Spedizione dei Mille: differenze tra le versioni

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{{NN|storia|marzo 2009}}
{{Conflitto
|nome del conflitto=Spedizione dei Mille
|parte_di=[[Risorgimento]]
|immagine=[[File:Partenza da Quarto.jpg|300px|La partenza dei Mille da Quarto]]
|didascalia=La partenza dei Mille da [[Quarto dei Mille|Quarto]] ([[Genova]]).
|luogo=[[Sicilia]] e successivamente [[Italia meridionale]]
|data=[[1860]]
|esito=Vittoria garibaldina, annessione del Regno delle Due Sicilie al [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]], futura [[Unità d'Italia]]
|schieramento1=[[File:Flag of Italy.svg|border|20px]] [[I Mille]] <br>
[[File:Flag of Italy.svg|border|20px]] [[Esercito meridionale]]
|schieramento2=[[File:Flag of the Kingdom of the Two Sicilies (1738).svg|border|20px]] [[Regno delle Due Sicilie]]
|comandante1=[[Giuseppe Garibaldi]]
|comandante2= [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]]
|effettivi1=1037 uomini
|effettivi2=30000 uomini
|perdite1=500 tra morti e feriti
|perdite2=1000 tra morti e feriti
}}
La '''spedizione dei Mille''' è un celebre episodio del periodo risorgimentale italiano, avvenuto nel 1860 allorquando un corpo di volontari, protetto dal Piemonte, al comando di [[Giuseppe Garibaldi]], partendo dalla spiaggia di Quarto (oggi [[Quarto dei Mille]], a [[Genova]]) sbarcò in Sicilia occidentale, e conquistò l'intero [[Regno delle Due Sicilie]], patrimonio della casa reale dei [[Borbone]].

== Premesse ==
A partire dal famoso [[Accordi di Plombières|incontro di Plombières]] con [[Napoleone III]], il [[21 luglio|21]] e [[22 luglio]] [[1858]] e, soprattutto dalla firma del trattato di alleanza difensiva fra [[Secondo Impero francese|Francia]] e [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]], il [[26 gennaio]] [[1859]], il [[primo ministro]] [[Camillo Benso Conte di Cavour|Cavour]] iniziò i preparativi per la liberazione del nord Italia e l'inevitabile guerra all'[[Impero austriaco|Austria]].

[[File:Le Gray, Gustave (1820-1884) - Palerme. Portrait de Giuseppe Garibaldi, juillet 1860.jpg.jpg|thumb|175px|[[Giuseppe Garibaldi]] fotografato a Palermo, nel luglio 1860]]
Il [[24 aprile]] [[1859]] [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]] riuscì a farsi dichiarare guerra dall'Austria, con inizio delle ostilità il [[27 aprile]]. La [[seconda guerra di indipendenza italiana|seconda guerra di indipendenza]] terminò l'[[11 luglio]]: i termini dell'[[armistizio di Villafranca]] riconoscevano al [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]] la [[Lombardia]] (con l'esclusione di [[Mantova]]), ma non il [[Veneto]].

Già dal maggio [[1859]] le popolazioni del [[Granducato di Toscana]] delle [[Legazioni]] ([[Bologna]] e la [[Romagna]]) del [[Ducato di Modena]] e del [[Ducato di Parma]] scacciavano i propri sovrani e reclamavano l'annessione al Regno di Sardegna,soprattutto grazie alla sapiente azione di agenti provocatori pilotati dal Governo piemontese, mentre le popolazioni di [[Umbria]] e [[Marche]] subivano la dura repressione del governo pontificio, il cui esempio più sanguinoso fu il [[stragi di Perugia|massacro di Perugia]].

Napoleone III e Cavour erano reciprocamente in debito: il primo poiché non aveva liberato [[Venezia]], il secondo perché aveva liberato l'Italia centrale. Lo stallo venne risolto il [[24 marzo]] [[1860]], quando Cavour sottoscrisse la [[Trattato di Torino (1860)|cessione]] della [[Savoia]] e della Contea di [[Nizza]] alla [[Francia]] ed ottenne, in cambio, il consenso dell'Imperatore all'annessione di [[Toscana]] ed [[Emilia-Romagna]] al Regno di Sardegna. Come disse Cavour all'emissario francese, i due erano divenuti “complici”.

== Obiettivi e vincoli all’ulteriore unificazione degli stati italiani ==
Al marzo [[1860]], quindi, restavano in [[Italia]], tre soli Stati: il Regno di Sardegna, con [[Piemonte]] (inclusa [[Val d'Aosta|Aosta]]), [[Liguria]], [[Sardegna]], [[Lombardia]] (eccetto [[Mantova]]), [[Emilia]], [[Romagna]] e [[Toscana]]; lo [[Stato della Chiesa]], con [[Umbria]] (inclusa [[Rieti]]), [[Marche]], [[Lazio]] (con l'intoccabile [[Roma]]) e le [[exclave]] di [[Pontecorvo]] e [[Benevento]]; il [[Regno delle Due Sicilie]], con [[Abruzzo]] (inclusa [[Circondario di Cittaducale|Cittaducale]]), [[Molise]], [[Campania]] (incluse [[Circondario di Gaeta|Gaeta]] e [[Circondario di Sora|Sora]]), [[Basilicata]], [[Puglia]], [[Calabria]] e [[Sicilia]].

Si aggiunga l'[[Impero Austriaco]] di [[Francesco Giuseppe I d'Asburgo|Francesco Giuseppe]] che ancora poteva considerarsi una potenza che aveva forti interessi nella penisola italiana, poiché possedeva intere regioni come il [[Veneto]], il [[Trentino]], il [[Friuli]] e [[Mantova]]. E non si dimentichi la [[Secondo Impero francese|Francia]], già allora nell'ambiguo ruolo di potenza protettrice di [[Roma]] e principale alleato del [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]]: una ambiguità che permise a Napoleone III di mantenere una decisiva influenza sulle cose italiane, sino all'estremo giorno di vita del suo impero, nel [[1870]] ([[battaglia di Sedan]]) e che sarà determinante nel 1860: infatti da un lato Napoleone III impediva al Regno di Sardegna tanto un'azione contro l'[[Austria]] (col suo mancato sostegno), quanto un'azione contro [[Roma]] (con la sua esplicita opposizione). Restava pertanto ai piemontesi un unico bersaglio possibile: [[Regno delle Due Sicilie|Napoli]].

== La debolezza del Regno delle Due Sicilie ==
{{P|paragrafo da sistemare con riferimenti e citazioni|storia|aprile 2010}}
Il [[Regno delle Due Sicilie]] presentava almeno cinque debolezze fondamentali:
* un monarca giovane e inesperto ([[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] succeduto al padre [[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando II]] solo il [[22 maggio]] [[1859]], meno di un anno prima);
* una situazione interna instabile, {{cn|da cui derivava una insanabile dialettica fra popolo e signori}}; la costante rivalità siciliana; l'opposizione liberale interna;
* {{cn|una ostilità da parte dell'opinione pubblica liberale d'Europa, a causa delle repressioni succedutesi dal [[Repubblica Partenopea|1799]] in avanti}};
* un'eccessiva vicinanza politica all'[[Impero Austriaco|Austria]], la grande sconfitta del [[1859]], a scapito delle relazioni con la grande vincitrice, la Francia;
* relazioni decisamente cattive con la Gran Bretagna.

[[File:Scoglio dei Mille.JPG|thumb|right|300px|La [[stele]] che ricorda l'impresa dei Mille che prese le mosse dallo scoglio di [[Quarto dei Mille|Quarto]]-[[Genova|GE]]]]
Particolare importanza ebbe, nell'autunno-inverno del [[1859]], l'azione abbozzata da Francesco II, di concerto con [[Francesco Giuseppe d'Asburgo|Francesco Giuseppe]], a sostegno delle rivendicazioni di [[Pio IX]], del [[Leopoldo II di Toscana|Granduca di Toscana]] e dei Duchi di [[Francesco V d'Este|Modena]] e [[Roberto I di Parma|Parma]] per rientrare in possesso dei loro possedimenti in Italia centrale.

L'iniziativa si scontrava direttamente con gli interessi vitali di Torino (per ragioni evidenti) e di Parigi (dal momento che Napoleone III, per giustificare la guerra all'Austria di fronte all'opinione pubblica francese, doveva annettersi almeno la Savoia).

Solo uno sprovveduto avrebbe potuto immaginare che l'Austria potesse riprendere la guerra meno di un anno dopo [[battaglia di Solferino|Solferino]]: il Regno di Sardegna aveva assai ingrandito il proprio esercito, passando da cinque a ben quattordici divisioni e Napoleone III mai avrebbe consentito di perdere quella determinante influenza politica in Italia che prima di lui, fra i sovrani francesi, avevano goduto solo [[Napoleone I]], [[Carlo Magno]] e, per un poco, [[Francesco I di Francia|Francesco I di Valois]].

Un sovrano meno inesperto di Francesco II, o dei consiglieri meno reazionari, avrebbero forse evitato un simile errore, ma, ormai, il Regno delle Due Sicilie non aveva più alleati, potendo contare solamente sulle proprie forze, {{cn|peraltro disorganizzate e poco motivate}}.

== Spedizione ==

=== La ricerca di un ''casus belli'' ===
Al Regno di Sardegna, comunque, mancava un [[casus belli]] presentabile per aggredire il Regno delle Due Sicilie. Una condizione indispensabile, dal momento che fra gli imperativi che la politica europea imponeva al Cavour, v'era presentarsi sempre come lo strumento del ripristino dell'ordine.

L'unica occasione era costituita da una sollevazione dall'interno, che provasse la disaffezione delle popolazioni rispetto alla Dinastia che governava a [[Napoli]]. Che dimostrasse, soprattutto, l'incapacità di [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco di Borbone]] di garantire, in forme accettabili, l'ordine pubblico nei propri domini.

La Sicilia era terreno fertile e i liberali meridionali, specialmente quelli rientrati dopo l'amnistia concessa dal giovane Re, in tal senso lavoravano già da tempo.

=== La situazione interna nel Regno delle Due Sicilie ===

[[File:Garibaldini Bresciani.JPG|thumb|280 px|1860. I reduci garibaldini bresciani dei Mille]]
Di opposizione interna nel [[Regno delle Due Sicilie|Regno]] se ne era già vista davvero molta: in appena sessant'anni i [[Borbone]] avevano dovuto schiacciare la [[Repubblica Partenopea]] del [[1799]], la [[Rivoluzione siciliana (1820)|rivoluzione indipendentista siciliana]] del [[1820]], la rivoluzione calabrese del 1847 <ref>[[Domenico Romeo]] (S. Stefano d’Aspromonte RC) nel settembre del 1847 organizzò una la rivolta, di cui è considerato dagli storici come l'ideatore, il promotore e il capo indiscusso. Egli ordì una trama tra Calabria, Sicilia e Basilicata che coinvolse i veterani della Carboneria e , in accordo con i patrioti Siciliani, doveva propagarsi per tutto il Regno. Il 3 settembre con 500 insorti occupò Reggio ma non vi fu unità d’intenti e la rivolta venne repressa nel sangue. Romeo venne decapitato mentre a Gerace (RC) vennero fucilati cinque insorti Michele Bello, Rocco Verduci, Pierdomenico Mazzone, Gaetano Ruffo, Domenico Salvadori.</ref>la [[rivoluzione indipendentista siciliana del 1848]] e quella calabrese dello stesso anno<ref>Capeggiata da [[Benedetto Musolino]] che istituì un Governo provvisorio a Cosenza</ref>, il [[Storia del Regno delle Due Sicilie nel 1848|movimento costituzionale napoletano del 1848]].

Per ben due volte, inoltre, i [[Borbone di Napoli|Borbone]] erano stati rimessi sul trono dagli eserciti austriaci: nel [[1815]] l'austriaco [[Federico Bianchi]] sconfisse l'esercito napoletano di [[Gioacchino Murat]], cognato di Napoleone, nella [[battaglia di Tolentino]] ed ancora nel [[1821]] l'austriaco [[Johann Maria Philipp Frimont]] sconfisse un secondo esercito napoletano, quello di [[Guglielmo Pepe]], nella [[battaglia di Rieti]] e in quella di [[battaglia di Antrodoco|Antrodoco]].

Nel [[1860]], tuttavia, la situazione appariva di gran lunga più favorevole ai [[Borbone di Napoli|Borbone]]: sin dal [[1821]] all'esercito era dedicata costante attenzione economica da parte dei regnanti e, nel complesso, appariva sicuramente fedele alla casa regnante.

I liberali napoletani, inoltre, non avevano forza sufficiente neanche ad imporre una costituzione, nemmeno dopo [[battaglia di Solferino|Solferino]]. Essi erano però presenti in buon numero nelle alte cariche dell'esercito, e,inoltre, erano assai presenti nella flotta napoletana (che, infatti, non mostrò alcun fervore nel corso dell'intera campagna contro [[Garibaldi]]).

Infine vi era il popolo delle provincie continentali: generalmente vicino alla dinastia borbonica, come aveva clamorosamente dimostrato il successo del [[Sanfedisti|movimento sanfedista]], che, nel [[1799]], aveva rovesciato la [[Repubblica Napoletana (1799)|Repubblica Napoletana]], con strage dei giacobini del [[Regno di Napoli|Regno]] e con la resistenza antifrancese del periodo 1806-1815.
Che tali sentimenti filoborbonici fossero tutt'altro che estinti, sarà poi dimostrato dall'estensione della rivolta postunitaria, passata poi alla storia come il cosiddetto ''[[brigantaggio]]''.

=== Rivolta siciliana ===
[[File:Guardabosone-DSCF8872.JPG|thumb|right|200px|Garibaldi raffigurato in un affresco sul muro di un edificio a [[Guardabosone]], in [[provincia di Vercelli]]]]
L'unica delle molte forze opposte ai [[Borbone di Napoli|Borbone]] che mostrasse la volontà di scendere in armi, in quel [[1860]], era la fronda siciliana.

I ricordi della lunga [[Rivoluzione siciliana (1848)]] erano ancora vividi e la repressione borbonica era stata particolarmente dura e nulli i tentativi del governo napoletano di giungere ad un accomodamento politico. Molti dei quadri dirigenti della rivoluzione (tra cui [[Rosolino Pilo]], [[Francesco Crispi]] e altri ancora), erano espatriati a [[Torino]], partecipando con entusiasmo alla [[seconda guerra di indipendenza italiana|seconda guerra di indipendenza]] e avevano maturato un atteggiamento politico decisamente liberale e unitario.

Inoltre, l'insofferenza non era limitata alle classi dirigenti, ma coinvolgeva una larga fascia della popolazione cittadina e rurale; congiuntura pressoché unica nel corso dell'intero [[Risorgimento]]. Prova indubitabile ne fu il grande numero di volontari che si aggregarono ai garibaldini, da [[Marsala]] a [[Messina]], sino al [[battaglia del Volturno|Volturno]].

Il [[4 aprile]] [[1860]] si accese un'ennesima fiamma, quando il tentativo a [[Palermo]] di [[Francesco Riso]], subito represso, diede il via ad una serie di manifestazioni ed insurrezioni, tenuta in vita dalla famosa marcia da [[Messina]] a [[Piana degli Albanesi|Piana dei Greci]], fra il [[10 aprile|10]] ed il [[20 aprile]] [[1860]], di [[Rosolino Pilo]]. A chi incontrava per via annunciava di tenersi pronti … che “verrà Garibaldi”.

Il [[2 marzo]], un mese prima, [[Mazzini]] scriveva una lettera ai Siciliani e dichiarava: “Garibaldi è vincolato ad accorrere”. Quando la notizia della sollevazione fu confermata sul continente, il generale ritenne giunto il momento di salpare.

== Lo strumento: un esercito di volontari ==
Garibaldi, reduce dalle brillante campagna di Lombardia con i [[Cacciatori delle Alpi]], aveva dimostrato le proprie capacità di capo militare, con un leggero esercito di volontari e contro un esercito regolare. L'Italia era piena volenterosi, pronti ad aggregarsi ai veterani dei [[Cacciatori delle Alpi|Cacciatori]] per combattere sotto la sua guida.

L'armamento ed i quadri, qualora non attinti dai [[Cacciatori delle Alpi|Cacciatori]], sarebbero giunti dall'esercito sardo. I finanziamenti anche. In ogni caso, la loro origine poteva sempre essere attribuita alla ''Sottoscrizione nazionale "per un milione di fucili"'', iniziata già il [[18 dicembre]] 1859 e sostenuta dai comuni nazionalisti, i quali misero insieme notevoli somme.

Garibaldi era, certo, di fede repubblicana, ma, ormai da 12 anni, aveva accettato di collaborare con [[Casa Savoia]]. D'altronde i tempi erano tali che lo stesso Mazzini poteva scrivere, che: ''non si tratta più di repubblica o monarchia: si tratta dell'unità nazionale ... d'essere o non essere''.

Per Cavour, Garibaldi era potenziale fonte di grandi preoccupazioni: solo alla fine del 1859 si era portato in Romagna, nell'intento di invadere le Marche e l'Umbria dove le truppe pontificie avevano appena terminato una [[Stragi di Perugia|feroce repressione]]. E per il governo sardo fermarlo era contemporaneamente imperativo (assente il consenso di Napoleone III) ed assai difficile (come avrebbe dimostrata la [[giornata dell'Aspromonte]], due anni più tardi): perché non impegnarlo, invece, in una missione apparentemente disperata?
Garibaldi, infine, godeva dell'illimitata stima dell'opinione pubblica italiana e liberale nel mondo.

In una parola, il Cavour aveva l'uomo giusto da inviare a tentare la famosa sollevazione dall'interno, che sconvolgesse il Regno delle Due Sicilie e riducesse Francesco II a più miti consigli, ovvero “costringesse” il Regno di Sardegna a garantire l'ordine pubblico: la realtà andò ben al di là delle previsioni.

Gli ultimi accordi fra Cavour ed il [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Re]] vennero presi in un incontro a [[Bologna]], il 2 maggio. Il precedente 22 aprile Cavour si era recato a [[Genova]], per rendersi conto di persona della situazione.

=== Viaggio di trasferimento ===
[[File:Targa in ricordo della sosta di G.Garibaldi.jpg|150px|right|thumb|Targa in ricordo della sosta dei mille a [[Porto Santo Stefano]] il 9 Maggio 1860]]
Nel frattempo l'organizzazione della forza di spedizione era in pieno svolgimento: giungevano a Genova fondi e volontari. Moltissimi altri si preparavano.

Il [[4 maggio]] 1860 veniva stipulato a [[Torino]], dal notaio Gioachino Vincenzo Baldioli, il contratto col quale Garibaldi, rappresentato dal [[Giacomo Medici|Medici]], acquistava dall'armatore [[Rubattino]] i due vapori Piemonte e Lombardo. Per il pagamento veniva contratto un debito che in forma segreta era garantito dal Regno di Sardegna.

La sera del [[5 maggio]] la spedizione si imbarcava dallo scoglio di [[Quarto dei Mille|Quarto]] (oggi un quartiere di [[Genova]]).
I circa 1162 volontari erano armati di vecchi fucili e privi di munizioni e di [[polvere da sparo]]. Queste ultime vennero recuperate (insieme a tre vecchi cannoni ed un centinaio di buone carabine) il [[7 maggio]] presso la guarnigione dell'Esercito del Regno di Sardegna di stanza nel forte di [[Talamone]]. Una seconda sosta fu effettuata il [[9 maggio]] a [[Porto Santo Stefano]], per rifornimento di carbone.
Formalmente Garibaldi ottenne le une e l'altro poiché le aveva pretese nella sua qualità di [[maggiore generale]] del [[Regio Esercito]]. Ma è evidente che non avrebbe potuto nemmeno partire senza il consenso di Cavour. Un episodio è in questo senso rivelatore: a [[Talamone]], proprio sotto gli occhi della guarnigione, vennero staccati 64 volontari a preparare un'azione verso l'Umbria e le Marche. In capo a pochi giorni vennero intercettati dal Regio Esercito e reimbarcati per la Sicilia: Pio IX non doveva essere ancora provocato e Garibaldi doveva essere pur sempre ben controllato.

Oltre ai 64 volontari staccatisi dal viaggio, 9 mazziniani abbandonarono la spedizione, mentre i restanti 1089 proseguirono nel viaggio. All'alba dell'[[11 maggio]] i due vapori passavano fra [[Favignana]] e [[Marettimo]] e, grazie alle informazioni ricevute da un pescatore locale sulla temporanea assenza della marina borbonica che da [[Marsala]] si era spostata a sud-est in direzione di [[Sciacca]] alla ricerca dei due vapori di rivoltosi, puntarono verso il porto di [[Palermo]].

=== Operazioni in Sicilia ===
[[File:Sbarco Marsala 1860.jpg|250px|right|thumb|Lo sbarco dei Mille a Marsala da un disegno di un ufficiale osservatore, a bordo di una nave inglese.]]
I comandanti borbonici, ignorando le segnalazioni dei servizi di informazione napoletani avevano spostato, appena un giorno prima dello sbarco, una consistente guarnigione da Marsala a Palermo, per far fronte alle insurrezioni verificatesi nel capoluogo. Questo cambiamento, però, che fosse stato fatto in buona o in mala fede (come si sostenne), fu fatale. Infatti le navi garibaldine sbarcavano tranquillamente a [[Marsala]] la mattina dell'11 maggio. Due navi da guerra borboniche, giunte nel frattempo, tardarono a bombardare gli invasori, forse perché incerte circa le intenzioni di altre due navi da guerra [[Gran Bretagna|britanniche]] presenti nel porto per proteggere i numerosi stabilimenti di produzione del [[Marsala (vino)|vino marsala]] di proprietà di imprenditori di nazionalità britannica. L'"Argus" e l'"Intrepid", questo il nome delle due imbarcazioni da guerra britanniche, di fatto protessero lo sbarco dei rivoltosi.
Solo a sbarco avvenuto le navi napoletane effettuarono uno sterile bombardamento dei moli che si protrasse sino a notte, peraltro senza colpire alcun obiettivo, salvo le due navi dei garibaldini.

Il [[14 maggio]] a [[Salemi]] Giuseppe Garibaldi dichiarò di assumere la [[dittatura]] della Sicilia in nome di [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]]. I Mille, affiancati da 500 "picciotti", ebbero un primo scontro nella [[battaglia di Calatafimi]] il [[15 maggio]], contro circa 4.000 soldati borbonici.
{{vedi anche|Battaglia di Calatafimi}}

In seguito, aiutato dall'[[insurrezione di Palermo]], tra il [[27 maggio|27]] e il [[30 maggio]], Garibaldi conquistò la città, difesa dall'ingenuo ed anziano generale [[Ferdinando Lanza]] che lo credeva attestato a [[Corleone]].
L'ingresso avvenne attraverso il [[Giorgio d'Antiochia (ammiraglio)#Il culmine della carriera: conquiste in Grecia e in Africa|Ponte dell'Ammiraglio]], difeso da un intero battaglione borbonico, che credeva di essere in vigenza di tregua.
Il preciso tiro di copertura garantito dai fucili di precisione dei carabinieri di Genova, unito alla spinta entusiasta dei Mille, valsero a superare le difese. Nei successivi scontri tra Porta Sant'Antonio e Porta Termini cadeva l'ungherese [[Lajos Tüköry|Luigi Tüköry]], mentre furono feriti, fra gli altri, [[Benedetto Cairoli]], [[Stefano Canzio]] e lo stesso Bixio.

Durante il mese di giugno, ai garibaldini si aggregarono altri volontari siciliani e provenienti da altre parti d'Italia, inquadrandosi in quello che poi fu chiamato [[esercito meridionale]].

Il [[20 luglio]] le truppe borboniche vennero sconfitte nella [[battaglia di Milazzo (1860)|battaglia di Milazzo]], forse il primo combattimento realmente svoltosi in Sicilia.
{{vedi anche|Battaglia di Milazzo (1860)}}
Nei giorni successivi, [[Giacomo Medici]] ottenne dal generale borbonico [[Clay]] la neutralizzazione della fortissima cittadella di [[Messina]] e del suo numeroso esercito con, in soprannumero, la liberazione della città.

Garibaldi aveva ottenuto così campo libero e i napoletani si reimbarcarono nel continente.
{{quote|Splenda nella memoria dei secoli - l'epopea del 27 maggio 1860 - preparata da cuori siciliani - scritta col miglior sangue d'Italia - dalla spada prodigiosa - di Garibaldi. - Riecheggi nella coscienza dei popoli - il tuo ruggito, o Palermo - sfida magnanima - a tutte le perfide signorie - auspicio di liberazione a tutti gli oppressi del mondo|[[Mario Rapisardi]] per il monumento dei Mille a Palermo}}

=== Operazioni sul continente ===
Con la neutralizzazione di [[Messina]], Garibaldi iniziò i preparativi per il passaggio sul continente. Cavour esercitava fortissime pressioni per procedere subito ai [[Plebisciti del Regno d'Italia|plebisciti]] in Sicilia, preoccupato che la benevola neutralità di [[Francia]] ed [[Inghilterra]] potesse rovesciarsi, inficiando le conquiste compiute. Più aggressivo si dimostrava, sicuramente, Vittorio Emanuele II, il quale incoraggiava il generale a passi decisi.

Mentre forze borboniche attendevano lo sbarco garibaldino a [[Reggio Calabria|Reggio]], il [[19 agosto]] Garibaldi prescelse un tragitto alquanto più lungo e sbarcò sulla spiaggia ionica di [[Melito Porto Salvo]], in [[Calabria]]. Garibaldi disponeva, ormai, di circa ventimila volontari. In Calabria i borbonici non seppero offrire una dignitosa resistenza: mentre interi reparti dell'esercito borbonico si disperdevano o passavano al nemico il [[30 agosto]] un'intera colonna, comandata dal generale [[Giuseppe Ghio]], venne disarmata a [[Soveria Mannelli]].

Il re Francesco II abbandonò [[Napoli]] per portare l'esercito fra la [[fortezza]] di [[Gaeta]] e quella di [[Capua]], con al centro il fiume [[Volturno]], così, il [[7 settembre]], Garibaldi, praticamente senza scorta, poté entrare in città accolto da liberatore. Le truppe borboniche, ancora presenti in abbondanza ed acquartierate nei castelli, non offrirono alcuna resistenza, e si arresero poco dopo.

In seguito avviene la decisiva [[battaglia del Volturno]], dove Garibaldi respinse una grande avanzata dell'esercito borbonico (circa 50.000 soldati). La battaglia terminò il [[1º ottobre]] (altri dicono il 2 ottobre).
{{vedi anche|Battaglia del Volturno}}
Nei giorni immediatamente successivi alla battaglia giunse il corpo di spedizione [[Regno di Sardegna|sardo]], sceso attraverso le Marche e l'Umbria papalini (dove aveva sconfitto l'esercito pontificio alla [[battaglia di Castelfidardo]]), l'Abruzzo ed il Molise borbonici.

Subito dopo ([[21 ottobre]]) si svolse un [[referendum]] per l'annessione del Regno delle due Sicilie al Regno di Sardegna, che diede uno schiacciante risultato a favore dell'annessione. È forse da notare il fatto che all'epoca i referendum erano chiamati [[plebiscito|plebisciti]] ed avevano sempre risultati scontati.

L'impresa dei Mille si può considerare terminata con lo storico [[incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II]] del [[26 ottobre]] [[1860]] a [[Teano]].
Il [[6 novembre]] Garibaldi schierò in riga, davanti alla [[Reggia di Caserta]], 14 mila uomini, 39 artiglierie e 300 cavalli. Essi attesero molte ore che il Re li passasse in rassegna, ma invano. Il giorno successivo, [[7 novembre]], il Re faceva il suo ingresso a [[Napoli]]. Garibaldi, invece, si ritirò nell'isola di [[Caprera]], dando avvio alla sua (non immeritata) fama di moderno [[Cincinnato]].

Nel frattempo, il [[4 novembre|4]] e il [[5 novembre]] si erano tenuti, con esito favorevole, i plebisciti per l'annessione di Marche ed Umbria.

== Storiografia ==

=== Critica storiografica anti-garibaldina ===
{{vedi anche|La spedizione dei Mille (la mancata riforma agraria)|Brigantaggio}}
[[File:Battaglia del Volturno - combattimento di Porta Romana, verso Santa Maria Maggiore - Perrin - litografia - 1861 (01).jpg|thumb|300px|Battaglia del Volturno - combattimento di Porta Romana, verso Santa Maria Maggiore]]
La spedizione dei Mille è un passaggio obbligato per capire la storia dello Stato unitario italiano. Taluni vedono nell'impresa garibaldina il punto d'origine di fenomeni complessi come il [[brigantaggio]], lo squilibrio nord-sud e la cosiddetta "[[Questione meridionale]]".

Qualche corrente di pensiero ritiene che la spedizione dei Mille sia stata narrata in modo "[[agiografia|agiografico]]", dalla [[storiografia]] tradizionale.
Ciò, in particolare, a fronte della ''[[damnatio memoriae]]'' che toccò alla dinastia borbonica e al [[brigantaggio]] che arrivò ad impegnare fino a 140.000 soldati del nuovo [[Regno d'Italia]]<ref>[[Rosario Villari]], ''Corso di Storia'', [[Laterza]], </ref>: nell'iconografia tradizionale, la discussa figura di Garibaldi assume facilmente le sembianze dell'[[eroe]] che combatte e vince contro un esercito ben più numeroso, mentre i tanti “[[brigantaggio|briganti]]” che in seguito combatterono contro un ben più organizzato esercito piemontese ebbero il torto di essere perdenti. Insomma, il mito di Garibaldi sarebbe stato funzionale agli assetti di potere vincenti.

Lo storico inglese [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] ne "I re d'Italia", con riferimento al periodo storico che comincia dall'unità d'Italia (1861) scrive: "La documentazione di cui disponiamo è tendenziosa e comunque inadeguata. ... gli storici hanno dovuto essere reticenti e, in alcuni casi, restare soggetti a [[censura]] o imporsi un'autocensura"<ref>[[Denis Mack Smith]], ''I re d'Italia'', [[Rizzoli]], 1990</ref>.
Questi critici sostengono ancora oggi, a 150 anni di distanza da quegli avvenimenti che regna una cortina fumogena di disinformazione e negazione.

=== Dibattito politico ===
La principale linea di dibattito è rappresentata dal ruolo dei garibaldini come puntelli delle strutture sociali arretrate che caratterizzavano il Regno delle Due Sicilie, emblematicamente rappresentate dal baronato.

La maggior parte dei [[latifondismo|latifondisti]] del Meridione non opposero alcuna resistenza attiva all'impresa dei Mille, una volta verificato che la struttura esistente della proprietà terriera non veniva toccata. Come sintetizzato dalla famosa frase del romanzo ''[[Il Gattopardo (romanzo)|Il gattopardo]]'': ''"Tutto deve cambiare affinché non cambi niente"''. Alcuni contadini siciliani si unirono invece alla spedizione contando in una distribuzione di terre [[Demanio|demaniali]] a chi le lavorava. Le tragiche conseguenze si videro quando il generale [[Nino Bixio]] ebbe l'ordine di reprimere nel sangue la pretese dei contadini, con un esempio particolare alla [[strage di Bronte]] il [[4 agosto]] [[1860]].
Certamente, la mancata redistribuzione della terra costituì una delle tante ragioni alla base del cosiddetto [[brigantaggio]] che di fatto va inquadrato come una guerra civile di resistenza partigiana e non come un banale fenomeno delinquenziale. Ciò viene anche descritto nel film ''[[Li chiamarono... briganti!]]'' di [[Pasquale Squitieri]], focalizzato sulle imprese del brigante lucano [[Carmine Crocco]], sebbene la pellicola abbia diviso la critica riguardo agli eventi narrati.<ref>[http://www.agendamilano.com/AM_Cinema_Recensioni.asp?IdFilm=1869 Recensioni sul film tratte da varie testate giornalistiche]</ref>

Al 'tradimento' dei nobili, viene associato il tradimento degli ufficiali. Non è chiaro l'intreccio tra Cavour, inglesi e esercito borbonico, ma è certo che interi reparti rinunciarono a combattere, benché buona parte dell'armata di terra abbia servito il proprio sovrano fino all'ultima battaglia. Una questione concerne i vantaggi che lo stato sabaudo, con le sue finanze disastrate dalle numerose campagne militari volute da [[Cavour]], avrebbe ricevuto dalla floridezza economica del Regno delle due Sicilie. In molti sostengono che la conquista del reame borbonico (avvenuta persino senza [[dichiarazione di guerra]])<ref>[[Giacinto De Sivo]], ''Storia delle Due Sicilie 1847-1861'', Edizioni Trabant, 2009, p. 331.</ref><ref>Mario Spataro, ''I primi secessionisti: separatismo in Sicilia'', Napoli, 2001, p. 50.</ref><ref>Editori Vari, ''Cronaca della guerra d'Italia 1861-1862'', Rieti, 1863, p. 165.</ref> sia stata economicamente provvidenziale ed abbia contribuito nettamente alla ripresa economica delle regioni sabaude [[Lombardia]], [[Piemonte]] e [[Liguria]].<ref>[[Nicola Zitara]], ''L'Unità d'Italia: nascita di una colonia'', Milano, 1971, p.37</ref>

Secondo lo studioso [[Basilicata|lucano]] [[Francesco Nitti]], il regno dei Borbone aveva un capitale di 443,2 milioni di lire oro, equivalente a più del doppio delle ricchezze di tutti gli altri stati preunitari messi assieme, compreso il [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno dei Savoia]], il quale possedeva un patrimonio di soli 27 milioni.<ref>[[Harold Acton]], ''Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861)'', Firenze, 1997, p.2</ref> Lo stato borbonico venne anche premiato all'Esposizione Internazionale di [[Parigi]] nel [[1856]] come terzo stato più industrializzato d'[[Europa]]<ref name =Antoniello>Donato Antoniello, Luciano Vasapollo , ''Eppure il vento soffia ancora:capitale e movimenti dei lavoratori in Italia dal dopoguerra ad oggi'', Milano, 2006, p.13</ref> e vantava diversi primati scientifici e tecnologici, tra cui la costruzione della prima ferrovia nella penisola ([[Napoli-Portici]]), prima illuminazione a gas e primo telegrafo elettrico.<ref name =Antoniello/>

Si ritiene che già nel [[1856]], quattro anni prima della spedizione di Garibaldi, Cavour e il [[George Villiers, IV conte di Clarendon|conte di Clarendon]], ministro degli esteri inglese, avrebbero avuto contatti per organizzare rivolte antiborboniche nelle Due Sicilie<ref>Aldo Servidio, ''L'imbroglio nazionale'', Napoli, 2000, p. 36</ref> e il primo ministro sabaudo avrebbe corrotto l’agenzia di stampa [[agenzia Stefani|Stefani]], imponendo propagande contro il governo duosiciliano per accattivarsi le simpatie del popolo meridionale.<ref>[[Gigi Di Fiore]], ''Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento'', Milano, 2007, p. 63.</ref>

=== La questione dell'appoggio inglese ===
Un'altra linea concerne l'appoggio del governo britannico alla spedizione.

Esso viene motivato da molti studiosi (tra cui [[Lorenzo Del Boca]]<ref>[[Lorenzo Del Boca]], ''Maledetti Savoia'', [[Piemme]], 1998.</ref> e [[Carlo Alianello]]<ref>{{cita web|url=http://www.ilportaledelsud.org/alianello.htm|titolo=Carlo Alianello: La conquista del Sud|accesso=25 giugno 2010}}</ref>) con la necessità di spuntare condizioni economiche migliori per lo [[zolfo di Sicilia]], di cui le navi a vapore inglesi facevano largo consumo. Lo zolfo era un elemento essenziale nella lavorazione dell'[[acciaio]], oltre ad essere un additivo del [[carbone]] combustibile, ed era un protagonista collegato alla Seconda Rivoluzione Industriale, del carbone e dell'acciaio.

Alcune navi da guerra di [[Lord Palmerston]] incrociavano al largo di [[Marsala]], il giorno dello sbarco dei Mille. Lo sbarco si sarebbe risolto in un disastro "alla Pisacane" se, ancorati ai bassi fondali davanti a quel porto, non si fossero trovati due vascelli inglesi, l’''Argus'' e l’''Intrepid''.

Inoltre, alcuni storici, basandosi su lettere e documenti di Cavour, sostengono che gran parte del comando di Esercito e Armata di Mare delle Due Siclile fosse interessato a rimanere "reticente" nel contrastare ''i Mille'' nella loro avanzata. Parecchi ufficiali, infatti, avevano stretti legami con gli inglesi. In sostanza, gli alti ufficiali borbonici si lasciarono corrompere da emissari piemontesi che assicurarono ai primi, oltre al prosieguo della carriera nel futuro stato unitario, anche lauti compensi in danaro. La massoneria inglese, infatti, finanziò con 3 milioni di franchi<ref>{{cita libro|autore= Aldo Servidio |titolo= L'imbroglio nazionale: unità e unificazione dell'Italia (1860-2000) |anno= [[2002]]|editore= [[Guida Editore]]|città=Napoli |pagine= 37-38|id= ISBN 88-71-88489-2}}</ref> la spedizione dei mille per il tramite del primo ministro sabaudo Cavour. Convertita in piastre turche, la moneta più accettata nei porti del mediterraneo, quella somma, o, meglio, parte di essa, servì per comprare i servigi degli ufficiali traditori.

In generale queste osservazioni rispondono alla domanda di come mai abbiano potuto 1.000 armati irregolari, ancorché raggiunti da rinforzi, sgominare un esercito molto più numeroso, meglio armato ed addestrato che agiva dalle sue basi principali, in mezzo ad una popolazione amica.

== Dopo la spedizione ==
== Dopo la spedizione ==
===La proclamazione del Regno d'Italia===
===Vittorio Emanuele re d'Italia===
Dopo la sconfitta sul [[Volturno]], il [[Francesco II delle Due Sicilie|re]], la regina e i resti dell'esercito borbonico si erano asserragliati a [[Gaeta]], allora parte del [[Regno delle Due Sicilie]]. L'[[assedio di Gaeta]], iniziato dai garibaldini il [[13 novembre]] [[1860]], fu concluso dall'esercito sardo il [[13 febbraio]] [[1861]]. Gli ultimi [[Borbone di Napoli]] andarono in esilio.
{{vedi anche|Regno d'Italia (1861-1946)}}
Dopo la sconfitta sul [[Volturno]], il [[Francesco II delle Due Sicilie|re]], la regina e i resti dell'esercito borbonico si erano asserragliati a [[Gaeta]], ultimo baluardo, assieme a [[Messina]] e [Civitella del Tronto]], a difesa del [[Regno delle Due Sicilie]]. L'[[assedio di Gaeta]], iniziato dai garibaldini il [[13 novembre]] [[1860]], fu concluso dall'esercito sardo il [[13 febbraio]] [[1861]]. Gli ultimi [[Borbone di Napoli]] andarono in esilio.


Il [[17 marzo]] [[1861]], [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]] fu proclamato Re d'Italia, mantenendo, però, il numerale "II". Ciò sta ad indicare la palese continuità tra il vecchio stato piemontese ed il nuovo stato ''unitario'': il Regno di Sardegna cambiava nome in Regno d'Italia conservando la propria identità statuale (ma moltiplicando il territorio in seguito all'annessione delle Due Sicilie e degli altri Stati della penisola).
Il [[17 marzo]] [[1861]], [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]] fu proclamato Re d'Italia, mantenendo, però, il numerale "II". Ciò sta ad indicare la palese continuità tra il vecchio stato piemontese ed il nuovo stato ''unitario'': il Regno di Sardegna cambiava nome in Regno d'Italia conservando la propria identità statuale (ma moltiplicando il territorio in seguito all'annessione delle Due Sicilie e degli altri Stati della penisola).
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"Fatta l'Italia, bisogna fare gli Italiani": a questo motto - attribuito dai più a [[Massimo D'Azeglio]], ma da alcuni anche a [[Ferdinando Martini]] - fu ispirata tutta la politica successiva alla spedizione dei Mille.
"Fatta l'Italia, bisogna fare gli Italiani": a questo motto - attribuito dai più a [[Massimo D'Azeglio]], ma da alcuni anche a [[Ferdinando Martini]] - fu ispirata tutta la politica successiva alla spedizione dei Mille.


Agli ufficiali dei disciolti Esercito ed Armata e di Mare del Regno delle Due Sicilie fu consentito di entrare nell'esercito e nella marina del neonato Regno d'Italia mantenendo il medesimo grado. Un esempio su tutti è quello dell'ufficiale [[Guglielmo Acton]], nipote di [[Joseph Edward Acton]] e cugino di secondo grado di [[Lord Acton]]. Con il grado di capitano di fregata, Guglielmo Acton era comandante della corvetta «Stromboli», una delle navi della flotta borbonica che, nella mattinata dell'11 maggio 1860, avevano l'incarico della caccia ai due vapori piemontesi che i servizi borbonici avevano indicato trovarsi nel tratto di mare compreso tra [[Trapani]] e [[Sciacca]] e che non contrastarono, se non con forte ritardo, lo sbarco dei Mille a [[Marsala]]. Dopo che l'''unificazione'' fu compiuta, Guglielmo Acton fu nominato ammiraglio del Regno d'Italia divenendone, in seguito, anche senatore e Ministro della Marina del [[Governo Lanza]] (14 dicembre 1869 - 10 luglio 1873) dal 15 gennaio 1870 al 5 agosto 1872.
===Il destino dei reduci e la resistenza al nuovo governo===

{{vedi anche|Forte di Fenestrelle}}
===Deportazioni e resistenza al nuovo governo===
Agli ufficiali dei disciolti Esercito ed Armata e di Mare del Regno delle Due Sicilie fu consentito di entrare nell'esercito e nella marina del neonato Regno d'Italia mantenendo il medesimo grado. Un esempio su tutti è quello dell'ufficiale [[Guglielmo Acton]], nipote di [[Joseph Edward Acton]] e cugino di secondo grado di [[Lord Acton]]. Con il grado di capitano di fregata, Guglielmo Acton era comandante della corvetta «Stromboli», una delle navi della flotta borbonica che, nella mattinata dell'11 maggio 1860, avevano l'incarico di dare la caccia ai due vapori piemontesi che i servizi borbonici avevano indicato trovarsi nel tratto di mare compreso tra [[Trapani]] e [[Sciacca]] e che non contrastarono, se non con forte ritardo, lo sbarco dei Mille a [[Marsala]].
Coloro che rifiutarono di prestare giuramento in favore del nuovo Sovrano, rimanendo fedeli al reame duosiciliano e al re [[Francesco II di Borbone|Francesco II]], furono relegati nei luoghi di prigionia di [[Alessandria]], [[San Maurizio Canavese]] ed il più noto [[Forte di Fenestrelle]], ove i più trovarono la morte<ref>Giuseppe Ressa, ''Il Sud e l'unità d'Italia'', Brigantino - Il Portale del Sud, Napoli e Palermo, 2008</ref>. A Fenestrelle, circa 20000 militari borbonici e [[Papalino|papalini]] vi furono deportati; la gran parte di essi morì per la fame, gli stenti e le malattie<ref>{{cite web |url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/05/05/neoborbonici-all-assalto-di-fenestrelle-in-quel.html |title= Neoborbonici all'assalto di Fenestrelle 'In quel forte ventimila soldati morti' |date= 5 maggio 2010 |publisher= [[La Repubblica]] |accessdate=29 luglio 2010}}</ref> e i cadaveri furono sciolti nella calce viva.<ref>Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento'', Milano, 2007, p. 178.</ref> Molti soldati, infine, riuscendo a darsi alla macchia, continuarono a combattere per l'indipendenza delle Due Sicilie unendosi alla ''resistenza dei [[Brigante|Briganti]]''. Per gli ufficiali di Garibaldi, invece, il grado fu riconosciuto in pochissimi casi<ref>[[Luciano Bianciardi]], ''Daghela avanti un passo'', Bietti, 1969.</ref>, ma molti fra i comandanti garibaldini ebbero un ruolo non secondario nell'esercito italiano: Nino Bixio, il napoletano [[Enrico Cosenza]] e [[Giuseppe Sirtori]].
[[File:Lapide Fenestrelle.jpg|thumb|250px|Lapide commemorativa in onore delle vittime Duosiciliane posta all'interno del Forte di [[Fenestrelle]]]]
Dopo che l'''unificazione'' fu compiuta, Guglielmo Acton fu nominato ammiraglio del Regno d'Italia divenendone, in seguito, anche senatore e Ministro della Marina del [[Governo Lanza]] (14 dicembre 1869 - 10 luglio 1873) dal 15 gennaio 1870 al 5 agosto 1872. Per contro, coloro che rifiutarono di prestare giuramento in favore del nuovo sovrano, rimanendo fedeli alla Patria duosiciliana e al re Francesco II, furono deportati nei campi di prigionia di [[Alessandria]], [[San Maurizio Canavese]] e nel più noto [[Forte di Fenestrelle]], ove i più trovarono la morte<ref>Giuseppe Ressa, ''Il Sud e l'unità d'Italia'', Brigantino - Il Portale del Sud, Napoli e Palermo, 2008</ref>. Circa 20000 militari borbonici e [[Papalino|papalini]], infatti, furono deportati nella fortezza della [[Val Chisone]]: la gran parte di essi morì per la fame, gli stenti e le malattie<ref>{{cite web |url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/05/05/neoborbonici-all-assalto-di-fenestrelle-in-quel.html |title= Neoborbonici all'assalto di Fenestrelle 'In quel forte ventimila soldati morti' |date= 5 maggio 2010 |publisher= [[La Repubblica]] |accessdate=29 luglio 2010}}</ref> e i cadaveri furono sciolti nella calce viva.<ref>Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento'', Milano, 2007, p. 178.</ref> Molti soldati, infine, riuscendo a darsi alla macchia, continuarono a combattere per l'indipendenza delle Due Sicilie unendosi alla ''resistenza dei [[Brigante|Briganti]]''. Per gli ufficiali di Garibaldi, invece, il grado fu riconosciuto in pochissimi casi<ref>[[Luciano Bianciardi]], ''Daghela avanti un passo'', Bietti, 1969.</ref>, ma molti fra i comandanti garibaldini ebbero un ruolo non secondario nell'esercito italiano: Nino Bixio, il napoletano [[Enrico Cosenza]] e [[Giuseppe Sirtori]].


===I delusi dall'unità===
Molti furono i delusi dalla cosiddetta "unità d'Italia": i primi furono, ovviamente, i [[Borbone]] che si trovarono da un giorno all'altro ad aver perso un regno e quindi fecero di tutto per recuperarlo. I secondi furono i contadini ed i poveri meridionali in genere che, dopo aver inizialmente creduto che con Garibaldi le condizioni di vita sarebbero migliorate, si ritrovarono, invece, ad affrontare maggiori tasse e la coscrizione (servizio di leva) obbligatoria, quindi con una diminuzione delle braccia in grado di sostenere una famiglia. Delusi furono anche molti liberali che avevano riposto nell'unità d'Italia la realizzazione delle loro ambizioni, ma che si ritrovarono in una situazione politica sostanzialmente immutata, mentre lo sviluppo che si stava realizzando nel periodo borbonico cessò di colpo. Anche il [[clero]] rimase deluso, sia per la perdita di Umbria e Marche da parte dello Stato pontificio, sia per il frequente esproprio di beni ecclesiastici.
Molti furono i delusi dalla cosiddetta "unità d'Italia": i primi furono, ovviamente, i [[Borbone]] che si trovarono da un giorno all'altro ad aver perso un regno e quindi fecero di tutto per recuperarlo. I secondi furono i contadini ed i poveri meridionali in genere che, dopo aver inizialmente creduto che con Garibaldi le condizioni di vita sarebbero migliorate, si ritrovarono, invece, ad affrontare maggiori tasse e la coscrizione (servizio di leva) obbligatoria, quindi con una diminuzione delle braccia in grado di sostenere una famiglia. Delusi furono anche molti liberali che avevano riposto nell'unità d'Italia la realizzazione delle loro ambizioni, ma che si ritrovarono in una situazione politica sostanzialmente immutata, mentre lo sviluppo che si stava realizzando nel periodo borbonico cessò di colpo. Anche il [[clero]] rimase deluso, sia per la perdita di Umbria e Marche da parte dello Stato pontificio, sia per il frequente esproprio di beni ecclesiastici.


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Deluso fu lo stesso Garibaldi, che, nel 1868, in una lettera ad [[Adelaide Cairoli]], scrisse: "''Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò, non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio''<ref>{{cite web |last=Andrea |first=Galli |url= http://www.avvenire.it/Dossier/Risorgimento/Per+lItalia+nata+storta_201003160847073200000.htm |title= «Però l’Italia è nata storta» - Intervista a Farncesco Maria Agnoli |accessdate= 25 Maggio 2010 |publisher= [[Avvenire]] |date= 16 Marzo 2010}}</ref><ref>{{cite web |last=Lombardo |first=Raffaele |url= http://www.provincia.catania.it/informazioni/la-rivista/sommario/2007/luglio/filepdf/02-03.pdf |title= Giuseppe Garibaldi, un falso eroe per un'incompiuta Unità d'Italia |accessdate= 27 Aprile 2010 |publisher= [[Provincia di Catania]]}}</ref>".
Deluso fu lo stesso Garibaldi, che, nel 1868, in una lettera ad [[Adelaide Cairoli]], scrisse: "''Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò, non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio''<ref>{{cite web |last=Andrea |first=Galli |url= http://www.avvenire.it/Dossier/Risorgimento/Per+lItalia+nata+storta_201003160847073200000.htm |title= «Però l’Italia è nata storta» - Intervista a Farncesco Maria Agnoli |accessdate= 25 Maggio 2010 |publisher= [[Avvenire]] |date= 16 Marzo 2010}}</ref><ref>{{cite web |last=Lombardo |first=Raffaele |url= http://www.provincia.catania.it/informazioni/la-rivista/sommario/2007/luglio/filepdf/02-03.pdf |title= Giuseppe Garibaldi, un falso eroe per un'incompiuta Unità d'Italia |accessdate= 27 Aprile 2010 |publisher= [[Provincia di Catania]]}}</ref>".

== Curiosità ==
{{F|argomento=storia|data=maggio 2009}}
* I "Mille" avevano anche un cappellano, [[Alessandro Gavazzi]], irruente ed avventuroso ex-prete, che poi, criticando radicalmente l'istituzione del [[Papato]] diventa [[Protestantesimo|protestante]].
* Nella famosa [[battaglia del Volturno]] militò nelle file di Garibaldi un giovane [[Carmine Crocco]], in seguito famoso brigante antisabaudo del mezzogiorno italiano.<ref>[http://www.youtube.com/watch?v=vnl_xiGSWaA&feature=related "Gli inizi del brigantaggio: Carmine Crocco", documentario trasmesso da Atlantide su La7]</ref>
* Il più giovane che si imbarcò, assieme al padre, fu Giuseppe Marchetti di Luigi, nato a Chioggia il 24 agosto 1849, all'età di 10 anni, 8 mesi e undici giorni.

Nei Mille non c'erano solo italiani, ma anche alcuni stranieri, o italiani nati all'estero:
* Francesco Antonio Merigone ([[Gibilterra]] 18/4/1836), nato a [[Gibilterra]].
* Francesco Bidischini ([[Smirne]] 28/9/1835), nato nell'odierna [[Turchia]].
* Emanuele Berio detto ''Il Moro'' ([[Angola]] 1840 - [[Napoli]] 2/3/1861), nato in [[Angola]], allora colonia portoghese.
* Ernesto Benesch (Balschoru 1842), nato nell'odierna [[Repubblica Ceca]].
* Natale Imperatori ([[Lugano]] 13/3/1830), nato in [[Svizzera]].
* [[Menotti Garibaldi]] (Mostardas 1840 - [[Roma]] 1903), figlio di [[Giuseppe Garibaldi]], nato in [[Brasile]].
* [[Rosalia Montmasson]] ([[Saint-Jorioz]], 12/6/1825), unica donna dei Mille, nata nella [[Savoia]], ceduta nel 1861 alla [[Francia]].
* Desiderano Pietri ([[Bastia]] - [[Calatafimi]] 15/3/1860) nato in [[Corsica]] ([[Francia]]).
* Carlo Podrecca, sloveno della [[Slavia friulana]].
* Ludovico Sacchy ([[Sopron]] 13/9/1826) nato nell'odierna [[Ungheria]].
* [[Stefano Türr]] ([[Baja]] 11/8/1825) nato in [[Ungheria]]- Budapest 3/5/1908.
* Carlo Vagner ([[Meilen]] 15/8/1837) nato in [[Svizzera]].
* [[Lajos Tüköry]] (italianizzato Luigi Tukory) ([[Körösladany]] - [[Palermo]] 27/3/1860) nato in [[Ungheria]].
* Antonio Goldberg (forse [[Budapest]] 1826 - [[Sorrento]] o [[Salerno]] 1862) nato in [[Ungheria]].

In [[Topolino]] N° 2088 ([[5 dicembre]] [[1995]]), pag. 127, c'è una [[parodia]] di questi eventi, intitolata "Paperibaldi e Lo Sbarco dei 2000".

== Bibliografia ==
* [[Giuseppe Cesare Abba]], ''Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille'', [[1880]]
* [[Giuseppe Bandi]], "I Mille: da Genova a Capua", [[1886]] Il Messaggero - [[1903]] Salani
* [[Anna Banti]], ''Noi credevamo'', [[1967]]
* [[Luciano Bianciardi]], ''Daghela avanti un passo'', [[1969]], Bietti
* [[Antonio Boccia]], "A Sud del risorgimento", [[1998]],Tandem
* [[Lorenzo Del Boca]], "Maledetti Savoia", [[1998]], Piemme
* Denis Mack Smith, "Cavour", [[1984]], Bompiani
* [[Denis Mack Smith]], "I re d'Italia", [[1990]], Rizzoli
* [[Giuseppe Tomasi di Lampedusa]], ''[[Il Gattopardo (romanzo)]]'', [[1958]], Feltrinelli
* [[Rosario Villari]], ''Corso di Storia'', Laterza
* [[Nicola Zitara]], ''L'unità d'Italia. Nascita di una colonia'', [[1971]], Jaka book (Sugli argomenti economici che spingevano alla conquista del Regno delle Due Sicilie da parte del Regno di Sardegna)
* [[Luciano Salera]], ''Garibaldi, Fauché e i predatori del Regno del Sud'', [[2006]], Controcorrente

=== Cinema e televisione ===
Per il [[cinema]]:
* ''[[Viva l'Italia!]] ([[1961]]), regia di [[Roberto Rossellini]]
* ''[[1860 (film)|1860]]'' ([[1934]]), regia di [[Alessandro Blasetti]]
* ''[[Il Gattopardo (film)|Il gattopardo]]'', [[1963]], regia di [[Luchino Visconti]]
* ''[[Bronte - cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato]]'', [[1972]], regia di [[Florestano Vancini]]
* ''[[Li chiamarono... briganti!]]'', [[1999]], regia di [[Pasquale Squitieri]]

Per la [[televisione]]
* ''[[Eravamo solo mille]]''<ref>[http://www.ufficiostampa.rai.it/UFFICIO_STAMPA_MAIN_DETTAGLIO_NEWS.aspx?IDSCHEDAARCHIVIONEWS=43708. Scheda]</ref>, [[2006]], [[fiction|film-tv]], regia di [[Stefano Reali]]

== Voci correlate ==
* [[I Mille]]
* [[Elenco dei garibaldini della Provincia di Brescia nei Mille]]
* [[Giuseppe Garibaldi]]
* [[Risorgimento]]
* [[Questione meridionale]]
* [[Garibaldino]]
* [[Medaglia dei Mille di Marsala]]

== Note ==
{{references|2}}

==Bibliografia==
* [[Lorenzo Del Boca]], ''Indietro Savoia! Storia controcorrente del Risorgimento'', Piemme, Milano, 2003 ISBN 8838470405.
* Aldo Servidio, ''L'imbroglio nazionale: unità e unificazione dell'Italia (1860-2000)'', Guida, Napoli, 2000 ISBN 88-7188-489-2.
* [[Gigi Di Fiore]], ''Controstoria dell'Unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento '', Rizzoli, Milano, 2007 ISBN 8817018465.
* [[Harold Acton]], ''Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861)'', Giunti Editore, Firenze, 1997 ISBN 8809212568.

== Collegamenti esterni ==
* [http://www.ariannascuola.eu/joomla/dal-1848-al-1870/96-italia/233-la-spedizione-dei-mille-schema.html Schema riassuntivo della spedizione]

== Video ==
* [http://it.youtube.com/watch?v=cl1A7jgyWGk&feature=related Il Brigantaggio] (Documentario Geo & Geo sul brigantaggio)

== Altri progetti ==
{{interprogetto|commons=Category:Spedizione dei mille}}

{{Portale|Liguria|Sicilia|storia}}

[[Categoria:Spedizione dei Mille|*]]
[[Categoria:Storia contemporanea europea|Mille, spedizione dei]]

[[cs:Expedice tisíce]]
[[de:Zug der Tausend]]
[[en:Expedition of the Thousand]]
[[es:Expedición de los Mil]]
[[fr:Expédition des Mille]]
[[he:מסע האלף]]
[[ja:千人隊]]
[[pl:Wyprawa tysiąca]]
[[pms:Spedission dij Mila]]
[[pt:Expedição dos Mil]]
[[sr:Поход хиљаде]]

Versione delle 23:28, 29 lug 2010

Spedizione dei Mille
Voci di guerre presenti su Wikipedia

La spedizione dei Mille è un celebre episodio del periodo risorgimentale italiano, avvenuto nel 1860 allorquando un corpo di volontari, protetto dal Piemonte, al comando di Giuseppe Garibaldi, partendo dalla spiaggia di Quarto (oggi Quarto dei Mille, a Genova) sbarcò in Sicilia occidentale, e conquistò l'intero Regno delle Due Sicilie, patrimonio della casa reale dei Borbone.

Premesse

A partire dal famoso incontro di Plombières con Napoleone III, il 21 e 22 luglio 1858 e, soprattutto dalla firma del trattato di alleanza difensiva fra Francia e Regno di Sardegna, il 26 gennaio 1859, il primo ministro Cavour iniziò i preparativi per la liberazione del nord Italia e l'inevitabile guerra all'Austria.

Giuseppe Garibaldi fotografato a Palermo, nel luglio 1860

Il 24 aprile 1859 Cavour riuscì a farsi dichiarare guerra dall'Austria, con inizio delle ostilità il 27 aprile. La seconda guerra di indipendenza terminò l'11 luglio: i termini dell'armistizio di Villafranca riconoscevano al Regno di Sardegna la Lombardia (con l'esclusione di Mantova), ma non il Veneto.

Già dal maggio 1859 le popolazioni del Granducato di Toscana delle Legazioni (Bologna e la Romagna) del Ducato di Modena e del Ducato di Parma scacciavano i propri sovrani e reclamavano l'annessione al Regno di Sardegna,soprattutto grazie alla sapiente azione di agenti provocatori pilotati dal Governo piemontese, mentre le popolazioni di Umbria e Marche subivano la dura repressione del governo pontificio, il cui esempio più sanguinoso fu il massacro di Perugia.

Napoleone III e Cavour erano reciprocamente in debito: il primo poiché non aveva liberato Venezia, il secondo perché aveva liberato l'Italia centrale. Lo stallo venne risolto il 24 marzo 1860, quando Cavour sottoscrisse la cessione della Savoia e della Contea di Nizza alla Francia ed ottenne, in cambio, il consenso dell'Imperatore all'annessione di Toscana ed Emilia-Romagna al Regno di Sardegna. Come disse Cavour all'emissario francese, i due erano divenuti “complici”.

Obiettivi e vincoli all’ulteriore unificazione degli stati italiani

Al marzo 1860, quindi, restavano in Italia, tre soli Stati: il Regno di Sardegna, con Piemonte (inclusa Aosta), Liguria, Sardegna, Lombardia (eccetto Mantova), Emilia, Romagna e Toscana; lo Stato della Chiesa, con Umbria (inclusa Rieti), Marche, Lazio (con l'intoccabile Roma) e le exclave di Pontecorvo e Benevento; il Regno delle Due Sicilie, con Abruzzo (inclusa Cittaducale), Molise, Campania (incluse Gaeta e Sora), Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia.

Si aggiunga l'Impero Austriaco di Francesco Giuseppe che ancora poteva considerarsi una potenza che aveva forti interessi nella penisola italiana, poiché possedeva intere regioni come il Veneto, il Trentino, il Friuli e Mantova. E non si dimentichi la Francia, già allora nell'ambiguo ruolo di potenza protettrice di Roma e principale alleato del Regno di Sardegna: una ambiguità che permise a Napoleone III di mantenere una decisiva influenza sulle cose italiane, sino all'estremo giorno di vita del suo impero, nel 1870 (battaglia di Sedan) e che sarà determinante nel 1860: infatti da un lato Napoleone III impediva al Regno di Sardegna tanto un'azione contro l'Austria (col suo mancato sostegno), quanto un'azione contro Roma (con la sua esplicita opposizione). Restava pertanto ai piemontesi un unico bersaglio possibile: Napoli.

La debolezza del Regno delle Due Sicilie

Il Regno delle Due Sicilie presentava almeno cinque debolezze fondamentali:

  • un monarca giovane e inesperto (Francesco II succeduto al padre Ferdinando II solo il 22 maggio 1859, meno di un anno prima);
  • una situazione interna instabile, da cui derivava una insanabile dialettica fra popolo e signori[senza fonte]; la costante rivalità siciliana; l'opposizione liberale interna;
  • una ostilità da parte dell'opinione pubblica liberale d'Europa, a causa delle repressioni succedutesi dal 1799 in avanti[senza fonte];
  • un'eccessiva vicinanza politica all'Austria, la grande sconfitta del 1859, a scapito delle relazioni con la grande vincitrice, la Francia;
  • relazioni decisamente cattive con la Gran Bretagna.
La stele che ricorda l'impresa dei Mille che prese le mosse dallo scoglio di Quarto-GE

Particolare importanza ebbe, nell'autunno-inverno del 1859, l'azione abbozzata da Francesco II, di concerto con Francesco Giuseppe, a sostegno delle rivendicazioni di Pio IX, del Granduca di Toscana e dei Duchi di Modena e Parma per rientrare in possesso dei loro possedimenti in Italia centrale.

L'iniziativa si scontrava direttamente con gli interessi vitali di Torino (per ragioni evidenti) e di Parigi (dal momento che Napoleone III, per giustificare la guerra all'Austria di fronte all'opinione pubblica francese, doveva annettersi almeno la Savoia).

Solo uno sprovveduto avrebbe potuto immaginare che l'Austria potesse riprendere la guerra meno di un anno dopo Solferino: il Regno di Sardegna aveva assai ingrandito il proprio esercito, passando da cinque a ben quattordici divisioni e Napoleone III mai avrebbe consentito di perdere quella determinante influenza politica in Italia che prima di lui, fra i sovrani francesi, avevano goduto solo Napoleone I, Carlo Magno e, per un poco, Francesco I di Valois.

Un sovrano meno inesperto di Francesco II, o dei consiglieri meno reazionari, avrebbero forse evitato un simile errore, ma, ormai, il Regno delle Due Sicilie non aveva più alleati, potendo contare solamente sulle proprie forze, peraltro disorganizzate e poco motivate[senza fonte].

Spedizione

La ricerca di un casus belli

Al Regno di Sardegna, comunque, mancava un casus belli presentabile per aggredire il Regno delle Due Sicilie. Una condizione indispensabile, dal momento che fra gli imperativi che la politica europea imponeva al Cavour, v'era presentarsi sempre come lo strumento del ripristino dell'ordine.

L'unica occasione era costituita da una sollevazione dall'interno, che provasse la disaffezione delle popolazioni rispetto alla Dinastia che governava a Napoli. Che dimostrasse, soprattutto, l'incapacità di Francesco di Borbone di garantire, in forme accettabili, l'ordine pubblico nei propri domini.

La Sicilia era terreno fertile e i liberali meridionali, specialmente quelli rientrati dopo l'amnistia concessa dal giovane Re, in tal senso lavoravano già da tempo.

La situazione interna nel Regno delle Due Sicilie

1860. I reduci garibaldini bresciani dei Mille

Di opposizione interna nel Regno se ne era già vista davvero molta: in appena sessant'anni i Borbone avevano dovuto schiacciare la Repubblica Partenopea del 1799, la rivoluzione indipendentista siciliana del 1820, la rivoluzione calabrese del 1847 [1]la rivoluzione indipendentista siciliana del 1848 e quella calabrese dello stesso anno[2], il movimento costituzionale napoletano del 1848.

Per ben due volte, inoltre, i Borbone erano stati rimessi sul trono dagli eserciti austriaci: nel 1815 l'austriaco Federico Bianchi sconfisse l'esercito napoletano di Gioacchino Murat, cognato di Napoleone, nella battaglia di Tolentino ed ancora nel 1821 l'austriaco Johann Maria Philipp Frimont sconfisse un secondo esercito napoletano, quello di Guglielmo Pepe, nella battaglia di Rieti e in quella di Antrodoco.

Nel 1860, tuttavia, la situazione appariva di gran lunga più favorevole ai Borbone: sin dal 1821 all'esercito era dedicata costante attenzione economica da parte dei regnanti e, nel complesso, appariva sicuramente fedele alla casa regnante.

I liberali napoletani, inoltre, non avevano forza sufficiente neanche ad imporre una costituzione, nemmeno dopo Solferino. Essi erano però presenti in buon numero nelle alte cariche dell'esercito, e,inoltre, erano assai presenti nella flotta napoletana (che, infatti, non mostrò alcun fervore nel corso dell'intera campagna contro Garibaldi).

Infine vi era il popolo delle provincie continentali: generalmente vicino alla dinastia borbonica, come aveva clamorosamente dimostrato il successo del movimento sanfedista, che, nel 1799, aveva rovesciato la Repubblica Napoletana, con strage dei giacobini del Regno e con la resistenza antifrancese del periodo 1806-1815. Che tali sentimenti filoborbonici fossero tutt'altro che estinti, sarà poi dimostrato dall'estensione della rivolta postunitaria, passata poi alla storia come il cosiddetto brigantaggio.

Rivolta siciliana

Garibaldi raffigurato in un affresco sul muro di un edificio a Guardabosone, in provincia di Vercelli

L'unica delle molte forze opposte ai Borbone che mostrasse la volontà di scendere in armi, in quel 1860, era la fronda siciliana.

I ricordi della lunga Rivoluzione siciliana (1848) erano ancora vividi e la repressione borbonica era stata particolarmente dura e nulli i tentativi del governo napoletano di giungere ad un accomodamento politico. Molti dei quadri dirigenti della rivoluzione (tra cui Rosolino Pilo, Francesco Crispi e altri ancora), erano espatriati a Torino, partecipando con entusiasmo alla seconda guerra di indipendenza e avevano maturato un atteggiamento politico decisamente liberale e unitario.

Inoltre, l'insofferenza non era limitata alle classi dirigenti, ma coinvolgeva una larga fascia della popolazione cittadina e rurale; congiuntura pressoché unica nel corso dell'intero Risorgimento. Prova indubitabile ne fu il grande numero di volontari che si aggregarono ai garibaldini, da Marsala a Messina, sino al Volturno.

Il 4 aprile 1860 si accese un'ennesima fiamma, quando il tentativo a Palermo di Francesco Riso, subito represso, diede il via ad una serie di manifestazioni ed insurrezioni, tenuta in vita dalla famosa marcia da Messina a Piana dei Greci, fra il 10 ed il 20 aprile 1860, di Rosolino Pilo. A chi incontrava per via annunciava di tenersi pronti … che “verrà Garibaldi”.

Il 2 marzo, un mese prima, Mazzini scriveva una lettera ai Siciliani e dichiarava: “Garibaldi è vincolato ad accorrere”. Quando la notizia della sollevazione fu confermata sul continente, il generale ritenne giunto il momento di salpare.

Lo strumento: un esercito di volontari

Garibaldi, reduce dalle brillante campagna di Lombardia con i Cacciatori delle Alpi, aveva dimostrato le proprie capacità di capo militare, con un leggero esercito di volontari e contro un esercito regolare. L'Italia era piena volenterosi, pronti ad aggregarsi ai veterani dei Cacciatori per combattere sotto la sua guida.

L'armamento ed i quadri, qualora non attinti dai Cacciatori, sarebbero giunti dall'esercito sardo. I finanziamenti anche. In ogni caso, la loro origine poteva sempre essere attribuita alla Sottoscrizione nazionale "per un milione di fucili", iniziata già il 18 dicembre 1859 e sostenuta dai comuni nazionalisti, i quali misero insieme notevoli somme.

Garibaldi era, certo, di fede repubblicana, ma, ormai da 12 anni, aveva accettato di collaborare con Casa Savoia. D'altronde i tempi erano tali che lo stesso Mazzini poteva scrivere, che: non si tratta più di repubblica o monarchia: si tratta dell'unità nazionale ... d'essere o non essere.

Per Cavour, Garibaldi era potenziale fonte di grandi preoccupazioni: solo alla fine del 1859 si era portato in Romagna, nell'intento di invadere le Marche e l'Umbria dove le truppe pontificie avevano appena terminato una feroce repressione. E per il governo sardo fermarlo era contemporaneamente imperativo (assente il consenso di Napoleone III) ed assai difficile (come avrebbe dimostrata la giornata dell'Aspromonte, due anni più tardi): perché non impegnarlo, invece, in una missione apparentemente disperata? Garibaldi, infine, godeva dell'illimitata stima dell'opinione pubblica italiana e liberale nel mondo.

In una parola, il Cavour aveva l'uomo giusto da inviare a tentare la famosa sollevazione dall'interno, che sconvolgesse il Regno delle Due Sicilie e riducesse Francesco II a più miti consigli, ovvero “costringesse” il Regno di Sardegna a garantire l'ordine pubblico: la realtà andò ben al di là delle previsioni.

Gli ultimi accordi fra Cavour ed il Re vennero presi in un incontro a Bologna, il 2 maggio. Il precedente 22 aprile Cavour si era recato a Genova, per rendersi conto di persona della situazione.

Viaggio di trasferimento

Targa in ricordo della sosta dei mille a Porto Santo Stefano il 9 Maggio 1860

Nel frattempo l'organizzazione della forza di spedizione era in pieno svolgimento: giungevano a Genova fondi e volontari. Moltissimi altri si preparavano.

Il 4 maggio 1860 veniva stipulato a Torino, dal notaio Gioachino Vincenzo Baldioli, il contratto col quale Garibaldi, rappresentato dal Medici, acquistava dall'armatore Rubattino i due vapori Piemonte e Lombardo. Per il pagamento veniva contratto un debito che in forma segreta era garantito dal Regno di Sardegna.

La sera del 5 maggio la spedizione si imbarcava dallo scoglio di Quarto (oggi un quartiere di Genova). I circa 1162 volontari erano armati di vecchi fucili e privi di munizioni e di polvere da sparo. Queste ultime vennero recuperate (insieme a tre vecchi cannoni ed un centinaio di buone carabine) il 7 maggio presso la guarnigione dell'Esercito del Regno di Sardegna di stanza nel forte di Talamone. Una seconda sosta fu effettuata il 9 maggio a Porto Santo Stefano, per rifornimento di carbone. Formalmente Garibaldi ottenne le une e l'altro poiché le aveva pretese nella sua qualità di maggiore generale del Regio Esercito. Ma è evidente che non avrebbe potuto nemmeno partire senza il consenso di Cavour. Un episodio è in questo senso rivelatore: a Talamone, proprio sotto gli occhi della guarnigione, vennero staccati 64 volontari a preparare un'azione verso l'Umbria e le Marche. In capo a pochi giorni vennero intercettati dal Regio Esercito e reimbarcati per la Sicilia: Pio IX non doveva essere ancora provocato e Garibaldi doveva essere pur sempre ben controllato.

Oltre ai 64 volontari staccatisi dal viaggio, 9 mazziniani abbandonarono la spedizione, mentre i restanti 1089 proseguirono nel viaggio. All'alba dell'11 maggio i due vapori passavano fra Favignana e Marettimo e, grazie alle informazioni ricevute da un pescatore locale sulla temporanea assenza della marina borbonica che da Marsala si era spostata a sud-est in direzione di Sciacca alla ricerca dei due vapori di rivoltosi, puntarono verso il porto di Palermo.

Operazioni in Sicilia

Lo sbarco dei Mille a Marsala da un disegno di un ufficiale osservatore, a bordo di una nave inglese.

I comandanti borbonici, ignorando le segnalazioni dei servizi di informazione napoletani avevano spostato, appena un giorno prima dello sbarco, una consistente guarnigione da Marsala a Palermo, per far fronte alle insurrezioni verificatesi nel capoluogo. Questo cambiamento, però, che fosse stato fatto in buona o in mala fede (come si sostenne), fu fatale. Infatti le navi garibaldine sbarcavano tranquillamente a Marsala la mattina dell'11 maggio. Due navi da guerra borboniche, giunte nel frattempo, tardarono a bombardare gli invasori, forse perché incerte circa le intenzioni di altre due navi da guerra britanniche presenti nel porto per proteggere i numerosi stabilimenti di produzione del vino marsala di proprietà di imprenditori di nazionalità britannica. L'"Argus" e l'"Intrepid", questo il nome delle due imbarcazioni da guerra britanniche, di fatto protessero lo sbarco dei rivoltosi. Solo a sbarco avvenuto le navi napoletane effettuarono uno sterile bombardamento dei moli che si protrasse sino a notte, peraltro senza colpire alcun obiettivo, salvo le due navi dei garibaldini.

Il 14 maggio a Salemi Giuseppe Garibaldi dichiarò di assumere la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele. I Mille, affiancati da 500 "picciotti", ebbero un primo scontro nella battaglia di Calatafimi il 15 maggio, contro circa 4.000 soldati borbonici.

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Calatafimi.

In seguito, aiutato dall'insurrezione di Palermo, tra il 27 e il 30 maggio, Garibaldi conquistò la città, difesa dall'ingenuo ed anziano generale Ferdinando Lanza che lo credeva attestato a Corleone. L'ingresso avvenne attraverso il Ponte dell'Ammiraglio, difeso da un intero battaglione borbonico, che credeva di essere in vigenza di tregua. Il preciso tiro di copertura garantito dai fucili di precisione dei carabinieri di Genova, unito alla spinta entusiasta dei Mille, valsero a superare le difese. Nei successivi scontri tra Porta Sant'Antonio e Porta Termini cadeva l'ungherese Luigi Tüköry, mentre furono feriti, fra gli altri, Benedetto Cairoli, Stefano Canzio e lo stesso Bixio.

Durante il mese di giugno, ai garibaldini si aggregarono altri volontari siciliani e provenienti da altre parti d'Italia, inquadrandosi in quello che poi fu chiamato esercito meridionale.

Il 20 luglio le truppe borboniche vennero sconfitte nella battaglia di Milazzo, forse il primo combattimento realmente svoltosi in Sicilia.

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Milazzo (1860).

Nei giorni successivi, Giacomo Medici ottenne dal generale borbonico Clay la neutralizzazione della fortissima cittadella di Messina e del suo numeroso esercito con, in soprannumero, la liberazione della città.

Garibaldi aveva ottenuto così campo libero e i napoletani si reimbarcarono nel continente.

«Splenda nella memoria dei secoli - l'epopea del 27 maggio 1860 - preparata da cuori siciliani - scritta col miglior sangue d'Italia - dalla spada prodigiosa - di Garibaldi. - Riecheggi nella coscienza dei popoli - il tuo ruggito, o Palermo - sfida magnanima - a tutte le perfide signorie - auspicio di liberazione a tutti gli oppressi del mondo»

Operazioni sul continente

Con la neutralizzazione di Messina, Garibaldi iniziò i preparativi per il passaggio sul continente. Cavour esercitava fortissime pressioni per procedere subito ai plebisciti in Sicilia, preoccupato che la benevola neutralità di Francia ed Inghilterra potesse rovesciarsi, inficiando le conquiste compiute. Più aggressivo si dimostrava, sicuramente, Vittorio Emanuele II, il quale incoraggiava il generale a passi decisi.

Mentre forze borboniche attendevano lo sbarco garibaldino a Reggio, il 19 agosto Garibaldi prescelse un tragitto alquanto più lungo e sbarcò sulla spiaggia ionica di Melito Porto Salvo, in Calabria. Garibaldi disponeva, ormai, di circa ventimila volontari. In Calabria i borbonici non seppero offrire una dignitosa resistenza: mentre interi reparti dell'esercito borbonico si disperdevano o passavano al nemico il 30 agosto un'intera colonna, comandata dal generale Giuseppe Ghio, venne disarmata a Soveria Mannelli.

Il re Francesco II abbandonò Napoli per portare l'esercito fra la fortezza di Gaeta e quella di Capua, con al centro il fiume Volturno, così, il 7 settembre, Garibaldi, praticamente senza scorta, poté entrare in città accolto da liberatore. Le truppe borboniche, ancora presenti in abbondanza ed acquartierate nei castelli, non offrirono alcuna resistenza, e si arresero poco dopo.

In seguito avviene la decisiva battaglia del Volturno, dove Garibaldi respinse una grande avanzata dell'esercito borbonico (circa 50.000 soldati). La battaglia terminò il 1º ottobre (altri dicono il 2 ottobre).

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia del Volturno.

Nei giorni immediatamente successivi alla battaglia giunse il corpo di spedizione sardo, sceso attraverso le Marche e l'Umbria papalini (dove aveva sconfitto l'esercito pontificio alla battaglia di Castelfidardo), l'Abruzzo ed il Molise borbonici.

Subito dopo (21 ottobre) si svolse un referendum per l'annessione del Regno delle due Sicilie al Regno di Sardegna, che diede uno schiacciante risultato a favore dell'annessione. È forse da notare il fatto che all'epoca i referendum erano chiamati plebisciti ed avevano sempre risultati scontati.

L'impresa dei Mille si può considerare terminata con lo storico incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II del 26 ottobre 1860 a Teano. Il 6 novembre Garibaldi schierò in riga, davanti alla Reggia di Caserta, 14 mila uomini, 39 artiglierie e 300 cavalli. Essi attesero molte ore che il Re li passasse in rassegna, ma invano. Il giorno successivo, 7 novembre, il Re faceva il suo ingresso a Napoli. Garibaldi, invece, si ritirò nell'isola di Caprera, dando avvio alla sua (non immeritata) fama di moderno Cincinnato.

Nel frattempo, il 4 e il 5 novembre si erano tenuti, con esito favorevole, i plebisciti per l'annessione di Marche ed Umbria.

Storiografia

Critica storiografica anti-garibaldina

Battaglia del Volturno - combattimento di Porta Romana, verso Santa Maria Maggiore

La spedizione dei Mille è un passaggio obbligato per capire la storia dello Stato unitario italiano. Taluni vedono nell'impresa garibaldina il punto d'origine di fenomeni complessi come il brigantaggio, lo squilibrio nord-sud e la cosiddetta "Questione meridionale".

Qualche corrente di pensiero ritiene che la spedizione dei Mille sia stata narrata in modo "agiografico", dalla storiografia tradizionale. Ciò, in particolare, a fronte della damnatio memoriae che toccò alla dinastia borbonica e al brigantaggio che arrivò ad impegnare fino a 140.000 soldati del nuovo Regno d'Italia[3]: nell'iconografia tradizionale, la discussa figura di Garibaldi assume facilmente le sembianze dell'eroe che combatte e vince contro un esercito ben più numeroso, mentre i tanti “briganti” che in seguito combatterono contro un ben più organizzato esercito piemontese ebbero il torto di essere perdenti. Insomma, il mito di Garibaldi sarebbe stato funzionale agli assetti di potere vincenti.

Lo storico inglese Mack Smith ne "I re d'Italia", con riferimento al periodo storico che comincia dall'unità d'Italia (1861) scrive: "La documentazione di cui disponiamo è tendenziosa e comunque inadeguata. ... gli storici hanno dovuto essere reticenti e, in alcuni casi, restare soggetti a censura o imporsi un'autocensura"[4]. Questi critici sostengono ancora oggi, a 150 anni di distanza da quegli avvenimenti che regna una cortina fumogena di disinformazione e negazione.

Dibattito politico

La principale linea di dibattito è rappresentata dal ruolo dei garibaldini come puntelli delle strutture sociali arretrate che caratterizzavano il Regno delle Due Sicilie, emblematicamente rappresentate dal baronato.

La maggior parte dei latifondisti del Meridione non opposero alcuna resistenza attiva all'impresa dei Mille, una volta verificato che la struttura esistente della proprietà terriera non veniva toccata. Come sintetizzato dalla famosa frase del romanzo Il gattopardo: "Tutto deve cambiare affinché non cambi niente". Alcuni contadini siciliani si unirono invece alla spedizione contando in una distribuzione di terre demaniali a chi le lavorava. Le tragiche conseguenze si videro quando il generale Nino Bixio ebbe l'ordine di reprimere nel sangue la pretese dei contadini, con un esempio particolare alla strage di Bronte il 4 agosto 1860. Certamente, la mancata redistribuzione della terra costituì una delle tante ragioni alla base del cosiddetto brigantaggio che di fatto va inquadrato come una guerra civile di resistenza partigiana e non come un banale fenomeno delinquenziale. Ciò viene anche descritto nel film Li chiamarono... briganti! di Pasquale Squitieri, focalizzato sulle imprese del brigante lucano Carmine Crocco, sebbene la pellicola abbia diviso la critica riguardo agli eventi narrati.[5]

Al 'tradimento' dei nobili, viene associato il tradimento degli ufficiali. Non è chiaro l'intreccio tra Cavour, inglesi e esercito borbonico, ma è certo che interi reparti rinunciarono a combattere, benché buona parte dell'armata di terra abbia servito il proprio sovrano fino all'ultima battaglia. Una questione concerne i vantaggi che lo stato sabaudo, con le sue finanze disastrate dalle numerose campagne militari volute da Cavour, avrebbe ricevuto dalla floridezza economica del Regno delle due Sicilie. In molti sostengono che la conquista del reame borbonico (avvenuta persino senza dichiarazione di guerra)[6][7][8] sia stata economicamente provvidenziale ed abbia contribuito nettamente alla ripresa economica delle regioni sabaude Lombardia, Piemonte e Liguria.[9]

Secondo lo studioso lucano Francesco Nitti, il regno dei Borbone aveva un capitale di 443,2 milioni di lire oro, equivalente a più del doppio delle ricchezze di tutti gli altri stati preunitari messi assieme, compreso il Regno dei Savoia, il quale possedeva un patrimonio di soli 27 milioni.[10] Lo stato borbonico venne anche premiato all'Esposizione Internazionale di Parigi nel 1856 come terzo stato più industrializzato d'Europa[11] e vantava diversi primati scientifici e tecnologici, tra cui la costruzione della prima ferrovia nella penisola (Napoli-Portici), prima illuminazione a gas e primo telegrafo elettrico.[11]

Si ritiene che già nel 1856, quattro anni prima della spedizione di Garibaldi, Cavour e il conte di Clarendon, ministro degli esteri inglese, avrebbero avuto contatti per organizzare rivolte antiborboniche nelle Due Sicilie[12] e il primo ministro sabaudo avrebbe corrotto l’agenzia di stampa Stefani, imponendo propagande contro il governo duosiciliano per accattivarsi le simpatie del popolo meridionale.[13]

La questione dell'appoggio inglese

Un'altra linea concerne l'appoggio del governo britannico alla spedizione.

Esso viene motivato da molti studiosi (tra cui Lorenzo Del Boca[14] e Carlo Alianello[15]) con la necessità di spuntare condizioni economiche migliori per lo zolfo di Sicilia, di cui le navi a vapore inglesi facevano largo consumo. Lo zolfo era un elemento essenziale nella lavorazione dell'acciaio, oltre ad essere un additivo del carbone combustibile, ed era un protagonista collegato alla Seconda Rivoluzione Industriale, del carbone e dell'acciaio.

Alcune navi da guerra di Lord Palmerston incrociavano al largo di Marsala, il giorno dello sbarco dei Mille. Lo sbarco si sarebbe risolto in un disastro "alla Pisacane" se, ancorati ai bassi fondali davanti a quel porto, non si fossero trovati due vascelli inglesi, l’Argus e l’Intrepid.

Inoltre, alcuni storici, basandosi su lettere e documenti di Cavour, sostengono che gran parte del comando di Esercito e Armata di Mare delle Due Siclile fosse interessato a rimanere "reticente" nel contrastare i Mille nella loro avanzata. Parecchi ufficiali, infatti, avevano stretti legami con gli inglesi. In sostanza, gli alti ufficiali borbonici si lasciarono corrompere da emissari piemontesi che assicurarono ai primi, oltre al prosieguo della carriera nel futuro stato unitario, anche lauti compensi in danaro. La massoneria inglese, infatti, finanziò con 3 milioni di franchi[16] la spedizione dei mille per il tramite del primo ministro sabaudo Cavour. Convertita in piastre turche, la moneta più accettata nei porti del mediterraneo, quella somma, o, meglio, parte di essa, servì per comprare i servigi degli ufficiali traditori.

In generale queste osservazioni rispondono alla domanda di come mai abbiano potuto 1.000 armati irregolari, ancorché raggiunti da rinforzi, sgominare un esercito molto più numeroso, meglio armato ed addestrato che agiva dalle sue basi principali, in mezzo ad una popolazione amica.

Dopo la spedizione

Vittorio Emanuele re d'Italia

Dopo la sconfitta sul Volturno, il re, la regina e i resti dell'esercito borbonico si erano asserragliati a Gaeta, allora parte del Regno delle Due Sicilie. L'assedio di Gaeta, iniziato dai garibaldini il 13 novembre 1860, fu concluso dall'esercito sardo il 13 febbraio 1861. Gli ultimi Borbone di Napoli andarono in esilio.

Il 17 marzo 1861, Vittorio Emanuele II fu proclamato Re d'Italia, mantenendo, però, il numerale "II". Ciò sta ad indicare la palese continuità tra il vecchio stato piemontese ed il nuovo stato unitario: il Regno di Sardegna cambiava nome in Regno d'Italia conservando la propria identità statuale (ma moltiplicando il territorio in seguito all'annessione delle Due Sicilie e degli altri Stati della penisola).
La continuità è evidenziata anche dall'imposizione, alle popolazioni conquistate, dell'intero corpo normativo piemontese (che soppiantò quelli preesistenti) e dalla successione delle legislature che non venne interrotta con la formazione del primo parlamento del neonato Regno d'Italia.

"Fatta l'Italia, bisogna fare gli Italiani": a questo motto - attribuito dai più a Massimo D'Azeglio, ma da alcuni anche a Ferdinando Martini - fu ispirata tutta la politica successiva alla spedizione dei Mille.

Agli ufficiali dei disciolti Esercito ed Armata e di Mare del Regno delle Due Sicilie fu consentito di entrare nell'esercito e nella marina del neonato Regno d'Italia mantenendo il medesimo grado. Un esempio su tutti è quello dell'ufficiale Guglielmo Acton, nipote di Joseph Edward Acton e cugino di secondo grado di Lord Acton. Con il grado di capitano di fregata, Guglielmo Acton era comandante della corvetta «Stromboli», una delle navi della flotta borbonica che, nella mattinata dell'11 maggio 1860, avevano l'incarico della caccia ai due vapori piemontesi che i servizi borbonici avevano indicato trovarsi nel tratto di mare compreso tra Trapani e Sciacca e che non contrastarono, se non con forte ritardo, lo sbarco dei Mille a Marsala. Dopo che l'unificazione fu compiuta, Guglielmo Acton fu nominato ammiraglio del Regno d'Italia divenendone, in seguito, anche senatore e Ministro della Marina del Governo Lanza (14 dicembre 1869 - 10 luglio 1873) dal 15 gennaio 1870 al 5 agosto 1872.

Deportazioni e resistenza al nuovo governo

Coloro che rifiutarono di prestare giuramento in favore del nuovo Sovrano, rimanendo fedeli al reame duosiciliano e al re Francesco II, furono relegati nei luoghi di prigionia di Alessandria, San Maurizio Canavese ed il più noto Forte di Fenestrelle, ove i più trovarono la morte[17]. A Fenestrelle, circa 20000 militari borbonici e papalini vi furono deportati; la gran parte di essi morì per la fame, gli stenti e le malattie[18] e i cadaveri furono sciolti nella calce viva.[19] Molti soldati, infine, riuscendo a darsi alla macchia, continuarono a combattere per l'indipendenza delle Due Sicilie unendosi alla resistenza dei Briganti. Per gli ufficiali di Garibaldi, invece, il grado fu riconosciuto in pochissimi casi[20], ma molti fra i comandanti garibaldini ebbero un ruolo non secondario nell'esercito italiano: Nino Bixio, il napoletano Enrico Cosenza e Giuseppe Sirtori.

Molti furono i delusi dalla cosiddetta "unità d'Italia": i primi furono, ovviamente, i Borbone che si trovarono da un giorno all'altro ad aver perso un regno e quindi fecero di tutto per recuperarlo. I secondi furono i contadini ed i poveri meridionali in genere che, dopo aver inizialmente creduto che con Garibaldi le condizioni di vita sarebbero migliorate, si ritrovarono, invece, ad affrontare maggiori tasse e la coscrizione (servizio di leva) obbligatoria, quindi con una diminuzione delle braccia in grado di sostenere una famiglia. Delusi furono anche molti liberali che avevano riposto nell'unità d'Italia la realizzazione delle loro ambizioni, ma che si ritrovarono in una situazione politica sostanzialmente immutata, mentre lo sviluppo che si stava realizzando nel periodo borbonico cessò di colpo. Anche il clero rimase deluso, sia per la perdita di Umbria e Marche da parte dello Stato pontificio, sia per il frequente esproprio di beni ecclesiastici.

Il malcontento popolare sfociò nel movimento di resistenza definito, poi, brigantaggio, che fu ferocemente represso dall'esercito del nuovo Regno d'Italia. Nel decennio successivo all'unità, furono necessari 140.000 militari, la sospensione dei diritti costituzionali (Legge Pica), l’esercizio del diritto di rappresaglia sulla popolazione civile, nonché devastazioni e saccheggi di interi abitati (come a Pontelandolfo e Casalduni) per poter pacificare le province, cosiddette, meridionali. Una vera e propria guerra civile che ebbe come risultato "l'emigrazione di massa", fenomeno in precedenza sconosciuto nelle Due Sicilie.

Ne I Malavoglia di Giovanni Verga appare chiara la disillusione, seguita da una cocente delusione, della popolazione di fronte alla nuova Italia unita, attraverso i racconti della lunga coscrizione del giovane 'Ntoni, la morte del giovane Luca nella battaglia di Lissa e le nuove tasse[21]. La cocente delusione di chi sperava che l'unità d'Italia avrebbe cambiato le sorti del sud è ben raccontata anche nel romanzo di Anna Banti, Noi credevamo[22].

Deluso fu lo stesso Garibaldi, che, nel 1868, in una lettera ad Adelaide Cairoli, scrisse: "Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò, non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio[23][24]".

Curiosità

  • I "Mille" avevano anche un cappellano, Alessandro Gavazzi, irruente ed avventuroso ex-prete, che poi, criticando radicalmente l'istituzione del Papato diventa protestante.
  • Nella famosa battaglia del Volturno militò nelle file di Garibaldi un giovane Carmine Crocco, in seguito famoso brigante antisabaudo del mezzogiorno italiano.[25]
  • Il più giovane che si imbarcò, assieme al padre, fu Giuseppe Marchetti di Luigi, nato a Chioggia il 24 agosto 1849, all'età di 10 anni, 8 mesi e undici giorni.

Nei Mille non c'erano solo italiani, ma anche alcuni stranieri, o italiani nati all'estero:

In Topolino N° 2088 (5 dicembre 1995), pag. 127, c'è una parodia di questi eventi, intitolata "Paperibaldi e Lo Sbarco dei 2000".

Bibliografia

Cinema e televisione

Per il cinema:

Per la televisione

Voci correlate

Note

  1. ^ Domenico Romeo (S. Stefano d’Aspromonte RC) nel settembre del 1847 organizzò una la rivolta, di cui è considerato dagli storici come l'ideatore, il promotore e il capo indiscusso. Egli ordì una trama tra Calabria, Sicilia e Basilicata che coinvolse i veterani della Carboneria e , in accordo con i patrioti Siciliani, doveva propagarsi per tutto il Regno. Il 3 settembre con 500 insorti occupò Reggio ma non vi fu unità d’intenti e la rivolta venne repressa nel sangue. Romeo venne decapitato mentre a Gerace (RC) vennero fucilati cinque insorti Michele Bello, Rocco Verduci, Pierdomenico Mazzone, Gaetano Ruffo, Domenico Salvadori.
  2. ^ Capeggiata da Benedetto Musolino che istituì un Governo provvisorio a Cosenza
  3. ^ Rosario Villari, Corso di Storia, Laterza,
  4. ^ Denis Mack Smith, I re d'Italia, Rizzoli, 1990
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Bibliografia

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