Brutalismo

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Voce principale: Architettura del Novecento.
Il Royal National Theatre di Londra, opera di Denys Lasdun (1976).

Il brutalismo è una corrente architettonica, nata negli anni cinquanta del Novecento in Inghilterra, vista come il superamento del Movimento Moderno in architettura. La corrente brutalista può essere inoltre ricondotta a diversi altri campi artistici, quali l'architettura d'interni[1][2][3] e il design industriale[4].

Il termine nacque nel 1954 nel Regno Unito (Brutalism) e deriva dal béton brut di Le Corbusier, che caratterizza l'"Unité d'Habitation" (1950) di Marsiglia, e in particolare da una frase presente nel suo Verso una architettura del 1923: «L'architecture, c'est, avec des matières brutes, établir des rapports émouvants»[5].

Il béton brut

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Il brutalismo impiega molto spesso la rudezza del cemento a vista (in francese béton brut), le cui forme plastiche, lavorate e plasmate nei particolari come nei pilotis o nei camini dell'"Unité d'Habitation", evidenziano con forza espressiva la struttura. I volumi delle membrature risultano accentuati, robusti, tali che l'unione fra l'aspetto estetico del progetto e il materiale grezzo strutturale utilizzato in tale corrente danno vita ad una rappresentazione visiva di "vigore" architettonico.

A queste forme di espressione architettonica, ritenute da molti innovative, si sono ispirati dapprima in Inghilterra Alison e Peter Smithson, James Frazer Stirling autore della facoltà di Storia dell'Università di Cambridge (1968). Negli Stati Uniti d'America Paul Rudolph (allievo di Walter Gropius ad Harvard), progetta nel 1963 la Scuola d'arte e d'architettura di Yale, New Haven, in Connecticut.

L'architetto argentino Clorindo Testa, di origini napoletane, è autore di due delle opere più significative del panorama brutalista internazionale; entrambe a Buenos Aires, la sede della Banca di Londra e la Biblioteca nazionale.

Non ci sono elementi concreti perché il Brutalismo sia influente sul metabolismo giapponese che muove da altri presupposti.[senza fonte]

Architettura brutalista in Italia

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Torre Velasca, Milano, di BBPR (1956-1958). Foto di Paolo Monti.
Istituto Marchiondi Spagliardi a Baggio, Milano, di Vittoriano Viganò. Foto di Paolo Monti.

In Italia diversi architetti hanno tratto dal brutalismo opere importanti come la Torre Velasca a Milano del Gruppo BBPR (1956-1958), che evidenzia fortemente le nervature della struttura, che salgono, modulano la forma architettonica, accentuandosi prospetticamente nei puntoni dello sbalzo. Quest'opera è tuttavia più precisamente ascrivibile alla corrente Neoliberty, che si proponeva di recuperare i valori della tradizione architettonica italiana dopo la stagione fortemente avanguardista del razionalismo. Reyner Banham, critico britannico vicino al movimento brutalista d'oltremanica, fu molto critico nei confronti dell'opera che giudicò come "la ritirata italiana dall'architettura moderna"[6].

Altre opere da citare sono l'Istituto Marchiondi a Milano di Vittoriano Viganò (1957), il cui plastico è esposto al MoMA di New York.

Altra importante struttura appartenente alla corrente brutalista è la "Casa Sperimentale" dell'architetto Giuseppe Perugini, progettata e realizzata alla fine degli anni sessanta nei pressi del litorale di Fregene in collaborazione con suo figlio Raynaldo Perugini e sua moglie Uga De Plaisant.

A Roma, nel 1969 Francesco Berarducci costruisce il villino brutalista in via Colli della Farnesina 144 (dove Elio Petri girerà alcune scene di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto). La struttura in cemento armato brutalista è l'elemento organizzante ed espressivo dominante, che contiene al suo interno l'irregolarità "casuale" delle tamponature e delle superfici vetrate informalmente distribuite.

Nella sede dell'Ordine dei Medici in via Giovanni Battista de Rossi a Roma di Piero Sartogo (con Fegiz e Gimigliano, 1967-1972), il brutalismo è evidente nell'uso del beton brut a vista e di tutte le materie grezze che Sartogo esibisce schiettamente ispirandosi a Le Corbusier.

Sempre a Roma ne è un esempio la sede dell'ambasciata britannica di Sir Basil Urwin Spence, in via XX Settembre[7].

Da citare anche alcuni progetti di Leonardo Ricci come l'auditorium di Riesi del 1963 e le abitazioni del quartiere Sorgane a Firenze del 1966 e i 246 edifici per 870 unità abitative del quartiere Matteotti a Terni di Giancarlo De Carlo (1971-1974).

Notevole la travolgente plasticità del cemento armato a faccia nella Chiesa dell'Autostrada del Sole (1964), nel santuario della Beata Vergine della Consolazione (1967) e nella struttura della Banca di Val d'Elsa di Giovanni Michelucci (1977), dove si leggono chiaramente i segni del linguaggio brutalista.

A Trieste, la sede del liceo scientifico Galileo Galilei (1969-71) e il complesso residenziale di case popolari nel quartiere di Rozzol Melara e noto come "il Quadrilatero" (1969-1982), entrambe opere degli architetti Celli Tognon, sono esempi rappresentativi dello stile brutalista. Vanno inoltre citati pure l'istituto d'arte Enrico Nordio e il Santuario mariano di Monte Grisa. Anche il Palacultura di Messina, progettato nel 1977 dall'ingegner A. D'Amore e dall'architetto F. Basile e completato nel 2009, è entrato di diritto a far parte degli esempi di questo stile architettonico in Italia.

A Torino l'hotel DUPARC Contemporary Suites, un tempo Residence Du Parc, è tra i più importanti edifici del modernismo torinese, dove l'architetto Laura Petrazzini ha unito l'espressività del brutalismo alla ricerca del razionalismo italiano. L'edificio ha ricevuto nel 2007 il premio "Architetture Rivelate" dall'Ordine degli Architetti di Torino, come uno dei più interessanti progetti del secondo dopoguerra.[8]

Design industriale

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L'estetica brutalista nel campo del disegno industriale si esprime attraverso l'essenzialità delle forme, linee squadrate, l'uso di colori patinati e l'espressività di materiali "industriali" quali cemento, metallo e legno grezzo.

Ferrari Modulo
Tesla Cybertruck

Il brutalismo, nel campo della progettazione dei veicoli, si compone di linee squadrate e taglienti, strutture nude e di una riprogettazione razionale degli spazi interni[4]. Dati i principi di base di questa corrente, le categorie di veicoli principalmente progettate furono supercar sportive e utilitarie. Esempi di automobili brutaliste sono[9][10]:

  1. ^ (EN) Benjamin Reynaert, Brutalism Is About to Be Everywhere in Interiors, in Architectural Digest, Condé Nast Publications, 28 giugno 2019. URL consultato il 3 novembre 2021.
  2. ^ (EN) Brutalist Interior Design Styles & Architecture, su LuxDeco. URL consultato il 3 novembre 2021.
  3. ^ Marco Valenti, Il ritorno del brutalismo: dall'architettura al gioiello passando per il design, in Elle Decor, 8 febbraio 2019. URL consultato il 3 novembre 2021.
  4. ^ a b (EN) Alessio Lana, Quando il brutalismo è protagonista nel car design, in Domus, 22 febbraio 2021. URL consultato il 3 novembre 2021.
  5. ^ Bruno Zevi, p. 407.
  6. ^ Ricordo di Rogers | op. cit., su opcit.it. URL consultato il 9 novembre 2018.
  7. ^ https://www.cosavederearoma.com/roma-brutalista/
  8. ^ Marina Fiorletta, La poetica del cemento: l’hotel brutalista a Torino, il DUPARC Contemporary Suites, su wingmeback.com, 31 gennaio 2022.
  9. ^ Linda Capeci, Brutalismo e car design, 10 interpreti d'autore., in L'Automobile, 3 novembre 2021. URL consultato il 3 novembre 2021 (archiviato dall'url originale il 21 settembre 2021).
  10. ^ Manfredi Falcetta, Il "brutalismo" dell'automotive: ecco da dove nasce il Tesla Cybertruck di Elon Musk, in 4Mania, 30 ottobre 2021. URL consultato il 3 novembre 2021.
  • Emili Anna Rita, Puro e semplice. L'architettura del Neo Brutalismo, Roma, Edizioni Kappa, 2008, ISBN 978-88-7890-888-8. pp.255
  • Emili Anna Rita, Brutalismo Paulista, L'Architettura brasiliana tra teoria e progetto, Manifesto libri, Roma 2020, ISBN 9788872859759 pp.355
  • Emili Anna Rita, Architettura estrema, Il neobrutalismo alla prova della contemporaneità, Quodlibet, Macerata 2011, ISBN 9788874623754, pp.123
  • Charles Jencks, Georges Baird e Giorgio Grossi, Il significato in architettura, Bari, Edizioni Dedalo, 1992, ISBN 978-88-220-0404-8.
  • Bruno Zevi, Storia dell'architettura moderna, Torino, Einaudi, 2004 [1975], ISBN 978-88-06-16903-9.
  • (EN) Reyner Banham, The New Brutalism, Londra, 1966 [1955], ISBN 978-0-85139-460-2. URL consultato il 20 marzo 2014.
  • (DE) Luigi Monzo, Plädoyer für herbe Schönheiten. Gastbeitrag im Rahmen der Ausstellung ‚SOS Brutalismus – Rettet die Betonmonster‘, in Pforzheimer Zeitung, 27 febbraio 2018, p. 6.
  • Silvia Groaz, New Brutalism. The Invention of a Style, EPFL Press, Lausanne, 2023, ISBN 978-2-88915-510-1

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Altri progetti

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