Mario Melloni

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Mario Melloni
Mario Melloni

Deputato della Repubblica Italiana
Durata mandato8 maggio 1948 –
4 giugno 1968
LegislaturaI, II, IV
Gruppo
parlamentare
Democratico cristiano (I, II fino al 21.2.1955), Gruppo misto (II dal 21.2.1955), Comunista (IV)
CollegioComo (I e II Leg.), Milano (IV)
Incarichi parlamentari
  • Componente della I COMMISSIONE (AFFARI INTERNI)
  • Componente della COMMISSIONE SPECIALE PER L'ESAME E L'APPROVAZIONE DEI DISEGNI DI LEGGE SULLA STAMPA (C. NN.223 E 227)
  • Componente della COMMISSIONE SPECIALE PER L'ESAME E L'APPROVAZIONE DEI DISEGNI DI LEGGE SUL TEATRO E SULLA CINEMATOGRAFIA (NN.928 E 929
  • Componente della V COMMISSIONE (DIFESA)
  • Componente della XI COMMISSIONE (LAVORO E PREVIDENZA SOCIALE)
  • Componente della COMMISSIONE PARLAMENTARE CONSULTIVA PER IL PARERE SULLE NORME DELEGATE IN MATERIA DI IMPOSTE DI BOLLO E SULLA PUBBLICITA'
  • Componente della COMMISSIONE PARLAMENTARE PER LA VIGILANZA SULLE RADIODIFFUSIONI
  • Componente della III COMMISSIONE (ESTERI)
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoDC (1945-1955)
Ind. (1955-1963)
PCI (1963-1989)
Titolo di studiolaurea in giurisprudenza
Professionegiornalista

Mario Melloni, noto anche con lo pseudonimo di Fortebraccio (San Giorgio di Piano, 25 novembre 1902Milano, 29 giugno 1989), è stato un giornalista e politico italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Studente universitario a Bologna, a causa delle sue idee fu ripetutamente bastonato dai fascisti per avere manifestato contro lo squadrismo. Nel 1921 lasciò con l'intera famiglia la città trasferendosi a Genova. Laureato in giurisprudenza nell'anno accademico 1924-1925, cominciò a scrivere sul Corriere Mercantile e sul Guerin Sportivo, dove firmò il primo articolo il 24 febbraio 1932 con lo pseudonimo di "Giobatta", presto cambiato in "Baciccin"[1]. Lavorò come impiegato di concetto nella direzione di una compagnia petrolifera americana sino alla sua chiusura, nel 1939, vivendo sempre a Genova, salvo un anno a Napoli e uno a Roma. Si trasferì nel 1941 a Milano, impiegandosi nella segreteria generale dell'Innocenti di Lambrate e due anni più tardi nell'industria siderurgica Vanzetti.

Durante la Seconda guerra mondiale prese parte alla Resistenza tra i partigiani "bianchi", raccogliendo fondi da industriali e banchieri che poi consegnava di volta in volta a Gabriele Invernizzi, un comunista che dopo la liberazione sarà segretario della Camera del lavoro di Milano e deputato del PCI.

L'inizio democristiano[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1945 si iscrisse alla Democrazia Cristiana, diventando giornalista del quotidiano Il Popolo, responsabile prima dell'edizione milanese e poi, dal 1949 al 1951, direttore a Roma dell'edizione nazionale. Presiedette anche, insieme ad un liberale e a un comunista, la commissione incaricata a Milano di epurare i giornalisti del Corriere della Sera. In quell'occasione incontro' per la prima volta Indro Montanelli.[2] Nel 1948, alla I Legislatura repubblicana, fu eletto alla Camera dei deputati, collegio Como-Sondrio-Varese, nelle file della DC della cui Direzione nazionale entrò a far parte di lì a poco tempo. In Parlamento fece parte della commissione per l'esame dei disegni di legge sul teatro e sulla cinematografia, facendo anche parte della giuria della Mostra cinematografica di Venezia nel 1948. Nel 1952 divenne presidente della società cinematografica di orientamento cattolico, Film Costellazione, creata da Andreotti su invito del Papa Pio XII,[3] da cui si dimise poco dopo.

Espulso dal partito[modifica | modifica wikitesto]

Ricandidato alle elezioni della II Legislatura, fu eletto alla Camera sempre nel collegio di Como-Sondrio-Varese. Il 23 dicembre 1954 la Camera votò la ratifica dell'adesione dell'Italia alla UEO (Unione Europea Occidentale), Melloni espresse pubblicamente il suo dissenso in Aula e poi votò contro (insieme a un deputato democristiano del suo stesso collegio, Ugo Bartesaghi) perché quell'adesione avrebbe consentito il riarmo della Germania. Ottenne applausi dalla sinistra mentre Nenni scrisse nel suo diario come Melloni e Bartesaghi si fossero "staccati" dalla DC "con due patetici discorsi".[4] La sera stessa la Direzione democristiana, con Fanfani neosegretario, esaminò il caso dei due "ribelli". Moro era per un approccio leggero, Rumor al contrario adotto' una linea dura; alla fine Fanfani si schierò con Rumor e Melloni fu espulso dal partito insieme a Bartesaghi. Melloni poi dirà: "Fanfani mi cacciò in venti minuti".[5] Nel febbraio 1955 aderì al gruppo misto.

Cominciò a frequentare Franco Rodano, un intellettuale cattolico antifascista e militante comunista, considerato l'eminenza grigia di Togliatti sui temi riguardanti il mondo cattolico ed i finanziamenti del PCI. E fu proprio grazie ai consigli di Rodano, che il 9 aprile 1955 Melloni fece uscire sotto la sua direzione Il Dibattito politico, prima quindicinale e poi settimanale, con l'obiettivo di avviare un dialogo tra cattolici e comunisti. Dopo la sua adesione al Partito Comunista Italiano diresse in seguito Il Paese e Paese Sera dal 1956 al 1961, quindi Stasera (novembre 1961-ottobre 1962) e fu eletto di nuovo deputato, nella IV Legislatura (16 maggio 1963 - 4 giugno 1968) nel collegio di Milano[6].

Nasce Fortebraccio[modifica | modifica wikitesto]

Il 12 dicembre 1967 iniziò a scrivere per l'Unità corsivi in prima pagina con lo pseudonimo di Fortebraccio (riferibile all'omonimo personaggio dell'Amleto di Shakespeare, anche se taluni lo considerano un ironico omaggio a Braccio da Montone, detto Fortebraccio, un capitano di ventura dell'Umbria medievale). L'idea del nom de plume fu di Maurizio Ferrara, direttore del quotidiano e da anni suo amico. Da allora Fortebraccio firmerà sino al 1982 un corsivo ogni giorno (tranne il lunedì e il periodo delle ferie) e un articolo più lungo la domenica.

Seguì con favore lo sforzo di Enrico Berlinguer di cambiare a fondo l'atteggiamento del PCI nei confronti della religione e della Chiesa. Nella Lettera al vescovo Bettazzi si dichiarò fautore di un partito e d'uno Stato «non teista, non ateista, non antiteista»[7].

Uomo colto, conversatore brillante con battute spesso umoristiche, nell'estate 1955 fu operato alle corde vocali per un tumore. Di temperamento discreto e schivo, volle che della sua morte, avvenuta il 29 giugno 1989, fosse data notizia a esequie religiose avvenute[8]. L'Unità titolò: "Fortebraccio se ne va con discrezione. Funerale cattolico, popolo rosso".[9]

Stile[modifica | modifica wikitesto]

Suoi obiettivi erano un po' tutti i politici avversari (prima del mondo socialcomunista quando era democristiano e dirigeva Il Popolo, poi del mondo democristiano - e non solo quello - quando era diventato comunista e scriveva su l'Unità); col tempo prese di mira, firmandosi come Fortebraccio, anche i direttori dei grandi quotidiani (da Missiroli a Spadolini), i protagonisti della scena pubblica legati al potere e ai centri d'affari che ruotano attorno al potere, gli industriali (affibbiò a Gianni Agnelli il soprannome di "avvocato Basetta") e i ricchi, in definitiva tutti coloro che stavano dall'altra parte e che lui definiva lor signori; aggiungendo che nella maggior parte dei casi questi lor signori erano "magri, disinfettati e pallidi come una siringa".

Da democristiano attaccò il partito di Togliatti,[10] se la prese anche con Pietro Nenni,[11] chiamò l'Unione Sovietica "nuovo Islam mongolico".[12] Da ex-democristiano e conoscitore dell'ambiente di Piazza del Gesù, risparmiò le frecciate più aspre verso quelli che più stimava tra gli ex-amici (Aldo Moro e Andreotti al quale riconosceva una robusta intelligenza[13]), sferzando impietosamente gli altri: Fanfani, Donat-Cattin, Forlani, Piccoli, Rumor, Colombo. Ma anche Craxi, Malagodi, La Malfa e quasi tutti i socialdemocratici.[14] Di sé diceva: «Preferisco essere un comunista settario piuttosto che un comunista liberale o, peggio ancora, socialdemocratico».[15]

Dotato di una chiarezza espositiva quasi didascalica, Fortebraccio aveva ben presente che scriveva sul giornale dei lavoratori, nel paese che stava vivendo il boom economico del secondo dopoguerra, ma che ancora contava masse di cittadini semianalfabeti[16]. La scrittura elegante, lo stile sorvegliato e un lessico più che mai appropriato, uniti a un'ironia tagliente, talvolta anche "ferina e spietata",[17] lo fanno annoverare tra i padri nobili della satira politica italiana.[18] Ma non tutti saranno di questo avviso.[19]

Rivalità con Indro Montanelli[modifica | modifica wikitesto]

Melloni sostenne una «lunga ma elegante polemica»[8] con Indro Montanelli, direttore de Il Giornale, ed elzevirista con Controcorrente. In un suo corsivo, dettò per sé un singolare epitaffio in cui citava il suo rivale:

«Qui giace
Mario Melloni
(alias Fortebraccio)
che trascorse la vita
ad amare
Indro Montanelli
e non smise mai
di vergognarsene.»

Montanelli rispose con un elzeviro nella sua rubrica Controcorrente: «Purtroppo, devo avvertire Fortebraccio che anch'io ho preso le mie precauzioni iscrivendo fra le mie ultime volontà quella di essere sepolto accanto a lui. E come epitaffio mi contento di questo: "Vedi . lapide . accanto"»[21].

I due erano divisi dall'appartenenza ad aree politiche contrapposte, ma uniti da un reciproco sentimento di stima e rispetto. Così Montanelli si espresse su di lui:

«Era un avversario temibilissimo, ma leale e stimolante; un carattere umorale e imprevedibile, ma una coscienza tersa e sensibile. Come centometrista dei trafiletti, uno scattista come lui non lo vedremo più»

Opere[modifica | modifica wikitesto]

  • Figure e fatti. 24 corsivi di "Emme", Roma, Il Dibattito Politico, 1956.
  • 63 corsivi di Fortebraccio, Roma, l'Unità, 1968.
  • I corsivi di Fortebraccio, Roma, Editori Riuniti, 1970.
  • Corsivi '70, Roma, Editori Riuniti, 1971.
  • Lor signori. Corsivi 1971-1972, Roma, Editori Riuniti, 1972.
  • Il Belpaese, con Alfredo Chiappori, Milano, Feltrinelli, 1973.
  • Dalla nostra parte. Corsivi 1973, Roma, Editori Riuniti, 1973.
  • I nodi al pettine. Corsivi 1974, Roma, Editori Riuniti, 1974.
  • Fanfaneide, Roma, Editori Riuniti, 1975.
  • Se questo è un mondo. Corsivi 1975, Roma, Editori Riuniti, 1975.
  • Cambiare musica. Corsivi 1976, Roma, Editori Riuniti, 1976.
  • Non siamo gentili. Corsivi 1977, Roma, Editori Riuniti, 1977.
  • Partita aperta. Corsivi 1978, Roma, Editori Riuniti, 1978.
  • A carte scoperte. Corsivi 1979, Roma, Editori Riuniti, 1979.
  • Detto tra noi. Corsivi 1980, Roma, Editori Riuniti, 1980.
  • A chiare note. Corsivi 1981, Roma, Editori Riuniti, 1981.
  • È già tempo. Corsivi 1982, Roma, Editori Riuniti, 1982. ISBN 88-359-0030-1.
  • La galleria di Fortebraccio, Roma, l'Unità-Editori Riuniti, 1985.
  • Avvisi di garanzia, Roma, Editori Riuniti, 1993. ISBN 88-359-3760-4.
  • Fortebraccio & lorsignori. I corsivi su l'Unità di un grande maestro di satira politica, Milano, Nuova Iniziativa Editoriale, 2002.
  • Facce da schiaffi. Corsivi al vetriolo di un comunista impenitente, Milano, a cura di Filippo Maria Battaglia e Beppe Benvenuto BUR, 2009. ISBN 978-88-17-03574-3.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Italo Cucci, Tribuna stampa. Storica critica del giornalismo sportivo da Pindaro a Internet, Frascati, Il Minotauro, 2003, p. 112.
  2. ^ Montanelli racconterà a Tiziana Abate in Soltanto un giornalista, Milano, RCS Libri, 2002, p. 125:
    «Siccome Melloni era un galantuomo, non epurò nessuno o quasi. Io fui uno dei pochi mandati in purgatorio insieme a Piovene.»
  3. ^ Mazzuca, pp. 130-131.
  4. ^ Pietro Nenni, Tempo di guerra fredda, Milano, Sugarco Edizioni, 1981, pp. 638-639.
  5. ^ Mazzuca, p. 167.
  6. ^ Camera Legislature, su legislature.camera.it (archiviato dall'url originale il 2 settembre 2013)..
  7. ^ Gianni Gennari, Avvenire, 26 giugno 2009, p. 24.
  8. ^ a b c d Marcucci, p. 308.
  9. ^ Mazzuca, p. 655.
    «Alle esequie in chiesa il direttore de l'Unità, D'Alema, alle pareti corone e gonfaloni, sul pavimento una composizione di rose rosse e iris gialle con la striscia firmata da Andreotti. In una vignetta di Staino, Bobo si sentirà chiedere: "Ma è vero che era amico di Andreotti?". E Bobo: "Ma era l'unico neo, lo giuro".»
  10. ^ «Per i dirigenti comunisti la pietra di paragone della democrazia è rappresentata dal loro partito. Chi lo affianca, lo appoggia, lo sostiene o lo segue, è democratico. Chi invece lo avversa, lo combatte, lo contrasta, non è democratico. Anzi, non può essere democratico. Questo modo di ragionare deriva da una mentalità tipicamente totalitaria». Cfr. Pansa, p. 248; Mazzuca, p. 95.
  11. ^ «Nenni crede di fare della politica mentre non compone in realtà che mediocri poesie di un solo verso». Cfr. Mazzuca, p. 71.
  12. ^ Mazzuca, p. 95.
  13. ^ Intervista a l'Unità del 21 novembre 1982: «Andreotti ha capito tutto, come succede a un cardinale d'ingegno quando si persuade che Dio ha spiegato ai cristiani dove e quale è il bene e ha fatto sorgere i comunisti perché lo compissero».
  14. ^ «(...) Se qualcuno non avesse avuto l'ardire di offrirglielo fritto al ristorante, Forlani non avrebbe mai saputo dell'esistenza del cervello». «La porta si aperse e non ne uscì nessuno, era Bettino», variante di quella indirizzata al socialdemocratico Cariglia: «Si aprì la porta e non entrò nessuno, era Cariglia».
  15. ^ L'Unità del 21 novembre 1982.
  16. ^ Di se stesso diceva: «Io sono un giornalista e non uno scrittore, un giornalista per élite: e infatti scrivo per i metalmeccanici».
  17. ^ Pansa, p. 246.
  18. ^ Enzo Biagi lo definisce in Dizionario del Novecento «il nostro massimo, forse unico, scrittore satirico».
  19. ^ "Fortebraccio fu il precursore di una tecnica volgare, oggi molto diffusa tra le sinistre perdenti. Quella di mettere alla berlina i vip avversari, straziandoli sulla prima pagina de l'Unità. Senza riguardi per nessuno". Cfr. Pansa, p. 253.
  20. ^ Ironico epitaffio pubblicato su l'Unità da Mario Melloni: Indro Montanelli, L'Occidente e il «popolo di Seattle», in Corriere della Sera, 9 giugno 2001. URL consultato il 24 agosto 2009.
  21. ^ Giulio Nascimbeni, Controcorrente: il cruccio quotidiano di Montanelli, in Corriere della Sera, 1º luglio 1993. URL consultato l'8 gennaio 2020 (archiviato dall'url originale il 9 maggio 2014).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Enzo Biagi, Fortebraccio, in Dizionario del Novecento, collana BUR Saggi, Milano, Rizzoli, 2003, ISBN 978-88-17-11706-7.
  • Pasquale Di Bello e Paola Furlan (a cura di), Fortebraccio: vita e satira di Mario Melloni, Reggio Emilia, Diabasis, 2009, ISBN 978-88-8103-641-7.
  • Fortebraccio, Facce da schiaffi: corsivi al vetriolo di un comunista impenitente, a cura di Filippo Maria Battaglia e Beppe Benvenuto, Milano, Rizzoli, 2009, ISBN 978-88-17-03574-3.
  • Eugenio Marcucci, Mario Melloni-Fortebraccio, in Giornalisti grandi firme. L'età del mito, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005, ISBN 88-498-1071-7.
  • Alberto Mazzuca, Penne al vetriolo: i grandi giornalisti raccontano la Prima Repubblica, Bologna, Minerva, 2017, ISBN 978-8873818496.
  • Giampaolo Pansa, Fortebraccio uno e due, in Il revisionista, Milano, RCS Libri, 2009, ISBN 978-88-17-03040-3.

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Direttore del Popolo Successore
Luigi Agostino Mondini 10 agosto 1949 - 17 gennaio 1951 Rodolfo Arata
Predecessore Direttore di Paese Sera Successore
Tomaso Smith 1956 - 1961 Fausto Coen
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