Coordinate: 37°25′17″N 141°01′57″E

Incidente nucleare di Fukushima Dai-ichi

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Incidente nucleare di Fukushima Dai-ichi
Incidente nucleare livello 7 (INES)
Immagine del 16 marzo 2011 dei quattro edifici danneggiati del reattore. Da sinistra a destra: Unità 4, 3, 2 e 1. Le esplosioni di aria e idrogeno si sono verificate nelle Unità 1, 3 e 4, causando danni strutturali. Una bocchetta nella parete dell'unità 2, con vapore chiaramente visibile, ha impedito un'esplosione simile. Altri droni il 20 marzo hanno catturato immagini più chiare.[1]
TipoMeltdown nucleare
Data11 marzo 2011
15:40
Data fine16 marzo 2011
9:40
LuogoŌkuma
InfrastrutturaCentrale nucleare di Fukushima Dai-ichi
StatoGiappone (bandiera) Giappone
RegioneRegione di Tōhoku
Prefettura  Fukushima
Coordinate37°25′17″N 141°01′57″E
CausaTerremoto e maremoto del Tōhoku del 2011
Conseguenze
Morti1 morte per cancro attribuita, da parte del governo, all'esposizione alle radiazioni.[2][3]
Feriti16 con lesioni fisiche dovute alle esplosioni di idrogeno,[4]
2 lavoratori portati in ospedale con possibili ustioni da radiazioni.[5]
Evacuati184 000
Mappa di localizzazione
Mappa di localizzazione: Giappone
Luogo dell'evento
Luogo dell'evento
Esperti dell'AIEA presso la centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, unità 4, nel 2013.

L'incidente nucleare di Fukushima Dai-ichi (福島第一原子力発電所事故?, Fukushima Dai-ichi genshiryoku hatsudensho jiko) è stato un incidente nucleare avvenuto nella centrale omonima, situata a Naraha, nella prefettura di Fukushima, sulla costa est del Giappone. Oltre al disastro di Cernobyl' del 26 aprile 1986, è stato l'unico incidente classificato di livello 7 della scala INES, il livello di gravità massima degli incidenti nucleari.[6] La causa scatenante fu il terremoto e maremoto del Tōhoku dell'11 marzo 2011.

Al momento della scossa il sistema di sicurezza antisismico della centrale spense tutti i reattori con la procedura di SCRAM, che si attivò automaticamente. Dopo lo spegnimento, in mancanza dell'elettricità fornita dai reattori, si attivarono immediatamente i generatori elettrici di emergenza, che fornirono l'energia necessaria a consentire il normale funzionamento dei sistemi di raffreddamento.

Dopo circa 40 minuti la centrale fu raggiunta dall'onda di maremoto generata dal sisma, che scavalcò le protezioni e allagò gli impianti. Lo tsunami distrusse i generatori di emergenza che alimentavano i sistemi di raffreddamento dei reattori 1, 2 e 3 e anche la linea elettrica ad alta tensione che li collegava ai reattori 5 e 6.[7] Ciò causò un blackout elettrico e il blocco dei sistemi di raffreddamento nei primi tre reattori. L'interruzione dei sistemi di raffreddamento causò nelle ore successive la perdita di controllo dei reattori 1, 2 e 3, attivi al momento del terremoto. I tre reattori subirono un meltdown completo, seppur in momenti diversi, tra il 12 e il 15 marzo. Nei giorni successivi, si verificarono quattro distinte esplosioni, causate da fughe di idrogeno, alcune delle quali distrussero le strutture superiori degli edifici di due reattori.[8]

Nel luglio 2012, una commissione d'inchiesta (National Diet of Japan Fukushima Nuclear Accident Independent Investigation Commission - NAIIC) concluse che le circostanze che portarono al disastro avrebbero potuto essere previste e l'incidente evitato. In particolare, l'impresa che operava sull'impianto, la Tokyo Electric Power Company (TEPCO), non avrebbe disposto misure di sicurezza adeguate al rischio sismico e non si sarebbe dotata di piani di contenimento danni né di adeguati piani di evacuazione. La TEPCO si assunse pubblicamente alcune responsabilità.[9][10][11][12]

Nei giorni successivi all'incidente, in seguito al rilascio di radioattività nell'aria e alla contaminazione dei terreni circostanti, le autorità ordinarono l'evacuazione dei residenti entro un raggio di 20 chilometri.[13]

A differenza di quanto avvenne a Cernobyl', nell'incidente di Fukushima non vi fu un incendio con immissione di grandi quantità di radionuclidi nell'atmosfera, ma un rilascio di elementi radioattivi nell'oceano. Non sono stati documentati effetti negativi sulla salute dei residenti di Fukushima o dei lavoratori della centrale elettrica che siano direttamente attribuibili all'esposizione alle radiazioni provocate dall'incidente.[14][15][16] Sono state avanzate critiche sulla percezione pubblica del rischio radiologico derivante da incidenti e sull'attuazione di una zona di esclusione (simile a quella istituita a Cernobyl'), ritenuti causa di danni maggiori di quanti ne abbiano prevenuti.[17] In seguito all'incidente, almeno 164.000 residenti dell'area circostante furono sfollati permanentemente o temporaneamente (in modo volontario o tramite ordine di evacuazione). L'evacuazione provocò almeno 51 vittime, e un numero maggiore fu attribuito allo stress successivo o alla paura di rischi radiologici; al 2021, circa 36.000 persone non erano ancora potute tornare nelle proprie abitazioni.[18][19][20][21]

Controversie sono sorte riguardo lo smaltimento delle acque reflue utilizzate per raffreddare il reattore, con proteste nei Paesi del pacifico.[22]

La centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi comprendeva sei reattori ad acqua bollente originariamente progettati dalla General Electric (GE) e mantenuti dalla Tokyo Electric Power Company (TEPCO). All'epoca del terremoto di Tōhoku, l'11 marzo 2011, i reattori 4, 5 e 6 erano chiusi per la sostituzione del combustibile esaurito,[23] ma le loro piscine di stoccaggio ospitavano comunque molti elementi di combustibile esaurito che necessitavano di raffreddamento forzato, il quale garantiva il livello di riempimento delle piscine e il mantenimento a bassa temperatura dell'acqua.[24][25]

Al momento della scossa di terremoto, i reattori 1, 2 e 3, attivi in quella fase, dotati di sismografo e di sistemi di allarme antisismico con reazione automatica, interruppero automaticamente le proprie reazioni di fissione con procedura di spegnimento istantaneo, denominata SCRAM, che consiste nell'inserimento immediato di tutte le barre di controllo all'interno del nocciolo del reattore. Poiché lo spegnimento dei reattori fece mancare anche la fornitura di energia elettrica necessaria ai sistemi di raffreddamento, entrarono in funzione i generatori di emergenza diesel-elettrici: questi consentirono di mantenere normalmente attiva l'alimentazione dei sistemi di raffreddamento.

I sistemi di raffreddamento funzionarono senza problemi per alcune decine di minuti, fino a quando lo tsunami non colpì la centrale distruggendo i generatori elettrici dei Reattori 1-5.

L'onda di tsunami, che raggiunse i 13 metri di altezza, colpì la centrale circa 50 minuti dopo il sisma iniziale e scavalcò la diga di protezione; quest'ultima era alta meno di 10 metri e non poté quindi impedire l'allagamento dell'impianto.[26] Il momento dell'impatto dello tsunami fu registrato da una telecamera.[27] L'acqua inondò completamente i locali seminterrati in cui erano alloggiati i generatori di emergenza. I generatori diesel allagati cessarono di funzionare pochi minuti dopo, con conseguente arresto delle turbo-pompe del sistema di raffreddamento dei reattori 2 e 3.

I due generatori di raffreddamento del reattore 6, situati in un locale più protetto, non furono allagati e risultarono sufficienti per continuare a raffreddare le proprie piscine di stoccaggio del materiale esausto nonché quelle del vicino reattore 5.[24] I primi quattro reattori, tuttavia, si trovano a una distanza di diverse centinaia di metri dagli altri due, e lo spazio che li separa da questi venne invaso da acqua e detriti e divenne, per questo, impraticabile. I reattori 1, 2, 3 e 4 risultarono pertanto privi di alimentazione elettrica e isolati.

I reattori nucleari di questa tipologia continuano a produrre calore anche dopo lo spegnimento, per effetto del decadimento degli isotopi radioattivi generati durante l'attività precedente, che prosegue per un tempo dell'ordine di alcuni giorni, e viene detta produzione di calore residuo o residuo di reazione. È necessario, pertanto, continuare a mantenere attivi i sistemi di raffreddamento, onde evitare l'accumulo del calore residuo nel reattore, potenzialmente in grado di fondere il nocciolo. I reattori 1, 2, 3 e 4 non disponevano più dell'elettricità necessaria ad alimentare i sistemi di emergenza, e neppure le apparecchiature elettroniche delle sale controllo, indispensabili per conoscere esattamente lo stato dei reattori e governarli. In seguito ad una concomitanza di eventi, sulla cui ricostruzione si indagò per anni e tuttora non tutti interamente chiariti, gli operatori non furono più in grado di raffreddare i reattori, e, a seguito dell'esaurimento delle batterie necessarie al funzionamento di una pompa secondaria del sistema di raffreddamento del secondo reattore, i reattori cominciarono a surriscaldarsi irreversibilmente a partire dal 12 marzo.[28]

Schema illustrativo degli incidenti avvenuti nei reattori 1-4

Molte squadre di operatori esterni parteciparono con grandi sforzi nel tentativo di ripristinare la fornitura elettrica ai sistemi di raffreddamento, lavorando al ricollegamento di una linea ad alta tensione per alimentare sistemi e sale di controllo. Fu praticata anche una fornitura d'acqua con mezzi esterni da parte di squadre di vigili del fuoco. I reattori, tuttavia, restarono senza raffreddamento per almeno 24 ore. Si verificarono una serie di esplosioni, dovute all'accumulo di una miscela di aria e idrogeno nelle parti alte degli edifici, un segnale che evidenziò come all'interno dei noccioli si stessero producendo grandi volumi di idrogeno per effetto della reazione di ossidazione, causata dell'acqua, dello zirconio che compone la lega (Zircaloy) di cui sono costituite le guaine che contengono il combustibile nucleare, reazione innescata dalle altissime temperature, molto superiori a quelle operative, producendo così enormi quantità di idrogeno. La prima esplosione si verificò nell'unità 1 il 12 marzo, e l'ultima nell'unità 4, il 15 marzo.[28][29][30]

Nei reattori nucleari di questo tipo, l'acqua all'interno del nocciolo scorre in tubi verticali costruiti in una lega di acciaio speciale detta Zircaloy, contenente zirconio. A temperature superiori al migliaio di gradi questo elemento è in grado di catalizzare la scissione dell'acqua, la quale a tali temperature è reattiva e fortemente ossidante, catturando l'atomo di ossigeno e liberando idrogeno in grandi quantità.[31] Le esplosioni di aria e idrogeno si verificarono nella parte superiore di ogni unità, in aree degli edifici esterne cioè al recipiente di contenimento dei reattori, nelle quali l'idrogeno si era raccolto dopo essere stato scaricato da valvole di sfogo delle tubazioni a pressione.[32][33] Le esplosioni furono registrate da telecamere esterne, successivamente gli edifici danneggiati vennero ripresi con alcuni droni il 20 marzo.[1]

Caratteristiche dell'impianto

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Lo stesso argomento in dettaglio: Centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi.
Schema panoramico della centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi

La centrale elettronucleare Dai-ichi (o ‘Fukushima I’) contiene sei reattori ad acqua bollente (BWR) General Electric che insieme fornivano una potenza di 4.7 GW: ciò la collocava fra le prime quindici centrali nucleari al mondo per dimensioni. I reattori sono allineati lungo la costa occupando un tratto di circa 1400 metri, l'impianto si estende per circa 350 ettari, sul fronte mare è dotato di un porto protetto da moli foranei. Fukushima Dai-ichi è stata la prima centrale nucleare progettata da General Electric ad essere costruita e gestita interamente da Tokyo Electric Power Company (TEPCO). È situata appena 12 chilometri più a nord di un'altra centrale di dimensioni simili, chiamata Fukushima Daini (o ‘Fukushima II’), anch'essa gestita da TEPCO.

Foto aerea della centrale nel 1975. Il Reattore 6 era ancora in costruzione.

La costruzione del primo reattore, Daiichi 1, è cominciata nel 1967 ed è stato messo in servizio nel 1971[34]. Il reattore 1 è un BWR ‘tipo-3’ con potenza di 439 MWe. È costruito con criteri antisismici relativamente bassi essendo stato omologato per resistere a accelerazioni massime (PGA) di 0,18g (1.74 m/s2), cioè inferiore alle specifiche richieste dalle zone a massimo rischio sismico. Era tuttavia risultato indenne ad un terremoto di 0,23g che colpì l'area nel 1978.[35]

I reattori 2 e 3 sono entrambi BWR General Electric del più moderno ‘tipo-4’ e da 760 MWe, furono messi in servizio rispettivamente nel 1974 e nel 1976. Hanno specifiche antisismiche nettamente superiori essendo entrambi omologati per resistere a forze PGA fino a 0.42g (4.12 m/s2). I reattori di costruzione successiva della stessa centrale (4, 5 e 6) sono omologati per resistere a scosse di intensità fino a 0.46 g (4.52 m/s2). I reattori 4 e 5 sono anch'essi modelli BWR da 760 MWe e sono stati messi in servizio rispettivamente nel 1978 e nel 1977, mentre il reattore 6 ha una potenza di 1067 MWe ed è stato messo in servizio nel 1979.

Le unità sono tutte dotate della struttura di contenimento di tipo ‘Mark 1’ di General Electric, tranne il reattore 6 che è costruito con il più moderno schema ‘Mark 2’.

Il reattore BWR

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Schema del reattore BWR con i sistemi di raffreddamento

I reattori BWR hanno una struttura verticale e sono racchiusi in un recipiente ermetico, pressurizzato e a prova di radiazioni (pressure vessel), di forma cilindrica allungata simile a una caldaia. I modelli costruiti da General Electric sono i più diffusi impianti di questo tipo. Il nocciolo è l'unità designata alla produzione di calore che occupa la parte mediana del vessel, mentre nello spazio immediatamente superiore al nocciolo ci sono i tubi di canalizzazione e separazione del vapore che si sviluppano nell'interno del recipiente per una certa altezza, quindi al disopra di questa struttura, lasciando alcuni metri di spazio libero, sono collocate strutture in lamiera che formano superfici di condensazione,[36] sovrastate a loro volta da un ulteriore spazio libero coperto infine dalla cupola del vessel. Lo schema è quello di una caldaia a vapore, in cui i canali collocati in verticale determinano la direzione di circolazione del vapore e il nocciolo si trova immerso in acqua bollente pressurizzata. Nella zona alta del recipiente in corrispondenza delle strutture di condensazione vi sono le uscite del vapore, gli scappamenti e anche gli impianti di raffreddamento di emergenza. In condizioni di funzionamento normali il vapore scorre nei canali a pressione e temperature relativamente basse, cioè 70-80 atm e 270-285 gradi centigradi. Le barre di controllo sono inserite nel nocciolo dal basso, perciò la zona del vessel sottostante al nocciolo è riservata alle guide di inserimento delle barre di controllo con le loro aste di manovra e lo spazio sufficiente per estrarle completamente.

Sezione dello schema di contenimento Mark 1 presente nei reattori 1-5: RPV: (reactor pressure vessel) recipiente in pressione del reattore. DW: (drywell) recipiente di contenimento del reattore. WW: (wetwell) camera di soppressione del vapore, di forma toroidale. Contiene una riserva d'acqua liquida, e stabilizza la pressione di vapore del reattore. Il vapore in pressione in uscita dal reattore ridiscende lungo apposite nella camera di soppressione, dove può ricominciare il ciclo. SFP: piscine del combustibile spento SCSW: contenitore secondario in cemento armato

Tutto il recipiente a pressione così descritto è contenuto all'interno di un secondo recipiente ermetico, che non è a pressione e che contiene anche tubazioni esterne dell'impianto di refrigerazione e varie condotte di collegamento. Il recipiente secondario è anch'esso un contenitore ermetico in acciaio speciale, viene detto in gergo dry well, e ha forma simile a quella di una lampadina a bulbo rovesciata. Intorno alla base del recipiente, nel suo insieme, se ne trova un altro di forma toroidale, cioè simile a una ciambella, detto camera di decompressione, o camera di soppressione, o wet well, che circonda la base a bulbo della caldaia. La camera toroidale è la struttura in cui si raccoglie l'acqua demineralizzata in forma liquida al termine del ciclo del vapore e dopo il passaggio nelle turbine. Il wet well contiene tutta la riserva d'acqua del reattore e da questa camera l'acqua e il vapore vengono reimmessi nella caldaia; è collegato a valvole di sfiato del vapore del pressure vessel, così da fungere da recipiente di sfogo in caso di eccessiva pressione. Il wet well è anche collegato al recipiente centrale da una corona di condotte di giunzione.[37]

L'intero reattore con il dry well è a sua volta interamente contenuta in un guscio in cemento e acciaio, e l'intera struttura compresa la camera toroidale è collocata sopra una spessa struttura di contenimento in acciaio e cemento. I recipienti sono progettati per resistere alle altissime pressioni e temperature che potrebbero verificarsi in caso di incidente, mentre il guscio di contenimento esterno sottostante in cemento e acciaio è progettato per resistere a un'eventuale esplosione dei vessel o ad altri eventi.

Criticità dei reattori di tipo BWR

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Uno svantaggio dei reattori BWR, così come pure di altri tipi di reattori, è quello di avere un ciclo di refrigerazione diretta, il che significa che il vapore generato dall'acqua di raffreddamento viene fatto circolare direttamente anche nell'impianto turbine, perciò nelle turbine si trova lo stesso vapore acqueo che circola anche a contatto con il nocciolo, seppure sempre all'interno di tubazioni proprie e mai a contatto con gli elementi radioattivi. Nel funzionamento il liquido refrigerante previsto è acqua demineralizzata, questa non si contamina mai con isotopi di fissione passando nel nocciolo se le condotte in lega di zirconio che contengono gli assemblaggi di elementi fissili sono intatte, e, in ogni caso, l'acqua utilizzata è sempre mantenuta entro un ciclo chiuso e confinata all'interno del wet well ermetico.

Fra gli inconvenienti insiti nell'utilizzare lo stesso liquido sia nel nocciolo sia nelle turbine, a parte il rischio che si ha in caso di contaminazione radioattiva dell'acqua di raffreddamento, c'è che essendo il raffreddamento e l'alimentazione delle turbine collegati in un unico circuito idraulico, il funzionamento delle turbine, o il loro blocco, può avere conseguenze sulla pressione e temperatura del fluido nell'impianto di raffreddamento del nocciolo. Inoltre, in condizioni di emergenza, si potrebbe verificare il caso estremo in cui per raffreddare il reattore potrebbe essere necessario immettere acqua proveniente dall'ambiente, e ciò si potrebbe accompagnare alla necessità di riversare poi all'esterno l'acqua utilizzata. Nell'incidente di Fukushima gli operatori furono costretti a raffreddare la centrale con acqua di mare. Migliaia di tonnellate di acqua contaminata furono stoccate in grandi serbatoi, e si prevede che in futuro si sarà costretti a riversarle nell'oceano.

Un altro svantaggio del reattore ad acqua bollente - che in questo incidente risultò avere effetti molto più gravi - dipende dalle proprietà chimiche dell'acqua e delle leghe metalliche impiegate quando sono portate a temperature molto alte. A temperature di utilizzo normali (300-350 °C), l'acqua è un composto stabile e funziona da refrigerante. Tuttavia, temperature molto superiori al migliaio di gradi possono favorire la scissione dell'acqua in presenza di particolari sostanze catalizzanti, e l'acqua stessa diventerebbe quindi un potente ossidante. Lo zirconio di cui sono costituiti i tubi in cui gli elementi di fissione del nocciolo sono contenuti, è un metallo duro e stabile a temperature di utilizzo normali, ma a 1200 °C esso diventa chimicamente reattivo e può catalizzare la scissione dell'acqua, quindi ne cattura l'atomo di ossigeno liberando idrogeno. Oltre alla pericolosità intrinseca dell'idrogeno, la conseguenza infausta è data dal fatto che la reazione è esotermica, ciò significa che quando l'acqua reagisce con lo zirconio si produce calore. L'effetto paradossale dovuto all'immissione di acqua è l'aumento della temperatura, l'opposto di quello refrigerante cercato. La portata reale di questo effetto potrebbe essere stata impossibile da quantificare da parte degli operatori nel corso degli eventi. Un documentario trasmesso dalla televisione giapponese NHK ha mostrato un esperimento effettuato nel 2015 che osservava il notevole aumento di temperatura di tubi in lega di zirconio surriscaldati quando venivano esposti a contatto con vapore acqueo.

Il calore residuo

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I reattori BWR utilizzano il calore prodotto dalla fissione nucleare per far bollire l'acqua in cui è immerso il nocciolo così da generare vapore in pressione, come succede con normali caldaie a vapore. Quest'ultimo è inviato direttamente al settore turbine le quali azionano i generatori che producono l'elettricità a uso commerciale. Il vapore, quindi, viene raffreddato in tubi di condensazione che utilizzano per lo scambio di calore piscine di acqua di mare (con cui il vapore non entra mai in contatto).

Quando un reattore nucleare viene fermato completamente, mediante inserimento di tutte le barre di controllo nel nocciolo che bloccano l'attività di fissione - come avviene nella manovra di blocco istantaneo di emergenza detta SCRAM - il nocciolo continua comunque a produrre una certa quantità di calore per un certo tempo, per effetto del decadimento degli isotopi prodotti di fissione che si sono accumulati all'interno del materiale fissile durante la precedente attività. Il fenomeno è detto decadimento residuo o calore residuo del nocciolo.

Il decadimento residuo produce calore che, pur con intensità pari a una piccola frazione rispetto alla precedente attività del reattore, continua a venire prodotto per un tempo di diversi giorni, è perciò necessario continuare a raffreddare il nocciolo per tutto il periodo del decadimento dei prodotti di fissione al fine di dissipare il calore residuo. Il calore prodotto decresce nel corso dei giorni successivi, ma poiché ha la proprietà di accumularsi, i sistemi di raffreddamento devono restare attivi. Il calore emesso dal decadimento residuo è dell'ordine del 6% della potenza termica della precedente attività di fissione, una quantità potenzialmente sufficiente a fondere completamente il nocciolo.

I sistemi di raffreddamento di emergenza

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I reattori della centrale Dai-ichi sono dotati di un sistema di raffreddamento alternativo, basato su pompe a turbina montate nella parte alta dell'edificio, impianti alimentati elettricamente, che ricevono elettricità direttamente dai gruppi diesel-elettrici (collocati nei seminterrati degli edifici). Fa eccezione il reattore n. 1, che invece è dotato di un sistema di raffreddamento di emergenza a convezione e condensazione totalmente passivo, che utilizza cioè soltanto la forza di gravità e non necessita di essere alimentato durante il funzionamento, ma richiede soltanto un periodico svuotamento dei serbatoi di accumulo.

Nei reattori n. 2 e n. 3 i motori diesel sono collocati al piano terra, in un'ala adiacente ai locali turbine, i gruppi di generazione elettrica dotati di accumulatori alimentano una turbo pompa che fa circolare l'acqua prelevandola dal wet well e vi reimmette il vapore. La centrale era dotata anche di depositi di nafta a torre collocati nell'area esterna per alimentare i gruppi di generazione.

Nel reattore n. 1 invece, il sistema passivo utilizza uno scambiatore di calore collocato nella parte alta della struttura dove il vapore in pressione viene convogliato: lo scambiatore è in grado di raffreddare fino a condensare il vapore e l'acqua, quindi, ridiscende in forma liquida per gravità nella camera di compensazione. Si tratta di un sistema semplice ed efficace, tuttavia il suo utilizzo richiede interventi manuali: la sua intensità non è regolabile e perciò le procedure operative richiedono che debba essere utilizzato ad intermittenza, interrompendo il circuito e riaprendolo periodicamente per mantenere il sistema alla temperatura corretta. Il sistema richiede anche lo svuotamento dei serbatoi per riprendere il ciclo. Per ragioni non immediatamente chiare, questo sistema si rivelò meno efficiente del previsto. La ragione dell'inefficacia di questo sistema è rimasta a lungo non chiarita, fino a quando uno studio approfondito rivelò un errore di costruzione dello scambiatore di calore, che risultava diverso rispetto al progetto.

Le vasche di raffreddamento del materiale esaurito

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Anche gli elementi di materiale fissile esauriti, una volta rimossi dal reattore, continuano a produrre calore, pertanto devono essere depositati in apposite piscine per un periodo di alcuni anni. Tali vasche sono collocate nella parte superiore dell'edificio e adiacenti al reattore. Nelle piscine di raffreddamento il combustibile esaurito deve restare completamente immerso in acqua. Le piscine devono essere alimentate per compensare l'evaporazione dell'acqua, onde evitare che il livello dell'acqua scenda e garantendo così che il materiale resti immerso. Se gli elementi esauriti rimanessero esposti questi si surriscalderebbero fino a incendiarsi, liberando vapori radioattivi nell'atmosfera. Al momento del disastro, reattori e vasche di raffreddamento contenevano un numero di elementi attivi od esauriti secondo il seguente schema:

Sito Unità 1 Unità 2 Unità 3 Unità 4 Unità 5 Unità 6 Deposito centrale
Elementi presenti nei reattori 400 548 548 0 548 764 0
Elementi esauriti presenti nelle vasche[38] 292 587 514 1331 946 876 6375[39]
Tipo di materiale UO2 UO2 UO2/MOX UO2 UO2 UO2 UO2
Elementi nuovi ancora da utilizzare[40] 100 28 52 204 48 64 N/P

Come si vede nelle piscine del reattore 4 si trovava un numero di elementi esauriti particolarmente elevato, quasi pari alla somma di quelli presenti nelle piscine dei reattori 1, 2 e 3. Ma oltre la metà di questi elementi erano in decantazione da anni, quindi con una attività residua ridotta rispetto agli elementi appena tolti dal reattore.

Collegamenti alla rete elettrica

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Mappa della rete elettrica del Giappone che mostra i sistemi incompatibili tra le regioni. Fukushima si trova nella regione del Tohoku a 50 Hertz.

La rete elettrica giapponese è improntata ad un regime di concessioni a privati. Vi sono due sistemi di distribuzione non compatibili tra il nord e il sud del paese (corrente alternata a 50 e 60 Hertz) e diversi operatori territoriali.

La centrale di Fukushima Daiichi è collegata alla rete con quattro linee ad alta tensione: la linea Futaba (双葉線) da 500 kV, le due linee Ōkuma (大熊線) entrambe da 275 kV, e la linea Yonomori (夜の森線) da 66 kV collegate alla stazione di distribuzione ‘Shin-Fukushima’ (Nuova Fukushima).

La stazione Shin-Fukushima è collegata anche alla centrale Fukushima Daini dalla linea Tomioka (富岡線). Ha un collegamento verso il settore nord, denominato linea Iwaki (いわき幹線), che è di proprietà della compagnia Tohoku Electric Power, e due collegamenti verso sud-ovest con un'altra stazione denominata Shin-Iwaki (新いわき).

Protezioni anti-maremoti

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Altezza del maremoto rispetto alle barriere. A: Edifici della centrale B: Altezza raggiunta dal maremoto C: Piano terra degli edifici D: Livello del mare medio E: Barriera anti-maremoti

Prima della costruzione della centrale il sito originariamente era un tratto di costa in rilievo a circa 35 metri sul livello del mare medio. Per costruire la centrale il terreno fu sbancato e abbassato fino a un'altitudine di soli 10 metri s.l.m., e alcuni locali della centrale sono seminterrati rispetto a questo livello. La barriera foranea antitsunami appositamente costruita ha un'altezza di 5,7 metri, che sommata alla base fornisce una barriera contro le onde di altezza complessiva pari 6,5 metri rispetto al livello del mare. L'onda maggiore dello tsunami dell'11 marzo 2011 raggiunse circa i 13-14 metri, livello che fu verificato misurando i segni lasciati dalle onde sulle murature degli edifici della centrale.

A partire dalle 14:46 dell’11 marzo 2011 si verificarono crisi multiple in quattro unità della centrale, inclusa la crisi delle piscine del combustibile esaurito nel Reattore n. 4. I reattori n. 1, 2 e 3 si spensero regolarmente in seguito alla principale scossa di terremoto, ma gli impianti vennero danneggiati dallo tsunami che seguì, e in seguito non riuscirono a portare avanti il processo di raffreddamento.

Situazioni critiche si svilupparono indipendentemente nei tre reattori nel corso delle ore e giorni successivi, dando luogo a una complessa serie di eventi con successioni e tempistiche diverse ma intrecciate fra loro. È possibile descrivere gli eventi presentando cronologie separate per ciascuna unità, oppure elencarli in una cronologia unica. È da tenere presente che comunque nel loro insieme gli incidenti nei diversi reattori coinvolti hanno un andamento simile e cause comuni, e in varie occasioni gli eventi verificatisi in unità diverse si influenzarono tra loro (ad esempio l’esplosione avvenuta nel Reattore n. 3 danneggiò una linea elettrica che veniva approntata nel Reattore n. 2, impedendo di portare a termine una importante operazione di emergenza), inoltre le crisi si svolgono contemporaneamente e nello stesso scenario.

In questo capitolo si descriveranno i fatti principali cercando di evidenziare sia l’ordine cronologico generale sia le evoluzioni indipendenti nei diversi reattori della centrale.

La registrazione del sisma da parte dei sistemi automatici dell'Unità 1. Si legge l'attivazione dei sensori sismici, quindi dei protocolli di blocco con lo spegnimento automatico per inserzione di tutte le barre di controllo (SCRAM), e altro

Venerdì 11 marzo 2011 alle 14:46 (UTC +9) vi fu una scossa di terremoto di magnitudo 9.0 con epicentro nell'Oceano Pacifico alle coordinate 38°32′N 142°37′E, circa 120 chilometri al largo della prefettura di Miyagi. L'evento è noto come terremoto del Tōhoku del 2011 (東北地方太平洋沖地震 Tōhoku chihō taiheiyō-oki jishin). La scossa principale durò circa 6 minuti e fu avvertita sulla terraferma con picchi di magnitudo di 8,9. Si tratta del secondo terremoto più violento mai registrato. Sismi di questa intensità sono molto rari ma sono tuttavia possibili presso le faglie di subduzione oceaniche, e vi sono stati almeno dieci terremoti di intensità paragonabile negli ultimi cento anni.

In alcune zone sulla terraferma nelle prefetture di Fukushima e Miyagi i sismografi registrarono accelerazioni di picco (PGA) anche molto oltre i 2 g. I sismografi installati all’interno di ciascun reattore nella centrale Dai-ichi comunque rilevarono accelerazioni entro i limiti di tolleranza previsti dal progetto in tre delle unità, e non di molto superiori nelle altre tre. I reattori 2, 3 e 5 erano omologati per resistere ad accelerazioni rispettivamente di 0.45, 0.45, e 0.46 g, in essi si registrarono accelerazioni di 0,56, 0,52 e 0,56 g. Nelle unità 1, 2 e 4 le oscillazioni misurate furono invece entro i limiti di resistenza strutturale previsti.[41]

I limiti di sicurezza per il funzionamento dei reattori erano invece nettamente più bassi: i sistemi di allarme collegati ai sismografi erano impostati per spegnere automaticamente i reattori in presenza di oscillazioni sismiche superiori a 0.10 g in orizzontale o 0.12 g in verticale.[42] I tre reattori in quel momento attivi (1, 2 e 3) furono bloccati automaticamente all’istante con procedura SCRAM dal sistema di sicurezza.

Non è possibile determinare se i reattori abbiano subito qualche danno per effetto della scossa. Tuttavia, la manovra di spegnimento avvenne con successo, con l’inserimento completo di tutte le barre di controllo. Eventuali, ipotetici, danni ai reattori, non erano perciò tali da ostacolare la corretta operazione SCRAM, e devono considerarsi irrilevanti rispetto agli eventi successivi.

Avvio dei sistemi di raffreddamento di emergenza

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La scossa di terremoto interruppe anche le linee di alta tensione che rifornivano di elettricità la centrale dalla rete esterna. Il raffreddamento è necessario anche dopo lo spegnimento del reattore, per dissipare il calore prodotto dall'attività di decadimento residua. Si avviarono automaticamente i gruppi di generazione diesel-elettrici, preposti allo scopo in caso di emergenza, presenti in coppia in ciascun reattore. Questi alimentarono normalmente le pompe dei circuiti del sistema di refrigerazione di emergenza, che si avviarono immediatamente. Si attivò anche il sistema di raffreddamento passivo a condensazione dell'Unità n. 1.

I reattori 2 e 3 sono dotati ciascuno di tre diversi sistemi di raffreddamento di emergenza del nocciolo. Il primo è detto sistema di raffreddamento a pressione di vapore o sistema di raffreddamento a isolamento del nocciolo (Reactor Core isolation cooling system - RCIC). È un impianto mosso meccanicamente da una turbina a vapore, alimentato da vapore in pressione prodotto dal reattore. Il sistema utilizza una pompa, la quale inietta acqua direttamente nel recipiente del reattore a livello del nocciolo, prelevandola da un serbatoio apposito o direttamente dalla camera di soppressione. Poiché questo impianto è spinto da una turbina a vapore, esso richiede che il reattore produca una certa pressione di vapore in eccesso, cioè almeno 10 bar circa.

Il secondo sistema di raffreddamento, presente solo nei reattori 2 e 3, è detto sistema di refrigerazione ad alta pressione (o High pressure coolant injection system - HPCI). È un impianto di immissione idrica simile al precedente, ma è in grado di fornire un apporto di acqua molto più elevato. È costituito da irrigatori a getto ad alta pressione, che nel reattore BWR sono posti a corona nella parte alta del recipiente, al di sotto del duomo (più in alto, quindi, rispetto al livello del nocciolo). A differenza del precedente sistema, questo è progettato per compensare anche una eventuale perdita d’acqua, quale si potrebbe verificare ad esempio per la rottura di tubazioni dell’impianto principale. Questo impianto è alimentato da una turbo pompa; è dotato anche di propri generatori a turbina che producono elettricità estraendola dalla pressione di vapore di ritorno e possono ricaricare le batterie, ma almeno nelle fasi iniziali deve essere alimentato elettricamente.

Da notare, che il sistema RCIC raffredda l'acqua del reattore (e per questo è detto "a isolamento"), mentre il sistema HPCI raffredda direttamente il nocciolo.

Il Reattore n. 1, di costruzione più vecchia, è dotato del sistema RCIC ma non del sistema alta pressione HPCI. In alternativa a quest’ultimo, ha invece un sistema di dissipazione di calore passivo a convezione e condensazione (detto anche sistema di raffreddamento a isolamento, o IC). L'impianto consiste principalmente in uno scambiatore di calore, che è un grande serbatoio a condensazione. Il reattore è dotato di due impianti ridondanti di questo tipo, ciascuno con suo serbatoio e con un proprio circuito indipendente, collocati nella parte alta dell’edificio. Questo impianto non richiede alimentazione elettrica durante il suo funzionamento, poiché usa soltanto le forze di convezione termica e di gravità, ma per essere avviato (o disattivato) è necessario aprire (o chiudere) valvole alimentate elettricamente.

Pochi minuti dopo il sisma furono attivati anche i sistemi di raffreddamento di emergenza rispettivamente 'HPCI' per i reattori 2 e 3.

Alle 14:52 si attivò automaticamente anche il circuito di raffreddamento passivo del Reattore n. 1.

I reattori sono dotati anche di un terzo sistema di raffreddamento di emergenza del nocciolo, detto sistema di iniezione a bassa pressione, il quale consente nella possibilità di immissione di acqua prelevata da altre fonti e spinta da pompe esterne, quali ad esempio autopompe dei vigili del fuoco, o prelevata da piscine di acqua di mare. Il sistema è predisposto nel caso estremo in cui tutti i sistemi precedenti si guastassero.

15:03: disattivazione controllata del sistema di raffreddamento del Reattore n.1

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Alle 15:03 il sistema di raffreddamento passivo del Reattore n. 1 fu disattivato manualmente. Erano stati attivati entrambi i circuiti, che avevano raffreddato eccessivamente il reattore. Per evitare che la temperatura scendesse eccessivamente si dovette fermare il sistema. Ciò rispondeva a una procedura obbligata dal manuale operativo, e normalmente prevista, per impedire che la temperatura del nocciolo scendesse oltre la soglia di sicurezza (la temperatura in quel momento era comunque entro parametri normali).

14:50-15:27: ‘Allerta tsunami’

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Nel frattempo, era scattato l'allerta "tsunami", diramato dalle autorità nelle aree costiere di tutte le prefetture dell'isola di Honshū, perciò anche nell'impianto Daiichi (che si trova a circa 200 km dall'epicentro).

Una prima onda di maremoto raggiunse la centrale alle 15:27 allagando le aree circostanti all'impianto. Si trattava di un’onda di altezza inferiore alla barriera antitsunami di contenimento alta 6,5 metri.

15:30: mancato riavvio del sistema di raffreddamento del Reattore n.1

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Risulta dai rapporti ufficiali che alle 15:30 circa sarebbe stata compiuta una manovra per riattivare il sistema di raffreddamento passivo del Reattore n. 1, sempre come previsto dai manuali, poiché la temperatura era risalita nuovamente ad un livello da richiedere la riattivazione del raffreddamento. In questa occasione sarebbe stato avviato solo uno dei due circuiti. Per ragioni a lungo non chiarite, riguardo alle quali i rapporti sommari della TEPCO appaiono omissivi, il sistema non sarebbe entrato in funzione al momento richiesto. Sembra che gli operatori non si siano resi conto del mancato funzionamento del sistema.

Reattore n. 2: allarme per la piscina del combustibile esaurito

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Fukushima 1 view into reactor fuel pool.jpg
Una delle piscine di raffreddamento del combustibile esaurito a Fukushima Dai-ichi nel 1999

Gli operatori del Reattore n. 2 nel frattempo rilevavano una perdita alla piscina di deposito del materiale fissile spento. Gli elementi di materiale fissile esaurito conservano una radioattività residua che ne provoca il riscaldamento; pertanto, vengono depositati in piscine e lasciati decantare diversi anni. Le piscine devono essere continuamente rifornite d’acqua per compensare l'evaporazione. Se gli elementi esauriti restassero esposti essi si surriscalderebbero fino a incendiarsi, rilasciando fumi e vapori radioattivi con effetto ambientale catastrofico.

Testimonianze anonime di operatori hanno riferito al New York Times che nei primi momenti successivi al terremoto l’attenzione dei tecnici si era focalizzata su possibili danni alle piscine del combustibile esaurito nel Reattore n. 2. Nel timore che la scossa avesse provocato crepe tali da causare perdite significative di acqua dalla piscina, il personale della centrale si sarebbe concentrato su questa problematica nel periodo antecedente allo tsunami e per un tempo successivo, escogitando modi per convogliare energia per il pompaggio di acqua nella vasca del Reattore n. 2, al fine di mantenere stabile il livello della piscina.

Ciò ha indotto a supporre che gli operatori, almeno all'inizio, non avessero valutato appieno la portata del pericolo derivante dell'onda di maremoto in arrivo, e che anche in seguito per alcune ore non abbiano avuto cognizione in tempo reale della reale gravità dello stato dei reattori.[43]

La centrale inviò anche personale a ispezionare eventuali danni in alcune aree dell’impianto, in particolare nei locali turbine.

15:37: impatto dell'onda principale

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Immagine satellitare della costa nella prefettura di Fukushima. La foto a destra, del 12 marzo 2011, mostra l'allagamento del territorio

I sistemi di raffreddamento di emergenza, alimentati dai loro gruppi diesel-elettrici, funzionarono regolarmente per circa 50 minuti, cioè fino a pochi minuti dopo l’impatto del fronte d’onda maggiore, che arrivò sul molo foraneo alle 15:37 circa. Gli strumenti del sistema di controllo maremoti avevano registrato un fronte d’onda in arrivo la cui altezza era 7,3 metri sopra il livello di marea.

In prossimità della costa il fronte d’onda si è innalzato ulteriormente fino a un’altezza di circa 13-14 metri.[44]

La centrale era protetta da un argine alto 5,7 metri che, aggiungendosi alla piattaforma, arrivava un’altezza complessiva di 6,5 metri sopra il livello di marea. La centrale è costruita su un terrapieno che nel complesso è alto meno di 10 m s.l.m. I locali turbine e generatori sono parzialmente interrati rispetto a questo livello.

A causa della loro altezza insufficiente le barriere furono inutili. L’impatto dell’onda maggiore sulla centrale ebbe un effetto devastante. Le foto satellitari scattate immediatamente dopo il maremoto mostrano che non c’era più traccia degli impianti esterni di pompaggio carburante per l’alimentazione dei gruppi diesel, e i grandi serbatoi di nafta a torre erano spariti, spazzati via dall’onda.[45]

I locali turbine situati al piano terra e adiacenti agli edifici principali dei reattori furono completamente allagati. L’acqua dell'oceano si riversò attraverso gli accessi e i vani scale direttamente nei locali dei gruppi di alimentazione diesel, adiacenti ai locali turbine e anche essi collocati nel basamento negli edifici (a eccezione dell’edificio del Reattore 6). Due operatori che si trovavano nei locali turbine per ispezionare le condotte alla ricerca di eventuali danni, morirono nell’allagamento dei locali. I loro nomi sono Kazuhiko Kokubo e Yoshiki Terashima (rispettivamente di 24 e 21 anni).

I gruppi di alimentazione diesel-elettrici dei reattori 2, 3 e 5 furono allagati e i generatori uno dopo l’altro smisero di funzionare. I due gruppi del Reattore n.2 si spensero alle 15:38 e 15:42 circa. C’erano due gruppi diesel-elettrici nel basamento di ciascun reattore (fa eccezione l'Unità n. 6 in cui sono collocati ad un piano più alto): in totale si bloccarono 12 dei 13 gruppi di alimentazione attivi in quel momento.

15:40: black-out delle Unità n.1, 2 e 3

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L'onda di maremoto allagò e mise fuori uso anche i principali quadri elettrici, e di fatto l’intero impianto elettrico a corrente alternata dei tre reattori 1, 2 e 3. Inoltre, sommerse e disabilitò le batterie di riserva (da 125 volt a corrente continua) delle unità 1 e 2, questi reattori restavano così privi di strumentazione nelle sale controllo e negli impianti e senza illuminazione. Restava attiva la batteria di riserva dell’Unità n.3, che aveva una durata prevista di circa 30 ore.

Ispettori AIEA in visita a uno dei generatori dell'Unità n.6, l'unico rimasto attivo dopo il maremoto (maggio 2011)

I sistemi del Reattore n. 5 potevano essere alimentati con i gruppi ancora funzionanti del Reattore n. 6, in quanto i due edifici erano adiacenti. I reattori 1, 2 e 3 però distano diverse centinaia di metri da questi, e restavano isolati. Le linea di collegamento ad alta tensione era stata abbattuta dal maremoto e la rete elettrica era fuori uso e non più allacciata alla centrale.

Alle 15:40 la TEPCO dichiarò una "Situazione di Emergenza Nucleare" per i reattori 1 e 2 (notificata alle autorità di controllo alle 15:45) riferendosi all'articolo 15 della legge detta ‘Nuclear Act’ poiché “non era confermata l’attività dei sistemi di raffreddamento”.

Nel corso delle ore successive la TEPCO continuò a diramare comunicazioni tempestive, come previsto da protocolli specifici, alle autorità locali e nazionali, a mano a mano che si manifestavano problematiche nei diversi reattori. La TEPCO comunicò al governo giapponese specificamente che alcuni reattori della centrale erano rimasti completamente senza fornitura di energia elettrica, una situazione non prevista in nessuno scenario.

La crisi dell'Unità n. 1

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Allaccio della linea Futaba (da 500kV) sull'edificio trasformatori situato presso i reattori 5 e 6, come appariva nel 1999. I reattori 1, 2 e 3 non sono raggiunti direttamente dalla linea di rete

Alle 15:45 circa il black-out elettrico era totale nei reattori n. 1, 2 e 3, per il contemporaneo isolamento dalla rete elettrica e il blocco di tutti i gruppi generatori. Tutti i sistemi di raffreddamento attivi nei tre reattori in quel momento si interruppero, inclusi i sistemi di dissipazione del calore residuo a turbo pompa nei reattori 2 e 3.

Il Reattore n.3 era ancora dotato di gruppo batteria funzionante che consentì di riattivare immediatamente alcuni dei sistemi di controllo e le pompe di raffreddamento del Reattore n. 2.

Il sistema di refrigerazione passivo a convezione-condensazione del Reattore n.1 era stato precedentemente fermato (alle 15:03) come previsto dai manuali operativi, ma quando i tecnici ne avevano tentato la riattivazione alle 15:30 il sistema non si sarebbe messo in funzione.

Si appurò in seguito che anche i gruppi batterie del Reattore n.1 erano stati danneggiati e disabilitati dal maremoto, ma, in aggiunta a ciò, non fu possibile riattivare immediatamente il sistema di dissipazione passivo a scambio di calore. Il sistema non richiede alimentazione elettrica durante il funzionamento, ma la sua attivazione e disattivazione richiede di manovrare valvole alimentate elettricamente. Dai rapporti risulta che successivamente il sistema sarebbe stato riattivato, dopo una interruzione di oltre due ore. A quel punto però, come si appurò in seguito, il sistema risultava comunque non efficiente (probabilmente, in realtà non era attivo). Il mancato funzionamento del sistema di raffreddamento non appariva evidente agli operatori in quel momento, ma divenne in seguito oggetto di indagine approfondita da parte degli organi di inchiesta.

Anche la sala controllo della centrale era rimasta senza energia elettrica, gli operatori erano privi della possibilità di azionare comandi dal quadro di controllo, così come di informazioni in tempo reale sulla temperatura e sullo stato dei reattori.

Instabilità del Reattore n. 1 tra le ore 16 e le 17 circa

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Una delle sale controllo di Fukushima Daiichi come appariva nel 1999

Per un certo periodo dopo lo tsunami continuarono a verificarsi violente scosse di assestamento, le squadre di operatori non potevano uscire dai locali protetti e non potevano scendere nei piani inferiori allagati. Diverse apparecchiature, inclusi pannelli di controllo e interruttori, erano state fisicamente danneggiate dal sisma, nei locali c’erano detriti e arredi pericolanti. Ciononostante, era necessario ispezionare le altre aree dell’impianto per esaminare le possibilità di ripristinare allacciamenti elettrici. Le squadre cominciarono ad uscire per eseguire sopralluoghi e i primi lavori di ripristino intorno alle 16.[46]

Oltre alle sale di controllo presso i reattori, nella centrale vi era una sala di coordinamento in un edificio antisismico, collocata ad alcune centinaia di metri di distanza, dove si era riunita in consiglio una riunione direttiva permanente.

L’allarme di Situazione di Emergenza Nucleare per il Reattore n. 1 rientrò per un breve periodo, dopo che i tecnici riuscirono a riattivare alcuni sistemi di misurazione del livello dell’acqua del Reattore n. 1. Gli indicatori di pressione e di livello della sala controllo si riattivarono — presumibilmente grazie alla corrente alternata fornita da generatori mobili — alle 16:42, il monitor ad ampio spettro del livello dell'acqua nel reattore indicava un’altezza di 2530 mm sopra il nocciolo, cioè un livello di 90 centimetri (-90) più basso rispetto al normale. Il risultato fu comunicato alla sala di coordinamento. In conseguenza di ciò, alle 16:45 la dichiarazione di emergenza “ai sensi dell'articolo 15 del Nuclear Act precedentemente dichiarata fu annullata.

Alle 16:56 una nuova misurazione indicava che il livello era sceso a –150, cioè soltanto 1930 mm sopra il livello del nocciolo. Nella sala di coordinamento calcolarono la velocità del calo di livello d'acqua in 2,6 metri/h e quantificarono la previsione del tempo rimanente prima che il nocciolo restasse scoperto.

La TEPCO comunicò alle autorità di controllo (NISA) che il nocciolo sarebbe rimasto scoperto entro un’ora. Questa previsione catastrofica era contenuta in un fax dove occupava una nota in una sola riga all’interno un lungo documento di molte pagine contenente un'enorme quantità di dati, e pare che al momento sia passata sostanzialmente inosservata.[47] Non fu menzionata al pubblico nelle conferenze stampa, e in serata il portavoce dell’autorità di controllo si esprimeva ancora in termini rassicuranti, sostenendo che non c'era nessun rischio per i reattori in quanto tali, e che il raffreddamento dell'Unità n.1 era attivo.[48]

Alle 17:07 in sala controllo gli indicatori di livello tornarono nuovamente fuori uso e il livello dell’acqua non era pertanto più leggibile. Alle 17:12 la centrale dichiarò nuovamente lo stato di emergenza nucleare per l’Unità n. 1 in base all’Articolo 15 ovvero l’impossibilità di verificare l’attività di raffreddamento.

Inattività del sistema di raffreddamento del Reattore n.1

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Non risultano del tutto chiare le ragioni per cui non fu possibile intervenire in tempi adeguati per ripristinare il sistema di raffreddamento passivo del Reattore n.1 e perché questo non risultò efficace come previsto. Tra le ragioni della sua inefficacia furono successivamente individuate alcune problematiche intrinseche al sistema stesso, unite alla impreparazione del personale cui non era stata fornita adeguata cognizione delle caratteristiche di questo impianto.

Un grave indizio della inattività del sistema si presentò alle 16:44, quando la sala controllo venne informata da personale all’esterno che i bocchettoni degli scambiatori di calore (detti in gergo “naso di maiale”) emettevano una quantità di vapore definita “scarsa”. Sarebbe stato possibile dedurre da tale osservazione visiva che il sistema non era attivo. Gli operatori però non conoscevano l’impianto e non l’avevano mai visto in funzione, non erano addestrati ad utilizzarlo e riconoscerne il funzionamento; risulta inoltre che in 40 anni di servizio il sistema non sarebbe mai stato attivato per i test periodici (in teoria obbligatori).

Le comunicazioni inviate per fax da TEPCO alle 20:30 riportavano il sistema a condensazione come ancora normalmente “funzionante”. È stato successivamente appurato che in realtà questo invece non era più efficiente da molte ore, e rimase sostanzialmente inattivo dalle 15 in poi.

Dai documenti emerge che in realtà gli operatori, in seguito al calo del livello del refrigerante, avevano compreso che il sistema a scambio di calore (IC) non era funzionante, dopo una parziale riattivazione del quadro strumenti di lettura, dove le spie luminose indicavano che le valvole del circuito erano chiuse. Gli operatori tentarono di riaprire le valvole più esterne dai comandi della sala controllo, partendo dal presupposto che le valvole più interne nel contenitore fossero aperte, ma sapendo che il loro stato era incerto.[49]

L’agenzia di controllo (NISA) in conferenza stampa alle ore 21:50 riferì che il sistema di raffreddamento era in funzione normalmente e che l’acqua e la pressione nel reattore erano entro limiti di sicurezza (in seguito fu accertato che invece già alle 21 la fusione del nocciolo era ormai irreversibile).

È stato ipotizzato un probabile malfunzionamento del sistema di raffreddamento passivo a scambio di calore (IC) per cause tecniche. Il sistema di raffreddamento passivo a scambio di calore era progettato per garantire al Reattore n.1 almeno 8-10 ore di raffreddamento in assenza di alimentazione prima di richiedere un ricambio d’acqua dei serbatoi, i quali raccolgono l’acqua dei condensatori e sono mantenuti a pressione di vapore inferiore a quella atmosferica. Per ragioni non del tutto chiarite il sistema non ebbe l’efficacia prevista e non si riattivò più dopo la disattivazione manuale delle 15:03.

Tra le ipotesi sui fattori che possono avere contribuito alla sua inefficienza, c’è che gli operatori fossero in possesso di manuali e progetti con informazioni errate su questo impianto e sul suo funzionamento.

Il circuito del sistema di raffreddamento passivo (isolation cooling - IC) è dotato di valvole che funzionano da porte “logiche”, alcune delle quali si chiudono automaticamente in presenza di alcune condizioni. In particolare, vi sono coppie di valvole, in entrata e in uscita sul circuito, rispettivamente all’esterno del reattore, ma anche all’interno del recipiente secondario del reattore. Il vapore sia in entrata che in uscita dal reattore, quindi, incontra in ciascun senso almeno due valvole, una delle quali si trova all’interno del recipiente del reattore (e quindi non è accessibile manualmente agli operatori).

Le valvole richiedono alimentazione elettrica nel momento in cui vengono aperte o chiuse. Le valvole all’esterno del recipiente sono alimentate da corrente continua, mentre le valvole all’interno del recipiente funzionano a corrente alternata (che rende i circuiti elettrici più resistenti al calore).

Le valvole si chiudono automaticamente in caso di caduta della tensione elettrica, per ragioni di sicurezza. Queste valvole, come altre, si bloccano automaticamente anche se i sensori rilevano un abbassamento del livello dell’acqua, in quanto il sistema passivo a condensazione di fatto sottrae acqua al reattore.

Un isolamento prolungato del sistema o delle valvole potrebbe rendere lo scambiatore di calore inoperante in conseguenza dell’accumulo al suo interno di gas non condensabile. Tuttavia, il problema più grave è che gli operatori non conoscevano l’impianto, non erano al corrente della presenza delle valvole o della diversa tipologia di alimentazione elettrica necessaria al loro funzionamento. Alcune informazioni non erano riportate nei manuali. Gli operatori inoltre non potevano verificare la presenza né lo stato delle valvole perché interne al recipiente del reattore. I progettisti non avevano evidentemente neppure tenuto conto dello scenario in cui l’impianto a corrente alternata venisse distrutto e che la corrente elettrica potesse venire a mancare per un periodo prolungato.

Sullo sviluppo e costruzione dell’impianto di raffreddamento a scambio di calore dell’Unità n. 1 la commissione di inchiesta rilevò istanze di irregolarità. Nei progetti depositati dalla TEPCO presso l’autorità di controllo NISA nel 1967 si rilevano difformità rispetto ai progetti in mano all’azienda operatrice, che verosimilmente corrispondono all’impianto realizzato. La TEPCO aveva evidentemente realizzato modifiche al progetto senza avvertire l’autorità di controllo. Si tratta di una delle molte carenze che emersero nelle indagini.

Tra le ragioni ipotizzate per il malfunzionamento dell’impianto di raffreddamento passivo, l’attenzione delle indagini si è focalizzata sulle valvole interne al recipiente del reattore, che potrebbero essere rimaste chiuse in seguito al black-out elettrico. In più, è da tenere presente che queste valvole richiedono circa trenta secondi per chiudersi, ma l'interruzione della corrente nell'Unità n.1 fu probabilmente troppo rapida per consentirne la chiusura completa. Si ritiene probabile che le valvole siano rimaste aperte a metà. Lo stato complesso dell’impianto di raffreddamento a condensazione, con alcune valvole parzialmente aperte, il cui stato è sconosciuto, che non possono essere manovrate per mancanza di corrente e non possono essere alimentate con batterie elettriche, le cui specifiche di funzionamento non sono riportate o conosciute dal personale, e che per la loro posizione non sono ispezionabili, unitamente al fatto che gli operatori non hanno le cognizioni base sulle caratteristiche dell’impianto, è un insieme di circostanze che avrebbe reso l’impianto di raffreddamento di fatto inoperabile.

17:07-19:30: crisi irreversibile del Reattore n. 1

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Intorno alle 18:00 circa risultava conclamato l'instaurarsi di un problema grave al Reattore n. 1, la cui pressione era oltre i limiti di sicurezza, e nel quale il livello del refrigerante era in diminuzione.

Risulta dai rapporti che alle 18:18 fosse stato riattivato il sistema raffreddamento del Reattore 1, ma è noto che le manovre effettuate sono rimaste senza efficacia. Gli operatori inoltre non disponevano di dati in tempo reale sul livello dell’acqua nel reattore, e non c'erano informazioni sullo stato delle valvole interne del sistema IC.

Gli operatori considerarono a questo punto le opzioni previste dal protocollo di emergenza per iniettare acqua nel reattore utilizzando fonti esterne. Vi sono due opzioni previste nell'impianto: la prima, e la preferibile, era quella di utilizzare i sistemi interni all'impianto, che utilizzano le pompe dell'impianto stesso per spingere acqua, prelevata dall'esterno, all'interno del contenitore ermetico, utilizzando getti ad alta pressione; questa opzione consente di iniettare refrigerante nel nocciolo anche se la pressione all'interno del contenitore è molto alta. Vi erano due sistemi preposti a questo scopo, detti standby liquid control (SLC) e control rod drive (CRD) posti in due diverse parti del recipiente. Purtroppo però questa opzione era preclusa, poiché in quel momento mancava l'alimentazione elettrica di rete necessaria ad alimentare le pompe dei sistemi. La seconda opzione era quella di utilizzare le pompe alimentate a diesel oppure le autopompe dei vigili del fuoco. Ma questi sistemi richiedono una depressurizzazione del nocciolo, la pressione massima che riescono a vincere infatti è di circa 800 kPa, limite al disopra del quale non riescono più a spingere acqua nel nocciolo; la pressione misurata all'interno del recipiente intorno alle ore 18 era di circa 7000 kPa (70 bar), perciò molto elevata, circostanza che escludeva anche l'opzione di utilizzare le pompe diesel e le autopompe.

Il livello del refrigerante continuò a calare rapidamente e risulta da ricostruzioni di indagine successive che la parte alta del nocciolo cominciava a essere esposta alle 18:00, mentre alle 19:30 circa il nocciolo era ormai esposto completamente. Successivamente a questo orario le condotte in Zircaloy iniziavano a fessurarsi e si innescava il processo irreversibile di fusione dell’unità calorifera.

Nelle ore che seguirono, la temperatura del nocciolo si innalzò fino a raggiungere i 2800°C intorno alle ore 21, e l'unità calorifera iniziò a fondere a partire dagli elementi centrali.

Alle 19.03 il governo nazionale dichiarò lo stato di emergenza nucleare (che comportava l’attivazione di una Unità di Crisi Nucleare presso un quartier generale - Emergency Response Headquarters - nazionale, e di una omologa Unità di Crisi regionale presso la Prefettura).

19.30-21.00: parametri del Reattore n.1 fuori controllo

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Alle 20.50 l’Unità di Crisi presso la Prefettura di Fukushima emanò un ordine di evacuazione per tutti i residenti in un raggio di 2 chilometri dall’Unità 1 della centrale di Fukushima Dai-ichi (la popolazione in quest’area era di 1.864 persone).

Alle ore 21 TEPCO dichiarò che la pressione di vapore nell'Unità n. 1 era doppia di quella normale (preparando implicitamente il pubblico a un futuro annuncio della necessità di rilasciare vapore radioattivo nell’atmosfera). I parametri di pressione salirono rapidamente verso un picco intorno alle ore 21. La tempistica completa della fusione del nocciolo non è nota, ma si ritiene che alle 21 il processo fosse sicuramente irreversibile. Il grafico mostra che il picco di pressione ha una durata breve e crolla in modo rapido poco dopo le 21, ciò può indicare che il materiale fuso percolato sul fondo del recipiente a pressione abbia perforato la parete del recipiente o comunque cambiato assetto intorno a quell’ora.

Alle 21:23 per ordine del governo nazionale l’area di evacuazione viene estesa a 3 km dall’Unità n.1, e ai residenti entro 10 chilometri viene ordinato di mantenersi al rifugio in ambienti chiusi.

La pressione si era abbassata a sufficienza da rendere possibile l'utilizzo di pompe esterne. Nella notte fu ordinata l'immissione di acqua nel reattore mediante autopompe dei vigili del fuoco. Furono operazioni poco efficaci e probabilmente tardive. Si ritiene che nel periodo compreso tra le 19.30 e le 21 il nocciolo abbia raggiunto una temperatura tale da renderne probabilmente impossibile il raffreddamento mediante l’uso di sola acqua, a causa delle proprietà dello zirconio, costituente le tubazioni in Zircaloy all’interno della unità calorifera, che a tali temperature diventa chimicamente reattivo, e dell’acqua, che ad alte temperature diventa fortemente ossidante dando luogo a una reazione esotermica.

12 marzo, ore 15:36 esplosione nell'edificio del Reattore n. 1

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La mattina presto del 12 marzo hanno luogo le operazioni di raffreddamento utilizzando acqua da fonti esterne. Alle 05:38 è attiva l’immissione di acqua dolce nel reattore da autopompe dei vigili del fuoco mediante bocchettoni esterni.

Alle 05:44 il governo ordina l’evacuazione di tutti residenti nel raggio di 10 km dall’Unità n.1.

Gli operatori sono dinanzi alla necessità di diminuire la pressione all'interno del reattore, che adesso è causata da grandi volumi di idrogeno, e si preoccupano di come espellere l’idrogeno in modo sicuro. Il problema era fare in modo il gas si disperdesse in atmosfera, evitando perdite nell'impianto con il rischio che l'idrogeno si accumulasse all’interno dell’edificio. I tentativi di disperdere l’idrogeno in sicurezza fallirono, nonostante le precauzioni vi furono perdite durante le operazioni, l'idrogeno si accumulò sotto il tetto dell’edificio.

Il 12 marzo alle 15.36 si verificò una violenta esplosione che distrusse la copertura della parte alta dell'edificio dell'Unità n.1.

L'esplosione complicò gravemente la situazione e rese più difficili le operazioni successive. Vi furono sei feriti tra il personale delle Forze di Autodifesa giapponesi, che erano presenti all’interno dell’edificio del reattore e nelle vicinanze al momento dell'esplosione. Alcuni operatori della centrale furono colpiti da detriti. Due vigili del fuoco rimasero feriti poco dopo, quando entrarono per errore nella sala turbine ancora allagata e immersero i piedi in acqua, senza indossare stivali schermati, riportando ustioni da radiazioni alle gambe.

Immediatamente dopo l'esplosione fu individuato un forte aumento delle radiazioni nell'edificio, la centrale fu parzialmente evacuata e gli operatori dovettero indossare tute di protezione integrali e maschere. Le attività divennero estremamente difficoltose.

Alle 20.05, richiamando il paragrafo 3, articolo 64 del Nuclear Regulation Act, il governo ordina di immettere acqua di mare nell'Unità n.1. Alle 20.20 TEPCO comunicò che gli operatori avevano cominciato a usare acqua di mare per raffreddare il reattore (una scelta non ideale, poiché l'acqua di mare è corrosiva, ma obbligata in quanto la disponibilità di acqua dolce era ormai troppo limitata).[50]

Crisi dei Reattori n.2 e n.3

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Una sequenza di eventi con esito finale identico si verificò nei reattori n.2 e n.3, nei quali ebbe luogo lo stesso tipo di situazione critica. Le evoluzioni degli incidenti differiscono nei diversi reattori solo per la tempistica e per alcune varianti tecniche correlate alle differenze nei sistemi di raffreddamento degli impianti. La fusione del nocciolo del Reattore n.1 si è verificata circa 6 ore dopo il maremoto, e si ritiene che il primo reattore sia quello rimasto, nell'immediato, sostanzialmente privo di raffreddamento per un periodo continuativo più lungo. Per il Reattore n.3, la situazione critica è cominciata con circa 24h di ritardo e il meltdown è avvenuto circa 36 ore dopo il maremoto. Quello del Reattore n. 2 è avvenuto dopo circa 70 ore.

La situazione nei Reattori n. 2 e 3 è precipitata con esaurimento delle batterie che garantivano l'attività delle pompe ausiliarie. Il sistema di refrigerazione di emergenza ad alta pressione era progettato per operare solo per un tempo breve. Nelle Unità n. 2 e 3 invece rimase attivo molte ore, nell'impossibilità di riallacciare l'alimentazione elettrica di rete in tempi brevi e di attivare gli altri sistemi.

Il 12 marzo alle 16:36 la TEPCO dichiarò l'emergenza nucleare ai sensi dell'Articolo 15 ("raffreddamento non confermato") anche per l'Unità 2, poiché la strumentazione della sala controllo non era più funzionante e non vi erano dati sullo stato del reattore.

13 marzo: blocco del sistema di raffreddamento del Reattore n. 3

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Nel Reattore n.3 la direzione in sala controllo decise di utilizzare il sistema di raffreddamento a isolamento del nocciolo (RCIC), che mantenne stabile il livello del refrigerante a lungo. Quando il livello dell'acqua cominciò a diminuire, si decise di passare al sistema di raffreddamento ad alta pressione (HPCI). Nella notte tra il 12 e il 13 marzo, per ragioni non completamente chiare, il sistema ad alta pressione aveva smesso di funzionare in modo efficace. I dati tecnici risultano incompleti perché gran parte degli strumenti di controllo non era funzionante per mancanza di energia elettrica. Si ritiene che la causa del blocco possa essere stata l'esaurimento delle batterie che fornivano corrente continua, oppure una caduta di pressione del reattore al di sotto del livello minimo a cui il sistema poteva auto-sostenersi. Gli operatori non poterono farlo ripartire al momento necessario perché le batterie per avviarlo nella prima fase erano esaurite. Gli operatori non furono in grado di riattivare il sistema RCIC in alternativa. Si decise a quel punto di immettere nel reattore acqua utilizzando pompe esterne, dapprima acqua dolce dalle scorte dei vigili del fuoco addizionata con acido borico, quindi acqua di mare.

Alle 05:38 del 13 marzo gli operatori del Reattore n. 3 non avevano più alimentazione elettrica di alcun tipo per immettere acqua nel reattore, e potevano contare solo su pompe esterne. Lavorarono intensamente - in condizioni di assenza di illuminazione - per riallacciare collegamenti elettrici, e anche per valutare come diminuire la pressione di vapore in eccesso che si stava formando nel reattore, aprendo valvole di sfogo che permettessero di immettere vapore all'esterno. Nelle prime ore della mattina però, il livello dell'acqua del reattore risultava essere calato fino al punto di lasciare scoperte le barre del nocciolo per tre metri.

Alle 7 del mattino circa l'agenzia di controllo NISA dichiarò in conferenza stampa che il sistema di raffreddamento dell'Unità n.1 non funzionava. Vi fu una profusione di sforzi per fornire liquido refrigerante al reattore al più presto in qualsiasi modo per cercare di evitare la fusione del nocciolo.

Alle 07.30 l'operatore TEPCO dichiarò che si preparava a rilasciare vapore per diminuire la pressione del nocciolo, onde scongiurare la rottura del recipiente. Noriyuki Shikata, direttore dell'ufficio comunicazioni del primo ministro, dichiarò che si sarebbe trattato di un rilascio di radioattività minimo e di breve durata. Vi furono aperture manuali delle valvole di sfiato alle 08.40 e alle 09.20.[51]

Alle 9.25 incominciò l'immissione nel reattore di acqua contenente acido borico utilizzando pompe dei vigili del fuoco.

Nonostante gli sforzi il livello dell'acqua nell'Unità n. 3 continuava a diminuire e la pressione continuava ad aumentare. Esaurita l'acqua borica, alle 11.55 si incominciò a immettere acqua dolce proveniente dalle autopompe dei vigili del fuoco. Alle 13:12 si incominciò a immettere acqua di mare.

Incertezza sullo stato del Reattore n. 3

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Grafico con le misure di pressione (espresse in kPa) all'interno dei contenitori dei reattori n. 1, 2 e 3, che mostra le variazioni nel corso del tempo tra i giorni 12 e 15 marzo. Si nota l'instabilità dei valori dell'unità 3.

Nella giornata del 13 marzo l’attenzione degli operatori della centrale – come pure quella delle autorità e dei media internazionali – era ormai focalizzata sull’Unità n. 3 (essendo divenuto chiaro che il Reattore n. 1 era irrecuperabile). La TEPCO, intorno alle 12:30 aveva dichiarato in conferenza stampa che non era in grado di riattivare il sistema di raffreddamento ad alta pressione del Reattore n.3.

Il corso della giornata è caratterizzato dal persistere di incertezza sulle reali condizioni dell’Unità n. 3, su cui i tecnici non hanno informazioni sicure.

Alcune misurazioni nel pomeriggio furono effettuate manualmente con l’inserimento di una sonda di livello all’interno del recipiente. Alle 15.00 viene osservato che, nonostante l’immissione di acqua nell’impianto, il livello nel reattore non era aumentato rispetto alla mattina, e tendeva invece ad aumentare l’emissione radioattiva.[52]

Dopo l’immissione di centinaia di tonnellate di acqua, la lettura indicava un aumento molto modesto del livello del refrigerante, che restava ancora due metri al di sotto del bordo superiore del nocciolo. Vennero espressi dubbi sull’attendibilità delle misurazioni, si avanzò l’ipotesi di un malfunzionamento della sonda dovuta probabilmente alla temperatura (ipotizzando che la temperatura possa fare evaporare l’acqua all’interno della sonda stessa falsando quindi la misurazione).

In effetti, la misura di livello contrastava in apparenza con il dato della pressione, relativamente bassa, intorno ai 250 kPa. Per confronto una pressione di 400 kPa sarebbe stato il parametro normale di funzionamento, mentre la pressione nel reattore 1 aveva raggiunto invece un picco di 840 kPa. Nel reattore BWR la misura di pressione viene utilizzata per dedurre indirettamente la temperatura.

Alle 20.00 il portavoce Yukio Edano dichiarò che c’era stato un iniziale aumento del livello del refrigerante ma poi questo sia era abbassato di nuovo.[53]

Alle 23.30 l’Agenzia per la Sicurezza Nucleare (NISA) in conferenza stampa dichiarò che una “sonda mal funzionante” implicherebbe che il livello di refrigerante non è confermato, e che “non è possibile sapere se le letture siano attendibili o meno”. Aggiungeva però che le letture risultavano di due metri più basse rispetto al limite superiore delle barre di combustibile, e ciò rappresenterebbe una situazione “molto seria” comportando un rischio di danno al nocciolo.

14 marzo: impossibilità di raffreddare il Reattore n. 3

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Nella notte fra il 13 e il 14 marzo i tecnici continuano a indagare sulle ragioni del mancato aumento del livello dell'acqua nel reattore. Risulta che alle 03.36 circa, nel corso di una video chiamata fra il direttore della centrale Masao Yoshida nella sala di coordinamento presso la centrale, e il vice-direttore di TEPCO (e capo del settore nucleare) Sakae Muto, lo stesso Yoshida spiegava che il livello dell’acqua continuava a non salire nonostante l’immissione di una quantità cospicua di acqua per tutta la giornata, e concludeva che vi sarebbe una "alta probabilità" che l'acqua immessa nell'impianto non abbia raggiunto effettivamente il nocciolo, ma che venga deviata altrove da qualche parte all’interno dell’impianto.[54]

Si è scoperto successivamente che in effetti una buona parte dell'acqua immessa, oltre il 45%, sarebbe stata deviata altrove lungo un percorso alternativo che era rimasto aperto perché la valvola che avrebbe dovuto chiudere il passaggio era rimasta senza elettricità.

14 marzo, ore 11:15: esplosione nell'edificio del Reattore n. 3

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Come appariva l'edificio del Reattore n.3 in seguito all'esplosione (foto del 15 marzo 2011)

Alle 11:15 si verificò una potente esplosione nella parte alta dell'edificio dell'Unità n. 3. Fu una esplosione più potente rispetto di quella avvenuta due giorni prima nell'Unità n.1 e fu udita da 40 km di distanza. Si formò una grande nuvola grigiastra di forma ovale che si innalzò proiettando le strutture di copertura dell'edificio ad un'altezza di molte centinaia di metri. Undici persone che si trovavano nell'area rimasero ferite: quattro operatori dipendenti della TEPCO, tre operatori esterni e quattro soldati delle Forze di Autodifesa.

L'esplosione era stata causata da un accumulo di idrogeno all'interno dell'edificio, analogamente a quanto avvenuto in precedenza nell'Unità 1. Si era ritenuto a lungo che l'esplosione si fosse verificata al quinto piano dell'edificio dell'Unità n.3, ma da un'analisi dei filmati con speciali tecnologie, nel 2019 si poté appurare che vi furono in realtà due esplosioni: la deflagrazione principale era stata preceduta da una piccola esplosione avvenuta più in basso, al quarto piano e sul lato sud-est dell'edificio.[55]

La TEPCO, ritenendo evidentemente la situazione ormai ingovernabile, comunicò al governo la richiesta di evacuazione dei propri operatori dalla centrale. Il governo si oppose all’evacuazione totale, vi fu invece l'ordine di evacuazione di 750 dipendenti, ma un piccolo gruppo di circa 50 operatori fu destinato a rimanere sul posto, con il compito di tentare di riprendere il controllo della centrale e l'ordine del governo di "abbassare la pressione dei reattori" 2 e 3. Il gruppo fu soprannominato dai media giapponesi “Fukushima 50”.

Il personale complessivamente impegnato nell’area della centrale, nei giorni successivi in realtà aumentò fino a un numero compreso tra le 500 e le 600 unità (era di 580 persone il 18 marzo), ed era composto prevalentemente da vigili del fuoco e operai esterni chiamati a ripristinare le linee elettriche. Il 23 marzo il numero di persone presenti era salito a circa 1000 per l’aggiunta di ulteriori reparti dell’esercito.

Stato dei reattori

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Fukushima Dai-ichi 1

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L'edificio del reattore 1 della centrale di Fukushima, prima e dopo l'esplosione.

Nella giornata dell'11 marzo, in un edificio minore delle zone non nucleari dell'impianto è nato un piccolo incendio, che ha richiesto meno di due ore per essere estinto. Una situazione più grave era però emersa entro le zone nucleari dei tre reattori di Fukushima Dai-ichi in funzione, in cui il reattore era stato fermato automaticamente con successo; ma i generatori diesel avevano subito numerosi danni lasciando i tre reattori senza energia elettrica per alimentare il sistema di refrigerazione che dissipa il calore residuo del reattore.[56] Questo ha portato la TEPCO a comunicare una situazione di emergenza, che ha permesso alle autorità di far evacuare la popolazione residente entro i 3 km dall'impianto (circa 1000 persone). Nove ore dopo, il ministero dell'economia, del commercio e dell'industria ha comunicato che presso l'impianto erano arrivati quattro generatori diesel mobili, tre dei quali (già operativi) fornivano energia per i sistemi di emergenza dell'impianto e che altri moduli erano in arrivo per via aerea.[57]

Il 12 marzo, a causa del mancato funzionamento degli impianti di raffreddamento di emergenza, la pressione interna all'edificio del reattore continuava ad aumentare costantemente.

Alle 2 di notte del 12 marzo è stata riportata una pressione di circa 600 kPa, a fronte di una pressione normale di funzionamento di 400 kPa. A seguito di questo, la società elettrica ha preso la decisione di ridurre la pressione interna per gli impianti per i quali non erano funzionanti i sistemi di refrigerazione, in contemporanea alle operazioni di ripristino del normale funzionamento dei sistemi e al monitoro dell'impianto. Alle 4:20, la IAEA ha confermato che erano in corso lavori per ripristinare l'alimentazione con generatori mobili e che sarebbe avvenuta una decompressione controllata, utilizzando filtri per trattenere la maggior parte delle radiazioni entro l'impianto[57]. Alle 13:30, isotopi radioattivi di cesio-137 e iodio-131 sono stati rilevati vicino al reattore[58] (il che indica che una parte del nocciolo è rimasta scoperta per la diminuzione del livello del refrigerante nel reattore).[59] Alle 15:36 avvenne la prima esplosione di idrogeno nel reattore, quattro operai sono stati feriti, e la parte superiore dell'edificio secondario di contenimento del reattore è stata spazzata via, lasciando al suo posto lo scheletro di acciaio.[60] Il portavoce del governo giapponese, Yukio Edano, ha confermato che c'era una "significativa possibilità" che le barre di combustibile radioattivo si fossero parzialmente fuse,[61] mentre l'esplosione non aveva compromesso l'integrità del contenimento principale del reattore. Verso le 20:20 sono iniziati gli interventi di pompaggio di acqua marina (per raffreddare il reattore) e questo è previsto essere seguito dall'aggiunta di acido borico che, assorbendo i neutroni, inibisce le reazioni nucleari.[62]

Fukushima Dai-ichi 2

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Nei primi momenti dall'incidente, il reattore risultava in stato di attenzione, ma non in stato di serio o critico danneggiamento.

Il 14 marzo, a mezzogiorno, le barre del combustibile erano completamente scoperte ed era fallito il pompaggio dell'acqua marina all'interno del nucleo.[63] Alle 13:21 la TEPCO aveva dichiarato che non era esclusa la parziale fusione delle barre del combustibile nucleare all'interno del reattore 2.[64] Erano stati riscontrati gravi danni al nocciolo del reattore, probabilmente a causa della mancanza di refrigerante; questo aveva portato a continuare l'iniezione di acqua marina, ma il livello del liquido era al momento sconosciuto ma tendenzialmente in diminuzione, mentre era stato riportato che la pressione aveva subito un aumento fino a 700 kPa che ha reso l'iniezione di acqua impossibile per la troppa pressione. Per risolvere il problema era stata quindi rilasciata una certa quantità di vapore per permettere una nuova iniezione di acqua. La TEPCO aveva effettuato una notifica dichiarando che da prospezioni delle 08:50 alcune barre di combustibile erano, sulla base di radiazioni rilevate, presumibilmente rotte.[65]

Il 15 marzo, alle 00:08 ora italiana, si era registrata un'esplosione al reattore 2[66] e la TEPCO annunciava che era stato evacuato parte del personale. Le autorità ammisero che, in seguito all'esplosione, c'era stato una rottura non quantificata della camera di soppressione della pressione (wetwell), una struttura toroidale posta nella parte inferiore del sistema di contenimento del reattore.

Fukushima Dai-ichi 3

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Nelle giornate dell'11 e del 12 marzo, non persistevano particolari preoccupazioni per il reattore, in quanto i sistemi di raffreddamento, seppur in crisi, erano stati sostituiti parzialmente da altri provvisori. Destava particolare preoccupazione il fatto che, nel reattore 3, venisse usato come combustibile nucleare anche un ossido di plutonio: nel settembre 2010 per la prima volta tale reattore era stato caricato con combustibile MOX, al posto dell'uranio a basso arricchimento usato negli altri reattori della centrale[67].

Il 13 marzo si era dovuto ricorrere all'uso di acqua di mare come refrigerante primario del reattore, in quanto erano presenti malfunzionamenti nei sistemi (i quali erano comunque a livello stabile). Per alleviare la pressione interna al reattore, erano poi iniziate operazioni di rilascio del gas, causando lievi aumenti di radioattività. Il livello del liquido per il raffreddamento, dopo essere aumentato, iniziò di nuovo a diminuire. Alle 23:30 la Nuclear and Industrial Safety Agency riportò che alcune letture davano il livello del liquido refrigerante due metri sotto la cima degli elementi di combustibile, rappresentando quindi un serio rischio per la loro integrità, mentre altre strumentazioni ne riportavano ancora un livello entro limiti di sicurezza.[68]

Il 14 marzo, alle 11:01, si verificò un'esplosione seguita dallo sprigionarsi di fumo bianco, dovuto a una fuga di idrogeno[69]: l'esplosione è stata molto più potente di quella avvenuta nel reattore 1 e una larga sezione del tetto dell'edificio del reattore fu scagliata verso l'alto ricadendo su altre strutture della centrale. La TEPCO dichiarò che, a una prima analisi, il contenimento del nocciolo era rimasto intatto.[70] A seguito delle esplosioni, un dipendente ventitreenne fu contaminato.[71] Alle 12:00 quattro dipendenti TEPCO e due operai di società collegate hanno riportato ferite (tutti sono rimasti coscienti)[72]. Le letture di pressione a seguito dell'esplosione erano rimaste all'interno di un range relativamente normale, mentre in precedenza erano state decisamente superiori: 530kPa delle 6:30, 490kPa alle 9:05, 380kPa delle 11:13, 360kPa delle 11:55, letture che sono da confrontare con i 250kPa di livello di massima sicurezza, i 400kPa di riferimento e gli 840kPa del reattore 1 del 12 marzo.[70]

Il 16 marzo, alle 8:34 ora locale, fu osservato del fumo bianco sollevarsi dal reattore 3. I tentativi di determinare la causa di tale avvenimento furono interrotti poiché tutti gli addetti erano stati evacuati in un'area sicura, per via dell'aumento della radioattività misurata[73]. Nel corso della giornata, poiché era aumentata la temperatura dell'acqua nella vasca del combustibile esausto, si era presa in considerazione l'ipotesi di spargere acqua con gli elicotteri, grazie al supporto dell'Esercito; questi interventi sono poi stati cancellati.[74]

Fukushima Dai-ichi 4

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Fino al 14 marzo, per il reattore numero 4 non erano stati riportati danni di alcun tipo.[75]

Il 15 marzo verso le ore 06:00 locali, venne udita una forte esplosione proveniente dalla centrale e in seguito venne confermato il danneggiamento di una parte dell'edificio contenente il reattore numero 4.[76] Alle 09:40 si era poi verificato un incendio nella vasca del combustibile esausto, con probabile rilascio di radioattività da parte del combustibile in essa presente.[58][77] La TEPCO affermò che il fuoco era stato spento entro le ore 12:00. Dato l'aumento del livello di radiazioni, alcuni lavoratori ancora presenti nell'edificio furono sfollati.[78][79] Alle 10:22, il livello delle radiazioni intorno al reattore era di 100 mSv/h.[80] L'incendio sarebbe stato causato dall'esplosione dell'idrogeno per l'evaporazione dell'acqua della vasca, con conseguente esposizione delle barre di combustibile esausto.[80] Alle ore 21:13, le radiazioni nell'edificio 4 erano divenute troppo elevate per poter lavorare o anche solo sostare a lungo all'interno della sala di controllo[81]. Solo settanta dipendenti rimasero nell'edificio.[82]

Il 16 marzo (verso le 5:45), un dipendente della TEPCO scoprì un incendio presso l'angolo nordovest dell'edificio del reattore 4, mentre trasportava una batteria alla sala di controllo centrale. La TEPCO informò dell'incidente i vigili del fuoco e le autorità locali.[73][83] Durante un'ispezione alle 6:15, gli addetti della TEPCO trovarono segni dell'incendio.[84]

Surriscaldamento e fusione nella vasca del combustibile esausto

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La TEPCO comunicò l'esistenza di una piccola (ma non nulla) probabilità che la massa di combustibile esposto potesse raggiungere la criticità.[85][86] La BBC commentò che tale criticità non poteva significare una esplosione nucleare, ma avrebbe potuto causare un rilascio prolungato di materiali radioattivi.[85]

La criticità è di solito considerata altamente improbabile per il basso livello di arricchimento usato nei reattori ad acqua leggera.[87][88][89]

Il 9 maggio 2012, esperti di Stati Uniti e Giappone, insieme a 73 Organizzazioni non Governative, inviarono una petizione all'allora Segretario dell'ONU, Ban Ki-moon, chiedendo l'intervento urgente delle Nazioni Unite per la stabilizzazione del reattore 4, tramite un Summit internazionale sul grave rischio nucleare e l'istituzione di una commissione indipendente di esperti che coordini gli aiuti internazionali. Le Organizzazioni criticarono il silenzio di stampa e politica giapponese sul disastro su scala globale derivante dall'eventualità che un terremoto o un evento catastrofico potessero danneggiare la vasca[90][91].

Fukushima Dai-ichi 5 e 6

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I reattori 5 e 6 non pare abbiano riportato danni, sono monitorati e si continua a verificare la tenuta dei circuiti di refrigerazione.[75]

A partire dal 15 marzo la temperatura del combustibile esausto nelle rispettive vasche è aumentata a causa della loro insufficiente refrigerazione.

Il 19 marzo i tecnici hanno ripristinato il sistema di refrigerazione del combustibile esausto[92].

Tentativo di ripristino degli ausiliari

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In generale la TEPCO ha affermato, nella conferenza stampa di mercoledì 16 marzo, che erano in corso interventi finalizzati ad allacciare generatori di supporto e riparare i generatori diesel di emergenza per ripristinare l'alimentazione elettrica esterna degli impianti. Si giungerebbe così al ripristino dei sistemi di spray del nocciolo, del raffreddamento RHR e degli ECCS entro i limiti di operabilità, visti i probabili danneggiamenti da parte delle esplosioni dei giorni precedenti. In assenza di ulteriori complicazioni, si prevedeva che per giovedì 17 marzo i sistemi ausiliari ancora integri sarebbero rientrati in funzione[93]. In seguito a difficoltà nel ripristino dei sistemi di raffreddamento dei reattori coinvolti e nell'urgenza di doverli refrigerare venne presa la decisione di inondare d'acqua marina l'esterno dei reattori stessi tramite mega-idranti ed elicotteri almeno nei periodi di bassa emissione di radioattività; questa misura di urgenza venne però avversata dai vertici della TEPCO, che ordinarono di sospendere le operazioni a causa del potere corrosivo dell'acqua salata che può danneggiare irreparabilmente gli impianti. Il direttore della centrale, Masao Yoshida, rimasto nell'impianto insieme a una cinquantina di tecnici, decise di disobbedire e continuare a pompare acqua salata, scegliendo di sacrificare la centrale per evitare la catastrofe che si prospettava se non si fosse riusciti a raffreddare il reattore. La TEPCO, a seguito dell'utilizzo di acqua salata di mare per il raffreddamento, farà comunque sapere che la centrale non rientrerà più in funzione.

L'evento è stato classificato di livello 7 della scala INES, il massimo valore ammesso dalla scala, la quale si basa, come riferimento, sulla dose equivalente di iodio-131. Nel 2014 è stata elaborata una matrice di posizionamento dei 33 più gravi guasti ed incidenti nucleari (INES 3-7) al mondo nel periodo 1950-2011, mettendo in correlazione la magnitudo (in scala INES e SNAL) con il logaritmo della frequenza cumulata di eventi di analoga o maggiore intensità[94].

Conseguenze sanitarie

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Nel settembre 2018, il caso di un decesso per cancro di un ex operatore della centrale è stato oggetto di accordo di risarcimento in sede civile, in correlazione all'incidente.[2][95]

Lo United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation[96] e la World Health Organization riferirono che non ci sono stati aumenti di aborti, nati morti o disturbi fisici e mentali nei bambini nati dopo l'incidente.[97] Le stime di possibile di mortalità e morbilità per neoplasie correlate al disastro sono controverse, comprese tra valori rispettivi di 1.500 e 1.800 unità, e stime di alcune centinaia.[98]

Una indagine del giornale Mainichi Shimbun stima che vi siano stati 1.600 decessi per effetto diretto dallo stress correlato all'evacuazione, principalmente negli anziani che avevano precedentemente vissuto in case di cura.[99][100] Inoltre, i tassi di disagio psicologico tra le persone evacuate sarebbero aumentati di cinque volte rispetto alla media giapponese a causa dell'esperienza del disastro e dell'evacuazione.

Nel 2013, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stimato che i residenti dell'area che erano stati evacuati siano stati esposti a quantità di radiazioni relativamente basse, e che gli impatti indotti direttamente sulla salute umane dalle radiazioni siano "probabilmente bassi".[101][102] Secondo il rapporto, il rischio di sviluppare cancro alla tiroide per le bambine evacuate sarebbe aumentato indicandolo in un valore di 0,75%, in alcuni gruppi fino al 1,25%, con un aumento leggermente inferiore per i maschi. Si prevede inoltre che i rischi derivanti da una serie di ulteriori tumori indotti da radiazioni siano elevati a causa dell'esposizione causata dagli altri prodotti di fissione con basso punto di ebollizione che sono stati rilasciati dai guasti di sicurezza. Il singolo aumento maggiore è per il cancro della tiroide, ma in totale, un rischio complessivo superiore all'1% di sviluppare cancri di tutti i tipi, è previsto per le femmine infantili, con il rischio leggermente inferiore per gli uomini, rendendo entrambi i gruppi più sensibili alle radiazioni.[102]

Un programma di screening, un anno dopo, nel 2012, ha rilevato che più di un terzo (36%) dei bambini nella prefettura di Fukushima ha una crescita anormale nelle ghiandole tiroidee.[103] Ad agosto 2013, ci sono stati più di 40 bambini di nuova diagnosi con cancro alla tiroide e altri tumori nella prefettura di Fukushima nel suo complesso. Nel 2015, il numero di cancri della tiroide o di tumori tiroidei in via di sviluppo è stato 137.[104] Tuttavia, se queste incidenze di cancro sono elevate al di sopra del tasso nelle aree non contaminate e quindi dovute all'esposizione alle radiazioni nucleari non è noto in questa fase[senza fonte]. I dati dell'incidente di Chernobyl hanno mostrato che un aumento inconfondibile dei tassi di cancro alla tiroide dopo il disastro del 1986, iniziò solo dopo un periodo di incubazione del cancro di 3-5 anni;[105] tuttavia, se questi dati possano essere direttamente confrontati con il disastro nucleare di Fukushima deve ancora essere determinato.[106]

Conseguenze ambientali

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Secondo le autorità di sorveglianza francesi, IRSN (Institut de radioprotection et de sûreté nucléaire - Istituto di radioprotezione e sicurezza nucleare) e ASN (Autorité de sûreté nucléaire - Autorità di sicurezza nucleare), la nube radioattiva sprigionata a più riprese dalla centrale di Fukushima Dai-ichi doveva arrivare sulla Francia attorno al 26 marzo. Secondo un loro modello di dispersione atmosferica delle emissioni, si attendono concentrazioni che potrebbe essere dell'ordine di 0,001 Bq/m3 in Francia e nei dipartimenti d'oltremare nell'emisfero settentrionale. Per un confronto, i valori misurati nei giorni seguenti l'incidente di Chernobyl furono superiori a 100 000 Bq/m3 entro pochi chilometri dall'impianto; erano dell'ordine da 100 a 1000 Bq/m3 nei paesi più colpiti dalla nube radioattiva (Ucraina, Bielorussia); in Francia, i valori misurati nella parte orientale furono dell'ordine da 1 a 10 Bq/m3 (1 maggio 1986). Oggi residua una bassa attività di cesio-137 nella aria, dell'ordine di 0,000001 Bq / m3.[107]

Un articolo di revisione del 2014 ha affermato che la quantità di ioni iodio emesse da Fukushima sono state pari a circa 120 peta-becquerel, ovvero un decimo quelle di Chernobyl[108]. Lo studio si era focalizzato esclusivamente sui potenziali effetti delle emissioni sulla tiroide, in particolar modo quelli cancerogeni, e su una popolazione di minorenni residente nei pressi del luogo, che si ipotizzavano esposti a 100 MilliSievert entro i primi giorni dal disastro, prima dei soccorsi. Restavano non valutate altre particelle emesse che possono dare luogo a interazioni con altri organi in misura maggiore del ruolo svolto dallo iodio per la tiroide[108].

Il 21 marzo, una agenzia giornalistica riportava che l'Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe dichiarato che "le radiazioni provocate dal disastrato impianto nucleare di Fukushima ed entrate nella catena alimentare sono più gravi di quanto finora si fosse pensato" e che l'effetto dell'incidente "è molto più grave di quanto chiunque avesse immaginato all'inizio, quando si pensava che si trattasse di un problema limitato a 20-30 chilometri".[109]

Radionuclidi eccedenti i limiti fissati dalla normativa nazionale sono stati rilevati nel latte prodotto nella prefettura di Fukushima e negli spinaci prodotti nelle prefetture di Fukushima, Ibaraki, Tochigi e Gunma.[110][111] Ma in un rapporto pubblicato nel 2014 (UNSCEAR 2013 Report), il comitato scientifico delle Nazioni Unite sugli effetti delle radiazioni atomiche, riporta che le dosi verso il pubblico generale, sia nel primo anno, che durante la loro vita, sono reputate generalmente da basse a molto basse.

Il 22 marzo, la TEPCO ha comunicato la presenza di iodio, cesio e cobalto nell'acqua di mare nei pressi del canale di scarico dei reattori 1, 2, 3 e 4.[112] In particolare, si sono rilevati livelli di iodio-131 ben 126,7 volte più alti del limite consentito, livelli di cesio-134 di 24,8 volte superiori, quelli del cesio-137 di 16,5 volte e quantitativi non trascurabili di cobalto-58.[113]

Nei giorni successivi i livelli di radioattività in mare hanno superato di oltre 4400 volte i limiti ammessi.[114] Tuttavia, per farsi un'idea dell'entità della contaminazione ambientale, la quantità totale di radioattività diffusa nell'atmosfera, è stata all'incirca di un decimo di quella rilasciata durante il disastro di Chernobyl.[115] Esemplificativo di questo dato quantitativo è il fatto che già il 25 giugno 2012 è ripresa la vendita di prodotti ittici (in particolare molluschi, specie nelle quali, a tale data, non sono state più riscontrate tracce di cesio e iodio radioattivi) catturati al largo delle regioni intorno alla centrale. Appena scese a loro volta al di sotto dei limiti di radioattività stabiliti dal governo anche le altre specie di pesce e di frutti di mare verranno messe via via in commercio[116].

La natura e pericolosità della contaminazione di Fukushima, tuttavia, non può propriamente essere comparata a quella del disastro di Chernobyl per due ragioni:

  • in primo luogo, la maggior parte della contaminazione è di natura sotterranea: per prevenire il surriscaldamento di noccioli e piscine di stoccaggio, è necessaria una continua immissione di acqua di raffreddamento che si disperde nel sottosuolo, attraverso le crepe aperte dal terremoto.
  • La seconda differenza critica rispetto a Chernobyl è che questo fu sigillato dentro ad un sarcofago in un limitato lasso di tempo, mentre a Fukushima questa soluzione è impraticabile; la contaminazione sta procedendo ininterrottamente fin dal primo giorno, e durerà ancora per un imprecisato numero di anni (secondo certe stime, se non avvengono crisi sistemiche nell'economia del Giappone, si parla di un periodo dai 10 ai 20 anni). È ancora incerto quale tipo di percorso possa seguire la massa d'acqua radioattiva attraverso le falde freatiche della regione: di certo in gran parte si riversa continuamente in mare, ed una parte si diffonde nell'entroterra. Della data del 22 agosto 2012 è la notizia che da misurazioni su pesce catturato nella regione, sono stati rilevati elevatissimi tassi di radioattività presenti nelle carni, tali da suggerire il blocco della distribuzione di pesce.[117]

L'intenso programma di opere in corso per dismettere l'impianto di Fukushima, secondo le stime del gestore dell'impianto durerà fra 30 e 40 anni.[118] Una barriera di terra ghiacciata è stata costruita nel tentativo di prevenire un'ulteriore contaminazione delle falde acquifere sotterranee,[119] diminuendo la quantità di acqua contaminata che viene raccolta. La TEPCO stima che la barriera stia riducendo i flussi d'acqua di circa 95 tonnellate al giorno rispetto al 2016.[120] L'acqua è stata trattata e tutti gli elementi radioattivi sono stati rimossi con successo, ad eccezione del trizio.[121] Nel luglio 2016 la TEPCO ha rivelato che il muro di ghiaccio non era riuscito a impedire alle acque sotterranee di fluire e mescolarsi con acqua altamente radioattiva all'interno degli edifici del reattore distrutto, aggiungendo che sono "tecnicamente incapaci di bloccare le acque sotterranee con il muro ghiacciato".[122]

Nel febbraio 2017, TEPCO ha rilasciato le immagini scattate all'interno del reattore 2 da una telecamera telecomandata che mostra che c'è un buco largo 2 metri.[123] nel reticolo metallico sotto il recipiente a pressione nel recipiente di contenimento primario del reattore,[124] che potrebbe essere stato causato dal materiale fissile che fuoriuscì dal recipiente a pressione, indicando che si era verificato un tracollo/fusione attraverso questo strato di contenimento. Livelli di radiazioni di circa 210 Sv all'ora sono stati successivamente rilevati all'interno del recipiente di contenimento dell'unità 2.[125] Questi valori sono nel contesto del combustibile esaurito non danneggiato che ha valori tipici di 270 Sv/h, dopo 10 anni di arresto a freddo, senza schermatura.[126]

Evacuazione della popolazione

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L'11 marzo, a seguito della mancata alimentazione dei sistemi di refrigerazione dell'impianto di Fukushima Dai-ichi, la TEPCO ha dichiarato lo stato di emergenza portando le autorità ad evacuare la popolazione residente entro i 3 km dall'impianto, cioè 1000 persone circa.[57]

Al 13 marzo, la TEPCO ha dichiarato di aver evacuato, in coordinamento con le autorità di governo, la popolazione residente entro un raggio di 20 km dalla Centrale Fukushima Dai-ichi e di 10 km dalla centrale di Fukushima Dai-ni.[127]

Il 15 marzo il premier giapponese Naoto Kan ha dichiarato che la zona di evacuazione attorno alla centrale di Fukushima è stata ampliata a un raggio di 30 km; tra i 20 e i 30 km l'abbandono delle case non è obbligatorio ma viene prescritto di non uscire di casa.[128]

In seguito il governo giapponese, dopo aver vietato l'accesso nel raggio di 20 km attorno alla centrale, ha ordinato l'evacuazione di altre cinque città, site fuori da tale area.[129] Nella cittadina di Tomioka è rimasto il contadino Naoto Matsumura, nel tentativo di alimentare gli animali domestici che sono stati abbandonati nel territorio. Dopo gli esami clinici dell'ottobre 2011 per misurare i livelli di contaminazione, il suo organismo è risultato contaminato per 2.5 millisieverts[130][131], quindi ben al di sotto del limite di rischio.

Città Popolazione evacuata[58]
Hirono-machi 5 387
Naraha-machi 7 851
Tomioka-machi 15 786
Ōkuma-machi (ipocentro) 11 186
Futaba-machi 6 936
Namie-machi 20 695
Tamura-machi 41 428
Minamisōma-shi 70 975
Kawauchi-mura 2 944
Kuzuo-mura 1 482
Totale 184 670

Gli Stati Uniti hanno consigliato ai loro cittadini presenti in Giappone di evacuare un'area di 80 km dalla centrale.

Dal mese di aprile 2012, in seguito alla verifica della riduzione dei livelli di radioattività al di sotto della soglia di sicurezza di 20 Millisievert all'anno in tre località (Kawauchi, Tamura e Haranomachi) site nelle aree evacuate, le autorità hanno deciso di dare il permesso alla popolazione locale di rientrare in dette città, di tornare liberamente alle loro case e ai loro luoghi di lavoro e di esercitare qualunque attività (compreso il bere l'acqua del rubinetto) con l'unica momentanea restrizione di non poter pernottare. Si prevede che entro il 2016 il livello di radioattività in tutte le zone evacuate scenderà al di sotto della soglia di sicurezza permettendo così anche per esse un analogo piano di rientro[132].

Con queste conseguenze, "estranei" del disastro di Fukushima Daiichi sono stati a sud da Iwaki (pop: 330.000) e nord da Sōma (pop: 37.500). Inoltre, Iwaki e Sōma sono entrambi posizionati a 45 km da Fukushima Dai-ichi.

Nel 2019 è stato evidenziato il problema dei kuiki-gai, persone che vivevano al di fuori dell'area di evacuazione indicata dal governo ma in aree in cui il livello di radiazione è superiore rispetto a quello indicato come sicuro. Per queste persone la scelta è vivere in aree pericolose, con i conseguenti rischi per la salute, o vivere in altre località, ma senza alcun sostegno pubblico perché a livello ufficiale la scelta di allontanarsi dalle loro abitazioni è indicata come una decisione personale e non dettata dalle circostanze.[133]

Rischi per la popolazione potrebbero essere implementati dai tifoni che spesso colpiscono la regione. Il 28 novembre 2013 il Laboratorio delle Scienze Climatiche e dell'Ambiente (LSCE) francese ha dichiarato che i tifoni potrebbero contribuire a distribuire ed allargare la zona di contaminazione delle sostanze radioattive di Fukushima[134].

Contaminazione della popolazione

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Le autorità giapponesi stanno studiando una eventuale contaminazione radioattiva sui 170.000 residenti evacuati dalle zone entro i 20 km dagli impianti di Fukushima Dai-ichi e Fukushima Dai-ni, al 16 marzo nove persone sono risultate contaminate dalle prime analisi. L'agenzia per la sicurezza nucleare ed industriale giapponese, parte del ministero dell'economia, commercio ed industria, ha affermato che delle circa 100 persone evacuate da Futaba, nove risultano esposte a contaminazione, le cui cause sono al momento in ricerca. Delle persone contaminate, una risulta esposta a 18.000 conteggi per minuto (cpm), una seconda fra 30.000 e 36.000 cpm, una terza circa 40.000 cpm. Su una quarta persona sono state inizialmente misurati oltre 100.000 cpm, ma dopo una seconda misurazione (avvenuta a seguito dell'essersi tolto le scarpe) ha riportato le misure poco oltre 40.000 cpm. Sulle altre cinque persone sono state riscontrati livelli di contaminazione molto bassi. Un secondo gruppo di 60 persone, che è stato evacuato dall'ospedale pubblico di Futaba tramite elicotteri, è stato testato per contaminazione; per questi non sono ancora disponibili (alle 16:30 ora locale) i risultati delle analisi ma si presuppone che siano stati contaminati durante l'attesa per essere trasportati via. Altri gruppi di persone evacuate sono state riscontrate negative ai test di contaminazione.[135]

Per prevenire possibili deleteri effetti dagli isotopi di iodio radioattivo, le autorità hanno predisposto la distribuzione di pillole allo ioduro di potassio per saturare la tiroide e prevenire gli effetti di quello radioattivo. Questo permette al corpo di non assimilare lo iodio-131 se si è venuti a contatto con esso.[135]

A due anni dal disastro, il 27 febbraio 2013 l'Organizzazione mondiale della Sanità ha pubblicato un rapporto sui rischi per la salute della popolazione rappresentati dalle conseguenze dell'incidente, che ridimensiona di molto le prospettive sin qui tracciate[136].

In un successivo rapporto pubblicato nel 2014 (UNSCEAR 2013 Report), il comitato scientifico delle Nazioni Unite sugli effetti delle radiazioni atomiche, a pagina 10, riporta che, non solo non è stata conclusivamente osservato alcuna morte o sindrome acuta da radiazione a causa dell'incidente, ma che le dosi verso il pubblico generale, sia nel primo anno, che durante la loro vita, sono generalmente da basse a molto basse. Non ci si aspetta alcun effetto rilevabile sulla salute per incidenza da questa radiazione, né tra i viventi, né tra i loro discendenti. Sono invece stati segnalati effetti psicologici, come depressione e tensioni a seguito del trauma per lo spavento di fronte alla gravità delle notizie. Per gli adulti nella Prefettura di Fukushima, il comitato stima una dose effettiva media nella vita restante pari o meno di 10 mSv. Per 12 lavoratori esaminati il livello di dose assorbita risultante fa indurre in un aumentato rischio di sviluppare cancro o altri disturbi alla tiroide. Degli altri 160 lavoratori, con dosi stimate entro i 100 mSv, ci si può attendere un aumento del rischio di cancro, ma si ritiene che tale aumento sia talmente modesto da non essere discernibile su base statistica. Dal giugno 2011 è in corso una campagna di rilevazioni sulla salute della popolazione locale di Fukushima, che continuerà per 30 anni. Questa campagna include l'esame di 360'000 bambini con strumentazione ad ultrasuoni ad alta efficienza, in grado di rilevare anche le più piccole anomalie. Grazie a questa maggiore sensibilità strumentale, si è osservata una crescita nella rilevazione di noduli, cisti e casi di cancro, che altrimenti non sarebbero stati registrati. Rilevamenti fatti con un simile protocollo in altre aree non toccate dall'incidente, hanno confermato che l'aumento di casi rilevato a Fukushima non è legato all'incidente.[137]

Contaminazione e vittime fra i lavoratori

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Il 3 aprile è stato confermato il ritrovamento dei corpi di due lavoratori che il giorno del terremoto stavano operando presso l'Unità 4 la cui morte non è dovuta agli effetti delle radiazioni ionizzanti.

La IAEA riporta la notizia che il 1º aprile un lavoratore che riparava un malfunzionamento al manicotto dell'acqua su una nave dell'esercito americano, è caduto in acqua; il lavoratore è stato immediatamente soccorso e non ha riportato né ferite né contaminazione esterna dalle prime rilevazioni effettuate; al fine di valutare l'eventuale contaminazione interna lo stesso è stato sottoposto a WBC il cui risultato ha escluso qualsiasi presenza di contaminazione interna.[138]

Conseguenze legali e politiche

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Il 5 luglio 2012, la commissione nazionale indipendente di inchiesta nucleare di Fukushima (NAIIC), nominata dalla dieta nazionale giapponese, ha presentato la sua relazione d'inchiesta alla Dieta giapponese.[139] La Commissione ha scoperto che il disastro nucleare era "artificiale", che le cause dirette dell'incidente erano tutte prevedibili prima dell'11 marzo 2011. Il rapporto ha inoltre rilevato che la centrale nucleare di Fukushima Daiichi non era in grado di resistere al terremoto e allo tsunami. La TEPCO, gli organismi di regolamentazione (NISA e NSC) e l'ente governativo che promuove l'industria dell'energia nucleare (METI), non sono riusciti a sviluppare correttamente i requisiti di sicurezza più basilari - come valutare la probabilità di danni, prepararsi a contenere i danni collaterali da tale disastro, e lo sviluppo di piani di evacuazione per il pubblico in caso di una grave emissione di radiazioni. Nel frattempo, il comitato di inchiesta nominato dal governo per l'incidente presso le centrali nucleari di Fukushima della Tokyo Electric Power Company ha presentato il suo rapporto finale al governo giapponese il 23 luglio 2012.[140] Uno studio separato dei ricercatori di Stanford ha scoperto che gli impianti giapponesi gestiti dalle più grandi società di servizi di pubblica utilità erano particolarmente non protetti contro il potenziale tsunami.[26]

La TEPCO ha ammesso per la prima volta il 12 ottobre 2012 di non aver adottato misure più forti per prevenire i disastri per timore di invitare cause legali o proteste contro le sue centrali nucleari. Non ci sono piani chiari per la disattivazione dell'impianto, ma la stima della gestione dell'impianto è di trenta o quaranta anni.[118]

Nel 2018 sono iniziati i tour per visitare l'area del disastro di Fukushima.[141]

Negli anni successivi al disastro il governo ha introdotto standard di sicurezza più stringenti che hanno portato alla chiusura di tutti i reattori nucleari nel 2011 e a derivare dal carbone la copertura del 70% del fabbisogno energetico nazionale. Una legge del maggio 2023 ha prolungato fino a 60 anni la vita utile degli impianti che abbiano implementato determinati aggiornamenti di sicurezza.[142]

Valutazione del danno economico

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Per la sola "bonifica" di Fukushima e ripristino dello status di "green field" il produttore di energia nucleare TEPCO stima che saranno necessari dai 30 ai 40 anni (partendo dal 2017). Il governo giapponese stima una spesa minima di 75,7 miliardi di dollari per la sola bonifica dell'impianto di Fukushima Dai-Ichi.[143][144]

La valutazione dei costi complessivi (bonifica + costi indiretti) varia enormemente, da 202,5 fino a 626 miliardi di dollari calcolati dal JCER.

Conseguenze internazionali

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L'incidente nella centrale di Fukushima ha avviato discussioni in vari Stati del mondo in merito all'opportunità di continuare o meno ad utilizzare l'energia nucleare (o a continuare i suoi programmi di sviluppo).

A tre mesi dall'evento, quattro Stati, al fine di verificare e/o rivedere le misure di sicurezza, avevano avviato brevi moratorie sui loro programmi nucleari, altri trenta li avevano invece mantenuti invariati mentre due paesi (la Germania e la Svizzera) avevano manifestato l'intenzione di cancellarli nel lungo periodo (rispettivamente nel 2022 e nel 2034)[145]. La Germania, in particolare, ha spento gli ultimi 3 reattori nucleari presenti sul territorio il 15 aprile 2023, dopo aver posticipato la data di 4 mesi a fronte della crisi energetica causata dal conflitto in Ucraina.[146]

A metà maggio 2011 il primo ministro giapponese, viste anche le continue notizie negative sul fronte della soluzione del disastro, ha deciso di abbandonare i piani per la costruzione di 14 nuovi reattori a fissione[147].

Il 14 giugno 2011, il ministro dell'industria giapponese, Banri Kaieda, commentando il risultato del referendum italiano del giorno precedente, ha ricordato che l'energia nucleare "continuerà a essere uno dei quattro importanti pilastri della politica energetica del Giappone, come ribadì Naoto Kan nell'ambito del G8"[148].

Al 5 maggio 2012 tutti i 54 reattori presenti nel Paese erano fermi[149][150], ma dopo nove giorni ne sono stati riattivati due[151].

Al 2014 sono attivi in Giappone 48 reattori nucleari e due nuovi reattori sono in costruzione[152]. È inoltre in programma la costruzione di 9 ulteriori reattori[153].

Nell'agosto 2022, il Giappone annuncia il ritorno al nucleare di nuova generazione, anche a causa dell'aumento del costo delle materie prime.[154]

Nei giorni immediatamente seguenti all'incidente di Fukushima, ha sospeso l'autorizzazione alla realizzazione di 26 nuovi impianti nucleari, per verificare i criteri di sicurezza previsti e ha deciso di effettuare una revisione straordinaria della sicurezza dei siti già esistenti e funzionanti[155]. Nelle settimane successive, fonti ufficiali hanno comunicato che le verifiche hanno dato esito positivo e che la Cina avrebbe continuato nella costruzione di centrali nucleari come fonte di energia elettrica a basse emissioni di CO2 e che il programma nucleare non sarebbe stato abbandonato per la paura dei rischi connessi[156].

Nel 2012 era previsto che la Cina approntasse altri 50 reattori nucleari oltre ai 27 già in costruzione[157]; queste cifre si aggiornarono nel piano di sviluppo energetico strategico cinese 2014-2020, nonché nel 13º piano quinquennale (2016-2021) che prevedeva di costruire tra i 6 e gli 8 reattori all'anno, al fine di arrivare a coprire entro il 2030 il 15% del fabbisogno energetico interno, in quegli anni ancora troppo dipendente dal carbone.[158]

Il presidente Nicolas Sarkozy ha dichiarato a marzo di non avere timori perché «le centrali francesi sono le più sicure al mondo».[159]

Nell'immediato, il Governo di Angela Merkel ha deciso di sospendere la decisione, presa l'anno precedente, di prolungare la vita di alcune centrali. Inoltre, i sette reattori più vecchi, costruiti prima degli anni ottanta, sono stati fermati e sottoposti a una moratoria di tre mesi[159].

Il 30 maggio 2011 l'esecutivo tedesco ha poi stabilito di uscire dall'elettro-generazione da fonte nucleare nel 2022[160] (decisione ratificata in seguito da una legge approvata dai due rami del Parlamento di Berlino), cominciando col fermare gli otto reattori più vecchi il 6 agosto 2011 e prevedendo di chiuderne altri sei entro la fine del 2011 (cosa poi non avvenuta) e i restanti tre entro il 2022[161].

L'obiettivo era di coprire questa quota di produzione sia tramite una ottimizzazione e riduzione dei consumi del 10% entro il 2020[162], sia aumentando la produzione da rinnovabili[147]. A metà giugno 2011, però, la cancelliera Angela Merkel, durante l'audizione al Bundestag per la presentazione del pacchetto energia, ha dichiarato che, per garantire la sicurezza energetica nel prossimo decennio, la Germania avrà bisogno di almeno 10 GW, e preferibilmente fino a 20 GW, di capacità incrementale (addizionale ai 10 GW già in costruzione o progettati e previsti di entrare in esercizio nel 2013) da impianti a combustibili fossili (a carbone e a gas naturale)[163].

Il 15 aprile 2023, la Germania spense quegli ultimi tre reattori che si era prefissata di chiudere a dicembre 2022. L'azione venne posticipata a seguito della crisi energetica dovuta al conflitto in Ucraina e alla conseguente esplosione e chiusura dei due gasdotti Nord Stream, evento che non permise l'arrivo di gas naturale in Germania e più in generale in Unione Europea. Nel parlamento tedesco in realtà si provò a discutere un ulteriore slittamento, usando come motivazione il cambiamento climatico; il governo guidato da Scholz tuttavia rispettò la decisione presa nel 2011.[146]

Dal punto di vista industriale, la Siemens è uscita dal settore nucleare l'anno stesso dell'incidente, sciogliendo la partnership con la francese AREVA (consorzio CARSIB) per la costruzione dei reattori EPR e rompendo l'alleanza con la russa Rosatom siglata nel marzo 2009[164][165].

Il governo ha annunciato che, nonostante un elevatissimo rischio sismico, non avrebbe modificato il suo programma nucleare.[159]

Inizialmente il ministro dell'ambiente, Stefania Prestigiacomo, aveva dichiarato che «la linea del Governo sul nucleare non cambia»[166]. Il 23 marzo però il Governo Berlusconi IV deliberava una moratoria di un anno sul programma nucleare italiano[167] e il 31 marzo 2011 abrogava le disposizioni di legge approvate nel biennio 2008-2010 con le quali era stato deliberato di ritornare a edificare impianti atomici sul proprio territorio[168] e sulle quali era pendente un referendum abrogativo tenutosi ugualmente il 12 e il 13 giugno 2011, che ha visto la popolazione esprimersi per la cancellazione delle norme che avrebbero consentito la produzione di energia elettrica nucleare sul territorio nazionale.

Stati Uniti d'America

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Nonostante le richieste di alcuni esponenti del suo stesso partito, il presidente Barack Obama ha negato che l'incidente giapponese rallenterà la ripresa nucleare americana, aggiungendo che le centrali americane sono sicure.[159]

Dopo l'incidente l'Ufficio federale dell'energia ha annunciato la sospensione del nuovo programma nucleare al fine di riesaminare e modificare gli standard di sicurezza.[169] Il 22 marzo 2011, il Parlamento cantonale di Argovia ha bocciato la richiesta del Partito Socialista Svizzero e del Partito Ecologista Svizzero di sottoporre alle camere federali un'iniziativa per l'uscita dal nucleare in concomitanza con gli eventi giapponesi.[170] Tuttavia, il 25 maggio 2011, il Consiglio federale svizzero ha proposto l'abbandono graduale della fonte nucleare attraverso il blocco della costruzione di nuovi reattori e la conferma del calendario di chiusura (tra il 2019 e il 2034) delle centrali attualmente attive.[171][172] La decisione finale in merito è stata presa il 6 dicembre 2011 dalla camera bassa del Parlamento svizzero.[173] che, tramite tre mozioni, ha chiesto che non venga autorizzata la costruzione di nuove centrali pur non vietando in alcun modo l'uso nel Paese della tecnologia nucleare. In caso di futuro cambiamento d'indirizzo non sarà dunque necessaria una modifica di legislazione ma solo un provvedimento amministrativo (sotto forma di una nuova mozione) per rimanere nel settore.

Unione europea

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Günther Oettinger, commissario all'energia della Commissione europea, ha dichiarato il 15 marzo 2011: «dobbiamo anche porci la domanda se, in Europa, in futuro, potremo soddisfare i nostri bisogni energetici senza il nucleare»[159].

Nel marzo 2016, un rapporto della Commissione europea descrive l'energia nucleare come inevitabile e raccomanda investimenti dell'ordine di miliardi di euro per assicurare in futuro una sicura fonte di energia. Si chiede alle aziende elettriche massicci investimenti per la costruzione di nuove centrali nucleari. Le somme richieste ammontano intorno dai €450 miliardi ai €500 miliardi. Questo rapporto è la prima rassegna sulla economia del nucleare in Europa dopo il marzo 2011. Sempre secondo le stime della Commissione europea, almeno €45 miliardi a €50 miliardi sono necessari per ammodernare gli impianti esistenti, che altrimenti dovrebbero essere tutti sostituiti entro il 2050. Si suggerisce che molti operatori potranno allungare la vita operativa degli impianti ben oltre quanto progettato in origine. Il rapporto ha sollevato critiche da parte del Partito Verde tedesco: Rebecca Harms, co-direttore del Gruppo Verde nel Parlamento europeo sostiene, appoggiandosi ad uno studio contrastante, che: "La Commissione europea sta sottovalutando i costi e dipingendo un futuro roseo della industria nucleare.". Questo secondo rapporto, argomenta che la Commissione europea sta sistematicamente sottostimando i costi di estensione della vita degli impianti nucleari, dello smaltimento delle scorie nucleari e della demolizione di alcune centrali. Nello stesso momento, prosegue questo secondo studio, la Commissione europea assume una elevata domanda di energia elettrica e così facendo arriva alla conclusione della necessità a continuare a mantenere in servizio vecchi e pericolosi reattori, oltre a costruire nuove centrali nucleari.[174][175]

Altre nazioni hanno annunciato che le vicende giapponesi saranno tenute in considerazione ai fini della sicurezza, ma che il programma nucleare non sarebbe cambiato.[159]

In molti paesi già dotati di impianti nucleari è stato deciso intanto di rivedere le misure di sicurezza: è il caso dell'India e di Taiwan.[159]

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