Eruzione del Vesuvio del 79: differenze tra le versioni

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m La data del 24 ottobre è ipotetica: non va data per certa e, come dimostra il contenuto della voce, la data tradizionale del 24 agosto è quasi più probabile (eppure ieri mi è stata cancellata; io non avevo cancellato quella di ottobre
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Versione delle 21:26, 13 lug 2022

Voce principale: Vesuvio.
Eruzione del Vesuvio del 79
Pompei: il Vesuvio da via delle Scuole
VulcanoVesuvio
StatoImpero romano
Comuni interessatiHerculaneum, Pompeii, Oplontis, Nuceria Alfaterna, Stabiae
Eventi correlatiterremoto, colate di fango (lahar)
Duratacirca 2 giorni
Prima fase eruttiva24 agosto o 24 ottobre 79[1]
Ultima fase eruttiva25 agosto o 25 ottobre 79
Metri cubi4×109  (lava)[2]
Caratteristiche fisicheeruzione esplosiva di pomici e lapilli, colata di lava, flussi piroclastici
VEI5 (pliniana)
NoteI centri abitati seppelliti dai materiali vulcanici sono stati riscoperti a partire dal XVIII secolo, rappresentano importanti siti archeologici che testimoniano la vita romana del I secolo

L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è il principale evento eruttivo del Vesuvio in epoca storica. L'eruzione, che ha profondamente modificato la morfologia del vulcano, ha provocato la distruzione delle città di Ercolano, Pompei, Stabia e Oplontis, le cui rovine, rimaste sepolte sotto strati di pomici, sono state riportate alla luce a partire dal XVIII secolo.

La data dell'eruzione

Lo stesso argomento in dettaglio: Data dell'eruzione del Vesuvio del 79.
Mappa raffigurante l'area interessata dall'eruzione

La data dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è attestata da una lettera di Plinio il Giovane.[3] Nella variante universalmente ritenuta più attendibile del manoscritto, si legge nonum kal septembres cioè nove giorni prima delle Calende di settembre, data che corrisponde al 24 agosto.

Questa data era stata accettata come sicura fino agli anni 2010 ma alcuni dati archeologici via via emersi mal si accordavano con una data estiva e hanno riaperto la discussione. Ad esempio, il ritrovamento di frutta secca carbonizzata, di bracieri, usati all'epoca per il riscaldamento, di mosto in fase di invecchiamento trovato ancora sigillato nei contenitori (dolia) e, soprattutto, di una moneta ritrovata sul sito archeologico, che riferisce della quindicesima acclamazione di Tito a imperatore, avvenuta dopo l'8 settembre 79, lasciano supporre che l'eruzione sia avvenuta in autunno, probabilmente il 24 ottobre di quell'anno, una domenica.

Un'ulteriore prova a supporto della tesi secondo la quale l'eruzione avvenne in autunno è costituita da un'iscrizione rinvenuta nel 2018 in una casa che al momento dell'eruzione era probabilmente in ristrutturazione[4][5]: l'iscrizione, a carboncino, reca la data del 17 ottobre, e si riferisce con tutta probabilità allo stesso 79, poiché le scritte a carboncino si cancellano con estrema facilità, quindi sembrerebbe da escludersi che possa risalire a un periodo molto precedente all'eruzione. Il testo che segue la data è di lettura ambigua, e può essere interpretato come

(LA)

«XVI (ante) K(alendas) Nov(embres) in[d]ulsit / pro masumis esurit[ioni]»

(IT)

«Il 17 ottobre lui indulse al cibo in modo smodato»

o come (più probabilmente[7])

(LA)

«XVI (ante) K(alendas) Nov(embres) in olearia / proma sumserunt»

(IT)

«Il 17 ottobre hanno preso nella dispensa olearia ...»

Va notato, inoltre, che il 23 agosto a Roma erano celebrati i Volcanalia e la singolare coincidenza sarebbe sicuramente stata evidenziata dai cronisti dell'epoca[senza fonte].

Tuttavia gli elementi a supporto della data del 24 ottobre sono convincentemente confutati da vari studiosi [9]. Questi gli argomenti principali: innanzitutto, l’iscrizione a carboncino, che reca la menzione del 17 ottobre non riporta l’anno, come è normale per le iscrizioni parietali inerenti la vita quotidiana a Pompei. Essa potrebbe essere stata scritta anche nel 78 d.C. o diversi anni prima ed essersi conservata perfettamente. Non è affatto vero che le iscrizioni a carboncino sono evanide, anzi possono resistere anche per 50 e 70 anni, come è stato dimostrato, ad esempio con le iscrizioni a carboncino ancora leggibili sulle volte delle tombe di Porta Nocera [10] ed è un fatto che l’iscrizione è stata rinvenuta nel 2018 ed è ancora lì perfettamente leggibile. Una serie di altri argomenti a favore della data agostana è legata ai rinvenimenti archeobotanici, archeozoologici e palinologici. I frutti che oggi riteniamo autunnali potevano essere maturi già in agosto sia per le favorevoli condizioni climatiche nel periodo romano, sia perché ce lo dicono gli autori antichi, sia, infine, per la precessione degli equinozi. Infatti, le stagioni per i Romani erano indietro di almeno 26 giorni rispetto a oggi, per cui la primavera arrivava in febbraio, l’estate in maggio e l’autunno in agosto, questo corrispondeva all’andamento naturale delle stagioni, alla maturazione dei frutti e dei fiori e alle migrazioni degli uccelli. Le rondini, ad esempio, arrivavano in febbraio e non in marzo come oggi e anche le prime farfalle si vedevano in febbraio, i mandorli erano fioriti in gennaio. Oltre ai frutti che definiamo autunnali (pinoli, datteri, noci, castagne, fichi, melagrane, bacche di alloro), sono stati trovati frutti a polpa, come pesche, prugne, olive in salamoia, fave in baccello. La maggior parte delle analisi palinologiche ha rivelato una grande presenza di pollini di piante che fioriscono tra la primavera e l’estate e anche l’alloro, che oggi fiorisce tra settembre e ottobre, poteva essere in fioritura tra agosto e settembre per un diverso andamento stagionale. Inoltre, uno studio archeozoologico condotto nella cosiddetta officina del garum, nei pressi dell’anfiteatro di Pompei, ha dimostrato che i pesci rinvenuti entro i dolia erano stati appena deposti sotto sale e non erano stati ancora rimescolati per ricavarne il liquido che componeva il garum, in quanto le lische erano tutte ancora in connessione. Questo vuol dire che i pesci utilizzati per la realizzazione del garum (mennole o zerri) erano stati pescati da poco e messi sotto sale per la decomposizione. La pesca di questo tipo di pesce, come oggi, doveva svolgersi quando il mare era più caldo e le femmine si concentravano in superficie, cosa che avviene tra agosto e settembre, in ogni caso non oltre la prima metà di ottobre. Inoltre, sul carro cosiddetto nuziale trovato a Civita Giuliana, erano presenti impronte di spighe di grano. I vestiti di lana indossati e i bracieri accesi trovati si possono giustificare in vario modo. Per i Romani il 24 agosto era già entrato l’autunno ed è possibile che un clima più fresco imponesse già l’uso di abiti di lana. Ma è anche probabile che dopo due giorni di eruzione e di polveri e ceneri finite nell’atmosfera, l’oscuramento del sole abbia creato un tale abbassamento della temperatura da richiedere abiti più pesanti. I bracieri accesi potevano servire per scaldarsi e fare luce per quanti si erano rifugiati nelle case, invece di fuggire dalla città [11]. Infine non può essere trascurato il recentissimo ritrovamento della tartaruga dentro una bottega in ristrutturazione dopo il terremoto del 62 d.C. che aveva distrutto Pompei [12]. La tartaruga si era rifugiata nella taberna e aveva scavato una tana nel battuto pavimentale, forse per deporre l’uovo. È stata rinvenuta in perfetto stato di conservazione con la testa, una zampetta, la coda e l’uovo non ancora deposto. Le tartarughe di terra si accoppiano tra maggio e giugno e depongono le loro uova dopo un periodo di gestazione di quattro-otto settimane. Quasi tutte le specie le depongono in buche scavate nel terreno, che ricoprono poi di terra. Se la tartaruga fosse morta molto tempo prima dell’eruzione sarebbe stata mangiata dai vermi, mentre il perfetto stato di conservazione rende assai probabili che sia morta a seguito dell’eruzione del Vesuvio che ne ha permesso il perfetto stato di conservazione. E se ciò fosse dimostrato con il prosieguo delle analisi, sarebbe un’ulteriore prova che l’eruzione del Vesuvio è avvenuta in agosto piuttosto che in ottobre, quando di solito le tartarughe vanno in letargo.

Dinamica dell'eruzione

I primi eventi sismici ebbero già inizio nel 62,[13] con il crollo di diverse case che furono poi ricostruite negli anni successivi.[14] Solo alcuni anni dopo, nel 79, il Vesuvio iniziò il suo ciclo eruttivo che porterà poi al seppellimento di alcune zone di Stabia, Pompei, Ercolano e molte città a sud-est dal Vesuvio.

Intorno all'una del pomeriggio, con un boato terribile, il Vesuvio eruttò. Le sostanze eruttate per prime dal Vesuvio furono fondamentalmente pomici,[15] quindi rocce vulcaniche originate da un magma pieno di gas e raffreddato. Mescolate alle pomici si trovano parti di rocce di altra natura che furono trasportate dal magma. La maggior parte dei cadaveri a Pompei sono rimasti intrappolati al di sopra delle pomici, avvolti nelle ceneri. I residui piroclastici della eruzione sono stati rintracciati in un'area ampia centinaia di chilometri quadrati. Secondo una stima moderna, l'altezza della colonna eruttiva potrebbe aver raggiunto i 13-17 chilometri.[2]

Per quanto riguarda la composizione chimica delle sostanze eruttate nel 79, questa è diversa da quella delle lave eruttate nel periodo che va dal 1631 al 1944; infatti i magmi pliniani hanno mostrato di possedere una maggiore ricchezza di silice, di sodio e di potassio e una minore quantità di calcio e magnesio; gli specialisti giustificano queste differenze con il fatto che, nel caso delle lave pliniane, il magma si sarebbe fermato per alcune centinaia di anni (circa 700) ad una profondità di qualche chilometro, nella camera magmatica, dove si sarebbe raffreddato fino a 850 °C e si sarebbe attivata la cristallizzazione.[16]

La testimonianza più rilevante su ciò che accadde in quei giorni è data da Plinio il Giovane, che si trovava in quei giorni a Miseno con la sua famiglia.[17] Trent'anni dopo descrisse l'evento all'amico Tacito:[18]

Una vecchia immagine del Foro di Pompei con il Vesuvio sullo sfondo (anteriore al 1914)
Ricostruzione della morte di Plinio il Vecchio in una stampa del XIX secolo
Colonna eruttiva nelle prime fasi di sviluppo (25 dicembre 1813)
Pianta di pino domestico, specie che Plinio ha utilizzato nella sua descrizione

In questa lettera Plinio il Giovane riferì anche le testimonianze sulla morte dello zio Plinio il Vecchio. Lo zio si era diretto ad Ercolano per andare ad aiutare la famiglia dell'amico Cesio Basso: egli provò a raggiungere la località vesuviana via mare, ma dovette cambiare rotta a causa del ritiro improvviso delle acque, per cui si diresse verso Stabia dove approdò, facendosi ospitare da Pomponiano. Tuttavia, anche questa cittadina venne colpita dalle ceneri e lapilli del vulcano e, soffocato dai vapori tossici, Plinio il Vecchio vi trovò la morte.[19]

In una seconda lettera a Tacito descrisse ciò che accadde a Miseno.[20] Egli racconta delle scosse di terremoto avvenute giorni prima, e la notte dell'eruzione le scosse «crebbero talmente da far sembrare che ogni cosa [...] si rovesciasse». Inoltre, pareva che «il mare si ripiegasse su se stesso, quasi respinto dal tremare della terra», così che «la spiaggia s'era allargata e molti animali marini giacevano sulle sabbie rimaste in secco».

«... Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna [si seppe poi che era il Vesuvio]: nessun'altra pianta meglio del pino ne potrebbe riprodurre la forma. Infatti slanciatosi in su in modo da suggerire l'idea di un altissimo tronco, si apriva in diversi rami...»

La distruzione di Pompei, Ercolano e Stabia

L'eruzione avvenne dopo un lungo periodo di quiescenza del vulcano, e gli abitanti dell'area furono colti di sorpresa dal rapido susseguirsi di eventi. Nella seconda parte dell'eruzione, quando si verificarono i flussi piroclastici, si ebbero i danni maggiori e le maggiori perdite di vite umane negli abitati vicini al vulcano. A Pompei delle vittime si erano già registrate nella prima fase, a causa del crollo dei tetti. Nella seconda fase le vittime si ebbero sia direttamente a causa dei traumi fisici che per asfissia a causa dell'alta concentrazione di ceneri nell'aria[21].

Le città stesse scomparvero alla vista, sepolte sotto almeno 10 metri di materiali eruttivi. Le desolate distese che avevano visto una vita vivace e ricca, ora venivano evitate, divenute oggetto di terrori superstiziosi.

Il Vesuvio visto da Pompei in una stampa degli anni 1890
L'ultimo giorno di Pompei, dipinto di Karl Pavlovič Brjullov del 1830-1833

Le caratteristiche dei fenomeni che interessarono Pompei e Stabia furono differenti rispetto ad Ercolano: le prime furono sommerse da una pioggia di pomici, cenere e lapilli che, salvo un intervallo di alcune ore (trappola mortale per tanti che rientrarono alla ricerca di persone care e oggetti preziosi), cadde ininterrotta. Ercolano invece non fu investita nella prima fase, ma quasi dodici ore dopo e, sino alle recenti scoperte degli anni '80, si era pensato che tutti gli abitanti si fossero posti in salvo. La natura dei fenomeni che interessarono questo piccolo centro (Ercolano), fu molto diversa. Infatti, ciò che accadde fu che il gigantesco pino di materiali eruttivi prese a collassare e, per effetto del vento, un'infernale mistura di gas roventi, ceneri e vapore acqueo (il cosiddetto flusso piroclastico) investì l'area di Ercolano. Coloro che si trovavano all'aperto ebbero forse miglior sorte, vaporizzati all'istante, di chi trovandosi al riparo ha lasciato tracce di una morte che, seppur rapida, ebbe caratteristiche tremende. Il fenomeno è oggi conosciuto come "nube ardente" o frane piroclastiche.[22]

Al calar della sera del secondo giorno, l'attività eruttiva iniziò a calare rapidamente fino a cessare del tutto. L'eruzione durò probabilmente non più di due giorni e mezzo, durante i quali il vulcano espulse circa 4,3 km³ di materiale[2].

Aspetto della montagna prima e dopo l'eruzione

Il Vesuvio era stato sottoposto a un cambiamento. La sua cima non era più piatta, ma aveva acquisito una forma conica, e da essa fuoriusciva un denso vapore. Questo cono, determinato dalla fortissima spinta del materiale eruttato, aveva sfondato il precedente cratere per 3/4 circa della sua circonferenza. Ciò che resta dell'antico edificio vulcanico prese, in seguito, il nome di Monte Somma.

Le foreste, le vigne e la vegetazione lussureggiante che ricoprivano l'interno della caldera prima dell'eruzione, morirono. Niente poteva essere più impressionante del contrasto tra lo stupendo aspetto della montagna prima della catastrofe, e la desolazione presente dopo il triste evento. Questo rimarcabile contrasto fornì il soggetto a uno degli epigrammi di Marziale (Lib. IV. Ep. 44.), che recita così:

Il Foro di Pompei dominato dal Vesuvio

«Ecco il Vesuvio, poc'anzi verdeggiante di vigneti ombrosi, qui un'uva pregiata faceva traboccare le tinozze; Bacco amò questi balzi più dei colli di Nisa, su questo monte i Satiri in passato sciolsero le lor danze; questa, di Sparta più gradita, era di Venere la sede, questo era il luogo rinomato per il nome di Ercole. Or tutto giace sommerso in fiamme ed in tristo lapillo: ora non vorrebbero gli dèi che fosse stato loro consentito d'esercitare qui tanto potere.»

Il poeta Publio Papinio Stazio, invece, scrisse:

«Crederanno le generazioni a venire [...] che sotto i loro piedi sono città e popolazioni, e che le campagne degli avi s'inabissarono?»

Dall'eruzione del 79 il Vesuvio ebbe molti periodi di attività alternati a intervalli di riposo. Nel 472 scagliò una tale quantità di ceneri che si sparsero per tutta Europa e destarono allarme perfino a Costantinopoli, che in quegli stessi giorni era scossa da violenti terremoti con epicentro ad Antiochia. Nel 1036 si ebbe la prima eruzione con fuoriuscita di lava: evento importantissimo nella storia del monte, giacché fino ad allora le eruzioni avevano prodotto materiali piroclastici, ma non magma. Secondo le antiche cronache, l'eruzione avvenne non solo sulla cima, ma anche sui fianchi, e i prodotti incandescenti si riversarono in mare, allungando la linea costiera di circa 600 m.

Questa eruzione fu seguita da altre cinque, l'ultima delle quali (sebbene molto dubbia, perché ne parla un solo storico) avvenne nel 1500. A queste fece seguito un lungo riposo di circa 130 anni, durante il quale la montagna si coprì nuovamente di giardini e vigne come in precedenza. Anche l'interno del cratere si ricoprì di arbusti. In seguito, il Vesuvio eruttò nel 1631, nel 1861, nel 1906 e infine nel 1944, ultima eruzione fino ad oggi.

Note

  1. ^ Per approfondire, si veda la voce Data dell'eruzione del Vesuvio del 79.
  2. ^ a b c Lisetta Giacomelli, Il Vesuvio, su vulcan.fis.uniroma3.it. URL consultato il 20 ottobre 2013 (archiviato dall'url originale il 20 ottobre 2014).
  3. ^ Plinio il Giovane, Epistulae, VI, 16, 4 Archiviato il 23 maggio 2017 in Internet Archive..
  4. ^ L'iscrizione e la data dell'eruzione, su pompeiisites.org. URL consultato il 22 ottobre 2018 (archiviato dall'url originale il 22 ottobre 2018).
  5. ^ Pompei - Casa con Giardino, su pompeionline.net. URL consultato il 15 gennaio 2020 (archiviato il 15 gennaio 2020).
  6. ^ Antonio Ferrara, Pompei, un'iscrizione cambia la data dell'eruzione: avvenne il 24 ottobre del 79 d.C., su napoli.repubblica.it. URL consultato il 16 ottobre 2018 (archiviato il 16 ottobre 2018).
  7. ^ Massimo Osanna, Pompei. Il tempo ritrovato, Rizzoli, 2019, figura 14, ISBN 978-88-586-9936-2.
  8. ^ Pompei, si parla di olio nella nuova traduzione dell'iscrizione che cambia la data dell'eruzione, su napoli.repubblica.it. URL consultato il 9 novembre 2018 (archiviato il 10 novembre 2018).
  9. ^ Helga Di Giuseppe, Marco Di Branco, Pompei. La Catastrofe (2014-2020 d.C.), Scienze e Lettere, 2022, ISBN 978-88-6687-221-4.
  10. ^ Felice Senatore, Sulla durata delle iscrizioni a carboncino di Pompei, in Oebalus Studi sulla Campania nell’Antichità 16, 2021, pp. 35-40..
  11. ^ Helga Di Giuseppe, L’iscrizione a carboncino che non data l’eruzione del Vesuvio, in Oebalus Studi sulla Campania nell’Antichità 16, 2021, pp. 41-62..
  12. ^ rainews.it, https://www.rainews.it/tgr/campania/articoli/2022/06/una-tartaruga-di-2000-anni-fa-riemerge-a-pompei-565927ff-2707-4fc5-91b4-29b280ffa93c.html.
  13. ^ Il terremoto del 62, su news.unina.it. URL consultato il 27 gennaio 2012 (archiviato dall'url originale il 21 ottobre 2013).
  14. ^ Chiara Anzalone; Marc Allen Gapo; Maria Sole Magnolfi; Giulia Mita, Il Vesuvio (PDF), su scienzedellaterra.files.wordpress.com. URL consultato il 1º maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 31 marzo 2016).
  15. ^ Vesuvio: il vulcano addormentato, su agendaonline.it, agendaonline.com. URL consultato il 20 ottobre 2013 (archiviato il 16 giugno 2013).
  16. ^ Roberto Scandone e Massimo Cortini, Il Vesuvio: un vulcano ad alto rischio, Le Scienze (Scientific American), n. 163, p. 92-102.
  17. ^ Composta dalla madre Plinia e dallo zio Plinio il Vecchio, suo tutore.
  18. ^ Epistularum libri, VI, 16.
  19. ^ Aniello Langiella, Le lettere di Plinio e l'eruzione del 79 dopo Cristo (PDF), su vesuvioweb.com. URL consultato il 20 ottobre 2013 (archiviato il 4 febbraio 2015).
  20. ^ Epistularum libri, VI, 20.
  21. ^ (EN) Lisetta Giacomelli, Annamaria Perrotta, Roberto Scandone e Claudio Scarpati, The eruption of Vesuvius of 79 AD and its impact on human environment in Pompei (PDF), in Episodes, vol. 26, settembre 2003. URL consultato il 20 agosto 2019 (archiviato dall'url originale il 17 gennaio 2011). Archiviato il 17 gennaio 2011 in Internet Archive.
  22. ^ Cos'è una nube ardente?, su impariamocuriosando.it, Impariamo curiosando, 9 dicembre 2012. URL consultato il 20 ottobre 2013 (archiviato il 12 settembre 2013).
  23. ^ Lindtner, p. 18.

Bibliografia

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