Utente:Facquis/Sandbox/Ravenna (città antica)

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Ravenna
La basilica di San Vitale
Cronologia
Fondazione V secolo a.C.
Fine VIII secolo
Localizzazione
Stato attuale Bandiera dell'Italia Italia
Località Ravenna

Ravenna fu una città della Repubblica e poi dell'Impero romano[1]. La storia della Ravenna imperiale non può essere disgiunta da quella del Porto di Augusto, base della Classis Ravennatis[2]. La città fu scelta come sede imperiale romana nel 402 da Onorio.

Territorio[modifica | modifica wikitesto]

Nel corso del tempo il territorio del ravennate ha subito numerose trasformazioni dovute principalmente al deposito di detriti da parte del Po e dei fiumi appenninici, alla subsidenza e alle bonifiche realizzate in età moderna e contemporanea.[3] In età antica i primi insediamenti che si svilupparono nella città di Ravenna sorsero su un cordone litorale tra l'Adriatico e un complesso sistema lagunare costituito da paludi e delta fluviali.[4] A nord della città le aree acquitrinose costituivano il Padenna, un fiume originatosi dal delta del Po, che attraversava la città e che in epoca augustea fu affiancato dalla Fossa Augusta.[5] La città era attraversata anche dal fiume Lamone, di origine appenninica nei pressi della città si suddivideva nel Flumisellum Padennae (considerato affluente del Padenna) e nel Teguiriense, esterno alle mura.[6] Nell'alto medioevo la costa progredì ulteriormente provocando l'insabbiamento del porto cittadino.[5]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Onorio ricevette l'Impero romano d'Occidente alla morte di suo padre Teodosio I (395), mentre a suo fratello Arcadio venne affidato l'Impero romano d'Oriente. La capitale imperiale allora si trovava a Mediolanum (Milano), ma sotto la minaccia dei Visigoti di re Alarico I, venne spostata a Ravenna, che presentava una serie di vantaggi:

  • Migliori collegamenti con l'Oriente tramite il porto di Classe a fronte di un'altrettanto comoda rete viaria romana
  • La protezione, soprattutto, offerta dalle lagune paludose che circondavano la città, che la rendevano di fatto inespugnabile.

Con il passaggio della sede vescovile da Classe a Ravenna alla fine del IV secolo, venne iniziata una nuova cattedrale, la Cattedrale Ursiana (dal nome del vescovo Orso (Ursus) (†ca. 396)), della quale sopravvivono pochi resti inglobati nell'attuale Duomo di Ravenna e nell'attiguo Museo arcivescovile.

Inizialmente l'imperatore Onorio scelse Ravenna come capitale provvisoria dell'Impero romano d'Occidente perché maggiormente difendibile dalle pressioni longobarde rispetto alla capitale Milano. Appena sei anni dopo questa scelta avvenne nel 410 il sacco di Roma.

Con la morte di Onorio (423) la città entrò nell'orbita della reggente Galla Placidia, che governò per conto del figlio ancora minorenne Valentiniano III. Risale a quest'epoca la trasformazione di Ravenna in splendida capitale e città cristiana, un processo cui Onorio non si era potuto granché dedicare perché perlopiù impegnato a difendere i confini dell'impero dai Longobardi e da altre popolazioni.

Nel 476 il re degli Eruli Odoacre depose l'ultimo imperatore romano Romolo Augusto, nella data che in seguito, sebbene di relativa importanza per i contemporanei, divenne il confine tradizionale tra evo antico ed evo medio. Odoacre rappresentò una breve parentesi e venne presto sconfitto da Teodorico, re degli Ostrogoti, inviato dall'Imperatore bizantino Zenone poiché cresciuto alla corte di Costantinopoli, con un'educazione d'impronta quindi classica. Una volta sconfitto l'avversario, Teodorico si dichiarò Patrizio d'Oriente e Re degli Ostrogoti ed assunse il controllo dei territori italiani da Ravenna, rifiutandosi di consegnare i territori conquistati all'Imperatore bizantino. Bonificò in parte i territori attorno alla città ed ebbe come consiglieri uomini di grande cultura, quali Cassiodoro, Boezio ed Ennodio, che lo aiutarono ad organizzare il suo regno in maniera diversa dai regni tipicamente "barbarici".

Morto Teodorico (526), la tolleranza degli imperatori bizantini verso gli ariani era ormai terminata (in applicazione del primo Concilio di Nicea) e con la salita al potere di Giustiniano, il nuovo imperatore iniziò le cosiddette guerre gotiche, che misero a ferro e fuoco la penisola italiana concludendosi nel 553 con l'unificazione (per quanto effimera) nelle mani del basileus bizantino dell'Impero Occidentale e Orientale. Nel 554 Giustiniano dichiarava Ravenna capitale d'Italia: una posizione di primissima importanza, ma pur sempre sottoposta al potere di Costantinopoli.

Una delle prime preoccupazioni dei bizantini fu quella di cancellare il ricordo dell'"usurpazione" ostrogota e dell'arianesimo.

Archeologia della Ravenna repubblicana[modifica | modifica wikitesto]

Ravenna è al centro di una laguna costiera che si prolunga per alcuni km a nord e a sud. Dista solo 17 km dalla foce del ramo meridionale del Po, cui è collegata tramite il fiume Padenna, suo affluente (i Romani lo chiamano Padus Messanicus). Il Padenna, prima di gettarsi in laguna, riceve, a sua volta, le acque del Lamone. Il castrum militare romano fu impiantato nell'isola centrale.

La città è a base rettangolare, con lati di poche centinaia di metri di lunghezza. Come ogni oppidum romano, era attraversato da due vie principali: il decumano, in senso nord-sud, e il kardo che congiungeva le porte est ed ovest della città. La via principale terminava alla confluenza dei due fiumi cittadini. I romani denominarono il tratto cittadino del Lamone flumisellum Padennae, considerandolo un affluente del Padenna. Il Foro non è stato individuato con sicurezza, ma è probabile che coincidesse all'area delimitata dalle attuali vie D'Azeglio, Garatoni, Oberdan e Agnello. Il confine sud dell'abitato corrisponde alle attuali vie Ercolana-Guidarelli. La città è circondata da mura solo su tre lati (ovest-sud-est): a nord è lambita dal flumisellum e dal fiume Padenna, che segue il tratto di mura est scorrendogli a fianco. Le mura si sviluppano per una lunghezza di 2,5 km. Oltre la cinta muraria, qualche centinaio di metri più a sud vi erano l'anfiteatro e il tempio di Apollo. Più a sud scorreva il canale Candiano antico, collettore tra la valle omonima e il mare. Era attraversato dal Pons Candidanus. Nei pressi è emersa una necropoli romana.

Tra l'abitato e la linea di costa correva la via Popilia, strada consolare che iniziava a Rimini e terminava ad Adria. La strada che collegava Ravenna alla via Popilia era detta Via Caesaris; fu costruita nel I secolo a.C.

Sono poche le vestigia della Ravenna repubblicana venute alla luce: la più antica testimonianza è un muro risalente alla fine del III secolo a.C., eretto sull'isola centrale probabilmente per resistere ad un eventuale attacco del generale cartaginese Annibale. Sono stati rinvenuti i resti di due strade basolate che si incrociano sotto le attuali via Morigia e via D'Azeglio (fine del III-inizio del II secolo a.C.). Qui sono emersi i resti della più antica abitazione di Ravenna, risalente al II secolo a.C.

Archeologia della Ravenna alto imperiale[modifica | modifica wikitesto]

«La città più grande fra le paludi»


«Tra le paludi, la città più grande è Ravenna, interamente costruita su palafitte e attraversata da canali, (...). Durante l'alta marea è inondata da una considerevole quantità d'acqua del mare e così le acque stagnanti sono condotte via e l'aria che è nel mezzo delle paludi è perfettamente salubre. (...) ma è motivo di stupore anche il fenomeno della vite, che le paludi producono e fanno crescere rapidamente con abbondanza di frutto, e poi si estingue in quattro o cinque anni.»
Strabone - Geographia, V, I, 6-7.

La pianta dell'ontano, che fuori dalla terra non può durare che poco, posto sott'acqua dura per sempre (...). Si può osservare ciò soprattutto a Ravenna dove tutti gli edifici hanno sotto le fondamenta pali di quel genere (...). Lo stesso "legname larigneo" o di larice è trasportato dal Po a Ravenna e si vende nelle colonie di Fano, Pesaro, Ancona e negli altri municipi della regione.
Vitruvio - De Architectura, II, IX, 10 e 16.

In questo periodo la città è interessata da importanti lavori urbanistici di ampliamento: l'agglomerato urbano di Ravenna si espande raggiungendo un'estensione circa quattro volte superiore all'età repubblicana. Ad Est, oltre il Padenna, è realizzato un grande sobborgo tra la città e il mare, denominato "Cæsarum". Il fiume Padenna, che un tempo si trovava ai confini della città, ora scorre all'interno dell'abitato[7]. Anche a Nord vengono costruiti nuovi edifici al di là delle mura. Sorge così la contrada (i romani le chiamavano Regioni) Domus Augusta, la zona imperiale di Ravenna. La zona comprende un foro, un Capitolium (presso l'attuale via Cavour), la basilica Herculis (presso piazza Kennedy) ed il miliarium aureum (pietra miliare fondamentale, punto di riferimento per il posizionamento delle pietre miliari lungo le strade consolari, il “punto zero” di Ravenna). Nella Regio Pontis Coperti è ubicato l'antico macello cittadino.

Nel Padenna affluivano, nel suo tratto urbano, due corsi d'acqua: il Lamone (flumisellum Padennae) e la fossa Amnis, detta anche Lamises. Dall'ingresso del Padenna in città (a nord, non lontano dall'attuale chiesa di S. Giovanni Battista), il fiume era attraversato dai seguenti ponti: Ponte dei Guarcini (Pons Guarcinorum, presso Porta San Vittore, oggi non più esistente); Ponte Marino (da cui l'omonima via); Ponte San Michele (nell'odierna piazza Andrea Costa); Ponte di Sant'Apollinare (nel punto in cui la via Porticata attraversa il Padenna)[8]. Sul flumisellum vi era il Ponte di Augusto (oggi in corrispondenza dell'incrocio tra via Salara e via Cavour). All'incrocio tra il Padenna e la fossa Amnis si trovava il Pons Capetellus o Bicipitellus (nell'attuale piazza Caduti); più a sud vi era il Ponte Calciato (tra la basilica di Sant'Agata e la chiesa di San Nicolò).[9]

Risaltano, infine, due nuove costruzione monumentali:

  • Al tempo dell'imperatore Claudio viene costruita nel 43 d.C. una porta monumentale a doppio arco nel punto in cui la via Popilia entra in città (dopo il 425 prenderà il nome di Porta Aurea). La costruzione non nasce come porta, piuttosto come Arco di Trionfo per accogliere, presumibilmente, l'imperatore Claudio al ritorno dalla vittoriosa campagna di Britannia.[10][11] Viene edificata nella zona detta oggi Prati di S. Vitale, alcune decine di metri oltre le mura repubblicane.[12] L'Arco di Claudio era costituito da due grandi fornici, per permettere il passaggio contemporaneamente nei due sensi. Rimarrà l'ingresso principale di Ravenna per tutto il periodo romano[13].
  • Al tempo dell'imperatore Traiano viene costruito un grande acquedotto. Attinge le acque dal fiume Bidente-Ronco e le porta in città dopo un percorso di circa 50 km[14].

Fuori dalla città, l'area oltre le mura in direzione del mare continuò ad essere utilizzata come necropoli. I cimiteri furono attivi fino al IV secolo.

Archeologia della Ravenna cristiana e capitale imperiale[modifica | modifica wikitesto]

Topografia di Ravenna nel III-IV secolo d.C., su tamoravenna.info.

Quando Onorio giunse a Ravenna (402), la città non disponeva di un palazzo imperiale. Esso fu fatto costruire sul praetorium del praefectus classis. Il praetorium si affacciava sulla Fossa Augusta: il canale fu completamente interrato, diventando la Platea maior, l'arteria principale della città. Il palazzo imperiale si configurava come un complesso di edifici: palazzo pubblico, residenze private, caserma, chiesa palatina, giardini e corti porticate. Sull'altro lato della Plateia maior fu fatto costruire l'ippodromo[15]. Gli imperatori romani festeggiavano i propri 10, 20 e 30 anni di impero. Onorio celebrò in città i suoi Tricennali; prima di lui, Diocleziano a Ravenna celebrò il consolato.[16]

In seguito all'insediamento della corte imperiale in città, il vescovo Orso trasferì la sede episcopale da Classe a Ravenna. Orso fece costruire la ecclesìa catholica, cioè la cattedrale, dedicandola alla Hagìa Anástasis, ovvero alla Santa Resurrezione. Appartiene allo stesso periodo la basilica di San Lorenzo in Cesarea. Localizzata a meridione della città, all'esterno dell'area urbana, l'edificio religioso sostituì presumibilmente un santuario legato all'area cimiteriale. Questo edificio fu voluto dall'imperatore Onorio, così come l'Apostoleion, ovvero una chiesa dedicata ai Dodici apostoli[17].

Nello stesso periodo fu restaurata la cinta muraria. Fu poi aggiunto un nuovo tratto: essa incluse, per la prima volta, la nuova area a nord del fiumicello Padenna; inoltre, a sud racchiuse l'area dei prati, che fino ad allora si era trovata per la maggior parte fuori del perimetro difensivo. La lunghezza complessiva della cinta raggiunse i 5 km. Si ritiene che le mura fossero alte tra i 4 e i 5 metri. Il fiume Lamone che, proveniente da Faenza, passava a pochi km dalla città, fu deviato. Un ramo fu fatto scorrere lungo le mura per alimentare i fossati, mentre il corso principale venne arginato e fu fatto girare attorno alle mura di settentrione per poi riprendere il suo percorso verso Nord.

Alla morte di Onorio (423), la sorella Galla Placidia, vedova dell'imperatore Costanzo III, riuscì ad ottenere la reggenza dell'Impero in nome del figlio Valentiniano III, di soli 6 anni. Galla Placidia giunse a Ravenna nel 424 e continuò l'azione di monumentalizzazione della città, che aveva avviato Onorio, per un quarto di secolo, fino al 450. La sovrana commissionò la costruzione della Basilica di San Giovanni Evangelista (chiesa palatina fondata da Galla Placidia presso il porto), con la quale scioglieva un voto fatto durante il periglioso viaggio che l'aveva condotta da Costantinopoli a Ravenna via mare.[18] In un'altra parte della città, ad ovest del Padenna e a nord del Fiumicello Padenna, fece costruire la chiesa di Santa Croce, una Domus (oggi chiamata "Domus di Galla Placidia") e un palazzo dedicato al figlio Valentiniano.[19] Vicino alla chiesa di Santa Croce (oggi visibile solo parzialmente) fu edificato un sacello che oggi viene denominato «mausoleo di Galla Placidia». La sovrana fece costruire il mausoleo per sé, per il marito Costanzo e per il fratello Onorio, ma non vi trovò sepoltura. Morì infatti a Roma il 27 novembre 450 e fu sepolta nella città eterna.

La città doppia

«In questa località [Ravenna] non sapresti dire se la via di Cesare, che l'attraversa, congiunga o separi la città vecchia e il porto nuovo. Inoltre un ramo del Po attraversa questa città doppia, mentre all'esterno la bagna un altro ramo di quel fiume [ il Lamone ] che, deviato dall'alveo principale mediante dighe pubbliche e per mezzo di queste immesso in rami derivati, divide le sue acque in modo che offrano difesa alle mura circondandole e, penetrando in città, procurino facilità di commercio».

Sidonio Apollinare[20] - Epistole, I, 5, 5-6

Negli anni dopo il 425 l'Arco di Claudio assume il nome di Porta Aurea - come l'omonima porta delle mura di Costantinopoli - per commemorare la vittoria di Teodosio II sul tiranno usurpato. Alla metà del secolo la cattedrale venne ampiamente ristrutturata per volontà del vescovo Neone, che vi aggiunse, a fianco, il Palazzo episcopale e il battistero (chiamato oggi Battistero Neoniano). Successivamente, la chiesa prese il nome di Basilica Ursiana, dal vescovo Orso († 412)[21]. Risale allo stesso periodo, la scomparsa basilica petriana, fatta edificare a Classe dal vescovo San Pietro Crisologo.

La pianta di Ravenna capitale rimase immutata fino all'epoca veneziana.[22]

Al tempo del re goto Teoderico (493-526) la Fossa Augusta, interratasi a causa dell'apporto continuo di materiale dal Po e dai suoi affluenti, fu definitivamente tombata.
Porta Aurea (vedi supra) rimase in piedi fino al XVI secolo, ultima delle vestigia imperiali a cadere. Le colonne della Porta vennero sparpagliate come trofei tra le varie chiese di Ravenna; una parte giunse addirittura a Venezia.
Sculture di epoca romana decorano ancora la chiesa di San Giovanni in Fonte.

Monumenti del periodo giustinianeo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Arte bizantina e Arte ravennate.

Ravenna era divisa in 30 regiones.[23] Lungo i corsi d'acqua principali si affacciavano, oltre alle chiese e agli edifici pubblici, vari opifici, botteghe, scholae e mulini. L'idrografia urbana era assai complessa; la sua incessante evoluzione influenzò notevolmente gli interventi urbanistici dei Bizantini. Dopo l'interrimento della Fossa Augusta deciso da Onorio nel 402, in epoca bizantina le acque cittadine furono convogliate lungo un fiume che scorreva poche centinaia di metri più ad ovest: il Padenna (sul suo tracciato vi è oggi via Mazzini).[24] Le strade romane basolate che costeggiavano il Padenna (sui due lati) furono rilastricate.

Tra il 540 e il 600, Ravenna e il suo porto, Classe, furono abbellite di diverse chiese, molte delle quali finanziate dal banchiere ravennate Giuliano Argentario; anche gli arcivescovi di Ravenna finanziarono le costruzioni di chiese, grazie alle donazioni di ricchi esponenti locali, a partire dal vescovo Ecclesio dopo il suo ritorno da Costantinopoli nel 525. In ogni modo, anche se i vescovi locali, Ecclesio prima e Ursicino poi, finanziarono la costruzione di importanti chiese, la maggior parte delle costruzioni furono completate solo dopo la conquista bizantina del 540.[25] Al museo arcivescovile di Ravenna è conservata la cattedra vescovile di Massimiano, probabilmente realizzata a Costantinopoli per il primo arcivescovo di Ravenna Massimiano (546-554). Massimiano ebbe stretti legami con la corte imperiale di Costantinopoli, come testimoniato dalla sua presenza accanto all'imperatore nel mosaico di San Vitale; è plausibile che la cattedra fosse stata donata da Giustiniano stesso intorno al 546.[26]

I nuovi ed importanti edifici religiosi testimoniano lo stretto legame fra Ravenna e il mondo costantinopolitano che caratterizza l'arte ravennate[27]. In una zona nuova, oltre il fiumicello Padenna, furono edificati: la Basilica di San Vitale, la Basilica di Sant'Agata Maggiore, le chiese di Santa Maria Maggiore, San Zaccaria, Santo Stefano Maggiore e S. Giovanni Battista. Ad esse si aggiunse quella di S. Apollinare in Veclo.

Basilica di San Vitale

La Basilica di San Vitale fu iniziata grazie ai finanziamenti di Giuliano Argentario, ricco banchiere ravennate, su ordine del vescovo Ecclesio nel 525, vivente ancora Teoderico, e consacrata nel 547 dall'arcivescovo Massimiano, quando Ravenna era ormai da sette anni sotto il dominio bizantino. Questo edificio, summa dell'architettura ravennate, elabora e trasforma precedenti occidentali e orientali portando alle estreme conclusioni il discorso artistico iniziato poco dopo l'editto di Costantino del 313. Fu completato grazie anche alla cospicua donazione del banchiere Giuliano l'Argentario che offrì 26 000 denari e che oggi è raffigurato nei mosaici dell'abside nel corteo di dignitari di Giustiniano, tra l'Imperatore e il vescovo.

Celeberrimi sono i mosaici collocati entro due pannelli sotto le lunette dell'ordine inferiore in posizione speculare, con il corteo dell'Imperatore Giustiniano e della moglie Teodora in tutto lo sfarzo che richiedeva il loro status politico e religioso. Le figure sono ritratte frontalmente, secondo una rigida gerarchia di corte, con al centro gli augusti, circondati da dignitari e da guardie. Accanto a Giustiniano è presente il vescovo Massimiano, l'unico segnato da iscrizione, per cui può darsi che fosse anche il sovrintendente dei lavori, dopo essere stato nominato primo arcivescovo di Ravenna.

Le figure accentuano una bidimensionalità che caratterizza la pittura tutta di linee e luce dell'età giustinianea, che accelera il percorso verso una stilizzazione astrattizzante che non contraddice lo sforzo verso il realismo che si nota nei volti delle figure, nonostante l'idealizzato ruolo semidivino sottolineato dalle aureole. Non esiste prospettiva spaziale, tanto che i vari personaggi sono su un unico piano, hanno gli orli delle vesti piatti e sembrano pestarsi i piedi l'un l'altro. La decorazione di San Vitale mostra tutta la sintesi tipica del periodo giustinianeo nella volontà di asseverare il fondamento apostolico della chiesa ravennate, il potere teocratico dell'Impero e la linea dell'ortodossia contro le eresie, specialmente quella nestoriana, attraverso la riaffermazione trinitaria e la prefigurazione della Salvezza nella Scrittura.

Poco lontano fu edificata la chiesa di San Michele in Africisco, sorta nel punto in cui si incrociano i due fiumi cittadini (Padenna e Lamone).

Chiesa di San Michele in Africisco

Anche la Chiesa di San Michele in Africisco, oggi sconsacrata, fu finanziata dal ricco banchiere Giuliano Argentario e, in questo caso, da un suo parente, chiamato Bacauda, come voto all'arcangelo Michele. Fu dedicata il 7 maggio 545 dal vescovo Vittore[28] e consacrata dall'arcivescovo Massimiano nel 547. Etimologicamente, il termine "Africisco" parrebbe in relazione con la Frigia, regione dell'Asia Minore; localmente indicava il quartiere nel quale sorgeva la chiesa. L'edificio era decorato al suo interno da mosaici parietali e pavimentali, tra cui spiccava quello posto nel catino absidale, dove campeggiano le tre figure solenni degli arcangeli Michele e Gabriele con al centro un Cristo imberbe che regge una lunga croce e un codex aperto. Nell'arco trionfale l'iconografia si ripete, con un Cristo seduto in trono, affiancato dagli arcangeli e dai sette angeli dell'Apocalisse. Ai lati si trovavano S. Cosma e S. Damiano, mentre l'intradosso dell'arco è decorato con motivi vegetali e colombe. Al centro è raffigurato l'Agnello entro un medaglione.

Lungo la Platea Maior, la via più importante della città, fu edificata la basilica detta oggi «di Sant'Apollinare Nuovo».

Basilica di Sant'Apollinare Nuovo

La basilica di Sant'Apollinare Nuovo, fatta erigere dal re goto Teoderico nel 505 come chiesa di culto ariano[29] con il nome di Domini Nostri Jesu Christi e chiesa palatina[29] del re ostrogoto[30], subì delle modifiche in seguito alla conquista della città da parte dell'Impero bizantino (540). Per ordine di imperatore Giustiniano tutti i beni immobili già posseduti dagli ariani passarono in proprietà della Chiesa cattolica e tutti gli edifici legati ai goti e all'arianesimo furono riconsacrati al culto cattolico. La basilica ex teodoriciana venne riconsacrata a San Martino di Tours, difensore della fede cattolica e avversario di ogni eresia[30]. Sant'Apollinare Nuovo porta i segni tangibili di quest'operazione: la fascia sopra gli archi che dividono le navate era corredata da un ciclo di mosaici con temi legati alla religione ariana. Su iniziativa del vescovo Agnello, il ciclo fu cancellato e la fascia ridecorata ex novo. Furono risparmiati solo gli ordini più alti (con le "Storie di Cristo" e con i santi e profeti), mentre nella fascia più bassa, quella più grande e più vicina all'osservatore, si procedette a una vera e propria ridecorazione, che salvò solo le ultime scene con le vedute del Porto di Classe e del Palatium di Teodorico, sebbene epurate per una damnatio memoriae[30] di tutti i ritratti, che probabilmente appartenevano a Teodorico stesso e ai suoi dignitari.

Una basilica dedicata a Sant'Apollinare fu costruita a Classe nel luogo in cui, all'interno di una necropoli, si trovava la sepoltura del santo.

Basilica di Sant'Apollinare in Classe

La basilica di Sant'Apollinare in Classe, costruita nella prima metà del VI secolo e finanziata da Giuliano Argentario per il vescovo Ursicino, fu consacrata nel 547 dal primo arcivescovo Massimiano; fu dedicata a sant'Apollinare, il primo vescovo di Ravenna[31]. La basilica è a tre navate, con corpo mediano rialzato e abside poligonale affiancata da due cappelle absidate. Tutta la decorazione del catino absidale risale circa alla metà del VI secolo e si può dividere in due zone:

  1. Nella parte superiore un grande disco racchiude un cielo stellato nel quale campeggia una croce gemmata, che reca all'incrocio dei bracci il volto di Cristo. Sopra la croce si vede una mano che esce dalle nuvole, la mano di Dio. Ai lati del disco, le figure di Elia e Mosè. I tre agnelli, spostati verso il basso, simboleggiano gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni.
  2. Nella zona più bassa si allarga una verde valle fiorita, con rocce, cespugli, piante e uccelli. Al centro si erge solenne la figura di sant'Apollinare, primo vescovo di Ravenna, con le braccia aperte in atteggiamento orante, cioè ritratto nel momento di innalzare le sue preghiere a Dio perché conceda la grazia ai fedeli affidati alla sua cura, qui rappresentati da dodici agnelli bianchi.

La scelta del tema è strettamente legata alla lotta all'arianesimo, poiché ribadisce la natura umana e divina di Gesù Cristo, quest'ultima negata dagli ariani. Inoltre la rappresentazione di Apollinare tra gli apostoli figurati era una legittimazione per Massimiano come primo arcivescovo di una diocesi direttamente collegata ai primi seguaci di Cristo, essendo Apollinare, secondo la leggenda, discepolo di San Pietro.

Negli spazi tra le finestre sono rappresentati quattro vescovi, fondatori delle principali basiliche ravennati: Ursicino, Orso, Severo ed Ecclesio, vestiti in abito sacerdotale e recanti un libro in mano.

Monumenti del periodo esarcale[modifica | modifica wikitesto]

Il palazzo di Teodorico venne scelto come sede dell'esarca, e fu definito da allora sacrum palatium, come accadeva per il palazzo degli imperatori a Costantinopoli.[32] In ogni modo, nonostante il cambio di regime, gli esarchi non apportarono modifiche rilevanti all'edificio: infatti, molte statue di Teodorico collocate dentro e intorno al palazzo rimasero al loro posto fino ad almeno il IX secolo[32]. La sede esarcale era situata sulla Plateia Maior (l'odierna via di Roma). A poche centinaia di metri di distanza si trova (tuttora) la Cattedrale. Per consentire all'esarca di spostarsi con tutto il suo seguito fino alla Cattedrale, la via che congiungeva i due edifici fu interamente porticata, ad imitazione di Costantinopoli. Il tragitto Palazzo-Cattedrale divenne il percorso ufficiale dell'esarca, l'unica principale in cui appariva in pubblico.[33]

A circa metà strada la via attraversava il fiume Padenna con il Pons Apollinaris, anch'esso porticato. Un secondo ponte sul Padenna si trovava poche centinaia di metri a sud, vicino al punto in cui confluiva il torrente Lamisa (Fossa Lamisa). A nord, vi era un ponte, probabilmente a due teste, che scavalcava il Padenna e il Flumisellum (dove oggi è piazza A. Costa). Il ponte più a nord era in corrispondenza dell'incrocio tra le attuali via Ponte Marino e via IV Novembre.

Nel periodo esarcale Ravenna continuò ad essere una città cosmopolita, popolata sia dalla popolazione nativa, sia da cittadini romani provenienti dalla Grecia e dall'Oriente: soldati e ufficiali che, dopo aver servito l'imperatore durante tutta la carriera, comperavano terre nei dintorni di Ravenna, avendo deciso di insediarsi permanentemente in Italia.[32] È attestata in questo periodo l'esistenza di una scuola di medicina a Ravenna, che utilizzava testi in greco, ma in ogni caso il latino rimase la principale lingua d'uso.[32] Comunque, anche se l'esarca e gli ufficiali imperiali dell'esercito erano in genere di stirpe e di madrelingua greca, sembra che gli esattori delle tasse, ma anche altri burocrati, fossero scelti tra la popolazione locale.[32] I documenti dell'epoca attestano, inoltre, fino alla fine del VI secolo, la permanenza di Goti a Ravenna.[32]

A partire dal VII secolo, comunque, Ravenna cominciò a declinare, dal punto di vista demografico, economico e produttivo: evidenze archeologiche e storiche attestano una diminuzione degli scambi commerciali a lunga distanza, oltre che a una diminuzione del numero di mercanti, banchieri, notai e altri professionisti.[34] Nonostante ciò, ancora agli inizi dell'VIII secolo, Ravenna era ancora descritta dal geografo locale Guidone come nobilissima, cioè allo stesso rango di Roma e Costantinopoli. Anche la popolazione cominciò a declinare: secondo Cosentino, nei secoli VIII e IX Ravenna non contava più di 7 000-7 500 abitanti, in calo rispetto ai 9 000-10 000 di età giustinianea.[35]

Archeologia[modifica | modifica wikitesto]

Il Battistero Neoniano (o Battistero di San Giovanni in Fonte)[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Battistero Neoniano.

Più o meno contemporaneamente venne iniziato anche il Battistero Neoniano (dal nome del vescovo Neone, che verso il 458 lo fece decorare a mosaico) o degli Ortodossi (per distinguerlo dal successivo Battistero degli Ariani), che si trova tuttora a fianco della cattedrale.

Per via della subsidenza tipica di Ravenna oggi è interrato di circa 2 metri; in pianta presenta la forma ottagonale, esternamente ha un semplice rivestimento in laterizio con lesene e arcate cieche che risalgono alla costruzione originaria e furono riprese da modelli settentrionali (cfr. la Basilica Palatina di Costantino a Treviri o la Basilica di San Simpliciano a Milano).

Il soffitto, originariamente piano, venne sostituito da una cupola (alleggerita da tubi fittili) verso il 458 dal vescovo Neone, il quale fece provvedere anche alla decorazione a mosaico. In particolare sul soffitto, entro tre anelli concentrici sono rappresentati vari soggetti:

  1. L'anello esterno, a fondo azzurro, presenta una serie di finte architetture tripartite, che creano un effetto di alternanza tra concavo e convesso; al centro delle nicchie si trovano otto altari, di cui quattro con i vangeli aperti degli Evangelisti alternati a quattro troni con le insegne di Cristo (l'etimasia).
  2. La seconda fascia è la più interessante e presenta i dodici apostoli su sfondo azzurro, con le vesti (toga e pallio) alternate nei colori bianco e oro. Dieci apostoli hanno una corona tra le mani, mentre Pietro le chiavi e Paolo i rotoli della legge. Le immagini presentano ancora una notevole consistenza plastica e un senso di movimento, che testimoniano gli ininterrotti rapporti con l'ambiente romano; contemporaneamente indice di rapporti con il mondo bizantino sono la vivace policromia, la monumentalità e la ieraticità delle figure. Gli apostoli non presentano aureola (solo drappi di stoffe coprono le teste) e sono intervallati da candelabre, che simboleggiano la Passione di Cristo.
  3. Nel tondo centrale, su sfondo oro, si trova la scena del Battesimo di Gesù con San Giovanni Battista nell'atto di somministrare il sacramento al Cristo immerso fino alla vita nel Giordano; del fiume compare anche una personificazione a destra, sottolineata dalla scritta Iordañ (il fiume Giordano), mentre sopra il Cristo svetta la colomba dello Spirito Santo. I volti di Gesù e del Battista furono rifatti nel XVIII secolo dal restauratore romano Felice Kibel, per cui la parte centrale della scena, dai contorni ben visibili, non è più quella originale. In particolare il battesimo avveniva per immersione come si può notare nel battistero degli Ariani.

Anche le pareti del battistero presentano una sfarzosa decorazione con stucchi, affreschi, mosaici e marmi policromi, che ha diversi altri termini di raffronto nei monumemti ravennati d'arte paleocristiana.

La chiesa di San Giovanni Evangelista[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa di San Giovanni Evangelista (Ravenna).

Vicino alla probabile zona della residenza imperiale (la Regio Caesaris, forse vicina al cosiddetto Palazzo di Teodorico, in realtà una chiesa) Galla Placidia fece costruire dopo il 426 la chiesa di San Giovanni Evangelista; sebbene parecchio rimaneggiata essa è molto importante per due elementi di derivazione tipicamente costantinopolitana: i due ambienti rettangolari che chiudono le navate laterali (chiamati pastoforia e di funzione simile a quella della sagrestia) e l'uso di pulvini (tronchi di piramide rovesciati) sopra i capitelli delle colonne, che danno maggior slancio a queste ultime. Anche la presenza di finestre al pian terreno, oltre che in alto, è un elemento tipicamente ravennate.

Il Mausoleo di Galla Placidia[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Mausoleo di Galla Placidia.

La creazione più famosa di questa epoca è il cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia, in realtà forse un sacello dedicato a San Lorenzo (come farebbe pensare un mosaico interno), poiché le fonti riportano che Galla Placidia morì e fu sepolta a Roma.

Anche qui come in altri monumenti ravennati, la subsidenza ha abbassato di molto la struttura originaria, che oggi appare con il soffitto dei bracci a meno di due metri dal suolo, ma che anticamente si trovavano ben più in quota. L'interno è decorato sfarzosamente da un ciclo di mosaici che, sebbene periodicamente restaurato di secolo in secolo, oggi si presenta integro.

La cupola centrale domina l'edificio, ed è affiancata sui lati da quattro lunette ed altre tre lunette si trovano alle estremità dei bracci, mentre le volte a botte dei bracci sono coperte da un tappeto stilizzato di fiori su sfondo azzurro di influenza iranica-sassanide.

Al centro della cupola si trova la Croce in un tappeto di stelle su sfondo azzurro, mentre alle quattro estremità si trovano i simboli degli evangelisti. Le lunette della cupola presentano coppie di santi e di apostoli, con le braccia alzate in adorazione verso il centro ideale dell'edificio, la Croce.

Ai bracci spiccano le lunette nord e sud, con San Lorenzo e con il celebre Buon Pastore, cioè Cristo, raffigurato imberbe seduto su una roccia e circondato da pecore che si rivolgono tutte verso di lui. La lunetta ovest è decorata da cervi tra tralci di arbusti che cercano una fonte (derivati da un passo dei Salmi come un cervo cerca l'acqua, così l'anima cerca Dio).

La rappresentazione, ricca di colori, mostra ancora l'abilità di rendere il volume e la disposizione realistica nello spazio dei corpi, con figure in primo e in secondo piano, secondo uno stile ancora legato all'arte antica. Non mancano i richiami ai simboli cristiani, come le colombe che bevono alla fonte (simbolo delle anime cristiane che si abbeverano alla grazia divina) e i cervi.

Il nuovo Battistero[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Battistero degli Ariani.

Essendo di religione ariana, decise di far convivere pacificamente i Goti (ariani appunto) e i latini ("ortodossi", nel senso di seguaci della dottrina canonica), tenendo però le due etnie divise. Questa scelta comportò quartieri separati e doppi edifici di culto in città. Il palazzo della Regio Caesaris venne ampliato e fu edificata una basilica per ariani (l'attuale chiesa di Santo Spirito), e un battistero, oggi detto degli Ariani, per distinguerlo da quello Neoniano. Rispetto ai precedenti mosaici della cupola dell'altro battistero, la superficie è più piccola, quindi gli anelli concentrici sono solo due, con una decorazione simile all'altro (dodici apostoli in atto di offrire corone e stoffe divisi da palme[36] al posto delle candelabre, trono vuoto dell'etimasia, Battesimo di Cristo con San Giovanni Battista, la personificazione del Giordano e la colomba dello Spirito Santo) ma semplificata, con figure più statiche e ripetitive nell'aspetto, con abiti più semplici (solo la toga bianca), i volumi appiattiti e calligrafici (le pieghe sembrano solo disegnate). Spicca inoltre l'affermazione ormai dominante del fondo oro, che si stava imponendo in tutto il mondo Mediterraneo come veicolo per rappresentazioni più astratte e simboliche, inondate da una luce ultraterrena.

Sant'Apollinare Nuovo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Basilica di Sant'Apollinare Nuovo.

Vicino al palazzo venne edificata la basilica di Sant'Apollinare Nuovo (inizio del VI secolo), usata probabilmente come chiesa palatina. La basilica è a tre navate con pianta longitudinale e con finestre sia nel cleristorio che al pian terreno, secondo la tipologia tipicamente ravennate. Le dodici colonne che separano le navate sono in marmo del Proconneso e con capitelli corinzi scolpiti a Bisanzio, sormontati da pulvini. La decorazione a mosaico è ricchissima e se sono andati perduti i mosaici nell'abside, sono ben conservate le tre fasce longitudinali che corrono sopra le arcate che separano le navate, anche se solo quelle superiori e una parte di quelle inferiori risale all'epoca di Teodorico (il resto venne sostituito un secolo dopo dagli inviati di Giustiniano).

La fascia più alta è decorata da una serie di riquadri intervallati dal motivo allegorico di un padiglione con due colombe. I riquadri presentano scene della vita di Cristo e sono particolarmente curati nei dettagli, anche se in antico si trovavano ancora più in alto (per via della subsidenza) e quindi la loro lettura era tutto sommato limitata.

Alcune scene permettono di evidenziare alcune evoluzioni dell'arte del mosaico nell'epoca di Teodorico: la scena del Cristo che divide le pecore dai capretti ricorda quella del Buon Pastore del Mausoleo di Galla Placidia, ma le differenze sono notevoli (è passato poco meno di un secolo): le figure non sono più disposte in uno spazio in profondità, ma appaiono schiacciate l'una sull'altra, con molte semplificazioni (alcuni animali non hanno nemmeno le zampe). La rigida frontalità e la perdita del senso del volume nel Cristo e negli angeli imprime un innegabile senso ieratico. Nella scena dell'Ultima cena Cristo e gli apostoli sono raffigurati similmente alle raffigurazioni romane paleocristiane, e le proporzioni gerarchiche (Cristo più grande delle altre figure) rientrano nel filone dell'arte tardo-antica "provinciale" e "plebea".

Fondamentali rimangono i mosaici che ornano la navata principale. La decorazione è divisa, su ambedue i lati, in tre ordini: in alto, intervallate da nicchie sovrastate da colombe e contenenti corone, sono rappresentate, in pannelli rettangolari, scene della Passione e con Miracoli e Parabole di Cristo; nella parte centrale, fra le finestre sono figure di profeti; in quella inferiore, a destra, una lunga teoria di santi martiri, guidata da san Martino, e si dirige verso Cristo seduto in trono fra quattro angeli; a sinistra, un'analoga teoria di sante vergini. La fascia più bassa, la più grande, è anche quella maggiormente manomessa dai successori di Teodorico, i bizantini. Probabilmente conteneva scene legate al culto ariano che vennero completamente cancellate dai restauratori dell'ortodossia. Restano del primo periodo le famose scene della rappresentazione del porto di Classe e del Palatium teodoriciano a Ravenna, situate nella parte più vicina all'ingresso della chiesa in maniera speculare sui due lati (la prima a sinistra, la seconda a destra guardando l'altare). Nel primo si nota un'insolita prospettiva "a volo d'uccello", per risaltarne l'ampiezza, che mostra una notevole stilizzazione, anche nelle case della città che sporgono dalle mura; anche il secondo presenta una rappresentazione non naturalistica, senza interesse nel rappresentare realisticamente l'aspetto dell'edificio. In entrambe le rappresentazioni furono cancellate per una sorta di damnatio memoriae tutte le figure umane (molto probabilmente Teodorico stesso e membri della sua corte): si notano ampie parti di colore leggermente diverso (a riprova di una ricostruzione avvenuta in un secondo momento) sia nelle mura di Classe, sia nelle arcate del palazzo, dove oggi compaiono tende. Inoltre sulle colonne bianche del palazzo sono rimaste numerose e incontrovertibili tracce di mani che spuntano qua e là.

La Cappella Arcivescovile[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Cappella Arcivescovile.

La Cappella del Palazzo Arcivescovile di Ravenna è una cappella situata al primo piano del Palazzo Arcivescovile (ora sede del Museo arcivescovile).

La cappella è inserita, dal 1996, nella lista dei siti italiani patrimonio dell'umanità dall'UNESCO, all'interno del sito seriale "Monumenti paleocristiani di Ravenna".

Unico monumento di natura ortodossa ad essere stato costruito durante il regno di Teodorico, la Cappella Arcivescovile, conosciuta anche come Cappella di Sant'Andrea, è l'antico oratorio dell'Episcopio ravennate, voluta dal Vescovo Pietro II e dedicata a San Pietro Crisologo, arcivescovo di Ravenna dal 433 al 450. La cappella fu allestita nel 495.

La Cappella Arcivescovile si presenta con una pianta a forma di croce, dotata di un vestibolo completamente marmoreo nella parte inferiore e ricco di mosaici di straordinaria unicità in quella superiore.

Molto evidente è il messaggio anti-ariano contenuto nell'opera musiva dell'atrio, che rappresenta il Cristo Guerriero, con la Croce sulla spalla, nell'atto di schiacciare le belve dell'eresia, atto di rivendicazione ideologica contro l'allora dominante governo politico dell'ariano Teodorico.

Nella volta a vela spiccano le immagini dei quattro arcangeli della tradizione biblica più antica – Michele, Gabriele, Raffaele e Uriele – che reggono un clipeo con il Monogramma Cristologico, immersi fra racemi abitati (cioè popolati da animali, in questo caso piccoli uccelli, simbolo del contesto paradiasiaco), mentre negli spazi di risulta si collocano i simboli dei quattro Evangelisti, rappresentati con i loro rispettivi libri evangelici, a sottolineare che l'autentica fede cristiana è quella ortodossa.

Nei sottarchi sono rappresentati busti di Cristo, di sei santi (a destra) e sei sante (a sinistra) dell'età dei martiri, ulteriore messaggio che evidenzia la natura ortodossa di questo monumento così significativo per l'arte ravennate dell'era teodoriciana.

Il Mausoleo di Teodorico[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Mausoleo di Teodorico.

Fuori dalla città, presso la necropoli riservata ai Goti, Teodorico fece erigere verso il 520 il proprio mausoleo, che si trova ancora oggi isolato nell'immediata vicinanza del centro di Ravenna. Innanzitutto si distingueva da tutte le altre architetture di Ravenna per il fatto di non essere costruito in mattoni, ma con blocchi di pietra d'Istria. È a pianta centrale, riprendendo la tipologia di altri mausolei romani, ed è caratterizzato da due ordini: il primo è esternamente decagonale con nicchie su ciascun lato, coperte da solidi archi a tutto sesto, mentre all'interno è cruciforme; il secondo è più piccolo e anticamente era circondato da un deambulatorio, del quale restano solo tracce nell'attaccatura di archi alla parete, ed è a forma decagonale in esterno e circolare all'interno, dove era collocato il sarcofago con le spoglie di Teodorico.

Le caratteristiche più sorprendenti dell'edificio sono costituite dal soffitto, dove è presente un enorme unico monolite a forma di calotta, trasportato per mare ed issato sull'edificio con dodici anse, e dove si trova una fascia decorativa con un motivo "a tenaglia", l'unica testimonianza a Ravenna di una decorazione desunta dall'oreficeria barbarica piuttosto che dal repertorio romano/bizantino.

Il rinnovo di Sant'Apollinare Nuovo[modifica | modifica wikitesto]

Per quanto riguarda la chiesa di Sant'Apollinare Nuovo il vescovo Agnello la fece ridecorare verso il 560-570 riconciliandola al culto cattolico, epurando le immagini o ricostruendole ex novo. Fu in questo periodo che vennero cancellati i personaggi nella fascia inferiore della chiesa (nel Palatium e nel porto di Classe) e che vennero aggiunte le famose teorie di Sante Vergini e Santi Martiri: le prime si trovano a sinistra guardando verso l'altare e sono guidate dai Re Magi verso la Madonna col Bambino; i secondi, a destra, procedono verso il Cristo in trono guidati da angeli.

Lo stile dei mosaici è ulteriormente evoluto verso una maggiore solennità e statica ieraticità, in linea con la coeva arte bizantina, con la ripetizione dei motivi (della decorazione e delle figure stesse) in un abbacinante fondo oro. Gli abiti sono ricchi ma tutti uguali, sagomati sul fondo.

San Vitale[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Basilica di San Vitale (Ravenna).

Il più importante cantiere dell'epoca bizantina fu però la Basilica di San Vitale, realizzata a partire da quando Teodorico era ancora in vita tra il 522 e il 547, nella zona nord-est della città, vicino al complesso monumentale che comprendeva anche il Mausoleo di Galla Placidia.

Iniziata forse all'epoca del vescovo Ecclesio, fu terminata da Massimiano, grazie anche alla cospicua donazione del banchiere Giuliano l'Argentario che offrì 26.000 soldi (per questo venne rappresentato in un mosaico accanto all'imperatore Giustiniano).

La chiesa segnò un distacco dalle tipiche basiliche longitudinali di Ravenna e, nella pianta a base centrale (in questo caso ottagonale), ricorda la chiesa dei Santi Sergio e Bacco a Costantinopoli, di pochi anni anteriore, o altri coevi martyria.

L'interno della chiesa presenta un deambulatorio che gira attorno a un nucleo centrale a pianta circolare, con pilastri e colonne su due ordini (al pian terreno e sul matroneo). La cupola con tamburo è di elevazione maggiore alle simili chiese orientali.

L'interno è famoso per i celeberrimi mosaici, ma è pregevole anche la decorazione a marmi policromi e stucchi, i capitelli scolpiti a Bisanzio con una ricca decorazione a traforo e corredati di pulvino con figure zoomorfe e la Croce. Le balaustre del matroneo sono traforate finemente. Lo sfarzo, sottolineato dalla particolare pianta che necessita di essere percorsa per fare esperienza degli innumerevoli scorci, crea un effetto di sfavillio che sembra annullare il peso della costruzione in una dimensione quasi soprannaturale. Ciò fu tipico della corte imperiale bizantina, mentre altri elementi, come la cupola alleggerita da tubi fittili, sono frutto delle esperienze italiane, per cui si presume che alla basilica lavorarono maestranze sia locali che venute da oriente.

Il punto focale è situato nell'abside, dove due angeli a mosaico reggono il simbolo della croce. I mosaici più famosi sono collocati ai lati dell'altare e presentano i due celebri pannelli in posizione speculare dell'Imperatore Giustiniano e di Teodora circondati dalle rispettive corti in tutto lo sfarzo che richiedeva il loro status politico e religioso. Le figure sono ritratte formalmente, secondo una rigida gerarchia di corte, con al centro gli augusti, circondati da dignitari e da guardie. Accanto a Giustiniano è presente il primo arcivescovo di Ravenna, Massimiano, l'unico segnato da iscrizione, per cui può darsi che fosse anche il sovrintendente dei lavori. La fissità ieratica di Giustiniano e Teodora rispecchia il cesaropapismo bizantino.

I corpi sono assolutamente bidimensionali e stereotipati, e solo nei volti regali si nota uno sforzo verso il realismo, nonostante l'idealizzato ruolo semidivino sottolineato dalle aureole. Non esiste prospettiva spaziale, tanto che i vari personaggi sono su un unico piano, hanno gli orli delle vesti piatti e sembrano pestarsi i piedi l'un con l'altro.

Altri due pannelli, più in alto, con il Sacrificio di Abramo e il vescovo Ecclesio che dona un modello della basilica risalgono invece ancora al periodo ostrogoto e mostrano ancora una certa consapevolezza spaziale.

Sant'Apollinare in Classe[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Basilica di Sant'Apollinare in Classe.

Sempre il vescovo Massimiano consacrò nel 547 una basilica vicino all'antico porto di Classe, chiamata Sant'Apollinare in Classe. La pianta è tipica delle basiliche longitudinali paleocristiane, e della ricca decorazione a mosaico si è salvato solo il catino absidale.

In questi mosaici, che rappresentano l'ultimo stadio dell'arte ravennate, si vede come il simbolo ha ormai preso il sopravvento sulla rappresentazione naturalistica nel trattamento del tema del evangelico della Trasfigurazione sul Monte Tabor. Al centro Sanctus Apolenaris, sontuosamente abbigliato col pallio vescovile e la stola, tiene le braccia alzate verso la gigantesca croce gemmata che domina la rappresentazione all'interno di un cerchio in un campo azzurro cosparso di stelle. Dodici pecorelle, esattamente uguali e piatte rappresentano i fedeli della diocesi ravennate e riempiono la fascia più bassa. In un prato ricco di elementi vegetali e minerali in stile calligrafico e senza un qualsiasi rimpicciolimento prospettico, si trovano altre tre pecorelle (una a sinistra e due a destra) che guardano alla croce, mentre in cielo appaiono da nuvole Mosè ed Elia, oltre alla mano divina in alto.

La scelta del tema è strettamente legata alla lotta all'arianesimo, poiché ribadisce la natura umana e divina di Gesù Cristo, quest'ultima negata dagli ariani. Inoltre la rappresentazione di Apollinare tra gli apostoli figurati era una legittimazione per Massimiano come primo arcivescovo di una diocesi direttamente collegata ai primi seguaci di Cristo, essendo Apollinare, secondo la leggenda, discepolo di San Pietro.

Restauri hanno permesso di scoprire una sinopia al di sotto dei mosaici, scoprendo come il tema decorativo, già con fiori, frutta e coppe con uccelli, venne completamente cambiato proprio in occasione della necessità di celebrare il raggiunto rango di arcidiocesi.

Architettura[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Monumenti paleocristiani di Ravenna.

Mosaico[modifica | modifica wikitesto]

Scultura[modifica | modifica wikitesto]

Tra gli altri prodotti artistici realizzati nel periodo d'oro dell'arte ravennate si annoverano anche sarcofagi, arredi ed oggetti liturgici. Particolarmente significativa, sia per il pregio, sia per l'ottimo stato di conservazione è la cattedra vescovile di Massimiano, realizzata con pannelli in avorio scolpito tra il 546 e il 556 ed oggi conservata presso il Museo arcivescovile di Ravenna.

Entro cornici con ricchi motivi vegetali, sono collocati pannelli con figure di Santi, Storie di Cristo, con alcuni episodi riferibili a vangeli apocrifi, e storie di Giuseppe. Vi si trova al centro il monogramma di Maximianus, ma dove e quando siano stati realizzati i pannelli è ancora un tema controverso e discusso.

Interessanti sono anche gli amboni conservati in Duomo e nella basilica di San Vitale, che mostrano come anche in scultura la tendenza fosse verso un'involuzione del senso plastico in favore di una maggiore idealizzazione e carica simbolica.

La scultura dei sarcofagi di Ravenna appare nel mondo paleocristiano e proto-bizantino come un fenomeno particolare e, per certi versi, isolato. Si manifesta, in altre parole, con caratteristiche formali proprie, pur adeguandosi alla tematica trionfale tipica del mondo cristiano da Teodosio in poi.

La plastica funeraria di Ravenna si manifesta quando già la scultura romana inizia a declinare, ma Ravenna ha già recepito quell'esigenza di ritmo e di scansione architettonica della composizione che si riscontra all'epoca del “bello stile”.

Diversamente da quelli romani, i sarcofagi ravennati presentano una monumentalità di proporzioni che si esprime non solo nella loro grandezza, ma che è accentuata dal coperchio che li sormonta. Il coperchio si precisa sia nella forma a doppio spiovente con acroteri angolari, sia in quella “a baule”, cioè di forma semicilindrica (la copertura del sarcofago era invece piana con un rialzo frontale decorato, detto “attico”).

Il sarcofago a Ravenna è “monumento” nel senso stretto del termine: la cassa è decorata su tutti e quattro i lati (secondo l'antica tradizione dell'Asia Minore). Si articola in due grandi classi:

  • Sarcofagi con figure umane
  • Sarcofagi con figure simboliche d'animali o croci.

Due fra gli esemplari più notevoli sono il Sarcofago della chiesa di San Francesco (fine del IV/inizi del V secolo) con Cristo in Maestà e Apostoli dentro nicchie con conchiglie, e il Sarcofago con Cristo fra Pietro e Paolo (metà del V secolo), che si trova nella cattedrale, caratterizzato da figure immerse in un'ariosa spazialità che ne rivela senza la possibilità d'equivoci la matrice greco-orientale.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Svetonio, Vita di Augusto, 49.1.
  2. ^ Annales, IV, 5.
  3. ^ Abballe, 2021, p. 35.
  4. ^ Abballe, 2021, p. 38.
  5. ^ a b Abballe, 2021, p. 39.
  6. ^ Abballe, 2021, p. 42.
  7. ^ Il tracciato del Padenna è tuttora riconoscibile nella planimetria di Ravenna. Si consideri, per esempio, che via IV Novembre è sulla riva orientale e via Guidone è sulla riva occidentale dell'antico fiume.
  8. ^ L'attuale via B. Cairoli fu chiamata “Strada del ponte coperto” fino al 1889.
  9. ^ Gian Franco Andraghetti, Odo nomi far festa, Ravenna, Edizioni Moderna, 2010.
  10. ^ Le Mura, le Porte ed un Torrione solitario, su hotelsravenna.it. URL consultato il 4 gennaio 2013 (archiviato dall'url originale il 6 gennaio 2014).
  11. ^ Donato Fasolini, Aggiornamento bibliografico ed epigrafico ragionato sull'imperatore Claudio, Vita e Pensiero, 2006.
  12. ^ L'archeologo Arnaldo Roncuzzi risolve la contraddizione asserendo che è sbagliato sostenere che Ravenna disponesse a quel tempo di una vera e propria cinta muraria. Le prime vere mura furono erette solo nel IV-V secolo. Cfr. Le Mura, le Porte,,, cit.
  13. ^ Il monumento è stato demolito nel 1582 per fornire materiale da costruzione.
  14. ^ G. Susini, «Ravenna e il mondo dei Romani», in Storia di Ravenna, vol. I, (L'evo antico), a cura di G. Susini, Venezia 1990, pp. 125-136.
  15. ^ Enrico Cirelli, Roma sul mare e il porto augusteo di Classe (PDF), in Ravenna e l’Adriatico dalle origini all’età romana. URL consultato il 7 gennaio 2013.
  16. ^ Gian Franco Andraghetti, Odo nomi far festa. Stradario storico-odonomastico della città di Ravenna, Ravenna, 2010, pag. 241.
  17. ^ L'edificio, modificato ampiamente attorno all'anno Mille, oggi è noto con l'intitolazione di Chiesa di San Francesco.
  18. ^ L'edificio è ancora in essere, anche se nella sua parte anteriore ha subito un pesante intervento di restauro, resosi necessario all'indomani dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale.
  19. ^ Le opere di Galla Placidia a Ravenna, su geometriefluide.com. URL consultato il 7 gennaio 2013.
  20. ^ Sidonio visitò Ravenna verso il 467.
  21. ^ Nel 1732 la basilica è stata demolita per fare posto all'attuale cattedrale.
  22. ^ Ravenna, su treccani.it. URL consultato il 4 gennaio 2013.
  23. ^ Gian Franco Andraghetti, Aquae Condunt Urbis, Ravenna, Media News, 2007.
  24. ^ P. Fabbri, Il Padenna. L'uomo e le acque nel Ravennate dalla antichità al Medioevo, Ravenna 1975.
  25. ^ Deliyannis, pp. 219-220.
  26. ^ Ravegnani 2016, p. 79.
  27. ^ Il sepolcro di Galla Placidia in Ravenna (PDF), su bollettinodarte.beniculturali.it. URL consultato il 4 gennaio 2013.
  28. ^ Cristina Di Zio, Fonti della tradizione liturgico-musicale in notazione ravennate (secc. XI-XII). Il repertorio dei canti per la Messa, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, 2008, p. 15
  29. ^ a b Basilica di Sant'Apollinare Nuovo, su turismo.ravenna.it, Ufficio Turismo del Comune di Ravenna. URL consultato il 22 giugno 2011.
  30. ^ a b c Piero Adorno e Adriana Mastrangelo, Sant'Apollinare Nuovo, in Segni d'arte, Casa editrice G. D'Anna, 2007, pp. 219-222, ISBN 88-8104-843-4.
  31. ^ De Vecchi-Cerchiari, cit., p. 195.
  32. ^ a b c d e f Deliyannis, pp. 208-209.
  33. ^ Le basi dei pilastri della via porticata sono stati rinvenuti casualmente nell'estate 2004.
  34. ^ Deliyannis, p. 290.
  35. ^ Deliyannis, p. 291.
  36. ^ Anche la palma, come la candelabra, aveva una simbologia legata ai Salmi, dove si può leggere che come fiorirà la palma così farà il giusto, cioè la pianta fiorisce quando sembra ormai morta, come i martiri che avranno la loro ricompensa in paradiso.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Altro[modifica | modifica wikitesto]

Unione di Ravenna romana, Ravenna bizantina, Arte ravennate

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

[[Categoria:Ravenna romana]]