN 88-424-9499-2.
- Franco Cassano, Delitti politici e amnistia. La magistratura nella transizione dal fascismo all’Italia repubblicana (PDF), in Questione Giustizia, maggio 2022.
- Franco Catalano, La missione del CLNAI al Sud (novembre-dicembre 1944) (PDF), in Il movimento di liberazione in Italia, Milano, Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, 1955.
- Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, traduzione di Marcello Flores e Sandro Perini, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2006, ISBN 978-88-06-16054-8.