Insurrezione lucana

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L’insurrezione lucana è il nome di una serie di episodi del Risorgimento avvenuti in Basilicata nel mese di agosto dell’anno 1860.

File:Paesibasilicata1860.jpg
I comuni dell'insurrezione. In rosso quelli dove fu proclamata l'unità, in marrone quelli che fornirono uomini alle forze insurrezionali, in giallo dove si ebbero tentativi contro-insurrezionali, in azzurro i comuni toccati dal percorso di Giuseppe Garibaldi.

In questo periodo la provincia fu la prima, della parte continentale del Regno delle Due Sicilie, a dichiarare decaduto il re Francesco II di Borbone e a proclamare la sua annessione al Regno d’Italia.[1]

«La Basilicata, questa terra di antiche memorie è insorta. L'incendio è scoppiato nel cuore delle provincie messe al di qua del faro. L’antica Lucania è già provincia del regno d'Italia. Ecco la prima pagina di questa nuova storia»

Storia

Moti risorgimentali

Lo stesso argomento in dettaglio: Risorgimento.

Montemurro, centro d'azione dei comitati rivoluzionari

Le attività liberali erano presenti in Basilicata sin dalle rivolte del 1828 e del 1848.

In seguito alla concessione e alla successiva abrogazione della Costituzione del Regno delle due Sicilie, i liberali lucani si erano riuniti in comitati, dalle idee mazziniane, guidati principalmente da Giacinto Albini (ricercato dalle guardie borboniche proprio per aver già promosso e fondato un circolo costituzionale nel 1848), che a Montemurro aveva fondato un comitato anti-borbonico di stampo repubblicano nel 1850.

Da questo, che era quello centrale, nacquero comitati dello stesso genere in tutti i principali centri della regione.

A seguito della sovrana indulgenza del 17 febbraio 1852 si trasferiva a Napoli, dove continuò a diffondere la propaganda repubblicana mantenendosi in contatto con Giuseppe Mazzini. Questo nuovo comitato non era che il trait d'union tra Napoli e la Basilicata, dove restava forte e attivo il comitato di Montemurro (grazie ai suoi intensi commerci con tutta la Basilicata, i montemurresi esportavano di continuo le idee dell'Albini). La Basilicata appunto, grazie a queste intense attività, era già pronta ad insorgere nel 1857.

In seguito al terremoto del 1857, che distrusse quasi interamente Montemurro, Albini fu costretto a spostare il centro dell’azione dal paese alla casa di campagna del suo compagno Luigi Marra (in località Morroni), dove già da un anno era installato un modesto laboratorio delle polveri.

Ma individuato ben presto Montemurro come centro d'azione dei comitati rivoluzionari e in seguito all'arresto del fratello Nicola, Giacinto Albini fu costretto a spostare la sede centrale a Corleto Perticara.

Proclamazione dell’insurrezione

Nel 1860, dopo la battaglia di Milazzo e la presa della Sicilia da parte degli uomini di Garibaldi, Giacinto Albini, insieme a Camillo Boldoni e Nicola Mignona si riunirono a Corleto Perticara, la sera del 13 agosto, per organizzare l’insurrezione della provincia.

Al colonnello Boldoni fu dato il comando delle azioni militari, così come stabilito da un telegramma pervenuto dal comitato unitario di Napoli del 10 agosto precedente.

I poteri civili furono invece avocati dall’Albini e da Mignona.

Il 14 agosto furono inviati messi agli altri comitati lucani, ed anche nel barese, cosentino e nel Cilento, per diffondere le notizie e l’intenzione di marciare su Potenza.

Il Boldoni informò il comitato centrale napoletano delle sue intenzioni con il seguente telegramma:

«Sabato, 18 agosto, mi recherò sopra Potenza per proclamare colà il governo di S. M. Vittorio Emanuele e la Dittatura di V. S. I.»

Il comitato insurrezionale aveva sede nella casa dei signori Senise.

Insurrezione a Corleto

Il giorno 16 agosto nella cittadina di Corleto Perticara, alle cinque del pomeriggio, Albini e i suoi uomini, proclamarono ufficialmente l’Unità d’Italia, in una manifestazione popolare e religiosa tenuta in piazza Del Fosso, poi ri-denominata piazza del Plebiscito.

Furono deposti gli stemmi e le insegne borboniche, e al loro posto innalzati immagini di Vittorio Emanuele II re d’Italia e bandiere del regno sabaudo. La cerimonia fu accompagnata da musiche, sfilate militari e fuochi d’artificio.

Lapide in memoria di Carmine e Tommaso Senise a Napoli.

Lo storico e patriota Michele Lacava, presente all'evento, lo descrisse così:

«Alle 5 ore p. m. del giorno 16 Agosto, presenti nella vasta del Plebiscito (allora del Castello) 400 militi della Guardia Nazionale, e del drappello d'insorti, e circa 80 disertori, il Comitato Lucano, il Prodittatore Albini ed il Colonnello Boldoni proclamano solennemente il Governo Nazionale, innalzando la gloriosa bandiera della Patria che doveva trionfare nell'Italia Meridionale, come gloriosamente era trionfata a Palermo e in tutte le regioni libere di Italia. Assistevano più migliaia di persone che dalla piazza del Plebiscito, e lungo la via ora detta Nazionale, si estendevano alla Gersa, vasto luogo di pubblico passeggio; quando fu proclamato il governo Nazionale, i militi della Guardia Nazionale e degl'Insorti, presentarono le armi al sacro vessillo d'Italia, mentre delle Bande suonavano inni patriotici del 1848: ed il popolo acclamava al nuovo governo con evviva e segni di gioia impossibili a descriversi, e che sono speciali del popolo meridionale, quando in esso la passione e la gioia traboccano oltre misura.
Due degni sacerdoti, Salvatore Guerrieri, e Biagio Martino, ambo ora morti, uno nella chiesa parrocchiale, ricorrendo la festività di S. Rocco da Montpellier, primissima nel paese di Corleto; e l'altro appena dopo la proclamazione del governo Nazionale nella Gersa, predicarono al popolo: il primo mostrando il risorgimento del popolo latino e l'alleanza dell'Italia colla Francia, e come fosse precetto dell' Evangelo accogliere il governo Nazionale, e abbandonare l'infausto governo dei Re spergiuri: era volere di Dio farsi l' Italia una, libera ed indipendente. Il secondo bandi al popolo la rivoluzione avvenuta, il servaggio distrutto, e la libertà acquistata; fu felice il paragone tra Cristo Redentore del genere umano, e Garibaldi redentore dell'oppresso popolo Italiano.»

Nella serata dello stesso giorno, giunsero nella cittadina i drappelli dei comitati insurrezionali dei paesi vicini:

  • da Pietrapertosa giunsero 45 armati agli ordini di F. Saverio Garaguso;
  • da Aliano arrivarono 14 uomini comandati da Giambattista Leo;
  • da Ferrandina una colonna, di numero imprecisato, comandata da Carmine Sivilla e Giacomo Leonardis;
  • da Miglionico un drappello comandato da Giambattista Materi;
  • da Missanello giunsero gli uomini capitanati da Rocchino de Petrucellis;
  • da Gallicchio arrivarono 82 uomini comandati dal signor Robilotta
  • da Gorgoglione e Cirigliano furono riuniti gli uomini della colonna di Giuseppe Bruno;
  • da Montemurro gli uomini di Pietro Bonari;
  • da Spinoso quelli di Nicola Albini.

Il comitato di Corleto fornì armi, vettovaglie e munizioni, raccolti anche 4.000 ducati.

Il giorno seguente, nella cittadina di Rionero in Vulture, il sindaco Giuseppe Michele Giannattasio, scese in piazza con il quadro di Garibaldi tra le mani e urlando «Viva Garibaldi!». Successivamente, insieme con Emanuele Brienza, Canlo Musio, Nicola Mennella, Achille D'Andrea, Achille Pierro, Francesco Pennella e Costantino Vitelli, marciò alla testa di un drappello di 54 uomini alla volta di Potenza.

All’alba del 18 agosto gli uomini riuniti a Corleto, circa 500, partirono verso Potenza.

Dopo una sosta nella cittadina di Laurenzana, furono raccolti altri uomini, con a capo Basilio Asselta; mentre da Accettura provenivano gli uomini di Leonardo Belmonte.

Giunti ad Anzi, oltre agli uomini della stessa città comandati da Francesco Pomarici, si unirono al contingente insorti provenienti da:

Al comando di Boldoni erano quindi 800 uomini.

18 agosto 1860

Già durante la notte del 17 agosto, le truppe insurrezionali giunte da Melfi e Sala Consilina, erano alle porte di Potenza.

All’alba del giorno 18 gli uomini entrarono in città, sostenendo lo scontro con la Guardia Nazionale borbonica. Una cronaca di un contemporaneo, ripresa dallo storico Michele Lacava, descrive così lo scontro:

Targa commemorativa a Potenza.

«Un palladio stava nella Guardia Nazionale, la quale non smettendo dalla sua missione, pur quando gli sia riuscito impossibile di armarsi, perché iterate volte chiedente, non ha potuto avere armi da Napoli, adempiva all'ufficio suo.
Ma debole argine sembrava la Giunta Nazionale ad un traboccante torrente di fole, di paure, di minacce provvenienti dai Capi di quella stessa forza, che sotto nome di Gendarmeria fu ministra di Tirannia prima che si rivocasse a vita lo Statuto.
Digraziatamente in Potenza questa forza era comandata da un Salvatore Castagna. [...] A trarre costui dal reo disegno di mettere la cosa pubblica in disordine più d'uno adaperavasi nella sera del giorno 17 di questo mese. Gennaro Ricotti, Angelo Maria Addone, ed altri capitani Nazionali, cittadini cospicui insinuavano, pregavano smettesse da quell'ostile procedere contro a' Nazionali: i nazionali lasciar la gendarmeria libera disponitrice delle sue cose, de' suoi pensamenti; ma non turbasse lo sviluppo delle libere istituzioni; non minacciasse i pacifici cittadini. Nè valea tanto affatigarsi che l'indole sovversiva dal Castagna bevuta da problematici fonti spronava la gente d'arme a lui sottoposta a tale rombo di aperte violenze. Nè furon i Gendarmi si cauti che ne cacciasser fuora motto; poiché trabanti ed altri uffiziali di guarnigione, a donne, a confidenti non facessero palese il concetto di manomettere la proprietà, di minacciar furibondi la vita dei proprietarii a strage e rovina di vergini e fanciulli, che designavano portare in punta di bajonette.
La notte stettero ne' quartieri in continuato movimento: si distribuirono cartucce e munizioni. Ogni oggetto presioso fu amosso dal quartiere, assicurato alla meglio. Tutta la forza de' Gendarmi, che era nel locale della Intendenza, con sospetti movimenti si riunì all'altra nel locale della strada meridionale, ove abitava il Castagna. Il quartiere della Intendenza lasciossi aperto. Castagna sicurava la moglie nella casa di un proprietario. I quali fatti rilevavano i proponimenti reazionarii nascosti dal Castagna di metter mano al sangue; e che del popolo sarebbesi fatto guasto e desolazione. Poscia all'alba schierava tutta la Gendarmeria con arme, sacchi, e cappotti, e dritto defilava sul vicino Monte alla parte occidua della Città. Colà armeggiando sulla spianata or in un punto or in un altro, faceva simulacro di battaglia. I Cittadini, i Nazionali, ignari de' pensieri della Gendarmeria, e solo contenti che se ne fusse uscita, non tanto smisero da' timori; che de' tristi pensamenti di essa non curanti, per la maggior parte del tempo si restrinsero a tenere sciolte in taluno sbocco della Città.
Erano dal buon mattino sino alle undici colà sul Monte i Gendarmi, che furono veduti all'ombra della chiesa di S. Antonio Abbate, bivaccare e far fascio d'arme. Accertan tutti, che Capitan Castagna distribuisse loro liquor spiritoso per eccitarli ad ubbriachezza. E mentre in quel loco così gavazzavano, messi dal Castagna venivano in Città per assicurarsi dello stato dei cittadini, e più del Corpo della Gran Guardia in piazza del Sedile. Era presso al meriggio, consueta ora, nella quale minor numero di Nazionali trovavasi acquartierato perché nelle case alla diuturna colezione intenti. La città tranquilla, la gente ridotta nelle abitazioni per sfuggire gli ardori del sirio. Riferito quello stato al Castagna, parvegli or propizia a menare ad effetto suoi pravi disegni. Di botto chiama a raccolta la sua truppa, nella quale avea radunato ancora ordinanze, gendarmi in servizio di polizia, e quanti avessero ufficii in Potenza. Cala giù dal Monte in su la rotabile via che mena a Napoli, ed ivi di nuovo schiera a rassegna le sue forze. Chi conosce la topografica posizione di Potenza, rievocherà a memoria che uscendo di Porta Salsa la via rotabile giù scende con una rampa alla parte meridionale della Città, lasciando a sinistra un ordine continuato di nuove case, tra i quali il Palazzo Quartiere della Gendarmeria, e che proseguendo più giù al gomito che dicesi di Cavallo, evvi della strada, che fa un trivio, una seconda rampa, che va a ricongiugersi con la strada sotto al Monte nel punto ove il Castagna schierato avea le sue forze. Or costui, facendo dar suono alle trombe, con passo di carica, e con calata bajonetta ad arma imbrandita risalento, veniva alla volte della Città. Niun badò a' pensamenti del Capitano, forse perché si credette volesse rientrare nel suo quartiere messo sulla prima rampa; ma quando giunta al gomito di Cavallo videro la soldatesca con più celere passo proseguir oltre la dritta via che mena alla piazza del Sedile; oh! allora nella mente di tutti surse sinistro pensiere di quelle mosse. La folla dei curiosanti fu molta; ma pochi coloro, che destessero i Nazionali, i quali stavano in quartiere a Piazza del Sedile, ove la Gendarmeria indirizzavasi. Fin molti Nazionali confusi a moltissimi cittadini sulla spianata del Muraglione, che sporge come terrazza sulla strada meridionale, era spettatrice ignara delle mosse di quella gente armata. Con essa il Capitano avvanzando sempre a passo di carca, e con fiato alle trombe, presa la rivolta per montar sul Muraglione, dispose la forza in doppie righe, in modo che l'una guardasse plutoni, facendo che di essi parte si avanzasse in piazza, parte s'inmmettesse in Città sulla strada Pretoria pei vicoli S. Bonaventura, Iasone, e Forno S. Gerardo, e’l popolo accorso frammisto ai Nazionali meravigliò di quel subitaneo procedere; e tra lo stupore e la maraviglia non intravide i disegni del Castagna, che al cospetto di quel popolo stesso dava mano al più nero tradimento sotto di un grido, che risuonasse caro al popolo Potentino, caro a que' Nazioanli: viva l'Italia, viva Garibaldi; gridò, che fu creduto segnale di pace e fraternale concordia col Potentino zelatore magnanimo della indipendenza d’Italia, tanto che un Gaetano Clementelli Canonico, ed un Giulio Maffei stendevan già con molti cittadini le braccia per tenerezza a quegli Uffiziali di Gendarmeria: i quali svelando l'infame, e perfido disegno dettero in quel punto cenno di vivissimo fuoco con scarica di una moschetteria sul popolo inerme gridando: viva il Re, abbasso la Costituzione, morte a Garibaldi.
Corrono i Nazionali; erompono dal Quartiere, dai vicoli sulla strada; forte nucleo di gente come argine poderosissimo para il petto innanzi a quel torrente di Gendarmeria. Un vivo ardore agita i Nazionali, che gridano al tradimento; e con una moschetteria spaventevole non pur contrastano al nemico l’entrata in Città; ma costringon lo disperato ad arrendersi tra una gora di sangue. E mentre colà pugnavasi da Nazionali; già molti Gendarmi per gli sbocchi ne' vichi di S. Bonaventara, di lasone, di Forno S. Gerardo penetrati nell'interno, dettero a ruba, a saccheggio, ad uccisioni le case de' pacifici cittadini. Immessi in su la strada Pretoria or una, or altra abitazione tentavano di aprire, più mirando a guadagnare le prigioni per spalancarne le porte, e sbrigliare i condannati a comun danno. […]
Potenza, che era stata in grandi trepidazioni, e pavento di stragi, di disonor di donzelle, di rapine e saccheggi, consuete minacce dei gendarmi e della reazione, volse in grande letizia, elevando gli animi ed evviva alia Guardia Nazionale salvatrice: a rendimento di grazie al soffio dell'Onnipotente, ed al divo Gerardo Pontefice e Protettore della Città; il quale con mano soccorritrice dell'ardita impresa fu sostegno e valore a chi difende la Patria. La quale verrà col tempo segnando con monumento solenne che i potentini ebbero cuore e valore italiano, quando nel giorno 18 Agosto 1860 con la sconfitta di 400 braccia fratricide posar fine al servaggio della miglior parte d' Italia con magnanima impresa.»

Una volta preso il controllo del municipio e dell’intendenza della provincia, la sera dello stesso 18 agosto gli 800 uomini del colonnello Boldoni giunsero dalla via di Rifreddo (presso Pignola).

Formazione del governo proto-dittatoriale

Il giorno 19 agosto venne formato il governo proto-dittatoriale della provincia di Basilicata. Di questo governo, con a capo Albini e Mignona, non faceva parte il colonnello Boldoni.

Al Boldoni lo stesso governo proto-dittatoriale assegnò però il comando dell’«esercito patriottico» con un’ordinanza del 19 agosto (ord. II, art. 2). Con la stessa ordinanza fu ordinata l’istituzione di giunte insurrezionali in tutti i municipi della Basilicata (ord. II, art. 3):

«Che sia installata immediatamente una Giunta insurrezionale in tutti i Municipii della Provincia, composta di tre individui, noti per fede patriottica ed energia; i quali saranno scelti da commissarii a ciò delegati, e munti della necessarie facoltà.»

Il 20 agosto fu sospesa la riscossione delle tasse indirette alla popolazione potentina (ord. III).

Un'ordinanza dello stesso giorno stabiliva poi la formazione di un «Comitato di sicurezza pubblica» (ord. IV, art. 3) e della nuova Guardia Nazionale (ord. IV, art. 4):

«Tutti i patrioti atti alle armi faranno parte della Guardia Nazionale, a meno che non fossero intaccati di reati infamanti. La Guardia sarà divisa in tre categorie. La prima comprenderà i giovani da 18 a 30 anni, e questi formeranno la categoria della Guardia attiva fuori del Comune. La seconda categoria comprenderà i patriotti da’ 30 a’ 40 anni, e questi faranno parte della Guardia attiva per lo servizio interno del Comune. La terza categoria comprenderà i patriotti da 40 a 60 anni, e questi formeranno parte dalla Guardia Nazionale sedentaria di ogni Comune.»

Propagazione dell’insurrezione nel resto della provincia

A capo della Guardia Nazionale era il maggiore Emilio Petrucelli. La Guardia di Potenza era comandata dai capitani Giuseppe Grippo, Giovanni Corrado e Federico Addone.

Incarico principale della Guardia era, oltre a mantenere l’ordine, quello di sedare ogni rivolta armata. Fu infatti stabilito, il 24 agosto, che (ord. VIII, art. 1):

«Chiunque sotto qualsiasi pretesto, senza autorizzazione o mandato del Governo Provvisorio, organizzi bande, sieno o no armate, o faccia parte delle medesime, o dia istruzione per organizzarsi, turbando in modo qualunque l’ordine pubblico, sarà punito di morte.»

Un tentativo contro-rivoluzionario era stato già sedato a Melfi lo stesso 19 agosto, portato avanti da una coalizione legittimista che faceva capo al vescovo melfitano Ignazio Maria Sellitti.

Il successivo 22 agosto, da Salerno le truppe borboniche avanzarono nella direzione di Potenza passando per la via di Auletta. Il colonnello Boldoni, riunite le forze della Guardia Nazionale, aspettava le truppe regie per contrastarle nei pressi di Vietri di Potenza. Lo scontro però non vi fu, perché il governo napoletano richiamò le truppe dirette in Basilicata nel tentativo di fermare l’avanzata di Garibaldi che avanzava dalla Calabria.

Riuniti allora 2566 uomini, Boldoni inviò quattro colonne nel resto della provincia per propagare il moto insurrezionale nelle provincie limitrofe. La prima colonna, comandata da Davide Mennuni, marciò verso Altamura, dove pochi giorni prima vi si era installato il Comitato insurrezionale Barese. La seconda, comandata da Giuseppe Domenico La Cava, partì per la via di Ruvo del Monte verso l’Avellinese. La terza, comandata da Francesco Pomarici, marciò verso il Vallo di Diano. L’ultima, al comando di Francesco Paolo Lavecchia, andò verso il Lagonegrese a rinforzo degli insorti di Calabria.

Atti del Governo Provvisorio

Dopo che il 25 agosto il Governo Provvisorio stabilì la creazione di una Giunta di Amministrazione, con sette uffici; un decreto del 27 stabilì che (ord. X, art. 1):

«I capi, complici, e fautori di moti violenti e a mano armata per l’esercizio di pretesi diritti sulla proprietà, saranno puniti, i capi con la pena di morte, e i complici e fautori di un grado di meno; senza pregiudizio delle pene, a cui potessero incorrere per altri reati preveduti dalle leggi penali attualmente vigenti.»

ma allo stesso tempo che (ord. X, art. 5):

«Nessuna conseguenza legale potrà emergere da’ fatti già consumati, e che potessero consumarsi per le vie turbolente de’ moti popolari.»

Se il Governo Provvisorio lucano si adoperava al meglio per mantenere la provincia sotto controllo; sulla annosa questione della terra, che aveva animato il popolo a non opporsi all’insurrezione, il governo di Albini assunse una posizione di immobilismo. Un decreto del 29 agosto stabiliva infatti che (ord. XIV, art. 1):

«Ogni sboscamento o dissodamento in fondi di proprietà pubblica o privata che sia, non esclusi i demaniali del Comune, commesso con attruppamento, sarà punito col primo grado dei ferri per gli autori principali e pei complici.»

Furono approvati provvedimenti per l’istruzione e per le infrastrutture. Dopo aver stabilito, il 31 agosto, la revoca dell’affidamento ai Gesuiti del collegio di Potenza, si stabilì che (ord. XX, art. 1):

«Saranno aggiunte al collegio le scuole di agricoltura e di chimica applicata alle arti.»

Incarnando la secolare aspirazione a lenire l’isolamento della regione, il Governo Provvisorio fu desideroso di decretare la costruzione di una ferrovia di collegamento dal Tirreno allo Ionio (ord. XXIII, art. 1):

«Sarà costruita a cura dello Stato, sia a spese del pubblico Tesoro, sia con concessione a compagnie d’imprenditori, una Ferrovia, che innestandosi a quella della provincia di Principato Citeriore, abbia termine in Taranto, attraversando i distretti di Potenza e Matera in Basilicata per la parte più centrale possibile.»

La costruzione della linea ferroviaria però sarà effettivamente iniziata nel 1863 e portata a termine solo nel 1880.

Fine del Governo Provvisorio

Il 2 settembre Giuseppe Garibaldi entrò in territorio lucano, a Rotonda. Il giorno seguente attraversò in barca la costa di Maratea, e presso Lagonegro, in località Fortino, raccolse gli uomini lucani che lo seguirono fino alla Battaglia del Volturno. Il 6 settembre, Garibaldi e Albini si incontrarono ad Auletta, dove Albini fu nominato Governatore della Basilicata.

Dopo l’ingresso di Garibaldi in Napoli, il 10 settembre il Governo Provvisorio della Basilicata si sciolse, e la provincia passò agli ordini di Garibaldi dittatore di Napoli.

Personalità dell’insurrezione

Giacinto Albini

Lo stesso argomento in dettaglio: Giacinto Albini.
Giacinto Albini.

Nato a Napoli nel 1824 da famiglia montemurrese, laureatosi in legge e poi lettere a Napoli, abbracciò le idee mazziniane in seguito alla concessione e alla successiva abrogazione della costituzione operata dal re Ferdinando II di Borbone. A Montemurro fondò un circolo costituzionale e poi uno anti-borbonico, nel 1850, di stampo repubblicano.

Nicola Mignona

Lo stesso argomento in dettaglio: Nicola Mignona.

Nato a Taranto nel 1808, fu presidente della sezione napoletana della Giovine Italia. Esiliato dal Regno delle Due Sicilie nel 1855, cinque anni più tardi si unì ai “Mille” di Garibaldi e poi all’insurrezione lucana.

Pietro Lacava

Lo stesso argomento in dettaglio: Pietro Lacava.

Nato nel 1835 a Corleto Perticara, studiò giurisprudenza a Napoli e, sebbene appartenesse a una famiglia di dichiarata fede borbonica, aderì al movimento insurrezionale. Dopo il suo servizio come segretario del Governo Provvisorio della Basilicata, fu più volte ministro del Regno d’Italia.

Camillo Boldoni

Lo stesso argomento in dettaglio: Camillo Boldoni.

Nato a Barletta nel 1815, da una famiglia di tradizioni militari, durante la Prima Guerra di Indipendenza fu tra gli ufficiali del corpo di spedizione inviato da [[Ferdinando II di Borbone]Ferdinando II]] a fianco del Piemonte; quando il sovrano ordinò il rientro delle sue truppe, Boldoni fu tra gli ufficiali che rifiutarono il rientro divenendo esule in Piemonte, dove si arruolò nell’esercito sardo, distinguendosi nelle guerre d’indipendenza italiane.

Garibaldi e l’insurrezione lucana

Manifesto del governo provvisorio a Garibaldi.

Secondo lo storico Tommaso Pedio, Garibaldi scelse di affidare, il 6 settembre ad Auletta, il governo provvisorio lucano a Giacinto Albini poiché questi era tra i pochi insorti liberali a non aver mai servito il governo borbonico.[3]

Nelle testimonianze documentali pervenuteci, il generale elogiò più volte l’iniziativa lucana.

Nel Corriere Lucano del 18 settembre, si riporta un aneddoto, in cui Garibaldi, ricevuto a Napoli il comandante della Brigata Lucana Ascanio Branca, si espresse nei confronti dei militi lucani così:

«Si, so il vostro patriottismo. Dite ai vostri lucani che li preferirò sempre. Credete a me, ho combattuto con uomini disciplinati, e con borghesi, e, se questi hanno avuto valore, sono stati più terribili. Io vi stimo come il primo corpo disciplinato e vi terrò sempre avanti a tutti. Salutatemi i vostri commilitoni.»

Successivamente, Garibaldi scriveva in una lettera:

«Generosi della Lucania,
crederei frodare lode al coraggio, al genio, all’abilità vostra se non attestassi pubblicamente la simpatia che vi debbo. Nell’opera che sì brevemente iniziaste, io trovo questo di segnalato; e cioè a circostanze pari niuno tentò così risolutamente nel passato pochi riusciranno sì bene in avvenire. Voi senza mezzi speciali, sotto giogo di ferro, osteggiati da miglia di manigoldi, con a fronte l’idra comunista, spiati, interdetti sin dentro al pensiero … Voi, così ridotti! Guardaste in faccia il nostro fiero destino – sorgeste - vi costituiste. Vi scrivo nella più viva parte del cuore, né oblierò mai la bravura, l’umanità, la solerzia vostra, o egregi lucani. Abbiate le mie lodi, come a distinti collaboratori nell’eccelso risorgimento d’Italia. E’ Iddio con noi. Il mio braccio, la vita mia sono a servizio del Diritto. Viva Dio, Vittorio Emanuele e l’Italia libera, Indipendente, Una.»

Critica storiografica

Lo stesso argomento in dettaglio: Revisionismo del Risorgimento.

L’insurrezione lucana ebbe una grandissima importanza nelle vicende dell’annessione del Regno delle Due Sicilie. L’evento infatti fu decisivo per le sorti della spedizione di Garibaldi, che attraversò lo stretto di Messina solo dopo l’insurrezione di Potenza; e diede l’impulso alle altre insurrezioni liberali nel regno borbonico (prima tra tutte quella del 21 agosto ad Altamura) che permisero a Cavour di inviare le truppe sabaude sull’Abruzzo e Molise senza dichiarare guerra a Francesco II.[6]

Il revisionismo sul Risorgimento tende a sottolineare molti aspetti negativi dell’insurrezione della Basilicata.

Lo storico potentino Tommaso Pedio ritiene, nei suoi studi storici sulla regione lucana, come tra le forze dirigenti degli insorti della Basilicata regnasse un clima di immobilismo sulla questione delle terre demaniali, che erano state la leva di pressione sulla popolazione lucana.

Il giornale propagandistico dell’insurrezione, il Corriere Lucano, scriveva infatti:

«I terreni demaniali, e comunali, quelli appartenenti alla corona, ed a talune mani morte di oziosi, ed infingardi, verranno legalmente divisi, e distribuiti al popolo, e ciascun proprietario del terreno ottenuto troverà nel concorso delle banche agrarie provinciali i mezzi per provvedere agl'istrumenti necessari al lavoro, e alle scorte di sementi, o di mano d'opera»

I vertici dell’insurrezione furono invece molto cauti sulla questione. Pedio infatti pone l’accento su come la stessa insurrezione fosse stata portata avanti proprio dalla classe sociale dei latifondisti, che nulla avevano a guadagnare dalla lottizzazione dei beni demaniali. In un documento dell’epoca infatti, il proto-dittatore Giacinto Albini, a tale proposito scriveva:

«Per trovar modo di finire una volta l’annosa questione, converrebbe trovare un espediente che più allo stesso diritto appoggiasse alla equità e che fosse dettato non solo dalla giustizia, ma eletta politica di necessità. Se è giustizia ritorre le usurpazioni e secondo la legge spartire a’ nulla tenenti i beni demaniali, sarebbe di necessità politica non disgustarsi la classe de’ proprietari, che son pure la forza delle Nazioni, e che sono stati i sostegni veri e precipui del movimento che ha portato l’attuale ordine cose. Un espediente di equità, di politica prudenza e di facile esecuzione, il quale contenterebbe le due parti nemiche contendenti potrebbe essere questo: 1) Dividere e quotizzare a' nulla tenenti, col pagamento di un certo canone, i beni demaniali di cui sia il Comune presentemente in possesso di fatto; 2) Censire a' proprietari stessi riportati come usurpatori de' demani, que' fondi che il Comune vorrebbe pretendere come demaniali e per tal modo rispettare lo status quo; anzi legittimare questo possesso anomalo, con imporre il pagamento di una canone.»

Lo stesso Pedio ha poi fatto notare come la storiografia a lui precedente tendesse ad enfatizzare i caratteri dei sostenitori dell’insurrezione, dipingendoli come strenui oppositori del caduto governo borbonico che in realtà molti di essi avevano precedentemente servito. Secondo lo storico potentino quindi costoro appoggiarono il movimento liberale di Albini per mantenere, anche con il nuovo governo, lo status quo precedente.[3]

Note

  1. ^ Tommaso Pedio, La Basilicata nel Risorgimento politico italiano (1700-1870), Potenza, 1962, p. 109
  2. ^ a b c d e f g h i j k l m Giacomo Racioppi, Storia dei moti di Basilicata e delle provincie contermini nel 1860, Napoli, 1867.
  3. ^ a b Tommaso Pedio, La Basilicata Borbonica, Osanna Venosa, 1986.
  4. ^ Decio Albini, La Lucania e Garibaldi nella rivoluzione del 1860, 1912.
  5. ^ D'Angella, “Storia della Basilicata”, vol. II, pag. 593, Matera, 1983
  6. ^ Raffaele Giura-Longo, La Basilicata, in «Storia del Mezzogiorno», vol. XV, pagg. 425-548.
  7. ^ riportata in Tommaso Pedio, Reazione alla politica piemontese ed origine del Brigantaggio in Basilicata, Potenza, Vito Riviello, 1965.

Bibliografia

  • Tommaso Pedio, Dizionario dei patrioti lucani: artefici e oppositori (1700-1870), Bari, Grafica Bigiemme, 1969-1990.
  • Tommaso Pedio, Reazione alla politica piemontese ed origine del Brigantaggio in Basilicata, Potenza, Vito Riviello, 1965.
  • Tommaso Pedio, La Basilicata Borbonica, Osanna Venosa, 1986.
  • Michele Lacava, Cronistoria documentata della rivoluzione in Basilicata del 1860 e delle cospirazioni che la precedettero: e delle cospirazioni che la precedettero..., Cav. A. Morano, 1895.
  • Lorenzo Predome, La Basilicata (Lucania), Bari, Dedalo Litostampa, 1964.
  • Giacomo Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Roma, Loescher, 1889.
  • Giacomo Racioppi, Storia dei moti di Basilicata e delle provincie contermini nel 1860, Napoli, 1867. – raccoglie editti e proclami del Governo Provvisorio.
  • Enrico Schiavone, Montemurro perla dell'Alta Val d'Agri, Comune di Montemurro, 1990.

Voci correlate