Coordinate: 41°05′25″N 14°30′00″E

Sant'Agata de' Goti: differenze tra le versioni

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* {{cita libro|autore=Antonio Colicelli|capitolo=Sant'Agata de' Goti|titolo=Bibliografia topografica della colonizzazione greca in Italia e nelle isole tirreniche|volume=18|anno=2010|ISBN=9782728308040|pp=158-167|città=Pisa|editore=Scuola Normale Superiore|cid=Bibliografia topografica}}
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* {{cita libro|autore=Rosanna Biscardi|titolo=L'Arco in fondo alla valle: il mistero architettonico di Sant'Agata de Goti|città=Napoli|editore=Cervino editore|anno=2015|cid=Biscardi}}
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* {{cita pubblicazione|autore=G. Stefania Catapane|titolo=Le residenze feudali dei Carafa di Maddaloni|rivista=Rivista di Terra di lavoro|anno=2011|mese=novembre|numero=1-2|cid=Catapane|url=http://rterradilavoro.altervista.org/articoli/11-02.pdf|accesso=2 novembre 2016|issn=2384-9290}}
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* {{cita pubblicazione|autore=Antonio Abbatiello|titolo=Stradario cittadino|rivista=Lungo la via|città=Sant'Agata de' Goti|editore=Parrocchia di S. Maria Assunta|anno=1995|cid=Stradario}}
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* {{cita libro|curatore=Luigi Maria Mongillo|titolo=Progetto per la illuminazione Elettrica da farsi dall'Impresa Domenico De Masi nella città di S. Agata de' Goti - 1901| città=Sant'Agata de' Goti|editore= Archeoclub d'Italia - sede di S. Agata de' Goti, settore fotografia e pubblicazioni|anno= 1993|cid=Progetto per la illuminazione}}
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* {{cita libro|autore=Paola Ircani Menichini|titolo= Chiese e castelli dell'Alto Medioevo in Bassa Val di Cecina e in Val di Fine|url= http://ricordare.xoom.it/chiesecastelli1.html|città= Livorno|anno= 1993|editore=Salomone Belforte & c.|accesso=2 novembre 2016|CID=Ircani Menichini}}
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* {{cita libro|curatore= Luigi Maria Mongillo|titolo=Statuto organico dello spedale di San Giovanni di Dio del comune di S. Agata de' Goti - 1879|città= Sant'Agata de' Goti|editore=Archeoclub d'Italia - sede di S. Agata de' Goti, settore fotografia e pubblicazioni|anno= 1992|cid= Statuto organico}}
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* {{cita pubblicazione|autore=Amedeo Feniello|titolo=Napoli Normano - Sveva|città= Roma|editore= Newton Compton|anno= 1999|cid=Feniello}}
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* {{cita libro|autore= Mimmo Liguoro|titolo= La regina Giovanna. Una sovrana al tramonto del Regno angioino|città= Roma|editore= Newton Compton|anno= 1997|cid=Liguoro}}
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Versione delle 07:27, 6 nov 2016

Disambiguazione – Se stai cercando il titolo cardinalizio, vedi Sant'Agata dei Goti (diaconia).
Sant'Agata de' Goti
comune
Sant'Agata de' Goti – Stemma
Sant'Agata de' Goti – Veduta
Sant'Agata de' Goti – Veduta
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione Campania
Provincia Benevento
Amministrazione
SindacoCarmine Valentino (PD) dal dal 25/05/2014 (secondo mandato)
Territorio
Coordinate41°05′25″N 14°30′00″E
Altitudine159 m s.l.m.
Superficie63,38 km²
Abitanti11 216[1] (1-1-2016)
Densità176,96 ab./km²
FrazioniBagnoli, Boscocupo Torretta, Cantinella, Cerreta, Cotugni Paolini, Faggiano, Laiano, Palmentata, Presta, San Silvestro Migliara, Santa Croce, Sant'Anna, San Tommaso, Saviano, Traugnano, Tuoro di Santagata, Verroni.
Comuni confinantiArienzo (CE), Caserta (CE), Dugenta, Durazzano, Frasso Telesino, Limatola, Moiano, Santa Maria a Vico (CE), Tocco Caudio, Valle di Maddaloni (CE)
Altre informazioni
Cod. postale82019
Prefisso0823
Fuso orarioUTC+1
Codice ISTAT062070
Cod. catastaleI197
TargaBN
Cl. sismicazona 2 (sismicità media)[2]
Cl. climaticazona D, 1 404 GG[3]
Nome abitantisantagatesi o saticulani;
PatronoSant'Agata, Sant'Alfonso Maria de' Liguori, Santo Stefano protomartire
Giorno festivo5 febbraio, 1º agosto, 26 dicembre
Cartografia
Mappa di localizzazione: Italia
Sant'Agata de' Goti
Sant'Agata de' Goti
Sant'Agata de' Goti – Mappa
Sant'Agata de' Goti – Mappa
Posizione del comune di Sant'Agata de' Goti nella provincia di Benevento
Sito istituzionale

Sant'Agata de' Goti è un comune italiano di 11 202 abitanti[1] in Campania, nella provincia di Benevento. Situato alle falde del Monte Taburno, confina con la provincia di Caserta.

L'integrità paesaggistica del centro storico e dei borghi rurali circostanti hanno procurato a Sant'Agata de Goti il soprannome di "perla del Sannio"[4][5]. Il comune è bandiera arancione del Touring Club Italiano[6] e il centro storico da novembre 2012 fa parte del circuito de I borghi più belli d'Italia[7].

Geografia fisica

Territorio

La città si divide in due parti: una moderna, edificata a partire dalla fine del XIX secolo e l'altra di fondazione romana, situata su una rocca di tufo derivata dal consolidamento di ignimbrite campana a seguito di una eruzione vulcanica avvenuta più di 33.000 anni fa[8][il riferimento bibliografico non sembra molto ben specificato. Ci vorrebbe almeno una data, e anche un autore non sarebbe male]. Questo avvenimento geologico portò alla formazione di un basamento tufaceo alto circa 150 metri, stretto e allungato in direzione nord-sud, circondato da due fiumi: il Martorano sul versante ovest e il Riello sul versante est. Divenuti col tempo corsi d'acqua a carattere torrentizio, essi incrociano i loro percorsi a valle della rocca verso nord, diventando affluenti del fiume Isclero.

Lo sviluppo urbano della parte moderna segue un andamento a ventaglio mentre il centro antico, racchiuso in una cortina fortificata del tardo Impero, segue un andamento cosiddetto "a fuso". Le due parti sono unite da un ponte in pietra tufacea costruito nel 1926 in sostituzione del precedente, costituito da una struttura in acciaio, distrutto durante la Prima Guerra Mondiale.[senza fonte]

Il rimanente territorio comunale è prevalentemente collinare e ospita contrade, masserie e frazioni di varie dimensioni, sorte a partire dall'epoca longobarda.

Idrografia

I corsi d'acqua che attraversano il territorio comunale sono tutti a carattere torrentizio. I principali sono il fiume Isclero, affluente del Volturno; e i torrenti Riello e Martorano, che si riversano nell'Isclero.

Clima

Lo stesso argomento in dettaglio: Stazione meteorologica di Sant'Agata de' Goti.

Il clima è mediterraneo, quasi sempre mite, fresco nelle notti estive, e solo nei periodi di pieno inverno subisce infiltrazioni di venti rigidi provenienti dal nord-est; nei periodi in cui le escursioni termiche tra il giorno e la notte sono forti si stratifica una coltre di nebbia densa e umida, favorita per lo più dall'Isclero; spesso è molto ventoso.[senza fonte]

Storia

Età antica

Lo stesso argomento in dettaglio: Saticula.

Gli storici concordano sull'ipotesi che nell'attuale territorio di Sant'Agata de' Goti anticamente sorgeva la città sannita di Saticula. Necropoli sannite ricche di importanti ritrovamenti sono infatti venute alla luce nella zona a nordest del territorio santagatese, nell'area compresa tra il fiume Isclero ed il comune di Frasso Telesino.[9] Il villaggio di Saticula venne citato da Virgilio nel testo dell'Eneide[10].

Già nel 343 a.C. il console Aulo Cornelio Cosso aveva stabilito sulla rocca tufacea[senza fonte] un castrum, ossia un accampamento invernale per i soldati veterani. Nel 315 a.C., durante le vicende inerenti alla seconda guerra sannitica, Saticula venne occupata dal dittatore Lucio Emilio, ma il villaggio resistette in assedio per due anni e fu preso solo grazie all'intervento di Quinto Fabio Massimo Rulliano[11]. Quindi divenne colonia romana, restando fedele a Roma durante la seconda guerra punica.[12]

Scoppiata la cosiddetta guerra sociale dal 98 a.C. all'88 a.C., i popoli italici ribelli ai Romani organizzarono un esercito di oltre 100.000 uomini costituito in legioni secondo l'ordinamento romano: un raggruppamento posto al comando del valente condottiero marso Quinto Poppedio Silone venne schierato a nord, nel Piceno e negli Abruzzi, mentre il comandante sannita Gaio Papio Mutilo prese la guida delle forze concentrate a sud, in Campania e nel Sannio; i piani prevedevano un'avanzata convergente verso il Lazio. Anche i romani mobilitarono circa 100.000 legionari: a nord si schierò il console Publio Rutilio Lupo, mentre a sud fronteggiarono l'esercito di Mutilo le legioni al comando dell'altro console, Lucio Giulio Cesare[5]. Nel frattempo, Gaio Mario, inviso all'aristocrazia romana perché troppo vicino alle masse popolari, facendo parte dello schieramento politico di Lucio Cornelio Silla, fu incaricato con questi di sedare la ribellione degli italici; ma ben presto nell'organizzazione delle azioni di repressione i due si trovarono in forte competizione per la lotta al potere personale; la città di Saticula si schierò con Gaio Mario e per questo motivo fu poi rasa al suolo dagli uomini di Silla.[senza fonte] «Le armi romane, che distrussero la libertà campana e sannitica, dominarono ancora queste nostre regioni» scrive Francesco Viparelli a proposito della colonia romana cresciuta sui resti della città sannita. «L'anno di Roma 710 Ottaviano Augusto vi condusse una colonia romana, 42 anni innanzi Gesù Cristo. I patroni romani vi eressero un Pantheon assai magnifico di cui tuttavia n'esistono i monumenti, un collegio di Sacerdoti Augustali, o pure un luogo di giuochi Augustali...»[13][Queste tesi di Viparelli, datate e non ben giustificate, non vengono mai più riprese nella letteratura successiva.]

Furono i Romani i primi ad accamparsi sulla rocca fondando un "Castrum", nel quale in un primo momento vennero ad abitare i soldati veterani stanziati a Capua e successivamente, nel 42 a.C., nacque una vera e propria colonia dell'Impero per opera di Ottaviano Augusto (Viparelli, pagg. 13-20). In generale i Romani non costruivano muri di cinta laddove le condizioni geologiche consentivano una difesa naturale; anche in questo caso usarono la difesa dei fiumi per cui fu sufficiente tracciare sulla rocca, come era d'uso, il "cardo" e il "decumano" a incrocio e aprire tre porte alle estremità dei due percorsi, (una a sud presso l'attuale piazza Tiziano della Ratta, una a nord presso l'imbocco della via Fontana e una a est, ancora esistente, presso la "Lamia" (da"Limes" ossia "Limite") più tardi intitolata a San Marco, nel Largo Santa Maria delle Grazie. Alle tre porte corrispondevano tre rampe, percorsi caratterizzati da forte pendenza praticati ancora oggi, che immettevano nei boschi della valle. Non si hanno notizie di una porta sul lato ovest dell'abitato e ciò si giustifica dal fatto che lo strapiombo sul fiume Martorano rendeva impossibile l'accesso da quel lato.

Presso il "Pretorium", spazio a ridosso della porta sud, i Romani costruirono l'alloggio del generale simile a un tempio e negli spazi di risulta le baracche per i soldati; si trattò probabilmente di un accampamento invernale, quindi costruito in pietra. Con la riforma dell'esercito romano avvenuta nel IV secolo ad opera di Diocleziano e l'arrivo dei Romani d'Oriente, il "Castrum" si trasformò in "Kastron": i costoni tufacei che fungevano da basamento al villaggio furono resi più inaccessibili costruendo al di sopra di essi una cinta muraria perimetrale composta da case accostate l'una all'altra in aderenza, aventi pochissime aperture estremamente piccole e mantenendo le tre porte (vedi voce Castrum, Wikipedia). Ciò avvenne probabilmente nel periodo in cui la popolazione che abitava nella valle a nord est, nell'area intorno all'antica città sannita di Saticola ebbe bisogno di maggior protezione e il vecchio "Kastron" - che da' ancora oggi il nome a quest'area chiamata popolarmente "Castrone" - non offriva più adeguata protezione. Il nuovo "Kastron" mantenne la stessa struttura anche in epoca longobarda.[senza fonte]

Alto medioevo

Il "Castrum" accresciuto dalla popolazione saticulana, rimasta senza casa a partire dal 42 a.C., divenne una nuova città e restò sotto il controllo dei Romani d'Oriente fino all'invasione longobarda del Sannio: il re Agilulfo, salito al potere nel 590, fu autore della divisione delle regioni longobarde in ducati, divisi a loro volta in contee e gastaldie; l'elemento minimo di questa suddivisione, la gastaldia, fu sottoposto all'amministrazione del duca-gastaldo, sorta di governatore perpetuo. Intorno a lui uno stuolo di “fedeli” detti gasindi. Furono così create nel Sannio il Ducato di Spoleto e quello di Benevento, cellule madri della più piccola Contea di Capua, a sua volta contenente la Gastaldia di Sant'Agata.[senza fonte] A seguito dell'intensa politica di conversione dei Barbari al cristianesimo operata da Papa Gelasio e da Papa Gregorio Magno, si ebbe un numero impressionante di fondazioni di strutture religiose su tutto il territorio longobardo, soprattutto in prossimità dei castelli, dove l'edificio ecclesiale veniva utilizzato come cappella ad uso esclusivo del fondatore, il castellano, per un esercizio del culto limitato alla sua famiglia[14][che punto esattamente?]. L'oratorio o la basilica venivano dedicati ad un santo che appartenesse al mondo cristiano legato a Costantinopoli o all'Oriente: cominciò così nella città la pratica del culto di Sant'Agata[senza fonte], martire catanese le cui reliquie provenivano da Costantinopoli, per contrastare l'arianesimo[15]. Grande regista della conversione longobarda e della crescita di potere sulla scena politica della Chiesa Romana, Papa Gregorio Magno lo ammiriamo negli affreschi chiesa dell'Annunziata a Sant'Agata. Pur dominato dall'idea della fine del mondo, votato al distacco dalla vita materiale su esempio di Benedetto da Norcia, volle convertire l'umanità, riformare la Chiesa e renderla più attiva. Ebbe in ciò l'aiuto della regina longobarda Teodolinda, moglie di Autari e poi di Agilulfo, disposta a convertirsi al cristianesimo e a convertire gli uomini della sua famiglia. Si maturò così la "Conversione Suprema" dei barbari invasori nel 653, sotto il re Ariperto [16][che punto esattamente?].

Nel 774, con la sconfitta di Adelchi, Principe di Benevento a Verona da parte di Carlo Magno re dei Franchi, la dominazione longobarda si concluse nelle terre del Sannio ma gli ultimi gastaldi che avevano coltivato prudentemente buoni rapporti con i Bizantini, alleandosi con questi, riuscirono a mantenere il potere e l'autonomia e tra questi furono i gastaldi di Sant'Agata.[Con la fine del Regno longobardo si ha l'inizio, non la fine, del Principato di Benevento! Che c'entra Arechi con la sconfitta a Verona?]

Infatti, nonostante la conversione al cristianesimo e la devozione verso Sant'Agata, al punto da mutare il nome della città, la stessa risulta alleata ai Bizantini nell'866 quando fu assediata da Ludovico II, erede di Carlo Magno, ansioso di annettere le terre “ribelli”.Tra l'871 e l'877, unita ad altre città del Sannio della Campania e della Lucania, Sant'Agata oramai città di gastaldi ribelli, si rivoltò nuovamente contro l'imperatore Ludovico II, preferendo schierarsi ancora dalla parte dei Bizantini.[senza fonte] Nell'871 il gastaldo fu un tale Isembert, che vantava parentele con Bassaggio, abate dell'abbazia di Montecassino[senza fonte], mentre nell'877 gli succedette Marino: entrambi sono citati da Francesco Viparelli a proposito di un legame con il patriarca di Costantinopoli.[17] Nel 962 Ottone I di Germania, nominato Imperatore, per mettere ordine nelle terre sconvolte dalle lotte religiose diede autorità a numerosi vescovi della Chiesa Romana conferendo loro il titolo di Conti : per superare i disagi degli spostamenti sui suoi territori, l'Imperatore suddivise gli stessi in comitatus, governati appunto da comes, conti; mentre nelle terre di confine diede vita a contee molto vaste, cui venne posto il nome di marche la cui amministrazione fu affidata a un marchese (Villari, pagg. 100-101). Anche Sant'Agata, sconvolta più che mai dagli effetti dei contrasti religiosi, fu affidata alla giurisdizione di un vescovo-conte nominato dall'Imperatore.[Ma la frase successiva dice che il vescovo fu nominato da Benevento!] Nel 970, «Landolfo primo vescovo beneventano consacrò nostro vescovo il prete Madelfrido con tracciarli i limiti della sua Diocesi, come nella Bolla di tale consacrazione»[18]. Nacque così la Diocesi di Sant'Agata de Goti.

Nel periodo in cui i Longobardi dominarono la città il tessuto urbano cittadino di origine romana cominciò ad alterarsi fino a scomparire del tutto, grazie anche alla pratica dei barbari di "riciclare" materialmente pezzi di strutture appartenuti a templi pagani o a basiliche giudicate inutili. Si vedono esempi di questa pratica in molte pareti perimetrali di edifici costruiti in quest'epoca come nei capitelli della cripta della prima Cattedrale, originariamente realizzata da Adalardo[19] In questo periodo si posero le basi di una lenta trasformazione dei costumi nella popolazione, delle abitudini alimentari e delle consuetudini contadine, alcune delle quali sopravvivono ancora oggi. Nel territorio circostante furono create le masserie, luoghi fortificati dove si sviluppò la produzione di vettovaglie a servizio della comunità, svolta dai massari riuniti in nuclei familiari che davano il proprio nome alla fattoria, esattamente come avviene ancora oggi in alcuni casi. Il gastaldo di Sant'Agata abitava invece sull'altura di tufo, nei pressi dell'antico Pretorium romano del tutto smantellato, in una costruzione prossima ad una falda d'acqua sotterranea, a cui attingeva un pozzo. La sua casa era una rudimentale torre quadrata di legno e pietra, di circa dodici metri di lato, a due o quattro piani, ai quali saliva attraverso una scala rustica a pioli. Il tessuto urbano era caotico, fatto di abitazioni rudi; in qualche caso venivano utilizzate anche le grotte naturali come rifugio contro i nemici.[20]

Periodo normanno

All'inizio dell'anno Mille il feudo fu conquistato come "beneficio" dalla famiglia Drengot (Rainone, pagg. XXXVII-XXXVIII).

Secondo alcune fonti la famiglia Drengot era originaria di Carreaux vicino Avesnes-en-Bray a est di Rouen; dal nome Quarrellis o Quadrellis, la forma latina di Carreaux, essi avrebbero assunto poi il cognome de Quarrel. Secondo altre fonti, i Drengot vennero invece da Alençon. Dei cinque fratelli Drengot, Osmondo (Asmund) si era reso colpevole dell'uccisione di una persona vicina al duca Riccardo II di Normandia e per questo era stato bandito dal regno, perdendo ogni favore. Domenico Russo parla di «uccisione in duello, nella foresta di Lyons (presso Rouen) di William Repostel, favorito del duca normanno Riccardo II, perché si era vantato di aver disonorato la figlia di Asmund ».

Inoltre il cognome sarebbe di origine scandinava, come afferma un «testo danese intitolato De Danske Runemindesmaerker, Volume I di Peder G. Thorsen, scritto nel 1864 che alla pagina 160, spiega l'origine del cognome Drengot.» La parola "Drengot" deriverebbe da TREGR GUPR, che si legge dreng gode, ("uomo di valore"), e in relazione ad esso si fa esplicito riferimento proprio ad Asmund Drengot ( Russo). Altri testi di storia danese testimoniano, secondo Russo, l'origine scandinava dei Drengot, passati attraverso la Francia per giungere in Italia.

Dopo l'omicidio e la perdita di tutti i privilegi in Patria, i fratelli Drengot seguirono Osmondo nella sua emigrazione, arruolati in una "banda" di 250 guerrieri composta da esiliati, militari senza terra e avventurieri senza speranza di riscatto in Patria, diretti ufficialmente come pellegrini a Monte Sant'Angelo sul Gargano, in Puglia, presso il santuario dell'arcangelo-soldato Michele. Il piccolo esercito di reietti ─ a capo del quale potrebbe essere stato Osmondo stesso o forse il fratello Ridolfo Drengot o il fratello Gilberto ─ fece successivamente una tappa a Roma per incontrare Papa Benedetto VIII, al secolo Teofilatto dei Conti di Tuscolo, salito al trono papale nel 1012. L'intenzione della banda era quella di cercare un riscatto in Italia e di recuperare i privilegi di rango perduti in Francia, sapendo che Ottone I, nel creare la suddivisione in marche e contee, sceglieva i Marchesi e i Conti tra personaggi di sicura e comprovata fedeltà, con l'intenzione di affidare loro il difficile compito di esercitare il potere in nome dell'Imperatore in cambio di una certa quantità di risorse, come corrispettivo al servizio prestato e come fondo per le spese di rappresentanza. Le concessioni così strutturate si chiamarono Benefici.

Grazie a questa istituzione, venendo assunti da Guaimario come mercenari al suo servizio, i Drengot si assicurarono una serie di "favori", a patto di proteggere sempre lealmente il loro Signore. La fortuna della famiglia continuò fino al 1030, quando il Duca di Napoli, Sergio IV, decise di ingaggiarli contro i Longobardi del principato di Capua, guidati da Pandolfo IV, detto “Testa di Ferro”. In cambio della vittoria ottenuta, Sergio offrì al primogenito dei Drengot, Rainulfo I, un podere nei pressi di Aversa. Egli non solo accettò, ma godette poi della mano della sorella di Sergio, in prime nozze, gettando con tale atto le fondamenta dello sviluppo del potere normanno in Campania (Gallo pag.3).

Tra i nipoti di Rainulfo I ─ Umfredo, Guglielmo e Roberto ─ quest'ultimo nel 1097 si dichiarò conte di Sant'Agata mentre nel 1102 diventò conte di Caiazzo e fu poi padre di Rainulfo III e Riccardo. Roberto Drengot, Conte di Alife, Caiazzo, Telese e Sant'Agata prese in moglie Gaitelgrima e ordinò la ristrutturazione, o forse il parziale rifacimento, del bellissimo edificio che è la chiesa di San Menna (Cielo, pag.91) la quale assumerà nello schema strutturale l'impronta dello stile dell'epoca, il Romanico, subendo invece nelle decorazioni influssi bizantini attraverso le tecniche di posa dei mosaici ricavati da materiale di spoglio recuperato, divenendo in tal modo il più straordinario esempio di architettura sacra presente oggi nel Sannio. Il primogenito ed erede, Rainulfo, da adulto ebbe aspetto talmente imponente da prendere il soprannome di “Rainone”. Seguendo il principio della primogenitura, Rainone ricevette dal padre, tra i benefici, nel 1108, le terre di Sant'Agata, Alife, Caiazzo, Avellino, Airola. Divenne poi duca di Puglia nel 1137.

Suo cugino Riccardo I detto “Trincanotte” invece, fu Signore di Genzano e di Nemi, sesto Conte di Aversa e soprattutto Principe di Capua dal giugno 1058, sposando Fredesenda figlia di Tancredi di Altavilla. Scomparso il loro re Roberto il Guiscardo, i Drengot servirono Ruggero Borsa e successivamente Guglielmo di Sicilia; ma gli accordi politici ebbero una svolta imprevista con l'avvento al trono di Sicilia di Ruggero II. Figlio di Ruggiero I, nel 1127 egli aveva ereditato dal padre la contea di Sicilia e il ducato di Apulia e Calabria; qualche anno dopo, nel giorno di Natale del 1130, Ruggiero II fu incoronato re dal Papa Anacleto II, desideroso del suo appoggio politico (Gambella). L'ambizione del nuovo re provocò una serie di lotte contro le stesse forze papali, germaniche e bizantine, nonché contro la piccola nobiltà normanna, soprattutto quella che aveva raggiunto i vertici del potere e minacciava di diventare indipendente, della quale faceva parte Rainulfo Conte di Sant'Agata. Ruggiero giudicò arrivato il momento di appropriarsi materialmente della fortezza santagatese, lasciata fino a quel momento libera e indipendente; il feudo, cresciuto spaventosamente in estensione nel corso degli anni, grazie alle acquisizioni dei territori portati in dote dalle mogli, rappresentava evidentemente una tentazione fortissima: le terre di "Rainone" infatti, oltre ad Alife, Caiazzo, Sant'Agata de' Goti e Telese, compresero in alcuni periodi anche Avellino, Mercogliano, Ariano Irpino e Troia, in Puglia (Gallo pagg. 52-53).

Il re Ruggiero ingaggiò una prima battaglia contro i Baroni del Regno sul fiume Sarno del 1132, nella quale, secondo lo storico Fileno Rainone, ebbe parte attiva Rainone Conte di Sant'Agata divenuto nel frattempo suo cognato; Il re dovette però poi retrocedere, avendo rapito la sposa (sua sorella) e suo nipote Roberto, legittimo erede, portandoli lontano dalla rocca e da Rainone, forse per indurlo ad arrendersi. La risposta a questo sopruso infatti non si era fatta attendere e Rainone era riuscito ad avere la meglio sul cognato.

Costui tornò alla carica nel 1133 riconquistando ad una ad una le terre perdute: mettendo in atto la tattica della provocazione, dopo la vittoria Ruggiero compì atti crudeli e saccheggi in tutte le terre della contea, allo scopo di eliminare il Principe di Capua e i suoi sostenitori tra i quali il Conte di Sant'Agata. Secondo Fileno Rainone, il feudatario lasciò la sua fortezza con tutto il suo esercito per scontrarsi lealmente col nemico, prendendo purtroppo un percorso sbagliato: Ruggiero, scegliendo altre strade, giunse a Sant'Agata entrando vittorioso nella città senza difesa. Tuttavia Rainone non si era ancora arreso: tornato alla carica dopo qualche tempo, conobbe dapprima una vittoria, poi una sconfitta, infine, nel 1137, aiutato dal Papa e da Lotario II di Germania, riuscì a riconquistare le terre di Sant'Agata e il titolo di duca di Puglia.

L'ultima, decisiva battaglia tra Rainone di Sant'Agata Drengot e Ruggiero di Sicilia, suo cognato, si svolse nel 1137, secondo John Julius Norwich a Rignano (o Pregnano, secondo Fileno Rainone), nel Gargano, in Puglia. La battaglia di Rignano fu la seconda grande sconfitta di Ruggiero II per mano di Rainone Conte di Sant'Agata; mentre nel 1132, a Nocera, egli era stato alleato di Robero II di Capua e Sergio VII di Napoli, nelle vesti di ribelle al potere del re, nello scontro del 29 ottobre 1137 Rainone intervenne con l'autorità del titolo di duca di Puglia e con un esercito di 800 soldati tedeschi inviati dall'Imperatore Lotario II di Germania, uniti alle milizie marittime pugliesi, contro il suo antico alleato, Sergio, passato dalla parte di Ruggiero (Rainone, pag. XLII).

Con la riconquista delle terre, avvenuta già nel 1137, l'Imperatore Lotario ed il Papa Innocenzo II elevarono congiuntamente Rainone al titolo ducale per prepararlo alla sfida contro il potere del re Ruggiero aiutato da suo figlio. La battaglia portò alla fuga del re Ruggiero, il quale si rifugiò col figlio a Salerno; nonostante ciò una dura rappresaglia dei suoi sostenitori vide le terre del feudo campano di Rainone saccheggiate e messe a ferro e fuoco, mentre i possedimenti Pugliesi (Troia, Melfi, Canosa e Bari) restarono immuni dalla vendetta (John Julius Norwich). Soltanto con la morte di Rainone, avvenuta il 30 aprile 1139 per un attacco di febbre malarica, Ruggiero potrà averla vinta e impadronirsi definitivamente del feudo di Sant'Agata de Goti (Gambella). Probabilmente il figlio di Rainone, Roberto Drengot, fu affidato a un protettore avendo perduto tutte le terre del feudo, dopo la vittoria di Ruggiero. Egli visse a Roma col titolo di Conte di Tuscolo, famiglia già imparentata con i Drengot dal 1046 (Rainone pag. XLVII) e probabilmente prese i voti dato che non vi sono più notizie di eredi legittimi (Biscardi pagg.44-47).


In epoca normanna Rainulfo Drengot, nominato Conte del Feudo di Sant' Agata (Rainone pag. XXXVII), a cui secondo l'usanza normanna diede il suo nome, si impegnò come tutti i vassalli a garantire un sostegno leale ed obbediente al suo re e quindi all'Imperatore: L' "Homagium Ligium" fu appunto l'appartenenza completa e perpetua ad un unico Signore. I suoi possedimenti compresero un territorio frazionato in vari fondi dislocati in più parti, sorvegliati dalle cosiddette "depandances", nelle quali abitarono i collaboratori di rango inferiore. Il feudo corrispose ad un intero "Comitatus", (contea); il Conte Rainulfo ebbe podestà di gestirlo e di godere della protezione del Signore in caso di pericolo o di bisogno economico. Egli entrò a far parte di quella schiera di indipendenti, i "Potentes", ritenuti tali non per il titolo, ma per il fatto di possedere una fortezza; una di queste fortezze fu la rocca di Sant'Agata, opportunamente trasformata (Gallo, pag. 3 e seguenti).

Per realizzare il "fortellicium" santagatese a partire dall'XI secolo (Rainone, Appendice fogli nn. 1-15) i Normanni sfruttarono le cave di tufo già presenti nel borgo, utilizzandole poi come "conserve" e cisterne alcune delle quali visitabili ancora oggi, realizzando con il tufo i contrafforti addossati ai costoni naturali: questo sistema, unito alla cinta delle case-cortina, rese le mura inespugnabili a ovest mentre a est fu arricchito da una rete di torrette d'avvistamento. Secondo Fileno Rainone furono costruite e rinsaldate nella stessa epoca le porte d'accesso alla cittadella divenute quattro: le prime due localizzate fuori dal circondario della città, la terza porta a Oriente (l'attuale porta San Marco), la quarta porta a Settentrione della città, chiamata “Porta dei Ferrari”, secondo alcuni per la presenza di una inferriata di protezione (Viparelli) ma anche probabilmente perché immetteva lungo la strada di uscita dal borgo, sulla quale davano le botteghe dei fabbri ferrai (Biscardi, pag.39). Tale porta fu demolita nell'Ottocento (Viparelli).

Il lato sul fiume Martorano restò sempre la parte più inespugnabile, alla quale si arrivava solo in barca, guadando il fiume. Una volta giunti sotto la cinta difensiva alta più di 150 metri, non c'era modo per i nemici di entrare se non cingendo d'assedio la città: i più scaltri sapevano che, mentre a est e a sud la presenza delle torrette di avvistamento (visibili ancora oggi) permetteva di scoprire in anticipo i nemici e prepararsi così alla difesa, da ovest si poteva invece arrivare sotto i costoni restando nascosti tra la vegetazione; in questo modo era possibile cingere d'assedio la città scavando cunicoli alla base delle alte pareti tufacee, in corrispondenza delle "conserve" (cisterne e cantine) sotterranee più grandi (Rainone, Appendice, foglio n.11), in modo da svuotarle dell'acqua e del cibo, costringendo gli abitanti velocemente alla resa. Dato il notevole spessore delle mura alla base, si cercava di scavare da entrambe le parti, avvalendosi di un traditore all'interno della città che aiutasse il nemico a penetrarla. Ancora oggi nei costoni sul Martorano si notano gli ingressi ai cunicoli, sfocianti nei sotterranei e nelle cantine delle abitazioni private, usati a partire dal Cinquecento per uscire ed entrare segretamente dalla rocca, soprattutto dai religiosi stanziati in gran numero nel borgo, all'interno delle insulae monastiche costruite su questo versante (Biscardi pag.49)

Col passar del tempo le case-cortina della fortezza servirono da "scudo" alle due strade perimetrali (via Riello e via Martorano) sulle quali affaccia un secondo ordine di residenze parallelo di tipo nobiliare e tale conformazione è rimasta intatta ad oggi. Guardando il prospetto dell'abitato a est e a ovest, si distinguono splendidi episodi architettonici del Seicento e del Settecento misti all'edilizia medievale, mentre al di là della murazione fortificata si celano giardini pensili e orti, utilizzati nel Medioevo come fonte di approvvigionamento durante gli assedi, parzialmente trasformati in rigogliosi giardini tra il XVII e il XIX secolo, con l'aggiunta di terrazze e belvedere, nell'ambito delle ricostruzioni urbane del XVI e XVIII secolo.

Sul lato est della fortificazione sopravvive un discreto numero di torrette d'avvistamento e di presidio, talvolta abbandonate, oppure inglobate in residenze private e riadattate nell'uso. Le torri quadrangolari, come la Lamia di porta San Marco, fanno parte del "fortellicium" normanno, mentre la torre annessa al castello ubicata nella villa comunale di piazza Trieste, di forma cilindrica, fu aggiunta nel Cinquecento per rafforzare la difesa sul versante est, all'indomani delle lotte dinastiche degli Angio'- Durazzo (Catapane).

Storia (dall'Antichità al XIX secolo)

Dopo una parentesi in cui il feudo passò con alterne vicende nelle mani di Federico di Svevia nipote del re Ruggiero, esso passò sotto la protezione degli Angiò. A seguito della non documentata alienazione da parte degli Angiò a Bertrand de Goth (Biscardi, pagg. 24-25) il feudo fu gestito dalla regina Giovanna I salita al potere nel 1330 e sposa in seconde nozze di Luigi d'Angiò, Conte di Provenza, regione francese dove la stravagante regina trovò asilo per sfuggire alle minacce del cognato re d'Ungheria. I due coniugi si contrastarono apertamente a causa delle pressioni delle famiglie nobili assetate di potere, ansiose di ottenere protezione e benefici nel Regno, fra i quali Carlo di Durazzo, marito della sorella di Giovanna, Maria, e Luigi di Taranto, figlio di Caterina di Valois, zia di Giovanna per parte di padre, la quale cospirava per dare lo scettro al figlio, ai conti di San Severo e agli Artus (Giuseppe de Blasiis). Furono proprio questi ultimi, ramo naturale di origine nobile, a ricevere in beneficio dalla regina il feudo di Sant'Agata de Goti. Carlo I Artus, figlio naturale di Carlo d'Angio' detto “lo zoppo”, erede del titolo di conte di Sant'Agata nel 1343 e poi Conte di Monteodorisio, in Abruzzo, sposò la contessa Giovanna di Scotto e ne ebbe due figli: Luigi e Carlo II. Fu il primogenito ad ereditare il feudo santagatese mentre il secondo ebbe il feudo abruzzese. Questi sposò la bellissima Andreina Acciaiuoli, figlia di Niccolo' Acciaiuoli Gran Siniscalco del Regno di Napoli e amante della regina; il loro figlio Bertrando II insieme al padre si rese esecutore del vile assassinio del marito della regina, Andrea, nel castello di Aversa, molto probabilmente per favorire il suocero. Naturalmente i due furono per ciò condannati e decapitati. Il feudo passò dunque al più mite Luigi sposato con Isabella di Celano. Suo successore fu il figlio primogenito Ludovico, morto il 5 settembre 1370 e sepolto nella chiesa di San Francesco a Sant'Agata; da questa data il titolo passò a suo fratello Giovanni Artus, unito in matrimonio con la nipote di Papa Urbano VI. Costui non lasciò eredi se, nel 1390 il terzo fratello, Carlo III, già Signore di Maddaloni, fu designato conte di Monteodorisio e di Sant'Agata de Goti. Ancora nel 1401 Ladislao Artus era feudatario di Sant'Agata: ma, ribelle al re, fu imprigionato e decapitato senza lasciare eredi (Biscardi pagg.78-79).

I conflitti dinastici, alimentati dai sostenitori di entrambe le parti, sfociarono nella morte violenta di Giovanna, nel 1382 ma i vantaggi per gli Artus rimasero fino alla loro estinzione.

Nel 1414 la nuova regina del Regno di Napoli Giovanna II successe a Ladislao, suo fratello, già sostituto di Giovanna I; nel 1432, estinti gli Artus, ella prese sotto la sua protezione Baldassarre De la Rath, nobile di origine catalana, Conte di Caserta, al quale donò il feudo di Sant'Agata (Biscardi, pagg.82-84) . Scomparsa Giovanna, subentrò alla guida del regno Alfonso d'Aragona, re tra il 1443 e il 1458; costui continuò a proteggere i De La Rath i quali si batterono strenuamente per conservare la proprietà sul feudo per qualche tempo. Infatti, una componente della famiglia, Caterina de la Rath, duchessa di Caserta, sposò in prime nozze Cesare, figlio di Ferdinando D'Aragona, marchese di Sant'Agata de' Goti ma nel 1509 sposò in seconde nozze Andrea Matteo Acquaviva, già duca D'Atri, bramoso di potere, il quale cercò continuamente e con ogni mezzo di acquisire benefici e proprietà al fine di accrescere la sua potenza all'interno del Regno di Napoli, includendovi anche mire sulla rocca santagatese. Pare infatti che con la riunione dei feudi abruzzesi del padre, quelli pugliesi della madre e quelli campani, lucani e calabresi della seconda moglie, il Casato degli Acquaviva riuscisse ad affermarsi come una delle sette famiglie più potenti del Regno di Napoli. Matteo insegnò all'Accademia Pontaniana e tradusse le opere del Plutarco: fu un feudatario ricordato come un vero principe umanista.

Con la continua mutazione dello scenario politico, i De la Rath persero il feudo, che passò alla famiglia Coxa (detta anche Cossa, Coscia o Salvacossa), originaria della Grecia, il cui casato derivava dall'Isola di Ischia, chiamata appunto anticamente Coxa. Uno dei componenti della famiglia, Pietro Cossa, settimo Signore di Procida, nel 1510 sposò in seconde nozze Camilla Carafa della Stadera, discendente di Antonio Carafa della Stadera, Conte di Maddaloni e Airola, soprannominato Malizia per le sue ineguagliabili capacità diplomatiche, soprattutto ai tempi di Ladislao e di Giovanna II. Nel frattempo la famiglia Acquaviva, che aveva tramato per ottenere anche il titolo D'Aragona, subentrò nella conquista del feudo santagatese, che possedette fino al 1529. Fu però Giovanni Camillo Cossa o Coscia a succedere nel titolo di duca di Sant'Agata de' Goti (Biscardi pagg. 83-84); egli sposò Cornelia Pignatelli, nobile benefattrice, alla quale Sant'Agata deve la ristrutturazione dell'antica casa di accoglienza e cura fondata dai Cavalieri Ospitalieri nel 1229, ricostruzione avvenuta proprio nel 1529, epoca in cui fu affidata la cura ed assistenza degli infermi poveri ai Fate-bene-Fratelli di Napoli, e prese il nome di Ospedale di San Giovanni di Dio (Mongillo,pag.9).

Il figlio di Andrea Matteo Acquaviva, morto nel 1529, Giulio Antonio Acquaviva, consolidando le politiche del padre, si impossessò ancora una volta del feudo di Sant'Agata divenendo nel 1579 Principe di Caserta e di Teano, su iniziativa del re Filippo II d'Asburgo. La lotta tra le famiglie per il possesso della rocca di Sant'Agata continuò, se nel 1585 Francesco De la Rath, italianizzato in Della Ratta, marito di Donna Altobella Gesualdo, riuscì ancora una volta a riconquistare favori e titolo, in ciò contrastato vivamente da Giovan Paolo Cossa, il quale riuscì ad avere la meglio nello stesso anno, ottenendo anche il feudo di Mirabella in Principato Ultra (oggi provincia di Avellino).Il feudo di Sant'Agata, dopo ulteriori efferate lotte dinastiche, venne acquisito dalla nipote di Diomede Carafa II, della famiglia dei Carafa della Stadera, duchi di Maddaloni e Frosolone; terzo Conte di Maddaloni, sposato tre volte, Diomede fu uomo ricco di discendenze e morì nel 1523. Alla fine del Cinquecento, la nipote Giovanna Carafa portò in dote a suo marito il feudo di Sant'Agata, contribuendo a renderlo Conte, ma non è possibile indicare l'anno esatto (Libro d'Oro della Nobiltà Mediterranea).

Nel frattempo il Capitolo della cattedrale di Sant'Agata de' Goti, sempre più potente sul territorio, modificò la sua gerarchia aggiungendo ai Canonici, dal 1546, nuove figure, le cosiddette Dignità: l'Arcidiacono, il Decano, i Primicerii e il Tesoriere. Dunque, dalla metà del Cinquecento, dieci parrocchie sulle diciassette esistenti a Sant'Agata furono rette dal Capitolo o da un gruppo di Canonici o da una Dignità, e «fatto è che il Capitolo si trovò ad essere una "potenza" per il numero dei membri, per la disponibilità economica, per l'accentramento della cura d'anime, per il monopolio su ogni altra celebrazione di culto» (Abbatiello, pag.12). L'acquisizione di nuovi possedimenti contribuì non poco all'espansione del potere clericale nella città.

I personaggi più importanti della famiglia Acquaviva, Andrea Matteo III, vissuto tra il 1456 e il 1529, e Claudio Acquaviva, vissuto tra il 1543 e il 1615, generale dei Gesuiti, feudatario al tempo del vescovo Felice Peretti, divenuto Papa Sisto V, molto probabilmente furono protagonisti e fautori di questa acquisizione.

Nel 1696 la famiglia Carafa della Stadera di Maddaloni acquistò il feudo e il castello di Sant'Agata nell'ambito di una precisa strategia che durava da tre secoli, ideata dai regnanti protettori di questa dinastia per la fedeltà e la lealtà dimostrata nel tempo. Infatti ai Carafa, nati come famiglia nel Trecento da un ramo dei Caracciolo napoletani e suddivisi in varie discendenze in base alle loro attività e fortune, era assegnato da sempre il compito di proteggere e controllare i più importanti snodi viari nei territori dell'odierne Campania e Basilicata (Catapane). Domenico Marzio Carafa duca di Maddaloni, nato nel 1645 e morto nel 1703, acquisì il castello di sant'Agata e otto casali nel 1696; egli morì appena quattro anni dopo, dunque non ebbe molto tempo per abitarlo: d'altronde i Carafa di Maddaloni possedevano molte dimore sparse in Terra di Lavoro, non tutte abitate e abitabili. Queste dimore, una volta acquisite, venivano assegnate a vari membri della famiglia in eredità, in modo che ciascuno iniziasse un nuovo ramo per proprio conto, espandendo il potere del casato (Catapane). Il castello di Sant'Agata fu assegnato alla figlia di Domenico Marzio, la duchessa Caterina Carafa della Stadera di Maddaloni sposata con Domenico Carafa principe di Colubrano: la neosposa decise senz'altro di abitare presso le sue terre poiché alcune sale del castello riportano degli affreschi testimonianza di un rinnovamento che mai sarebbe avvenuto in una dimora disabitata. La duchessa morì nel 1756, e i suoi eredi principi di Colubrano furono padroni, nelle terre del feudo, anche dell'area chiamata "Ferriera vecchia" lungo il fiume, fino all'abolizione del feudalesimo (Biscardi, pag.87). Alla fine del Settecento gli Eletti di Sant'Agata de Goti avviarono una serie di ristrutturazioni urbane allo scopo di migliorare la vivibilità della città, divenuta residenza di alcune famiglie patrizie provenienti dal Regno di Napoli, a seguito dell'attenzione dimostrata dai Borbone verso Sant'Agata: Carlo di Borbone nella prima metà del Settecento aveva incluso questo territorio nei suoi piani di sviluppo delle industrie siderurgiche promuovendo la costruzione di una Ferriera lungo il fiume Isclero, forse derivata da una Ferriera già esistente appartenuta ai feudatari Carafa (Biscardi pag. 87). Nel Catasto Onciario del 1752 la "Ferriera Nova" è già menzionata e appartiene a un nucleo di otto Ferriere sparse nel Regno: in essa si lavorava materiale proveniente dall'Isola d'Elba utilizzando legname delle foreste di Cervinara mentre si producevano armi di difesa (Gregorio Rubino). L'attenzione del re fu orientata anche verso gli scavi archeologici e i ritrovamenti sul territorio santagatese che vennero studiati catalogati e conservati in gran parte da Fileno Rainone, oggi custoditi nel museo privato della famiglia Mustilli, imparentata con i Rainone. A partire dalla seconda metà del Settecento furono risistemate le aree a nord di Sant'Agata con la formazione della villa Comunale di piazza della Torricella (1790/91) e la regimentazione di alcune sorgenti antichissime nell'area di Reullo, già interessata dalla costruzione delle condotte d'acqua alla Ferriera e del ponte Viggiano. Sulle proprietà di alcuni Eletti e Dignità del Capitolo Cattedrale a Reullo, in contrada Bocca e nel territorio circostante fuori le mura furono costruiti lavatoi pubblici a servizio della popolazione, oggi ancora esistenti e in parte utilizzati dagli abitanti (Zeoli-Lepore). Seguì la tendenza urbanistica dell'epoca la formazione dell'asse viario con orientamento nord-sud in una operazione di parziale "sventramento" del tessuto urbano medievale che lasciò il posto alla costruzione prospiciente alla strada di alcune residenze patrizie appartenenti a famiglie in parte ancora residenti sul posto. Le trasformazioni si protrassero fino a tutto l'Ottocento, come attestano le date di fondazione degli edifici in questione; davanti ad ogni chiesa dotata di sagrato in molti casi lo spazio fu ampliato come piazza o come "Largo": nacquero così la piazza Ludovico Viscardi (davanti alla chiesa di Sant'Angelo de Munculanis), la piazza del Carmine (davanti alla chiesa della Madonna del Carmine), la piazza Trento (davanti la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli), nonché il Largo antistante la chiesa di San Francesco, il Largo Santa Maria delle Grazie davanti all'omonima chiesa, mentre nel Largo Ostieri e nel Largo del Toro le chiese fondate in tempi molto antichi forse inutilizzate e decadenti scomparvero (Abbatiello). Il Largo della Torricella ospitava fino alla fine del Seicento una chiesa non ben identificata (Zeoli-Lepore, illustrazione in appendice) ma la sua denominazione è da associarsi all'esistenza di una cisterna, collegata a un mulino, chiamata popolarmente in Campania all'epoca appunto "torricella"(Biscardi pag.66), localizzata ancora oggi in una cavità sotterranea alla piazza, al di sotto del palazzo Mosera, ex mulino. Anche il Largo Lapati (o Largo Italia) si apre davanti a quella che era stata nel Cinquecento una casa di Canonici secolari ubicata senz'altro nei pressi di una chiesa scomparsa (Abbatiello), mentre il Largo Scuola Pia si attesta al lato del convento delle Suore Redentoriste, la cui ultima ristrutturazione si ebbe ai tempi di Alfonso Maria de Liguori (Francesco Abbate, Isabella di Resta). Tra il Settecento e l'Ottocento Sant'Agata de Goti fu interessata da una intensa attività urbanistica e architettonica che, se da un lato ridimensionò il tessuto medievale giudicato oramai inutile e in qualche caso malsano (come l'insula monastica presente in corrispondenza della piazza del Carmine abbandonata da tempo o quello in corrispondenza di via Ciardulli all'incrocio con via Fontana e via Diaz, dove fu eliminata anche la porta dei Ferrari), dall'altro portò alla costruzione di meravigliose residenze a corte, ricche di giardini pensili e orti residui dei piccoli terreni utilizzati tra le mura in caso di assedio; ne sono un esempio il Palazzo Viscardi, il palazzo Picone, la residenza Mongillo, il Palazzo Canelli, i due palazzi Mustilli, il palazzo Tidei, il palazzo del vescovo Iannotta, il palazzo de Silva, il palazzo Mosera, il palazzo Testa (destinato ad essere Stazione Ferroviaria ma trasformato successivamente in residenza signorile), il palazzo De Masi, per citare i più evidenti. Esempio di architetture seicentesche sono invece il palazzo Jovene del Girasole e il palazzo Rainone, nonché il palazzo Vescovile, più volte trasformato, il laboratorio di trasformazione e conservazione dell'azienda vinicola Mustilli, (edificio coperto da una gigantesca volta a botte), il palazzo costruito da Cornelia Pignatelli donato all'Ospedale San Giovanni di Dio annesso alla chiesa della SS. Annunziata, per citare i più interessanti.

Nel Settecento fu parzialmente ristrutturato anche il convento di San Francesco (fondato nel Quattrocento) con l'aggiunta del portale marmoreo, mentre nell'Ottocento al primo piano fu realizzata la splendida Sala Consiliare affrescata con paesaggi santagatesi e con un dipinto del 1899 raffigurante la Santa, del pittore Vincenzo Severino, denso di significati massonici (si veda l'articolo di Franco Tontoli sugli studi di Lucia Giorgi pubblicato nel Corriere del Mezzogiorno del 19 maggio 2009). Infine tra il Settecento e l'Ottocento fu realizzato il cimitero comunale con un'ampia esedra in stile neoclassico e una serie di sepolcri e cappelle patrizie di grande eleganza.

La Diocesi di Sant'Agata de Goti, esistente dal 970, ha avuto importanti vescovi tra i quali Sant'Alfonso Maria de' Liguori, alla guida della diocesi per tredici anni, e Felice Peretti, vescovo dal 1566 al 1571, divenuto Papa con il nome di Sisto V.

Dal 2004, assieme alla città di Cerreto Sannita e di Letino è uno dei tre comuni della Campania ad essere insignito del marchio di città "Bandiera Arancione" del Touring Club Italiano.

La cripta del Duomo.

Dal 2012 è entrata a far parte dell'associazione Borghi più belli d'Italia[7].

Origine del nome

Il toponimo Sant'Agata de' Goti si forma in differenti periodi storici. Nel corso del VIII secolo infatti la città longobarda fu intitolata alla santa catanese probabilmente per volontà di Radoald e Grimoald, fratelli educati alla corte di Arechi che abitarono nella gastaldia di Sant'Agata, inclusa nella Contea di Capua, e contribuirono qui alla fondazione della chiesa di S. Agata de Amarenis, detta Sant' Agatella, oggi distrutta, in segno di devozione alla martire, dopo la conversione religiosa dal cristianesimo ariano a quello cattolico (Viparelli, pag.10). La seconda parte del toponimo si aggiunge in epoca normanna, con l'avvento dei feudatari della famiglia Drengot dopo il 1117: come è noto, Rainulfo Drengot conte di Sant'Agata apparteneva alla cerchia dei “Potentes” con facoltà speciali e potere decisionale autonomo tra i quali quello di dare il suo nome alla fortezza. Ma col tempo il cognome Drengot sia in Francia che in Italia prese ad essere pronunciato diversamente fino a mutare all'epoca degli Angiò in De-Goth. A seguito dell'estinzione di eredi legittimi De-Goth dopo il 1140, il feudo santagatese passò ad altre famiglie conservando il nome normanno poiché l'usanza di dare il proprio nome ai propri possedimenti non esisteva più.(Biscardi, pag.24 e seguenti)

Il feudo continuò a chiamarsi "Sant'Agata De-Goth" anche per gli Svevi fino alla morte di Manfredi. Giunto dalla Francia Carlo I D'Angiò, nel 1266, egli si appropriò del feudo santagatese affidandolo a Bertrando di Artois (Rainone), suo primo Consigliere, sposato una prima volta con Luisa Marra e una seconda con Guglielma Cantelmo, cameriera della regina Sancha, dalla quale ebbe il figlio Carlo, in realtà figlio naturale di Roberto D'Angiò' (Biscardi, pag. 77). Secondo alcuni studiosi esisterebbero fonti storiche, mai pubblicate o citate in alcun testo, secondo le quali fu Roberto d'Angiò a trasferire la proprietà del feudo a un ramo dei De-Goth provenienti da Aquitania e Guascogna venute in sud Italia in occasione della guerra a seguito del re; potrebbe essersi trattato di parenti del Papa Clemente V, al secolo Bertrand De Goth, nominato nel 1312, terzo di dodici figli nati dal matrimonio fra Ida de Blanqueforte e Béraud De Goth, signore di Villandraut, Grayan, Livran e Uzeste. Un altro ramo della famiglia è riconducibile ai Conti di Armagnac: Giovanni I, morto nel 1373, si era sposato infatti con Reine De Goth di Lomagne, abitando sempre in Guascogna, regione annessa alle terre di Aquitania, al confine con la Spagna. Dunque questo ramo della famiglia sembrerebbe consolidare le ipotesi già fatte sulla provenienza geografica del cognome.(Biscardi, pag.24 e seguenti)

Fu certamente Carlo D'Artois a ereditare il titolo di Conte di Sant'Agata “De-Goth" (o "Dei Gothi" al plurale, riferendosi a un nucleo familiare) nel 1343 divenendo poi Conte di Monteodorisio, in Abruzzo, sposando la contessa Giovanna di Scotto. Gli Artus detennero il feudo fino alla decapitazione dell'ultimo erede della famiglia, avvenuta nel 1401 (voce Carlo D'Artois in Enciclopedia Genealogica del Mediterraneo, Libro d'Oro della Nobiltà Mediterranea). Quando la Regina Giovanna II D'Angiò, all'inizio del Quattrocento, assegnerà il feudo santagatese alla nobile famiglia De la Rath, di origine Catalana, resterà comunque la denominazione "Sant'Agata De Gothi" ; secoli dopo l'avvento degli Angioini, chi trascrisse, pronuncio' o ascolto' la dicitura "Feudo di Sant'Agata De' Gothi", non immaginò un cognome di una famiglia d'origine francese, ma superficialmente, suggestionato da alcuni aspetti architettonici e storici, intese senz'altro "Sant'Agata fondata dai Goti" intesi come popolo di origine germanica invasori dell'Impero Romano (chiamati Goth appunto in inglese e francese) in considerazione della loro presenza nel Sannio; ma mentre le tesi esposte sono dimostrabili dalle tracce normanne lasciate nella città, quella relativa a una fondazione o a un passaggio da parte dei Goti è a tutt'oggi non dimostrabile concretamente.

Monumenti e luoghi d'interesse

Architetture religiose

Lo stesso argomento in dettaglio: Duomo di Sant'Agata de' Goti.
Edificio fondato nel 970, ricostruito nel XII secolo e completamente modificato nel XVIII secolo. Conserva pregevoli opere artistiche afferenti alle varie epoche di ristrutturazione ed una cripta romanica con archi su capitelli di rara lavorazione scultorea.
  • Chiesa di Sant'Angelo de Munculanis
Edificio romanico presenta una struttura a pianta basilicale a tre navate. Originariamente la struttura prevedeva un'abside più grande, poi tagliata e ristretta. L'ingresso principale, orientato verso sud, è preceduto da un pronao composto due massicce colonne di spoglio, e sul quale si innalza il campanile. I lavori di restauro[21] hanno portato alla luce, oltre alla struttura medievale, una cripta sotto le navate con sepolture a "scolatoio". Un'altra cripta, successivamente riempita era collocata sotto il presbiterio.
  • Chiesa dell'Annunziata
La chiesa dell'Annunziata
Chiesa del XIII secolo ostruita appena fuori dalla porta sud della fortificazione normanna, annessa ad una struttura "Hospitaliera" fondata nel Duecento. Gli affreschi dell'abside risalgono al XIV secolo; sulla controfacciata invece è possibile ammirare un monumentale affresco del XV secolo raffigurante il Giudizio Universale. Di pregio è anche la pala d'altare del 1483 realizzata dal pittore napoletano Angiolillo Arcuccio raffigurante l'Annunciazione. La chiesa fu completata nel 1238 e conserva l'impianto basilicale con tetto a capriate e monofore tipici dell'epoca; la facciata di linea barocca presenta un portale tardocinquecentesco, conseguenza dei restauri dell'annesso ospedale patrocinati dalla duchessa Cornelia Pignatelli e dall'Università di Sant'Agata nel 1591. Dopo il terremoto dell'Ottanta sapienti restauri hanno messo in risalto le varie stratificazioni architettoniche della chiesa e gli splendidi affreschi.
  • Chiesa di San Menna
Promotore della chiesa fu il normanno Roberto Drengot che nel 1097 successe al padre come conte di Sant'Agata e nel 1102 diventò conte di Caiazzo: in entrambi i feudi egli decise di ristrutturare chiese già esistenti: a Sant'Agata, acquisì questa chiesa fondata in epoca bizantino - longobarda e intitolata a San Pietro, alla Santa Croce e al Salvatore, posta di fronte al castello mentre a Caiazzo dispose di una basilica intitolata alla Madre di Dio. Per nobilitare quest'ultima, Roberto concepì l'idea di collocare al suo interno le reliquie di un santo eremita molto noto a quel tempo: Menna, uomo poverissimo vissuto ai tempi dei Longobardi. La principessa Teoderica nel 975 aveva fatto erigere in sua memoria una chiesetta a Tocco, un villaggio situato sul versante orientale del monte Taburno, ricadente nella diocesi di Benevento. Poco lontano, a Foglianise, era sorta una seconda chiesa e probabilmente altre ne erano sorte nel Sannio; ma in nessuna di esse erano custodite ufficialmente delle reliquie. Su indicazioni dell'Abate Madelmo del monastero di Santa Sofia di Benevento, Roberto scoprì il corpo integro dell'eremita Menna sepolto sotto l'altare della chiesa di Tocco e lo portò con sé al fine di promuoverne il culto presso i pellegrini e i cavalieri posti a loro protezione che da Capua partivano per andare in Puglia a imbarcarsi verso la Terra Santa: Menna veniva infatti venerato come protettore delle madri poiché ridava loro il latte in caso di mancanza e il culto della Madre di Gesù che allatta era appunto il prediletto dai Templari. Il conte Roberto portò il corpo del Santo a Caiazzo, ma ciò non riscosse l'approvazione dal vescovo per cui il feudatario non poté realizzare subito il suo progetto; fu il vescovo Adalardo di Sant'Agata a cogliere al volo l'opportunità per il paese: promise al conte grande venerazione per le reliquie da parte dei santagatesi e appoggio' le opere di rifacimento della cappella comitale che le avrebbe ospitate. Con una solenne cerimonia, gli abitanti di Sant'Agata insieme a quelli di Airola guidati dall'Abate del monastero benedettino di San Gabriele attesero l'arrivo delle reliquie sulle rive del fiume Isclero. Qui i due religiosi caricarono il corpo sulle spalle tra i canti esultanti della folla fino al borgo e lo collocarono nella chiesa appena restaurata sotto l'altare di San Pietro. Era il 30 marzo ma non è noto di quale anno; è però certo che il 4 settembre del 1110 il Papa Pasquale II, rifugiato nel Sannio sotto la protezione di Roberto, consacrò la bellissima chiesa intitolandola a San Menna confessore: da questo momento essa divenne il più famoso centro di culto del Santo in Campania, autore di una serie di miracoli che riguardarono il Conte e i pellegrini; accanto ad essa sorse una piccola casa monastica che ospitò fino al 1135 monaci di Regola agostiniana e Benedettini di Airola.
  • Chiesa e convento di San Francesco
Il portale di Palazzo San Francesco

Nella prima metà del Quattrocento una piccola comunità francescana era stanziata nella chiesetta oggi diroccata di San Francesco Vetere fuori le mura, fondata, secondo l'interpretazione di alcuni studiosi, dallo stesso Santo durante il suo viaggio verso Avellino di ritorno dal Santuario di San Michele Arcangelo del Gargano agli inizi del Duecento. Due secoli dopo i Francescani di Sant'Agata ebbero nel secondo marito di Giovanna II regina di Napoli, un sostenitore: Giacomo di Borbone, infatti, sposato nel 1415 alla regina, nel 1435, dopo una vita di intrighi e battaglie, prese i voti nell'Ordine ritirandosi in Francia. A quel tempo i feudatari di Sant'Agata erano i De la Rath, famiglia catalana protetta dalla Regina e da Alfonso d'Aragona; i Francescani ottennero da essi di poter abbandonare la piccola struttura isolata sulla collina continuamente preda dei ladri e di ricevere un convento e una chiesa all'interno del borgo. Rimaneggiata nel Settecento, epoca in cui l'Ordine era molto coinvolto nella vita secolare, la chiesa di San Francesco contiene al suo interno elementi di diverse datazioni come la tomba di Ludovico Artus, feudatario di Sant'Agata fino al 1370, il soffitto ligneo a cassettoni settecentesco e una preziosa pavimentazione dipinta nella bottega napoletana del Maestro Giuseppe Massa, originario di Cerreto Sannita, autore del chiostro di Santa Chiara a Napoli, raffigurante scene della vita di San Francesco, oltre a una successione di cappelle votive segnate dagli stemmi delle famiglie patrizie locali. Il convento, oggi Casa Comunale, conserva inalterato lo splendido portale marmoreo settecentesco, la divisione interna in celle monastiche e il chiostro, in cui è conservata la stele commemorativa della primitiva casa monastica.

  • Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli
L'edificio sorge accanto al Monastero delle Suore Redentoriste che utilizzano la chiesa per le loro funzioni religiose. Fu costruita nel XVIII secolo per volere di Sant'Alfonso Maria de' Liguori sulle rovine di una precedente cappella intitolata a San Bartolomeo de Ferraris.

Architetture civili

  • Castello ducale
Dopo l'anno 1000 i Normanni Drengot, divenuti beneficiari del feudo, trasformarono la città e la rudimentale torre longobarda in fortellicium, ossia fortezza, composta da un vero e proprio castello in pietra di tufo sorto vicino alla porta sud e da un sistema di rafforzamento del kastron mediante contrafforti e torri di avvistamento; Roberto Drengot, conte di Alife, Caiazzo, Airola e Sant'Agata de Goti, stabilì nel castello la sua dimora di fronte alla cappella comitale, ai piedi della quale si vede ancora oggi la cava di fabbrica detta “la fossa”. Le torri quadrangolari normanne oggi si percepiscono ancora: il castello conserva traccia degli ambienti altomedievali al piano terra, mentre all'esterno è evidente il corpo aggettante aggiunto nell'Ottocento con una serie di botteghe. Nella corte interna si ammirano ancora i bellissimi decori murali a motivi geometrici quattrocenteschi e le modifiche cinquecentesche, realizzati per trasformare la fortezza in residenza nobiliare di prestigio: pare infatti che in epoca angioina vi fosse ospitata per qualche tempo Giovanna I, regina di Napoli e di Provenza, protettrice del feudatari “Artus” di stirpe cadetta, provenienti da quella terra. Dopo il 1400, estinti gli Artus, il castello fu abitato alternativamente dai De la Rath, dai Cossa, e dagli Acquaviva. Nel Cinquecento, allo scopo di rafforzare la difesa verso est, fu realizzata una nuova torre circolare usata come prigione fino ai tempi moderni. La superficie su cui si estende il castello è pari a più di 3000 metri quadrati: a ridosso della porta sud, attuale piazza Tiziano Della Ratta, doveva essere lo spazio riservato all'addestramento equestre e alla preparazione dei soldati, poi trasformato in piazza del mercato, oggi utilizzato come parcheggio. Nel 1696 la famiglia Carafa della Stadera di Maddaloni acquistò il castello già molto rimaneggiato come premio del re per la fedeltà e la lealtà dimostrata nel tempo: ai Carafa, famiglia napoletana nata nel Trecento, suddivisa in varie discendenze in base ad attività e fortune, era infatti assegnato da secoli il compito di proteggere e controllare i più importanti snodi viari dell'odierna Campania. Fu Domenico Marzio Carafa duca di Maddaloni, morto nel 1703, ad acquisire il castello di Sant'Agata alla fine del Seicento; egli non ebbe molto tempo per abitarlo: d'altronde i Carafa di Maddaloni possedevano molte dimore sparse in Terra di Lavoro non tutte abitate e abitabili. Esse, una volta acquisite venivano assegnate a vari membri della famiglia in eredità, in modo che ciascuno iniziasse una nuova cellula per proprio conto. Il castello di Sant'Agata fu assegnato alla figlia di Domenico Marzio, la duchessa Caterina Carafa della Stadera di Maddaloni sposata con Domenico Carafa principe di Colubrano, poco più che ventenne: la coppia decise di abitare presso il feudo poiché alcune sale del castello riportano testimonianza di un rinnovamento che mai sarebbe avvenuto in una dimora non abitata. Fanno parte delle decorazioni gli affreschi a immagini cosiddette "grottesche" della sala al primo piano dove il pittore Tommaso Giaquinto realizzò agli inizi del Settecento una scena raffigurante Diana e Atteone.
Nell'Ottocento il castello fu ceduto nelle sue parti di volta in volta a famiglie patrizie locali e al Comune, determinando una frammentazione delle proprietà e delle funzioni, messa in risalto dal restauro degli anni Ottanta.

Società

Evoluzione demografica

Particolare del portale della chiesa di San Menna.

Abitanti censiti[22]

Cultura

Musei

Il campanile-facciata della chiesa di Sant'Angelo in Munculanis.

- La chiesa della Madonna del Carmine in piazza del Carmine ospita un museo che raccoglie reperti della vita di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

- Occasionalmente e per alcuni periodi dell'anno la chiesa di San Francesco ospita importanti mostre archeologiche internazionali come quelle multimediali dedicate ai due vasi del maestro ceramografo Assteas, ritrovati nella necropoli di Saticola e custoditi abitualmente a Montesarchio (BN) e a Napoli.

Lo stesso argomento in dettaglio: Museo diocesano di Sant'Agata de' Goti.

Eventi e manifestazioni

Manifestazione "Suoni di Terra"
  • Giugno: Infiorata del Corpus Domini. Organizzata dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso fondata da Gaetano Mosera, ufficiale borbonico, alla fine dell'Ottocento. Ogni anno nel mese di Giugno le piazze del centro storico ospitano infiorate e altari in onore della processione alle quali possono partecipare anche i visitatori.
  • Agosto: festa in onore di Sant'Alfonso Maria de Liguori
  • Settembre: Giornate Europee del Patrimonio - la notte bianca della cultura. Visite guidate notturne ai monumenti della città, escursioni, concerti, gastronomia nella seconda metà di settembre
  • Settembre: Suoni di Terra | Popoli Ritmi e Danze | Festival delle Musiche e delle Altre Culture, Festival multiculturale che si svolge ogni anno tra l'ultima settimana di agosto e gli inizi di settembre.
  • Ottobre: giornata delle città bandiere arancioni promossa dal Touring club italiano
  • Dicembre/Gennaio: Il Natale a Sant'Agata de Goti con mercatino dell'artigianato locale lungo le incantevoli strade del borgo, concerti e funzioni religiose

Economia

Prodotti tipici

Il territorio santagatese è tradizionalmente votato alla produzione di olio, vino, frutta (mele e ciliegie in special modo), ortaggi, cereali e legumi.

Fra le specialità di frutta si coltiva la mela annurca, prodotto che nel 2006 ha ottenuto il marchio IGP (Indicazione geografica protetta). Il frutto, piccolo e schiacciato, si caratterizza per le proprietà organolettiche: polpa bianca compatta, acidula e profumata. Era già conosciuta e apprezzata nell'antichità romana, e citata da Gaio Plinio Secondo noto come Plinio Il Vecchio che nel suo Naturalis Historia ne localizza l'origine nella zona di Pozzuoli; la mela annurca viene coltivata in tutta la Regione Campania.

Di gran qualità sono i vini, bianchi e rossi, prodotti a Sant'Agata de' Goti, fra cui sono rinomati soprattutto la falanghina, che ha ricevuto la denominazione DOC con la dicitura Sant'Agata dei Goti Falanghina, e l'aglianico, etichetta DOC Sant'Agata dei Goti Aglianico riserva.

Persone legate a Sant'Agata de' Goti

Infrastrutture e trasporti

Collegamenti stradali

La città è raggiungibile in auto dall'A1 all'uscita Caserta Sud in direzione della Statale Appia, e deviazione a Maddaloni sulla Statale 265 dei Ponti della Valle di Maddaloni, o anche proseguendo sull'Appia, all'uscita di Arpaia o di Airola.

È raggiungibile inoltre dalla A1 all'uscita Caianello e proseguendo poi lungo la Strada statale 372 Telesina fino all'imbocco della Fondo Valle Isclero.

In treno da Napoli o da Benevento con la linea MetroCampania nord est stazione di arrivo Arpaia-Airola-Sant'Agata de Goti e autolinee EAV

Amministrazione

La città celebra il riconoscimento della bandiera arancione.
Vista Notturna dal Ponte Martorano

Altre informazioni amministrative

Il comune fa parte della Comunità montana del Taburno e del consorzio G.A.L. Taburno.

Servizi ospedalieri

  • Ospedale "Sant'Alfonso Maria de' Liguori"
  • CMR-Centro Medico Erre (Privato)

Sport

Calcio

  • Virtus Goti 1997. Squadra militante in Promozione.

Ciclismo

Curiosità

Note

  1. ^ a b Popolazione Residente per età, sesso e stato civile al 1º gennaio 2015, su demo.istat.it, Istituto nazionale di statistica. URL consultato il 23 agosto 2015.
  2. ^ Classificazione sismica (XLS), su rischi.protezionecivile.gov.it.
  3. ^ Tabella dei gradi/giorno dei Comuni italiani raggruppati per Regione e Provincia (PDF), in Legge 26 agosto 1993, n. 412, allegato A, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, 1º marzo 2011, p. 151. URL consultato il 25 aprile 2012 (archiviato dall'url originale il 1º gennaio 2017).
  4. ^ Sant'Àgata de' Gòti, su Sapere.it. URL consultato il 3 novembre 2016.
  5. ^ Sant'Agata. Ferragosto felice per la "Perla del Sannio", in Ottopagine. URL consultato il 3 novembre 2016.
  6. ^ Sant'Agata de' Goti, su Bandiera Arancione - Touring Club Italiano. URL consultato il 3 novembre 2016.
  7. ^ a b Sant'Agata de' Goti tra le più belle d'Italia, su Repubblica.it - Napoli, 29 novembre 2012. URL consultato il 3 novembre 2016.
  8. ^ Tecno-Inn, Relazioni nell'ambito del progetto di consolidamento dei costoni tufacei attuato negli anni Novanta dal Comune di Sant'Agata de Goti
  9. ^ Bibliografia topografica, pp. 159-162
  10. ^ Publio Virgilio Marone, Eneide, libro VII, v. 729. URL consultato il 3 novembre 2016..
  11. ^ Livio, volume IX, capi XXI-XXII (pp. 108-117).
  12. ^ Bibliografia topografica, pp. 158-159.
  13. ^ Viparelli, p. 13
  14. ^ Ircani Menichini.
  15. ^ Cammilleri,  voce Sant'Agata.
  16. ^ Vitolo.
  17. ^ Viparelli, p.16.
  18. ^ Viparelli, p.14.
  19. ^ Enciclopedia dell'Arte Medievale.
  20. ^ Biscardi, p. 18.
  21. ^ Progetto MURST 1994/99, Appunti di viaggio.., pag. 43
  22. ^ Statistiche I.Stat - ISTAT;  URL consultato in data 28-12-2012.

Bibliografia

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  • Rosanna Biscardi, L'Arco in fondo alla valle: il mistero architettonico di Sant'Agata de Goti, Napoli, Cervino editore, 2015.
  • G. Stefania Catapane, Le residenze feudali dei Carafa di Maddaloni (PDF), in Rivista di Terra di lavoro, n. 1-2, novembre 2011, ISSN 2384-9290 (WC · ACNP). URL consultato il 2 novembre 2016.
  • Angelina Zeoli e Bruno R. Lepore, Sant'Agata de' Goti nel Catasto Carolino del 1752. Lineamenti di storia urbana e territoriale, Benevento, Torre della Biffa, 2002.
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  • Antonio Abbatiello, Stradario cittadino, in Lungo la via, Sant'Agata de' Goti, Parrocchia di S. Maria Assunta, 1995.
  • Luigi Maria Mongillo (a cura di), Progetto per la illuminazione Elettrica da farsi dall'Impresa Domenico De Masi nella città di S. Agata de' Goti - 1901, Sant'Agata de' Goti, Archeoclub d'Italia - sede di S. Agata de' Goti, settore fotografia e pubblicazioni, 1993.
  • Paola Ircani Menichini, Chiese e castelli dell'Alto Medioevo in Bassa Val di Cecina e in Val di Fine, Livorno, Salomone Belforte & c., 1993. URL consultato il 2 novembre 2016.
  • Luigi Maria Mongillo (a cura di), Statuto organico dello spedale di San Giovanni di Dio del comune di S. Agata de' Goti - 1879, Sant'Agata de' Goti, Archeoclub d'Italia - sede di S. Agata de' Goti, settore fotografia e pubblicazioni, 1992.
  • Francesco Abbate e Isabella Di Resta, Le città nella storia d'Italia - Sant'Agata de' Goti, Bari, Laterza, 1989.
  • Antonio Abbatiello, La cura d'anime a S. Agata de' Goti: dal Capitolo Cattedrale alle Parrocchie, in Annali Parrocchiali, n. 1, Sant'Agata de' Goti, Parrocchia di S. Maria Assunta - Cattedrale, 30 giugno 1986.
  • Luigi R. Cielo, Monumenti romanici a S. Agata de' Goti, Roma, Rari Nantes, 1980.
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  • Amedeo Feniello, Napoli Normano - Sveva, Roma, Newton Compton, 1999.
  • Michele Melenzio, Dalle origini alla caduta del Fascismo, collana Storia di Sant'Agata de' Goti, Sant'Agata de' Goti, Diego Bagnoli, 1997.
  • Mario Forgione, Napoli ducale. La storia di Napoli dal VI al XII secolo, Roma, Newton Compton, 1997.
  • Mimmo Liguoro, La regina Giovanna. Una sovrana al tramonto del Regno angioino, Roma, Newton Compton, 1997.
  • Alfonso Gallo, Aversa normanna, Aversa, Tipografia F.lli Macchione, 1988.
  • Pancrazio Scanzano, Il faro della Valle Caudina, Napoli, LER, 1988.
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  • Giovanni Vitolo, Caratteri del monachesimo nel Mezzogiorno alto medievale, Salerno, Laveglia, 1984.
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  • John Julius Norwich, Il Regno del Sole. I Normanni del Sud: 1130 - 1194, Milano, Mursia, 1972.
  • Giuseppe de Blasiis, Racconti di Storia Napoletana, Napoli, Libreria Universitaria, 1908.
  • Giuseppe de Blasiis, L'insurrezione pugliese e la conquista normanna nel secolo XI, Napoli, Libreria Universitaria, 1869 - 1873.
  • Luigi R. Cielo, Sant'Agata de' Goti, in Enciclopedia dell'Arte Medievale, vol. 10, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1999. URL consultato il 5 novembre 2016.

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