Vitamina D: differenze tra le versioni

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=== Vitamina D e cancro ===
=== Vitamina D e cancro ===
Gli integratori di vitamina D sono stati ampiamente commercializzati per le loro asserite proprietà antitumorali.<ref name=abc>{{cite journal | vauthors = Byers T | title = Anticancer vitamins du Jour--The ABCED's so far | journal = American Journal of Epidemiology | volume = 172 | issue = 1 | pages = 1–3 | date = July 2010 | pmid = 20562190 | pmc = 2892535 | doi = 10.1093/aje/kwq112 | type = Review }}</ref> In alcuni studi osservazionali è stata notata un associazione tra bassi livelli di vitamina D e il rischio di sviluppo di alcuni tumori.<ref>{{cite journal | vauthors = Feldman D, Krishnan AV, Swami S, Giovannucci E, Feldman BJ | title = The role of vitamin D in reducing cancer risk and progression | journal = Nature Reviews. Cancer | volume = 14 | issue = 5 | pages = 342–57 | date = May 2014 | pmid = 24705652 | doi = 10.1038/nrc3691 }}</ref> Tuttavia, non è chiaro se l'assunzione addizionale di vitamina D nella dieta o di supplementi incida sul rischio di cancro. Gli studi hanno descritto le prove come "incoerenti, inconcludenti per quanto riguarda la causalità e insufficienti per determinare in modo univoco le esigenze nutrizionali"<ref name="Ross_2011">{{cite book | vauthors = Ross AC, Taylor CL, Yaktine AL, Del Valle HB | title = Dietary Reference Intakes for Calcium and Vitamin D | publisher = National Academies Press | location = Washington, D.C | year = 2011 | isbn = 0-309-16394-3 | url =http://books.nap.edu/openbook.php?record_id=13050}}</ref> e "non sufficientemente solide per trarre conclusioni".<ref name="ReferenceA">{{cite journal | vauthors = Chung M, Lee J, Terasawa T, Lau J, Trikalinos TA | title = Vitamin D with or without calcium supplementation for prevention of cancer and fractures: an updated meta-analysis for the U.S. Preventive Services Task Force | journal = Annals of Internal Medicine | volume = 155 | issue = 12 | pages = 827–38 | date = December 2011 | pmid = 22184690 | doi = 10.7326/0003-4819-155-12-201112200-00005 }}</ref> Una revisione del 2014 ha rilevato che gli integratori non hanno avuto effetti significativi sul rischio di cancro.<ref name=Futil2014/> Un'altra revisione del 2014 ha concluso che la vitamina D3 può ridurre il rischio di morte per cancro (un decesso in meno rispetto a 150 persone trattate in 5 anni) ma sono state rilevate delle criticità riguardo alla qualità dei dati.<ref>{{cite journal | vauthors = Bjelakovic G, Gluud LL, Nikolova D, Whitfield K, Wetterslev J, Simonetti RG, Bjelakovic M, Gluud C | title = Vitamin D supplementation for prevention of mortality in adults | journal = The Cochrane Database of Systematic Reviews | volume = 1 | issue = 1 | pages = CD007470 | date = January 2014 | pmid = 24414552 | doi = 10.1002/14651858.cd007470.pub3 }}</ref> Esistono prove insufficienti per raccomandare integratori di vitamina D alle persone malate di tumore, sebbene alcune evidenze suggeriscano che bassi livelli di vitamina D possano essere associati ad un peggior esito per alcuni tumori,<ref name="Buttigliero">{{cite journal | vauthors = Buttigliero C, Monagheddu C, Petroni P, Saini A, Dogliotti L, Ciccone G, Berruti A | title = Prognostic role of vitamin d status and efficacy of vitamin D supplementation in cancer patients: a systematic review | journal = The Oncologist | volume = 16 | issue = 9 | pages = 1215–27 | year = 2011 | pmid = 21835895 | pmc = 3228169 | doi = 10.1634/theoncologist.2011-0098 }}</ref> e che livelli più elevati vitamina D al momento della diagnosi possono essere associati a risultati migliori.<ref>{{cite journal | vauthors = Li M, Chen P, Li J, Chu R, Xie D, Wang H | title = Review: the impacts of circulating 25-hydroxyvitamin D levels on cancer patient outcomes: a systematic review and meta-analysis | journal = The Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism | volume = 99 | issue = 7 | pages = 2327–36 | date = July 2014 | pmid = 24780061 | doi = 10.1210/jc.2013-4320 }}</ref>
Diversi studi hanno dimostrato che la vitamina D protegge contro il cancro attraverso i suoi effetti anti-proliferativi e regolazione dell'apoptosi, la morte cellulare programmata. L'8 giugno 2007 sulla rivista statunitense ''American Journal of Clinical Nutrition'' sono stati pubblicati i risultati di una ricerca condotta da Joan Lappe, professore di medicina nella Creighton University, secondo la quale l'assunzione di vitamina D (1100 [[Unità internazionale|UI]]/die) e calcio (1400–1500&nbsp;mg/die) da parte di donne in menopausa ha determinato una diminuzione statisticamente significativa del rischio d'insorgenza di carcinomi.<ref>{{cita pubblicazione | autore= Lappe JM, Travers-Gustafson D, Davies KM, Recker RR, Heaney RP|titolo= Vitamin D and calcium supplementation reduces cancer risk: results of a randomized trial.|rivista= Am J
Clin Nutr|volume= 87|numero= 3|anno= 2008|mese= marzo|pp= 794|pmid= 17556697|url= http://ajcn.nutrition.org/content/85/6/1586.long|lingua= inglese|accesso= 13 dicembre 2015}}</ref>

In modelli sperimentali è stata riscontrata una correlazione tra eccessiva produzione di vitamina D e invecchiamento precoce in topi [[organismo geneticamente modificato|geneticamente modificati]] che non [[espressione genica|esprimono]] il gene Klotho e quindi non producono la [[Klotho (biologia)|proteina omonima]]. In questi casi la vitamina D agirebbe promuovendo l'[[apoptosi]] cellulare.<ref>{{cita pubblicazione |autore= Medici D, Razzaque MS, Deluca S, Rector TL, Hou B, Kang K, Goetz R, Mohammadi M, Kuro-O M, Olsen BR, Lanske B|anno= 2008|mese=agosto|titolo= FGF-23-Klotho signaling stimulates proliferation and prevents vitamin D-induced apoptosis|rivista= J Cell Biol|volume= 182|numero= 3|pp= 459-65|id= PMC2500132|pmid= 18678710|url= http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2500132/|lingua= inglese|accesso= 30 dicembre 2013}}</ref> Secondo sviluppi recenti la vitamina D sarebbe protettiva anche delle proteine G di membrana che sono indispensabili per la comunicazione cellulare. Lo studio condotto dai ricercatori della Columbia University è stato denominato DINOMIT; senza la comunicazione, secondo i ricercatori, le cellule perdono la loro identità e regrediscono a livello di simil-staminali dando origine al tumore. Portando nella popolazione il livello di concentrazione plasmatica sopra i 40&nbsp;ng/ml si otterrebbe una riduzione di più di 107.000 casi di tumore ogni anno negli USA e in Canada<ref>{{Cita web|url = http://www.annalsofepidemiology.org/article/S1047-2797%252809%252900105-7/abstract|titolo = Vitamin D for Cancer Prevention: Global Perspective - Annals of Epidemiology|accesso = 12 dicembre 2015|sito = www.annalsofepidemiology.org}}</ref>.

Il 21 febbraio 2011 è stato pubblicato uno studio sulla rivista "Anticancer Research" nel quale i ricercatori hanno riferito che le dosi di vitamina D necessarie per raggiungere livelli ematici che possono prevenire o ridurre sensibilmente l'incidenza del cancro al seno e diversi altre importanti malattie sono nettamente maggiori di quelle che erano state inizialmente pensate: è emerso che è necessaria l'assunzione quotidiana di vitamina D da parte degli adulti nel range di 4.000-8.000 UI per ridurre di circa la metà il rischio di diverse malattie come il [[Neoplasie della mammella|cancro al seno]], cancro del colon<ref>{{Cita news|autore = Dana-Farber Cancer Institute|titolo = High vitamin D levels increase survival of patients with metastatic colorectal cancer|pubblicazione = ScienceDaily|data = 13 gennaio 2015|url = http://www.sciencedaily.com/releases/2015/01/150113111119.htm}}</ref>, [[sclerosi multipla]] e il [[Diabete mellito di tipo 1]].<ref>{{cita pubblicazione |autore= CEDRIC F. GARLAND, CHRISTINE B. FRENCH, LEO L. BAGGERLY, ROBERT P. HEANEY|anno= 2011|titolo= Vitamin D Supplement Doses and Serum 25-Hydroxyvitamin D in the Range Associated with Cancer Prevention|rivista= Anticancer Research|url= http://www.iiar-anticancer.org/openAR/journals/index.php/anticancer/article/view/215|lingua= inglese|accesso= 27 aprile 2014}}</ref>

Recenti studi hanno trovato una forte correlazione tra irraggiamento solare UVB e riduzione del rischio di cancro e aumento di sopravvivenza<ref>{{Cita pubblicazione|autore = Grant WB|titolo = Ecological studies of the UVB-vitamin D-cancer hypothesis.|rivista = Anticancer Research|url = http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22213311/}}</ref>: l'unico studio randomizzato con placebo che ha utilizzato dosi sufficienti di vitamina D (1100 IU/d) per produrre un effetto, ha trovato una riduzione del 77% nel tasso di incidenza di tutti i tipi di cancro<ref>{{Cita pubblicazione|autore = Lappe JM, Travers-Gustafson D, Davies KM, Recker RR, Heaney RP.|titolo = Vitamin D and calcium supplementation reduces cancer risk: results of a randomized trial.|rivista = American Journal of Clinical Nutrition|url = http://ajcn.nutrition.org/content/85/6/1586.long}}</ref>.

Una review sistematica pubblicata del 2014 ha trovato che più alti livelli di vitamina D nel sangue sono significativamente associati a una minore mortalità per il cancro al seno e al colon-retto.<ref>{{Cita pubblicazione|autore = Maalmi H, Ordóñez-Mena JM, Schöttker B, Brenner H|titolo = Serum 25-hydroxyvitamin D levels and survival in colorectal and breast cancer patients: systematic review and meta-analysis of prospective cohort studies.|rivista = Eur J Cancer|url = http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24582912}}</ref> Una recente meta-analisi condotta su 12 studi ha rilevato che alti livelli di vitamina D sono protettivi per il cancro al polmone<ref>{{Cita pubblicazione|autore = Zhang L, Wang S, Che X, Li X.|titolo = Vitamin d and lung cancer risk: a comprehensive review and meta-analysis.|rivista = Cell Physiol Biochem.|url = http://www.karger.com/Article/FullText/374072}}</ref> ([[Rischio relativo|Rischio Relativo]] = 0.84, [[p-value|P]]>0.001)

Nel 1990 il dottor Nobuto Yamamoto iniziò gli studi sulla ''proteina legante della vitamina D- attivatrice del fattore macrofago'' ([[GcMAF]]) e dei suoi effetti di attivazione e moltiplicazione del sistema immunitario nei mammiferi.<ref>{{Cita web|url=http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/0165247894902143|titolo=Roles of β-galactosidase of B lymphocytes and sialidase of T lymphocytes in inflammation-primed activation of macrophages - ScienceDirect|sito=www.sciencedirect.com|lingua=en|accesso=2017-04-04}}</ref>


=== Vitamina D e sclerosi multipla ===
=== Vitamina D e sclerosi multipla ===

Versione delle 13:42, 24 ott 2018

Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.
File:7-Deidrocolesterolo.jpg
Struttura del 7-deidrocolesterolo
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Struttura del colecalciferolo
File:Ergosterolo.jpg
Struttura dell'ergosterolo
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Struttura dell'ergocalciferolo
File:1,25-Diidrossicolecalciferolo.svg
Struttura dell'1,25-diidrossicolecalciferolo
Struttura del 25-idrossicolecalciferolo
File:Lumisterolo.jpg
Struttura del lumisterolo
File:Tachisterolo.jpg
Struttura del tachisterolo

Per vitamina D si intende un gruppo di pro-ormoni liposolubili costituito da 5 diverse vitamine: vitamina D1, D2, D3, D4 e D5. Le due più importanti forme nelle quali la vitamina D si può trovare sono la vitamina D2 (ergocalciferolo) e la vitamina D3 (colecalciferolo), entrambe le forme dall'attività biologica molto simile. Il colecalciferolo (D3), derivante dal colesterolo, è sintetizzato negli organismi animali, mentre l'ergocalciferolo (D2) è di provenienza vegetale.

La fonte principale di vitamina D per l'organismo umano è l'esposizione alla radiazione solare. La vitamina D ottenuta dall'esposizione solare o attraverso la dieta è presente in una forma biologicamente non attiva e deve subire due reazioni di idrossilazione per essere trasformata nella forma biologicamente attiva, il calcitriolo.

Storia

La storia della scoperta della vitamina D parte nel 1919 quando venne evidenziato, da Huldschinsky, che bambini affetti da rachitismo guarivano se esposti alla luce ultravioletta. Un risultato simile lo si ottenne nel 1922 da A.F. Hess e H.B. Gutman usando, però, la luce solare e nello stesso periodo venne ipotizzata da Mc Collum l'esistenza di un composto liposolubile essenziale per il metabolismo delle ossa, studiando l'azione antirachitica dell'olio di fegato di pesce dal quale riuscì ad identificare una componente attiva. Già nel 1919-1920 Sir Edward Mellanby era pervenuto ad un'ipotesi simile studiando cani cresciuti sempre al chiuso. Nel 1923 Goldblatt e Soames riuscirono a dimostrare che quando il 7-deidrocolesterolo, presente nella pelle, viene colpito dai raggi ultravioletti esso dà origine ad un composto avente la stessa attività biologica del composto lipofilo di Mc Collum. La struttura della vitamina D venne identificata nel 1930 da A. Windaus.

Chimica

Lo stesso argomento in dettaglio: Rachitismo § Cause.

Gli studi strutturali hanno permesso di identificare le due forme della vitamina D e che l'ergocalciferolo viene formato quando i raggi ultravioletti colpiscono la sua forma provitaminica di origine vegetale, l'ergosterolo, mentre il colecalciferolo si produce, come detto precedentemente, dall'irradiazione del 7-deidrocolesterolo.

L'assorbimento della vitamina D segue gli analoghi processi cui le altre vitamine liposolubili sono sottoposte. Essa, infatti, viene inglobata nelle micelle formate dall'incontro dei lipidi idrolizzati con la bile, entra nell'epitelio intestinale dove viene incorporato nei chilomicroni i quali entrano nella circolazione linfatica. In vari tessuti il colecalciferolo subisce una reazione di idrossilazione con formazione di 25-idrossicolecalciferolo [25(OH)D] il quale passa nella circolazione generale e si lega ad una proteina trasportatrice specifica (proteina legante la vitamina D, DBP). Arrivato nel rene, il 25 (OH)D può subire due diverse reazioni di idrossilazione, catalizzate da differenti idrossilasi (la 1α-idrossilasi e la 24-idrossilasi), che danno origine, rispettivamente, all'1,25-diidrossicolecalciferolo [1,25(OH)D] (calcitriolo), la componente attiva, ed al 24,25-diidrossicolecalciferolo [24,25(OH)D], una forma inattiva.

Oltre ad essere assorbita dagli alimenti, la vitamina D viene prodotta a livello della cute. Mediante questo meccanismo viene prodotta esclusivamente vitamina D3 (colecalciferolo) e non D2 (ergocalciferolo), di produzione esclusivamente vegetale ed assumibile dall'uomo, invece, solo per via alimentare. I raggi ultravioletti favoriscono la conversione del 7-deidrocolesterolo che può dare origine al colecalciferolo ma anche a due prodotti inattivi: il lumisterolo ed il tachisterolo. La quantità di D3 e D2 prodotti dipende dalle radiazioni ultraviolette (sono più efficaci quelle comprese tra 290 e 315 nm), dalla superficie cutanea esposta, dal suo spessore e pigmentazione e dalla durata della permanenza alla luce. Nei mesi estivi la sovrapproduzione di vitamina D ne consente l'accumulo, così che la si possa avere a disposizione anche durante il periodo invernale.

La vitamina D favorisce il riassorbimento di calcio a livello renale, l'assorbimento intestinale di fosforo e calcio ed i processi di mineralizzazione dell'osso ed anche di differenziazione di alcune linee cellulari e in alcune funzioni neuromuscolari (anche se questi due ultimi punti devono ancora essere chiariti). Il funzionamento dell'1,25(OH)D è alquanto anomalo per una vitamina in quanto agisce secondo le caratteristiche proprie degli ormoni steroidei: entra nella cellula e si va a legare ad un recettore nucleare che va a stimolare la produzione di varie proteine, specie trasportatori del calcio. La regolazione dei livelli di calcio e fosforo nell'organismo avviene insieme all'azione di due importanti ormoni: la calcitonina ed il paratormone. La calcitonina ha azioni opposte a quelle della vitamina D, favorendo l'eliminazione urinaria e la deposizione di calcio nelle ossa. Ciò si traduce in una diminuzione dei livelli plasmatici di calcio. Il paratormone, invece, inibisce il riassorbimento renale dei fosfati, aumenta quello del calcio e stimola il rene a produrre 1,25(OH) D. A livello dell'osso, esso promuove il rilascio di calcio.

La produzione di questi ormoni e di vitamina D è strettamente dipendente dalla concentrazione plasmatica di calcio: una condizione di ipocalcemia stimola la produzione di paratormone e di 1,25(OH)D. Un aumento del calcio plasmatico, invece, favorisce la sintesi di calcitonina. Il delicato equilibrio che si viene a creare determina una buona regolazione dei processi di mineralizzazione. Sembra, infine, che la vitamina D possa promuovere la differenziazione dei cheratinociti dell'epidermide e degli osteoclasti ossei e, forse, detiene anche un'azione antiproliferativa.

Forme

Queste sono le forme principali che costituiscono il gruppo vitaminico D:

  • vitamina D1 : composto costituito in parti 1:1 di ergocalciferolo e lumisterolo
  • vitamina D2 : ergocalciferolo
  • vitamina D3 : colecalciferolo
  • vitamina D4 : diidroergocalciferolo
  • vitamina D5 : sitocalciferolo

Fonti alimentari

Pochi alimenti contengono quantità apprezzabili di vitamina D. Un alimento particolarmente ricco è l'olio di fegato di merluzzo. Seguono, poi, i pesci grassi (come i salmoni e le aringhe), le uova, il fegato, le carni rosse (25-idrossicolecalciferolo) e le verdure verdi.

Livelli ematici di vitamina D

  • Concentrazione ideale : 30 - 60 ng/ml
  • Concentrazione insufficiente : 10 - 30 ng/ml
  • Carenza : <10 ng/ml

Carenza

Al contrario di quanto sostenuto dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) che ritiene molte prescrizioni di vitamina D non appropriate basandosi su studi clinici pubblicati su "The Lancet" e “Annals of Internal Medicine”[1], la Società italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS) sostiene che in Italia l'80% della popolazione sia carente[2]: l'insufficienza di vitamina D interesserebbe circa la metà dei giovani italiani nei mesi invernali. La condizione carenziale aumenterebbe con l'avanzare dell'età sino ad interessare la quasi totalità della popolazione anziana italiana che non assume supplementi di vitamina D.[3]

Uno studio italiano del 2003[4] mostrava che su 700 donne in età postmenopausale il 76% presentava livelli di vitamina D inferiori a 12 ng/ml. Ritenendo tale livello "assolutamente insufficiente", Falaschi et al. sostengono che "Queste evidenze confutano la credenza["confutano" o "contrastano con"?], diffusa anche tra i medici, che nel paese non sia necessario un supplemento di vitamina D per assicurare degli adeguati livelli ematici a tutte le età."[5] Un altro studio ha rilevato come i neonati italiani siano tra le fasce di popolazioni più carenti, con una prevalenza di oltre il 97%[6].

Le prime alterazioni, in caso di vitamina D sotto la norma, consistono in: diminuzione dei livelli sierici di calcio e fosforo con conseguente iperparatiroidismo secondario ed aumento della concentrazione di fosfatasi alcalina. Si hanno alterazione dei processi di mineralizzazione con rachitismo (nel bambino non esposto al sole) ed osteomalacia (nell'adulto non esposto al sole) e debolezza muscolare[7], deformazione ossea (in caso di malattia ossea) e dolori[8]. Alcuni studi del 2006 hanno portato alla luce come la carenza di vitamina D possa essere collegata con la sindrome influenzale: secondo il team di ricercatori il motivo potrebbe essere associato al fatto che questa vitamina stimola la produzione di antimicrobici nei polmoni. Altri studi del 2009[9] correlano la carenza della vitamina, soprattutto in fase neonatale, con il manifestarsi della sclerosi multipla.

Studi hanno rilevato valori particolarmente bassi di vitamina D nelle donne in gravidanza di basso livello socio-economico in Turchia (anche per l'uso di coprirsi col vestiario), in Cina in donne in gravidanza che vivono in ambienti con bassi livello di esposizione al sole, in Slovenia nelle donne in gravidanza nei mesi invernali (nei neonati i livelli sono stati rilevati superiori a quello delle madri)[10][11][12]. Studi recenti rivelano che più del 66% delle donne che aspetta un bambino è definibile come carente di vitamina D, ovvero il livello nel sangue di 25(OH)D è minore di 30 ng/ml, e questi risultati sarebbero indipendenti dalla stagionalità e dall'assunzione della supplementazione consigliata: questi dati hanno fatto ipotizzare che la quantità di vitamina D attualmente somministrata nell'assistenza prenatale sia inadeguata[13].

Recenti review analizzando i livelli sierici nella popolazione in vari stati del mondo hanno rilevato come, anche in paesi tipicamente soleggiati, siano necessarie politiche di integrazione per porre rimedio allo stato di grave carenza che si rivela essere molto diffuso[14][15].

Livelli di assunzione e tossicità

Il dosaggio della vitamina D nella forma 25(OH)D sierica rappresenta il metodo più accurato per stimare lo stato di replezione vitaminica D: in Italia un livello inferiore a 30 ng/ml è considerato insufficiente. Secondo l'Istituto di Medicina (IOM) sarebbero necessarie 600UI al giorno per far raggiungere al 97,5% della popolazione un valore di 20 ng/ml di 25OHD nel sangue[16], ma questi calcoli non si sono rivelati esatti,[17] e le dosi raccomandate sono considerate troppo basse[18][19] di circa 10 volte.[20] Holick sostiene che le attuali dosi raccomandate, essendo troppo basse rispetto alla produzione che avviene normalmente tramite l'esposizione solare (una persona di carnagione chiara in costume d'estate produce circa 10.000 UI in 20 minuti), siano potenzialmente dannose, perché espongono la popolazione a rischio per diverse malattie croniche.[21]

Le Linee Guida elaborate dalla Società Italiana dell'Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS), affermano che "In presenza di deficit severo vanno somministrate dosi cumulative di vitamina D variabili tra 300.000 ed 1.000.000 di UI, nell'arco di 1-4 settimane".[22]

Durante la gravidanza e l'allattamento le richieste di vitamina D aumentano per far fronte alla maturazione dello scheletro del feto e del neonato. Generalmente l'esposizione alla luce dovrebbe mantenere dei livelli adeguati, ma alle latitudini italiane da ottobre a marzo questo non è possibile e si possono verificare stati carenziali sia per la mamma che per il nascituro. La carenza di vitamina D è particolarmente frequente in Italia, specie negli anziani e nei mesi invernali[23], la carenza è tanto comune e di tale entità che l'86% delle donne italiane sopra i 70 anni presenta livelli ematici di 25(OH)D inferiori ai 10 ng/ml alla fine dell'inverno[24].

In caso di prolungata assunzione di vitamina, superiore a 10.000 UI/die, si possono verificare fenomeni di tossicità acuta o cronica con comparsa di nausea, diarrea, ipercalciuria, ipercalcemia, poliuria, calcificazione dei tessuti molli. Generalmente ciò può avvenire allorché i livelli circolanti di vitamina D superano i 100 ng/ml: per ripristinare una condizione di normalità è sufficiente sospendere o ridurre l'integrazione. In letteratura tutti i casi di tossicità pubblicati sono per dosi superiori a 40.000 UI giornaliere.[25]

Ultimamente sono state riviste al rialzo le dosi consigliate[26][27], previste per combattere il rachitismo all'inizio del secolo scorso. Uno studio pubblicato nel 2007 sulla rivista "American Journal of Clinical Nutrition" sostiene che "l'assenza di tossicità nei trials condotti in adulti sani che hanno preso dosi di vitamina D >= 250 µg/die (10.000 IU vitamina D3) supporta l'utilizzo sicuro di questo come limite superiore di assunzione giornaliero tollerabile (UL)".[28]

Visto che la vitamina D circola e viene attivata non solo a livello epatico e renale ma in tutti i tessuti del corpo, dove avviene l'attivazione autocrina, e che la sua l'emivita è di circa 24 ore[29], è importante che questa venga assunta (tramite esposizione solare, cibo o supplementi) ogni giorno.

Altre proprietà della vitamina D

Alcuni studi degli anni 2000[30] hanno suggerito che la vitamina D potrebbe avere un ruolo nella regolazione della risposta immunitaria di tipo innato contro gli agenti microbici. Da esperimenti in vitro si è evidenziato come l'1,25(OH)D possa stimolare la produzione di catelicidina umana (human cathelicidin antimicrobial peptide, CAMP), un peptide con azione antimicrobica, in differenti colture cellulari.

L'espressione genica della catelicidina sembra essere regolata da un promotore del gene CAMP contenente un elemento rispondente alla vitamina D (vitamin D response element, VDRE) cui si va a legare il recettore per la vitamina D. Secondo Wang e colleghi, l'1,25(OH)D è in grado di stimolare la produzione di altri peptidi antimicrobici: la defensina β di tipo 2 (defensin β2, defβ2) la lipocalina associata alla gelatinasi neutrofila (neutophil gelatinase-associated lipocalin, ngal).

Simili dati permettono di dare un sostegno, almeno iniziale, allo studio di Cannel e colleghi i quali, riprendendo un'ipotesi già sostenuta di Edgar Hoper-Simpson nel 1981, sostengono che i picchi invernali di sindrome influenzale potrebbero essere dovuti ad una carenza di vitamina D a seguito d'una minor esposizione alla luce solare, e recenti studi hanno confermato questa ipotesi, mostrando che un livello adeguato nel sangue di 25(OH)D riduce significativamente l'incidenza di infezioni respiratorie acute.[31] Una recente meta analisi ha rilevato una forte correlazione tra carenza di vitamina D e tiroiditi autoimmuni (Hashimoto e Graves)[32].

Vitamina D e cancro

Gli integratori di vitamina D sono stati ampiamente commercializzati per le loro asserite proprietà antitumorali.[33] In alcuni studi osservazionali è stata notata un associazione tra bassi livelli di vitamina D e il rischio di sviluppo di alcuni tumori.[34] Tuttavia, non è chiaro se l'assunzione addizionale di vitamina D nella dieta o di supplementi incida sul rischio di cancro. Gli studi hanno descritto le prove come "incoerenti, inconcludenti per quanto riguarda la causalità e insufficienti per determinare in modo univoco le esigenze nutrizionali"[35] e "non sufficientemente solide per trarre conclusioni".[36] Una revisione del 2014 ha rilevato che gli integratori non hanno avuto effetti significativi sul rischio di cancro.[37] Un'altra revisione del 2014 ha concluso che la vitamina D3 può ridurre il rischio di morte per cancro (un decesso in meno rispetto a 150 persone trattate in 5 anni) ma sono state rilevate delle criticità riguardo alla qualità dei dati.[38] Esistono prove insufficienti per raccomandare integratori di vitamina D alle persone malate di tumore, sebbene alcune evidenze suggeriscano che bassi livelli di vitamina D possano essere associati ad un peggior esito per alcuni tumori,[39] e che livelli più elevati vitamina D al momento della diagnosi possono essere associati a risultati migliori.[40]

Vitamina D e sclerosi multipla

Il primo studio sugli effetti del colecalciferolo su pazienti affetti da Sclerosi Multipla è ad opera di Goldberg, che nel 1986 ha somministrato 5000 UI di vitamina D3 al giorno, sotto forma di olio di fegato di merluzzo, per un periodo da uno a due anni, a giovani pazienti (assieme a calcio e magnesio). La risposta di ogni paziente è stata confrontata con la propria storia clinica: il numero di ricadute osservate durante lo studio era meno della metà del numero previsto.[41]

Nel 2011 uno studio dell'Università di Oxford ha scoperto una variante genetica rara del gene CYP27B1 che provocando livelli ridotti di vitamina D nel sangue sembra essere direttamente collegato alla presenza della malattia: in oltre 3.000 famiglie di genitori non affetti con un bambino malato di Sclerosi Multipla hanno trovato 35 genitori con una variazione genetica, e nel 100% di questi 35 casi il bambino con Sclerosi Multipla aveva ereditato la versione mutata del gene.[42] Recenti studi hanno dimostrato (tramite l'utilizzo della randomizzazione mendeliana) una relazione causale tra bassi livelli di vitamina D e l'insorgenza della Sclerosi Multipla.[43][44]

Recenti studi[45] hanno rivelato che la vitamina D nella sua forma D3, il colecalciferolo, una volta attivata nella forma 1,25(OH)2D3 agisce da immuno modulatore, inibendo il processo immunitario TH17 tipico delle malattie autoimmuni.[46] Recenti studi hanno rilevato una correlazione tra gravità della malattia (numero di ricadute, numero di nuove lesioni) e livello nel sangue di Vitamina D nella sclerosi multipla.[47] Molti studi sottolineano come la carenza di vitamina D sia correlata con un'alta incidenza della malattia[48]. Secondo altri studi la vitamina D sarebbe in grado di agire su specifiche regioni del DNA attraverso il suo recettore (VDR).[49]

Vari studi[50][51] hanno dimostrato di come la Vitamina D nella sua forma D3, il colecalciferolo agisca in maniera maggiore rispetto alla forma D2 (ergocalciferolo) sulla riparazione dei nervi danneggiati tramite la ricostruzione della guaina mielinica, portando a miglioramenti funzionali: sempre più si va rafforzando il concetto che questa sostanza sia uno "ormone neurosteroide", in grado di incidere sul declino cognitivo, e perfino sulla malattia di Alzheimer.[52] [53]

Nel 2014 i ricercatori, analizzando i dati dello studio Italo-Norvegese EnvIMS[54], hanno rilevato una significativa associazione tra ridotta attività estiva all'aperto (esposizione al sole) ed un aumentato rischio di sclerosi multipla sia in Norvegia che in Italia: l'associazione più significativa è stata trovata tra gli adolescenti norvegesi tra i 16 e 18 anni (OR=1.83), e, in Italia, tra i neonati, (OR=1.56). L'esposizione al sole, con la conseguente produzione di vitamina D, appare quindi avere effetto benefico nella prevenzione della malattia,[55] e una recente review condotta dall'American Society for Nutrition indica come i livelli di vitamina D circolante possano essere usati come un biomarker per la malattia; inoltre evidenzia come la supplementazione di vitamina D possa essere usata a scopi terapeutici.[56]

Vitamina D e depressione

Bassi livelli di vitamina D circolanti sembrano essere associati a fenomeni depressivi: in uno studio di revisione del 2013 pubblicato sul British Journal of Psychiatry ha analizzato più di 30.000 individui, trovando una correlazione consistente tra carenza di vitamina D e un più alto tasso di depressione, correlazione che comunque secondo lo studio andrebbe confermata con ulteriori ricerche.[57] In uno studio è stato misurata su trenta pazienti una correlazione tra l'aumento di vitamina D conseguente a somministrazione e il miglioramento dei sintomi depressivi, pur non specificando se i pazienti, che ammettevano di non esporsi a sufficienza alla luce del sole, abbiano contemporaneamente aumentato l'esposizione alla luce solare e la vita all'aria aperta che notoriamente giovano all'umore[58]. In un trial una dose di 300.000 UI intramuscolare è riuscita a migliorare lo stato di depressione in modo statisticamente significativo a distanza di tre mesi (non specificato nell'abstract il periodo dell'anno e quindi l'eventuale effetto positivo dell'aumento di esposizione a luce solare alla distanza dei tre mesi).[59]

Note

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Bibliografia

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