Chiesa di San Giovanni (Roccaranieri)

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Chiesa di San Giovanni
Facciata
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneLazio
LocalitàRoccaranieri (Longone Sabino)
Coordinate42°20′02.69″N 12°57′39.28″E / 42.33408°N 12.96091°E42.33408; 12.96091
Religionecattolica
TitolareSan Giovanni Battista
DiocesiDiocesi di Rieti
Inizio costruzioneX secolo
CompletamentoX secolo

La chiesa di San Giovanni Battista fuori le mura è una delle due chiese di Roccaranieri, frazione del comune di Longone Sabino, adibita prevalentemente al culto cimiteriale e alla sepoltura dei defunti[1].

La chiesa si trova nella valle sottostante il paese di Roccaranieri, detta Valle San Giovanni, lungo la SP30a che dalla Valle del Salto raggiunge il paese di Roccaranieri; oggi è cinta dalle mura del complesso cimiteriale. Anticamente si raggiungeva la Chiesa di San Giovanni da Roccaranieri tramite una via che, dalla porta del paese, attraversando 'i Raili e la strada di Fonte Calla (oggi via Rieti), giungeva sulle sponde del Fosso della Mola. Qui il Ponte di San Giovanni permetteva l'attraversamento del torrente per raggiungere la chiesa.

Di origine altomedievale, sorta su un precedente insediamento romano, la chiesa è a pianta rettangolare con abside nel fondo e quattro nicchioni nelle pareti laterali; la copertura è a capanna sostenuta da travature lignee. Restaurata nel 1516 sotto il governo degli abati commendatari della vicina abbazia di San Salvatore Maggiore, all'epoca appartenenti alla famiglia degli Orsini d'Aragona (1513-1542), l'edificio conserva al suo interno una maestosa decorazione dell'abside, opera di un ignoto maestro del XVI secolo[2], costituita da dipinti murali ad affresco raffiguranti scene tratte dai Vangeli: l'Annunciazione nell'arco che forma il prospetto absidale, l'Incoronazione della Vergine Maria nella conca absidale e tre scene della vita di San Giovanni Battista nella parete curva del tamburo absidale[3].

La chiesa, intitolata a San Giovanni Battista, santo patrono di Roccaranieri, la cui celebrazione liturgica ricorre il 24 giugno, è da secoli parte integrante della storia del territorio e dell'identità culturale degli abitanti del paese[4].

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Medioevo[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa di San Giovanni in Pretorio in Plage nel territorio reatino[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa di San Giovanni compare per la prima volta nelle fonti in un documento negli Archivi del Capitolo di Rieti del 948[5][6][7]. Il documento è un atto[8] ove un tale Aldo del fu Tachiprando[9][10] della città di Rieti (lat. Aldus quondam Takeprandi de Civitate Reatina) concede al vescovo di Rieti Anastasio alcuni suoi beni in territorio falagrinense (odierna Cittareale) e riceve da questi, a terza generazione, alcune terre in Plage[11][12] più precisamente:

(LA)

«Hoc est res ipsa in territorio Reatino locu qui nominatur Plage, ubi dicitur ad Sanctum Johannem in pretoriu.»

(IT)

«Questi beni sono nel territorio Reatino, in luogo chiamato Plage, dove è detto San Giovanni in Pretorio.»

Questo documento, insieme ad un altro documento dell'archivio reatino del 982[13], ove si legge:

(LA)

«...in territorio Reatino in locus ubi dicitur Plage ipsa plebe que est edificata in honore S. Iohannis Baptiste in logo ubi dicitur Pretoriu.»

(IT)

«...nel territorio Reatino, in luogo chiamato Plage, la stessa chiesa che è edificata in onore di S. Giovanni Battista nel luogo detto Pretorio

permette di affermare con sufficiente certezza che il luogo ove sorgeva la Chiesa di San Giovanni, fosse noto, nell'alto medioevo, come Pretorio nel territorio reatino, ovvero nel territorio del gastaldato di Rieti, originariamente facente parte della diocesi reatina, più precisamente nel luogo detto Plage[14][15] ovvero nella zona dell'interflumine Salto-Turano[16].

Menzione delle chiese di Roccaranieri (S.Johanes de Rocca Rayneri, S. Petrus) nel Documento Parigino del 1252 (Statuta synodalia Reatina - Biblioteca nazionale di Francia - Lat.1556, folio 25, verso)

Nonostante le evidenze documentali sopra riportate portino a datare la Chiesa di San Giovanni almeno al X secolo[17], secondo Lo Monaco i caratteri costruttivi e allegorici dell'edificio attuale, unitamente ad alcuni elementi della facciata, permettono di far risalire la fondazione della fabbrica al XII secolo[2] tuttavia il primo documento in cui sia menzionata una chiesa di "San Giovanni di Roccaranieri" (lat. S. Johannes de Rocca Rayneri) ovvero il primo documento in cui la chiesa di San Giovanni sia associata al toponimo Rocca Ranieri è, nel cosiddetto Codice Parigino[18][19], il Liber censuum ecclesiae Reatinae: ordinato nel 1252 dal vescovo di Rieti Thomas (1252-1265) è un elenco di chiese della diocesi reatina, tre le quali figurano quelle appartenenti, all'epoca, alla giurisdizione ecclesiastica dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore. Successivamente la chiesa venne annoverata in un altro elenco di chiese, di pertinenza della sede episcopale reatina, del 1398[20] e, più tardi, nelle visite pastorali degli incaricati per conto degli abati commendatari di San Salvator Maggiore e dei vescovi reatini.

Età moderna[modifica | modifica wikitesto]

Stemma Orsini d'Aragona
Arco Absidale - Stemma Orsini d'Aragona.

L'edificio venne restaurato nel 1516 da un tale Pietro Caprioli[21] come recita l'iscrizione sul portale:

(LA)

«INSTAURATA DEDIT DIVO PROLAPSA IOANNI CAPREOLI PETRUS TEMPLA: COEGIT AMOR»

(IT)

«PIETRO CAPRIOLI OFFRI' A SAN GIOVANNI, DOPO AVERLO RESTAURATO, IL TEMPIO CADUTO IN ROVINA: LA DEVOZIONE LO SPINSE»

È possibile che, in occasione del restauro, vennero eseguiti gli affreschi della parete absidale e dei nicchioni: nella parte sottostante dell'arco che forma il prospetto absidale è, infatti, presente un tondo, dipinto più tardi, che incornicia lo stemma degli Orsini di Aragona sormontato di cappello cardinalizio e risalente alla commenda di San Salvatore Maggiore degli abati Napoleone e Francesco Orsini di Aragona[22] iniziata nel 1513 e terminata nel 1542[23].

La chiesa venne quindi descritta nella visita pastorale del 1681[24] da Giovan Francesco dè Laurentis, incaricato dal cardinale Carlo Barberini, abate commendatario di San Salvatore Maggiore (1654-1703):

«L'edificio era di forma quadrata oblunga, con un altare staccato dal muro e sopra l'altare diverse immagini: quella della Vergine incoronata dal Salvatore, quella di San Giovanni mentre battezza il Salvatore, quella della attività ed, infine, quella della decollazione di San Giovanni. Il pavimento non era mattonato ed i cadaveri degli abitanti del paese venivano seppelliti davanti all'altare mentre quelli dei sacerdoti erano tumulati dietro all'altare.»

Età contemporanea[modifica | modifica wikitesto]

Chiesa di San Giovanni (anni '80).

Nel dopoguerra l'area cimiteriale della chiesa di San Giovanni venne adeguata alle leggi vigenti in materia di sepoltura tramite l'edificazione di loculi e la delimitazione, tramite mura, del cimitero.

Rovina e restauri[modifica | modifica wikitesto]

Nella seconda metà del ventesimo secolo la chiesa andò di nuovo incontro alla rovina, a causa dell'incuria e della mancata manutenzione della copertura. Il deteriorarsi di parte del tetto provocò il nascere di una fitta vegetazione di piante di rovo e di sambuco nella navata della chiesa e il deperimento delle pitture esposte agli agenti atmosferici.

Venne quindi eseguito, alla fine degli anni ottanta, un primo intervento di rifacimento della copertura. Seguirono ulteriori lavori di pavimentazione e di restauro delle pitture, pesantemente compromesse dall'umidità:

  • 2000 - Lavori di ristrutturazione dell'abside e revisione della copertura[2].
  • 2008-2009 - Restauro degli affreschi della zona absidale[25].
  • 2013 - Restauri eseguiti a cura della Fondazione Varrone dalla restauratrice Cecilia Guadagnolo di Roma[26].

La parrocchia ed il beneficio di San Giovanni[modifica | modifica wikitesto]

Fino al XVI secolo alla chiesa di San Giovanni corrispondeva una parrocchia: la parrocchia di San Giovanni. Fino al 1434 la titolarità delle parrocchie del territorio dell'abbazia di San Salvatore Maggiore veniva assegnate dall'abbate ordinario di San Salvatore a cui, all'epoca, era attribuito il potere temporale e spirituale. Al titolare della chiesa di San Giovanni Battista spettava il titolo di arciprete ed era associato alla chiesa il beneficio di San Giovanni di cui facevano parte le località, oggi scomparse, nel territorio di Roccaranieri di: Ville dè Rabelli (loc. fonte Rabelli), Ville dè Venis, Ville di Colle Imperatore. Apparteneva alla parrocchia di San Giovanni anche una cappella situata presso le mura del castello di Roccaranieri che non aveva né cimitero né fonte battesimale. I benefici di San Giovanni e quello di San Pietro, relativo alla chiesa di San Pietro Apostolo dentro le mura, l'altra chiesa di Roccaranieri, furono riuniti nel 1500 nelle mani di un unico parroco che mantenne il titolo di "Arciprete di San Giovanni Battista". I benefici vennero di nuovo divisi nel 1571 e infine riuniti nel 1591[27].

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

La facciata[modifica | modifica wikitesto]

La facciata a capanna è ricoperta da intonaco a calce ed è contraddistinta dal portale in marmo del XVI secolo, posto non in asse, sul cui architrave si trova un'iscrizione che permette di datare al 1516 il restauro della costruzione; superiormente è situata una finestra rettangolare con un'apertura centinata, oggi tamponata, mentre il frontone presenta una finestra cruciforme. Di particolare rilievo sono le tre mensole lapidee[28] sopra il portale, probabili sostegni per la travatura lignea di un portico antistante la facciata, oggi non più esistente. Sul prospetto è visibile una fascia realizzata con mattoni laterizi pieni, disposti a spina di pesce, elemento tipico di alcune fabbriche del periodo romanico.[2]

La struttura[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa è ad aula unica rettangolare, con abside pregevolmente affrescata e con quattro nicchie ricavate nello spessore murario delle pareti laterali, alcune delle quali affrescate. La copertura, con capriate lignee e con travi, travetti e pianelle è interrotta al centro da un diaframma murario con arco ogivato, poggiante su paraste con cornici marmoree; probabilmente fu posto a seguito della ristrutturazione per degrado in cui versava la fabbrica, effettuata nel 1516 come riportato sullo stipite del portale di ingresso. Le pareti laterali non presentano elementi di pregio e sono illuminate attraverso sei finestre centinate poste nel cleristorio.[2]

«Si tratta di un'aula a pianta rettangolare absidata, con tetto a capanna sorretto da travature, quattro nicchioni nelle pareti laterali e semplicissime finestre centinate: a metà dell'aula un arcone a tutto sesto, interrompe le travature posando su cornicette aggettanti, collocate alla sommità di due lesene. L'arco sovrastante l'abside, la conca e il tamburo di questa sono decorati di affreschi

Gli affreschi della chiesa di San Giovanni Battista a Roccaranieri[modifica | modifica wikitesto]

Risulta di immediato impatto per il visitatore il ciclo di affreschi nella zona absidale certamente realizzato nel XVI secolo, quando tutto l'edificio venne ristrutturato ma di cui non è accertata l'identità dell'autore: della stessa mano potrebbero essere gli affreschi presenti nei due nicchioni nella parte sinistra della navata. Il primo che scrisse degli affreschi, lo storico dell'arte reatino Cesare Verani, non arrivò a suggerire un nome per il pittore di Roccaranieri e studi più recenti attribuiscono gli affreschi ad un anonimo pittore cinquecentesco genericamente definito di area umbra[2][29].

«Lo stile delle pitture richiama i dipinti di Filippo Lippi e Giovanni Tamagni. Il tratto saliente dell'anonimo pittore umbro di Rocca Ranieri è il superamento di alcune rappresentazioni goticheggianti dello stesso Lippi, che distingue nettamente, e in maniera gerarchica, le due figure principali dell'incoronazione della Vergine, come nel Duomo di Spoleto. Al contrario il pittore di Rocca Ranieri sembra avvicinarsi alla iconografia medievale, ripresa anche nel tardo Rinascimento, nella quale il Cristo, o più raramente Dio Onnipotente, e Maria siedono l'uno accanto all'altro, sullo stesso trono e a livello o su livelli abbassati. Proprio il modo di dipingere i volti dei santi e della Vergine rimanda indubbiamente ai pittori dell'Italia Centrale del primo scorcio del XVI secolo.»

Nonostante i danni del tempo e dell'incuria, grazie ai recenti restauri, gli affreschi della chiesa di San Giovanni di Roccaranieri sono tuttora visibili e visitabili. È possibile, ancora oggi, apprezzare molti dei dettagli degli affreschi facendo tesoro dell'accurata descrizione che fece, in uno studio del 1959, lo storico dell'arte Cesare Verani[30]. Il Verani vide gli affreschi prima del degrado e ne annotò, con assoluta precisione, temi, soggetti, personaggi, figure e colori che oggi sfuggirebbero anche all'occhio dell'osservatore attento.

Il ciclo di affreschi nella zona absidale[modifica | modifica wikitesto]

Prospetto absidale: l'Annunciazione[modifica | modifica wikitesto]

Sull'arco absidale è rappresentata un'Annunciazione, come narrata nel Vangelo secondo Matteo (1,18-25) e nel Vangelo secondo Luca (1,26-38) con le due figure principali sui lati: l'Arcangelo Gabriele sulla sinistra e la Vergine sulla destra. Il tema dell'Annunciazione a Maria è strettamente legato al resto della decorazione in onore del dedicatario della chiesa, San Giovanni Battista, cugino di Cristo[31].

«Sull'arco che forma il prospetto absidale è raffigurata l'Annunciazione. A sinistra rispetto al dipinto (a destra di chi guarda) sta la Vergine Maria inginocchiata a mani giunte davanti a un leggio, contro lo sfondo di un'alcova, limitata da un colonnato, entro al quale si vede un letto, coperto da una coltre rossa e protetto da una cortina bianca. Il colonnato prosegue all'estrema destra dell'arco, spiccando sullo sfondo d'un cielo animato da strati di candidi cirri, e avanti ad esso s'inginocchia l'Arcangelo Gabriele, che reclina, in segno di saluto, il volto mite e devoto, tiene la mano destra posata sul petto e un giglio nella sinistra. La Vergine indossa un manto color azzurro pallido e una veste purpurea, l'Arcangelo porta un guarnello color verde oliva con maniche gialle e un manto arancio vivo foderato di giallo e di verde ed ha le grandi ali divise in fasce rosse, rance e lilla. Le chiome di entrambe le figure sono bionde e gl'incarnati di un rosa molto vivo singolarmente lumeggiati di bianco. Al centro dell'arco, tra due eleganti fregi di girali di foglie d'acanto argentee su fondo giallo oro, spicca un tondo che racchiude la figura solenne del Padre Eterno canuto e benedicente. Nel largo sottarco corre un motivo ornamentale a finti cassettoni bianchi modanati chiusi da cornici brune decorate di nastri color ocra avvolti a spirale attorno a bacchettine bianche e adorni, al centro, di rosoncini aurei. Al cassettone centrale è sovrapposto un tondo, dipinto più tardi, che incornicia uno scudo ovale inquartato di Orsini e di Aragona e timbrato di cappello prelatizio

Conca absidale: l'Incoronazione della Vergine[modifica | modifica wikitesto]

Sul catino absidale è affrescata l'incoronazione della Vergine tra otto angeli e i santi Giovanni Evangelista, Rocco e Sebastiano.

«Nella conca absidale è scenograficamente dipinta Incoronazione della Vergine Maria, alla quale assistono otto Angeli e i Santi Pietro e Paolo, San Sebastiano e San Giovanni Evangelista, San Rocco e Santo Stefano. In alto, entro un semicerchio di nubi rance, si libra la candida colomba dello Spirito Santo; immediatamente sotto, due paffuti e rosei Angioletti ignudi volano rasente a un nimbo ovale di nubi rance che incornicia un palpitante volo di Cherubini dalle teste bionde e dalle facce rosee cinte di quattro alucce color lilla. Nel fondo del nimbo esplode e fiammeggia una spettacolosa girandola pirotecnica di Serafini disposti in zone concentriche cangianti dal rosso fuoco al rancio vivo e da questo al rancio pallido, al giallo sulfureo e al giallo opalino e contro di essa sta seduto Iddio Padre, con manto color rosa corallo e tunica color lilla carico, nell'atto di imporre una corona d'oro a vette gigliate sulla testa china della Vergine Maria, in manto azzurro e veste color lilla acceso, la quale si raccoglie, con espressione umile e devota, stando genuflessa ed a mani giunte. Immediatamente ai lati del nimbo si tengono due coppie di Angeli con ali a fasce rance, rosee e lilla, rispettivamente vestiti di tuniche rosea cangiante in lilla e bianca su vesti color giallo ocra acceso e color rosa ciclamino quelli a destra, di tuniche gialla con maniche rosee e bianca velata con maniche color lilla su vesti color rosa carnicino e lilla quelli di sinistra. Sopra di essi volano due Angeli musicanti. L'uno suona il leuto e indossa una tunica gialla su veste rosea, l'altro percuote un tamburello a sonagli e i Santi Pietro e Paolo tengono in mano i rispettivi attributi e portano l'uno mantello giallo e tunica color lilla, l'altro mantello color rosa corallo chiaro e tunica pure color lilla; il San Sebastiano ha i fianchi dell'ignudo corpo trafitto di saette avvolti in un perizoma color lilla, il San Giovanni Evangelista, dolce e soave figura dal volto pateticamente mite incorniciato dalle fulve chiome inanellate, è vestito d'un manto giallo chiaro e d'una tunica color lilla e tiene, nella destra, un calice d'oro al quale accenna con la sinistra. Infine il San Rocco indossa un manto color rosso corallo vivo foderato di giallo con pellegrina color lilla, una tunica dello stesso colore, ma più pallido nell'intonazione, e i calzari di stoffa rossa e il Santo Stefano, che sul camice bianco avorio porta la dalmatica color rosso corallo vivo ornata di nappe e bordure d'oro, è riconoscibile dal sasso posato nel mezzo della testa tonsurata

Tamburo absidale: scene della vita di San Giovanni Battista[modifica | modifica wikitesto]

Sul tamburo absidale sono dipinte tre scene della vita di San Giovanni Battista:

«Sulla curva parete del sottostante tamburo absidale, si susseguono, assai malconce dall'umidità, dalla polvere e da fenditure che hanno danneggiato l'intonaco o addirittura inutile e quasi del tutto illeggibili tre Storie della vita di San Giovanni Battista, e cioè, da sinistra di chi guarda verso destra: la Nascita e l'imposizione del nome, il Battesimo di Cristo, il Convito di Erode e la danza di Salomè.»

La nascita e l'imposizione del nome[modifica | modifica wikitesto]

La prima scena a sinistra della parete del tamburo absidale è la nascita di San Giovanni dal vangelo di Luca (Lc 1,5–25; Lc 1,57-66). Sullo sfondo Santa Elisabetta, madre del Battista, cugina di Maria, riposa a letto dopo il parto. In primo piano San Zaccaria, padre di San Giovanni, il quale, non avendo creduto all'annuncio della nascita del Battista fatta dall'Arcangelo Gabriele, era stato reso muto, è dipinto all'atto della presentazione del neonato mentre scrive in terra il nome con cui vuole che il bambino venga battezzato.

«Nella prima storia l'artista ha rappresentato l'interno di una camera dal pavimento a scacchi di marmo giallo incorniciati da liste di marmo bianco, con una elegante porta ad alta trabeazione nel fondo, aperta sulla campagna verdeggiante, e un giallo caminetto a sinistra. Santa Elisabetta giace sul talamo, entro un'alcova adorna di tendaggi verdi, assistita da due giovani ancelle; in primo piano, al centro, una giovane aureolata, accompagnata da una fanciulla, colta in atteggiamento di devota contemplazione, presenta il neonato a San Zaccaria e questi, seduto, scrive il nome da imporre al figlio in presenza di un vegliardo genuflesso. Dinanzi al caminetto, una fantesca è intenta a fare asciugare al fuoco alcuni pannolini. Nei colori delle vesti di questi personaggi ricorrono i lilla, i rosa, i rossi, i verdi oliva, i verdi marini e, su tutti questi colori, spiccano, vivacemente, i gialli dell'abito della fantesca innanzi al caminetto e del mantello del vecchio.»

Il battesimo di Cristo[modifica | modifica wikitesto]

Nella seconda scena, al centro della parete absidale, è raffigurato il battesimo di Gesù nel Giordano operato da San Giovanni come descritto nel vangelo secondo Marco (1,9-11), nel vangelo secondo Matteo (3,13-17) e nel vangelo secondo Luca (3,21-22).

«Nella seconda storia, mutila in basso e sbiaditissima a sinistra, il Cristo ignudo, a mani giunte, ed il Battista, in tunica gialla sotto il manto d'un rosa acceso, dominano sullo sfondo di un paese di colline dai lunghi dorsi ondulati, sui quali si adagiano le case di una città, e d'un cielo azzurro pallido corso da sottili cirri, bianchi e gialli. A destra, sotto una quinta di rocce a dolmen di color ocra vivo, stanno, inginocchiati, due Angeli, che tengono sulle braccia, le vesti del Cristo. Gli altri due Angeli, a sinistra, sono invece quasi interamente cancellati dai guasti dell'intonaco

La decapitazione di San Giovanni (Il convito di Erode e la danza di Salomè)[modifica | modifica wikitesto]

La terza scena, alla sinistra del tamburo absidale, è quella più rovinata a causa dell'umidità[32]. Vi è raffigurata la decapitazione (o decollazione) di San Giovanni durante il banchetto di Erode a seguito della danza di Salomè così come raccontato nel vangelo di Marco (6,14-29) e nel vangelo di Matteo (14,3-12), ove il racconto è più dettagliato, mentre nel vangelo di Luca (9,7-9) se ne fa solo un accenno.

«La terza e ultima storia è quasi completamente illeggibile; vi si vedono: una fanciulla con le bionde trecce attorte intorno al capo, il manto color lilla e una tunica rossa a maniche bianche, un guerriero con l'elmo ed Erode, coronato e canuto. Le tre scene sono separate da un elegante partito architettonico dipinto di lesene di marmo giallo venato incorniciate di marmo rosa e ornate di bei capitelli corinzi dorati.»

Pilastro absidale sinistro: Santa Lucia[modifica | modifica wikitesto]

Sul pilastro sinistro che sorregge l'arco absidale, ad altezza d'uomo, è presente, apparentemente avulsa dal contesto, una figura dipinta di Santa Lucia.

«Sul pilastro sinistro posto a sostegno dell'abside, su uno sfondo a finta trabeazione e a finte cornici marmoree modanate è raffigurata una Santa Lucia la cui persona è, per metà, ancora nascosta sotto lo scialbo. L'aggraziata immagine indossa un manto purpureo su una tunica color lilla, tiene nella sinistra le palme del martirio e nella destra un piatto argenteo nel quale giacciono i due occhi che stanno a simboleggiare quelli che furono strappati alla giovinetta sicula.»

Gli affreschi nei nicchioni della parere sinistra della navata[modifica | modifica wikitesto]

Nella parte di sinistra della navata si aprono due nicchioni sulle cui calotte sono dipinti un Cristo benedicente e un Dio Padre benedicente tra due angeli.

«Oltre all'abside poi, anche i quattro nicchioni che si affondano nello spessore delle pareti della navata dovevano essere, un tempo, tutti istoriati di affreschi che forse è ancora possibile recuperare sotto il denso strato di intonaco e calce. Di questa decorazione pittorica avanzano, nelle calotte dei due nicchioni della parete sinistra, un Cristo benedicente e un Dio Padre benedicente tra due angioletti.»

Cristo benedicente[modifica | modifica wikitesto]

Sulla calotta del primo nicchione a sinistra la figura del Cristo benedicente è rappresentata frontale a mezza figura, con la destra benedicente e la sinistra che regge un libro aperto invece del più tradizionale globo.

«Il primo [ndr. Cristo benedicente], di tipologia arcaicizzante, sta di prospetto contro il fondo giallo di una mandorla gotica bordata di rosso; indossa un manto azzurro-verdognolo ed una tunica scarlatta aperta in corrispondenza della ferita del costato; ha la testa cinta d'un nimbo giallo ornato di una bruna croce patente e tiene, con la sinistra, un libro aperto sul quale si legge: "Ego svm (via, veritas et vita) Qvi seqvitur Me yHs".»

Dio Padre benedicente tra due angeli[modifica | modifica wikitesto]

Sulla calotta del secondo nicchione a sinistra è raffigurato Dio Padre benedicente tra due angeli secondo lo schema della scuola umbra.

«Il secondo [ndr. Dio Padre benedicente] emerge da cirri candidi stando di prospetto contro il fondo giallo di una mandorla gotica a bordi rossi e gialli adorni di testine di cherubini dalle alucce color fiamma. Indossa un manto bianco su una tunica color rosso rubino e sorregge, con la sinistra, l'argenteo globo del mondo chiuso entro due anelli d'oro che s'incrociano. A destra e a sinistra dell'immagine, emergono da nuvolette bianche, contro il fondo azzurro, due angioletti ignudi con le ali variopinte e le braccia conserte. Un fregio di foglie d'acanto sottolinea il limite inferiore della conca del nicchione e un elegante motivo a grottesche ne adorna il sottarco».»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Nella chiesa di San Giovanni si celebravano le messe dei defunti e la messa per le anime sante il 2 novembre, prima dell'alba, accompagnata dal canto del Dies Irae di Tommaso da Celano. Inoltre, in occasione della festività di San Giovanni, il 24 giugno, vi si celebrava una messa vespertina cantata la sera della vigilia quindi, a seguito della processione che portava la statua del santo dal paese, una messa solenne e al termine l'alzata delle reliquie ossia l'ostensione dei reliquiari dei vari santi.
  2. ^ a b c d e f Lo Monaco.
  3. ^ Fondazione Varrone.
  4. ^ Claudio Lo Monaco, Bruno Astorre e Maria Tiziana Marcelli, L'edificio di culto - Codice del territorio. Recuperare per valorizzare. Anagrafe Regionale di Chiese Cappelle e Santuari di proprietà pubblica nel Lazio., a cura di Benvenuto Salducco e Piero Tosti Croce, collana Quaderni "Risorsa", Roma, Gangemi Editore, 2016.
    «Dalla presentazione di Bruno Astorre, Presidente del Consiglio Regionale del Lazio: " Ogni territorio ha un'identità ben definita, formata da paesaggi naturali, insediamenti urbani, attività economiche e produttive. A questi tratti caratterizzanti se ne deve aggiungere un altro, ovvero i luoghi di culto. È nelle chiese, nei monasteri, nelle abbazie e nei conventi, infatti, che l'individuo ritrova il senso di appartenenza alla comunità locale e riscopre le radici della tradizione cristiana. Ogni edificio religioso, con i suoi dipinti, i suoi arredi, le sue forme architettoniche, racchiude una storia a sé, in cui i cittadini si riconoscono e ritrovano tracce comuni del proprio passato. Il Lazio conserva, comune per comune, provincia per provincia, un patrimonio religioso dal valore inestimabile. È per questo che la Giunta Regionale ha promosso e finanziato la realizzazione dell'Anagrafe degli edifici di culto di proprietà degli enti locali. Solo conoscendo, infatti, le caratteristiche dei luoghi, gli eventuali interventi di restauro e gli aspetti del territorio di cui le chiese sono parte integrante, è possibile non disperdere la cultura e la storia delle comunità regionali. La tutela di questi edifici è, comunque, un dovere da parte degli amministratori locali. La conoscenza, che un'anagrafe come questa fornisce, permette di intervenire al meglio per valorizzare il patrimonio religioso della nostra regione, e fornire così, a tutti i cittadini, la possibilità di apprezzarlo, ammirarlo e custodirlo, quale parte integrante, ed imprescindibile, della propria identità." »
  5. ^ ACR, IV L 2 (ACR, arm.IV, fasc.L, n.2)
  6. ^ Michele Michaeli, Memorie storiche di Rieti, Vol. II, 1898, p. 115.
  7. ^ Il documento in pergamena è stato pubblicato in fotografia con il n.48 a pag. 85 su “Gli Archivi unificati della Curia Vescovile di Rieti fonte di Storia” di Giovanni Maceroni e Anna Maria Tassi, Editrice Massimo Rinaldi, 1996.
  8. ^ Actum in civitate reatina, anno 948 pridie kal. Aug. Regnante Lothario, anno regni eius XIV
  9. ^ Il castello di Guardiola | Sganawa's Club / Archive, su www.sganawa.org. URL consultato il 2 aprile 2023.
    «...forse il [Tachiprando] comandante degli armati reatini che cacciarono i saraceni dalla Sabina nell’anno 918...»
  10. ^ Il Tachiprando menzionato nel documento ACR IV L 2 del 948 è con buona probabilità lo stesso dell'iscrizione rinvenuta nella chiesa di San Silvestro di Cittareale: cfr. Pietro Nelli, Roma Salaria Falacrine, Roma, Lulu.com, 2009, pp. 64-67.
    «L'iscrizione commemora la riconsacrazione dell'edificio sacro, ricostruito ad opera di Takebrandus (it. Tachiprando) il giorno 5 dicembre 924 dopo la vastationem saracinorum (it. la devastazione ad opera dei saraceni), al tempo del vescovo di Rieti Tofi e dal Re Rodolfo II di Borgogna (chiamato in Italia dai grandi feudatari italiani nel 921 ribellatisi a Berengario e nominato re d'Italia nel 923).
    (LA)

    «POST VASTATIONEM SARACINORVM EGO TAKEBRANDVS PECCATOR RENOVARE ET CONSECRARE ROGAVI CVM SINTARI ET PETRO PRBRI TEMPORIBVS DOMINO IOANHI PAPE ET TOFI EP[ISCOP]O CIVITATE REATINE ET RODVLFO REGI AB INCARNACIONEM DOMINI NOSTRI IHV XPI ANNO NVASENTESIMO VICESIMO QVARTO QVINTA DIE MS DECEBER PER INDICTIO TERTIODECIMO PETRVS EPS CONDIDIT LEO ARCHIPRBT REATINA»

    (IT)

    «Dopo la devastazione dei saraceni io Tachiprando peccatore chiesi di restaurare e di consacrare con Sintari e Pietro al tempo di papa Giovanni X e del vescovo di Rieti Tofi e di Rodolfo re per incarnazione di Dio nostro nell'anno novecentoventesimoquarto, quinto giorno di dicembre, indizione tredicesima. Pietro vescovo ricostruì [essendo] Leo arcipresbitero della Chiesa di Rieti»

    »
  11. ^ AA. VV., Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani., Milano, Garzanti, 1996, pp. 485-486, ISBN 88-11-30500-4.
    « Plagia, pl. Plage : La documentazione del toponimo si presenta in origine come Pladia (sec. IX, Massia 1925, 14), poi Plagia (a. 1182, BSSS XXXVII, 85, 80), Pleia (a. 1167, BSSS XXXVII, 41, 41). Possiamo ancora aggiungere Playa (a. 1041, BSSS XXVI, 323, 172), Plena (a. 1162, BSSS XXXVI, 28, 38), Pleya (a. 1212, BSSS XXVI, 2, 100). L’etimo è evidentemente la voce tardo-latina plagia (Cortelazzo-Zolli, s.v.), dal valore di ‘pendio dolce, costa’, adatto alla posizione dell’insediamento. Per la diffusione toponimica ricordiamo Piaggia, frazione di Briga Alta, in provincia di Cuneo. A. r.»
  12. ^ Charles du Fresne, sieur du Cange, Plagia, in Glossarium mediae et infimae latinitatis, V, Niort, Léopold Favre, 1837 [1678], p. 533.
  13. ^ ACR, IV K 4 (ACR, arm.IV, fasc.K, n.4). Il documento contiene il contratto di enfiteusi tra Giovanni, vescovo di Rieti, e i chierici Giovanni, Benedetto e Stefano relativo a terreni prossimi ai terreni del documento del 948 in particolare la chiesa di S.Giovanni Battista nel luogo detto Pretorio nelle Plage nel territorio reatino.
  14. ^ L'atto del 948 (ACR, IV L 2) prosegue:"C’è un casale con i suoi beni e le sue pertinenze ed è posto sulla via delle Plage che conduce al monastero di S. Salvatore e confina con il Rio Lungo (lat. Rigu Latu, letteralmente Rio Ampio ndr. Rio di Fonte Pasquale il torrente più lungo tra quelli dei territori dell'interflumine Salto-Turano), il fiume chiamato Salto, le terre e le selve del Monastero di S. Salvatore che io Aldo posseggo in prestito dallo stesso monastero."
  15. ^ Il toponimo Plage è citato nei documenti farfensi, per la prima volta, in un documento del 766. Da allora ricorre ripetutamente nei documenti farfensi e in un documento papale del 1157 ne vengono forniti i limiti che consentono di identificarlo con l'interflumine tra il Salto ed il Turano e di accertare che il Pretorium in territorio reatino fosse effettivamente, tra tutti i toponimi Pretorium presenti nella Sabina (vedi ad esempio Pretorium vicino ad Amiterno), quello nei cui pressi si trovava la Chiesa di San Giovanni di Roccaranieri.
  16. ^ ".... in un documento del 1157, riscoperto dal cardinale Ildelfonso Schuster, si registra che il conte Lamberto di Favenza (ndr. Faenza, dei Conti di Cunio) aveva fatto concordia con i monaci di Farfa a proposito del castello delle Plaie (è il Castello delle Plage che era toccato in feudo ai Conti di Cunio) che aveva i seguenti confini “da cima i castelli di Magnalardo e Cenciara, da un lato il fiume Velino, dall’altro la chiesa di S.Angelo nel borgo di Rieti e infine il fiume Turano” ." (Maglioni, pag.10)
  17. ^ La dedica dell'edificio a San Giovanni potrebbe datare all'epoca longobarda in particolare al regno di Teodolinda (589-616) durante il quale i longobardi si convertirono dall'arianesimo al cattolicesimo. È probabile che la prominenza della figura del Battista sugli altri santi della chiesa cattolica (San Giovanni era consanguineo del Cristo ed è, ancora oggi, l'unico santo della Chiesa cattolica di cui si celebri la nascita terrena e non quella in cielo e di cui Gesù stesso disse: “Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di luiDal Vangelo secondo Luca 7,24-30) abbia, in qualche modo, affascinato i longobardi e tanto da indurre la regina Teodolinda a scegliere il santo come protettore del proprio popolo e delle città sottomesse al suo governo. Fu così che durante il suo regno molte città come Firenze, Torino e Pavia scelsero il santo come loro patrono e molte chiese del territorio longobardo vennero dedicate a San Giovanni così come a San Michele e al Salvatore, altre figure verso le quali i longobardi nutrivano una particolare venerazione. La devozione delle genti longobarde verso San Giovanni era ancora viva nell'VIII secolo quando il monaco benedettino Paolo Diacono, di stirpe longobarda, autore dell'Historia Langobardorum, dedicò al santo l'inno Ut queant Laxis che secoli più tardi inspirò i nomi delle note musicali moderne: non è un caso che la nota SI provenga dalle iniziali delle due parole "Sancte Iohannes".
  18. ^ La prima menzione della Chiesa di San Giovanni di Rocca Ranieri è stata a lungo ritenuta anche la prima menzione del toponimo Rocca Ranieri (lat. Rocca Rayneri): si trova nel Liber censuum ecclesiae Reatinae all'interno del Codice Parigino (folio 25v, nell'angolo in basso a destra), un documento del 1252 che ci è pervenuto non nell’originale, ma in copia, eseguita in epoca posteriore e oggi conservato a Parigi nella Biblioteca nazionale di Francia al Département des manuscrits come Latin 1556 (B.N.Lat.1556). Nel codice si trovano gli Statuta Synodalia Reatina, documento riguardante l'insieme delle regole e comportamenti da osservarsi nel governo spirituale e temporale della Chiesa nella diocesi di Rieti (i titoli dei capitoli ne forniscono degli esempi: de immunitate ecclesiae, de poena sacerdotum qui conducunt ecclesias sine licentia episcopi, de bona mobilia et immobilia ecclesiae non alienatur, de tonsura clericorum, de sacramento confirmationis, si musca vel aracna vel aliquid cecident in calice, de revocatione beneficiorum, de forma absolvendi usurarios in confessione, de poena ponentium ignem, de procurantibus abortum, de mulieribus non manentibus cum viris). Al termine del testo delle disposizioni statutarie, al foglio 18, si trova il Liber censuum ecclesiae Reatinae disposto per volontà di Thomas (vescovo reatino dal 1252 al 1265): "Nos Thomas permissione divina reatinus episcopus volentes scire[...]omnes ecclesias[...]duximus adnotandas infra diocesem reatinam", iniziando con le parole: "hec est summa omnium ecclesiarum tam civitatis quam diocesis reatine et censualium et illarum que respondent et ecclesie reatine". Grazie a Roberto Tupone di Villerose di Borgorose che ne richiese una fotocopia, la Biblioteca nazionale di Francia, ha colto l'occasione per digitalizzare il documento ed inserirlo nella Biblioteca digitalizzata Gallica rendendolo consultabile gratuitamente insieme alla scheda sul manoscritto. Secondo la scheda presente in Gallica, il manoscritto B.N.Lat.1556 sarebbe stato precedentemente catalogato come Mazarin 1022 ovvero come facente parte della biblioteca personale del Cardinale Mazzarino: il manoscritto potrebbe essere giunto a Parigi al seguito di Gabriel Naudé, bibliotecario del cardinale Francesco dei conti Guidi di Bagno, vescovo di Rieti tra il 1635 e il 1639, il quale affidò al Naudé l’incarico di riordinare l’Archivio Capitolare di Rieti. Naudè fu quindi al seguito di Ranuccio Farnese, poi del Cardinale Rischelieu e quindi del suo successore nel ruolo di primo ministro del regno di Francia, il Cardinale Mazzarino per il quale formò una copiosa biblioteca passata poi al parlamento francese e quindi alla Biblioteca nazionale di Francia (cfr. Ileana Tozzi su Frontiera, 2019).
  19. ^ Attualmente si ritiene che la prima menzione del toponimo Rocca Ranieri (lat. Rocca Rayneri) sia quella contenuta in una lettera del 1239 di papa Gregorio IX all'abate di San Salvatore Maggiore conservata a Roma, in cui il pontefice invitava l'abate a fortificare alcuni castelli dell'abbazia, tra cui Roccaranieri, in vista del passaggio degli eserciti dell'imperatore Federico II (cfr. Maglioni e Leggio).
  20. ^ R.D.R. 1398 = Registro delle chiese che dipendono dal vescovo di Rieti nel 1398; originale perduto, copia contenuta nella visita pastorale del vescovo Marini, 1784.
  21. ^ Forse un abitante originario di Concerviano dove si trovano altri Caprioli nelle fonti notarili dell'epoca (Maglioni, pag.46).
  22. ^ Napoleone e Francesco Orsini erano figli di Gian Giordano Orsini (cfr. Gian Giordano Orsini, su condottieridiventura.it.): il primo, Napoleone, figlio in prime nozze con Maria Cecilia d'Aragona, figlia naturale del re di Napoli Ferdinando I, il secondo, Francesco, in seconde nozze con Felice della Rovere, figlia naturale di papa Giulio II della Rovere. Napoleone e Francesco Orsini ritenevano l’uso del cognome e delle armi della casa reale di Aragona in virtù del privilegio concesso dal re di Napoli Ferdinando I d'Aragona al loro nonno paterno, Gentile Virginio Orsini, ultimo signore di Tagliacozzo ed Albe appartenente alla famiglia Orsini, per i servizi resi durante la congiura dei baroni nel 1486 (cfr. Gentile Virginio Orsini su treccani.it e condottieridiventura.it).
  23. ^ L'esimio studioso (ndr. Cesare Verani), pur intuendo con precisione il periodo in cui venne dipinto questo cassettone, datandolo tra la prima e la seconda metà del 1500, non si spinse oltre. Ora, alla luce dei documenti raccolti, si può affermare che gli affreschi risalgono agli anni tra il 1519, data del restauro da parte di Pietro Caprioli, e il 1542, termine della commenda degli abbati Napoleone e Francesco Orsini di Aragona (Maglioni, pag. 52).
  24. ^ "Nella visita pastorale del 9 novembre 1681 il visitatore Giovan Francesco dè Laurentis, incaricato dal Rev.mo Cardinale Abate Commendatario di San Salvatore Maggiore Carlo Barberini, giunse a cavallo a Roccaranieri e fece una descrizione completa delle due chiese dopo averle visitate pima di ripartire per Cenciara" (Maglioni, Pag.46).
  25. ^ Lo Monaco.
  26. ^ Fondazione Varrone (a cura di), Gli affreschi della Chiesa di San Giovanni Battista in Roccaranieri, Rieti, Tipografia Fabri, 2013, Retro di copertina.
    «Consapevole dell'importanza di tali affreschi, la Fondazione Varrone, su proposta del proprio Presidente, Avv. Innocenzo de Sanctis, ha ritenuto di provvedere al restauro degli stessi, incaricando la Ditta Cecilia Gugliandolo s.r.l., di comprovata e notoria professionalità nel settore specifico.»
  27. ^ Maglioni, pag.45.
  28. ^ Una delle tre mensole lapidee, quella più a destra di chi guarda, è un frammento di reimpiego, probabilmente di epoca romana.
  29. ^ La storica dell'arte reatina Ileana Tozzi, a dispetto di altri studiosi, è convinta che il dipinto dell'Incoronazione della Vergine nel catino absidale della chiesa di San Giovanni di Roccaranieri sia opera, come per altri affreschi in altri centri della Sabina, aventi il medesimo tema, dei Fratelli Torresani:

    «La cuffia del catino absidale della chiesa di San Paolo a Poggio Mirteto si presta ad accogliere il tema dell'Incoronazione della Vergine, in cui si sublima l'essenza del mistero dell'incarnazione. La Vergine madre, figlia di suo Figlio, di dantesca memoria, è ben presente nelle corde espressive del giovane Lorenzo Torresani, che durante le tappe del suo viaggio da Verona all'Italia centrale ha conosciuto, ha osservato, ha studiato i grandi modelli dell'arte del rinascimento. Questo tema, con scarse varianti, diventerà uno dei cavalli di battaglia della bottega Torresani: lo ritroveremo declinato ad Ornaro, a Montorio Romano, dove la committenza degli Orsini si rivolgerà volentieri alla loro opera, a Roccaranieri nel territorio dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore, e ancora nelle pievi della piccola Diocesi di Cittaducale, recentemente istituita come un'autentica enclave circoscritta tra Stato e Regno nel territorio della Diocesi di Rieti»

    «[....] il 15 agosto è la festività dell'Assunta che celebro a modo mio con una carrellata di immagini dei fratelli Torresani, che della Dormitio Virginis e dell'assunzione in cielo seppero fare un autentico cavallo di battaglia. Nell'ordine, la cuffia dell'abside della chiesa di San Paolo a Poggio Mirteto, che non mi stancherò di promuovere come luogo del cuore FAI, il catino della chiesa di San Leonardo a Montorio Romano, il catino della chiesa di San Giovanni Battista a Roccaranieri ed infine il Transito eseguito per la chiesa di Santa Maria del Popolo a Santa Rufina.»

  30. ^ Roberto Messina (a cura di), Affreschi nelle Chiese della Provincia di Rieti, Lions Club Rieti, 2003.
  31. ^

    «Vedi anche Elisabetta, tua parente, nella vecchiaia ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile; nulla è impossibile a Dio.»

  32. ^ L'umidità causa del danno agli affreschi é presumibilmente dovuta al terreno a contatto con le mura all'esterno della chiesa, sul lato verso il monte, quello corrispondente alla parete destra della navata. Ivi, specie verso l'abside, infatti, il terreno all'esterno della chiesa raggiunge un livello ben al di sopra del pavimento della chiesa. La realizzazione, nella seconda metà del ventesimo secolo, della strada carreggiabile attigua alla chiesa ha accelerato i naturali fenomeni di assestamento del terreno che ha trovato nella parete della chiesa l'unico ostacolo nel suo movimento verso valle. La pavimentazione della strada contribuisce a far confluire verso la sottostante struttura parte delle precipitazioni che raccoglie. Un muro di contenimento a monte della chiesa potrebbe limitare, per il futuro, i danni arrecati alle pitture dall'umidità.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Cesare Verani, Gli affreschi della Chiesa di S. Giovanni Battista a Rocca Ranieri, in La Sabina, Gennaio - Aprile 1959, p. 5.
  • Paolo Maglioni, Storie Inedite di Castelli Antichi: Roccaranieri, Longone Sabino, Fassinoro, San Silvestro, Rieti, Arti Grafiche Nobili Sud, 1994.
  • Roberto Messina (a cura di), Affreschi nelle Chiese della Provincia di Rieti, Rieti, Lions Club Rieti, 2003.
  • Giovanni Rampazzi, San Giovanni Battista di Roccaranieri, Anno 982. Enfiteusi o Precarìe, in Fidelis Amatrix, n. 16, Roma, Associazione culturale Cola dell'Amatrice, Marzo/Aprile 2006.
  • Fondazione Varrone (a cura di), Gli affreschi della Chiesa di San Giovanni Battista in Roccaranieri, Rieti, Tipografia Fabri, 24 Giugno 2013.
  • Bruno Astorre, Maria Tiziana Marcelli e Benvenuto Salducco, L'edificio di culto - Codice del territorio. Recuperare per valorizzare. Anagrafe Regionale di Chiese Cappelle e Santuari di proprietà pubblica nel Lazio, a cura di Claudio Lo Monaco, Roma, Gangemi Editore, 2016, pp. 44-45.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Ministero della Cultura (a cura di), Catalogo generale dei Beni Culturali - Longone Sabino, su catalogo.beniculturali.it.