Giovan Francesco Caroto: differenze tra le versioni

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La fase intermedia dell'attività pittorica del C. va indubbiamente messa in relazione con il suo interesse per la pittura lombarda ed è collegabile con il soggiorno del pittore a Milano, riferitoci dal Vasari. Nell'ambiente cosmopolita di colui che divenne conte di Sesto Calende nel 1514, egli entrò probabilmente attorno a questa data in contatto con il Bramantino, con il Luini, con e con l'arte fiamminga. Mentre era a Milano, il C. fu "chiamato da Guglielino marchese di Monferrato" (Vasari, p. 283).
La fase intermedia dell'attività pittorica del C. va indubbiamente messa in relazione con il suo interesse per la pittura lombarda ed è collegabile con il soggiorno del pittore a Milano, riferitoci dal Vasari. Nell'ambiente cosmopolita di colui che divenne conte di Sesto Calende nel 1514, egli entrò probabilmente attorno a questa data in contatto con il Bramantino, con il Luini, con e con l'arte fiamminga. Mentre era a Milano, il C. fu "chiamato da Guglielino marchese di Monferrato" (Vasari, p. 283).


Un momento fondamentale per il proseguo della sua attività artistica avvenne nel 1511 quando il pittore veronese decise di spostarsi a alla corte di [[Anton Maria Visconti]] a [[Milano]] dove ebbe modo di conoscere e apprezzare l'arte dei [[leonardeschi|pittori leonardeschi]] (in particolare di [[Bernardino Luini]] e [[Cesare da Sesto]]) e dei [[pittura fiamminga|fiamminghi]], da sempre molto in voga nella capitale lombarda. Nei primi anni del 1500, [[Milano]] era, infatti, considerata un importatissimo centro culturale e artistico. Qui erano attivi artisti del calibro di [[Vincenzo Foppa]], [[Bergognone]], [[Butinone]] e [[Bramantino]]. Attratto, probabilmente, da una scena artistica così vivace, Caroto vi si stabilì.<ref>{{cita|Fiorio, 1971|p. 37}}.</ref> Dall'anno successivo la sua residenza risulta stabile a [[Casale Monferrato]] su invito di [[Guglielmo IX del Monferrato|Guglielmo IX]], suo mecenate, dove si fermerà per almeno 5 anni circa.<ref>{{cita|Fiorio, 1971|pp. 38-39}}.</ref>
Un momento fondamentale per il proseguo della sua attività artistica avvenne nel 1511 quando il pittore veronese decise di spostarsi a [[Milano]] dove ebbe modo di conoscere e apprezzare l'arte dei [[leonardeschi|pittori leonardeschi]] (in particolare di [[Bernardino Luini]] e [[Cesare da Sesto]]) e dei [[pittura fiamminga|fiamminghi]], da sempre molto in voga nella capitale lombarda. Nei primi anni del 1500, [[Milano]] era, infatti, considerata un importatissimo centro culturale e artistico. Qui erano attivi artisti del calibro di [[Vincenzo Foppa]], [[Bergognone]], [[Butinone]] e [[Bramantino]]. Attratto, probabilmente, da una scena artistica così vivace, Caroto vi si stabilì.<ref>{{cita|Fiorio, 1971|p. 37}}.</ref> Dall'anno successivo la sua residenza risulta stabile a [[Casale Monferrato]] su invito di [[Guglielmo IX del Monferrato|Guglielmo IX]], suo mecenate, dove si fermerà per almeno 5 anni circa.<ref>{{cita|Fiorio, 1971|pp. 38-39}}.</ref>


Poco ci è rimasto dei lavori di Caroto a Casale; sappiamo che dipinse la cappella ove era solito ad ascoltare la Messa, la chiesa e il castello di San Domenico, ma di tutto ciò non ne rimane traccia in quanto entrambi gli edifici furono più volte rimaneggiati nel tempo. Notevoli attenzioni dovette dedicare all'esecuzione dei ritratti delle dame di servizio della marchesa, oltre che a quello del primogenito della casata.<ref name="cita|Fiorio, 1971|p. 22">{{cita|Fiorio, 1971|p. 22}}.</ref> A proposito della sua abilità come ritrattista, Vasari racconta un aneddoto in cui vede Giovan Francesco gareggiare a Milano contro un pittore fiammingo in una contessa che alla fine lo vide perdere solo perché, racconta sempre lo storico aretino, il personaggio da egli scelto non era giovane e bello come quello dipinto dal suo avversario.<ref name="Castelvecchio393-395"/>
Poco ci è rimasto dei lavori di Caroto a Casale; sappiamo che dipinse la cappella ove era solito ad ascoltare la Messa, la chiesa e il castello di San Domenico, ma di tutto ciò non ne rimane traccia in quanto entrambi gli edifici furono più volte rimaneggiati nel tempo. Notevoli attenzioni dovette dedicare all'esecuzione dei ritratti delle dame di servizio della marchesa, oltre che a quello del primogenito della casata.<ref name="cita|Fiorio, 1971|p. 22">{{cita|Fiorio, 1971|p. 22}}.</ref> A proposito della sua abilità come ritrattista, Vasari racconta un aneddoto in cui vede Giovan Francesco gareggiare a Milano contro un pittore fiammingo in una contessa che alla fine lo vide perdere solo perché, racconta sempre lo storico aretino, il personaggio da egli scelto non era giovane e bello come quello dipinto dal suo avversario.<ref name="Castelvecchio393-395"/>

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Effige di Giovan Francesco Caroto conservata nella protomoteca della Biblioteca Civica di Verona

Giovan Francesco Caroto (Verona, 1480 circa – Verona, 1555) è stato un pittore italiano.

Giovan Francesco Caroto, pala d'altare raffigurante Sant'Orsola e le undicimila vergini, chiesa di San Giorgio in Braida a Verona

Allievo di Liberale da Verona, a seguito dei suoi viaggi a Mantova e, soprattutto, a Casale Monferrato, abbandonò progressivamente la tradizione della scuola veronese di pittura per abbracciare le diverse correnti artistiche che all'epoca si imponevano sulla scena, traendo ispirazione da pittori del calibro di Mantegna, Raffaello, Bernardino Luini e Bramantino. A sua volta, la sua arte influenzò molti pittori veronesi, come Francesco Morone e Francesco Torbido. Secondo Giorgio Vasari, Giovan Francesco è stato, insieme al più giovane Antonio Badile, uno dei maestri del pittore manierista, Paolo Veronese, attivo principalmente a Venezia.[N 1]

Le sue opere sono oggi conservate in tutto il mondo e in particolare al Museo di Castelvecchio di Verona. Proprio in questo museo è esposto il suo dipinto più celebre, Fanciullo con disegno, che rappresenta, per l'originalità del soggetto, quasi un unicum nel panorama artistico del suo secolo. Altre sue opere si trovano in alcune chiese della sua città natale, come a San Giorgio in Braida e a San Fermo Maggiore ma anche in altre città come Firenze, Modena, Budapest, Praga. Le sue spoglie riposano presso la chiesa di Santa Maria in Organo a Verona, accanto a quelle del fratello Giovanni, nella cappella di San Nicolò che, come racconta Vasari, "egli aveva delle sue pitture adornata".

Biografia

Infanzia e famiglia

Liberale da Verona, primo maestro di Giovan Francesco Caroto

Fratello maggiore di Giovanni Caroto, anch'egli pittore, si ritiene che la famiglia fosse originaria da Caravaggio ed era giunta a Verona già da diversi anni; con un’istanza inoltrata il 3 febbraio 1499 dallo zio del pittore, don Stefano di fu Berin Baschi da Caravaggio, cappellano di Santa Maria in Organo, si richiedeva al Consiglio di ottenere la cittadinanza veronese poiché già da molti anni viveva qui. Il padre, Pietro Baschi, abbandonò il cognome originario a favore di Caroto probabilmente per via della spezieria che possedeva in piazza delle Erbe e la cui insegna recava “Caro” o “Charo”.[1]

Non è facile risalire esattamente alla sua data di nascita, per via di imprecisioni negli estimi e nei documenti anagrafici. In un documento del 1508 viene chiamato "pittore egregio di fu Ser Pietro da Caravaggio che abita a Verona con la famiglia da ventisei anni e più...".[2] L’anno di nascita generalmente accettato, il 1480, è dunque frutto della media tra quelle che si sono ricavate dalle anagrafi in nostro possesso: 1478, 1479, 1482.[3]

Da quanto ci racconta Giorgio Vasari ne Le Vite, lasciati gli studi delle arti liberali, fu allievo in patria di Liberale da Verona[N 2] insieme ad Antonio da Vendri e Niccolò Giolfino. Presso Liberale ebbe la possibilità di apprendere il vibrante e intenso uso del colore e la luminosità sfumata, elementi stilistici che permarranno nei suoi lavori, nonostante tenderà a discostarsi dalla scuola veronese di pittura per lasciarsi contaminare dalle varie correnti artistiche con cui verrà in contatto nei suoi diversi viaggi per l’Italia del nord.[4]

Primi anni tra Verona e Mantova

Madonna cucitrice, Galleria Estense di Modena, la prima opera di Caroto attribuibile con certezza.

La prima opera attribuibile con certezza alla produzione di Giovan Francesco è Madonna cucitrice (firmata e datata "J Franciscus Charotus MCCCCCI"), conservata oggi alla Galleria Estense di Modena e datata 1501. L’opera trae, in particolare per la figura della vergine, una chiara ispirazione da Andrea Mantegna che, pare, abbia frequentato anch’egli la bottega di Liberale durante una sua permanenza a Verona durante la realizzazione della pala per la chiesa di Santa Maria in Organo. Il Caroto dovrebbe essere rimasto particolarmente colpito dal pittore padovano tanto da seguirlo più volte a Mantova dove era attivo, pur non facendo mai parte della su bottega, preferendo lavorare in proprio.[4] Qui ebbe modo di entrare in contatto anche con Lorenzo Costa il vecchio, non rimanendo insensibile neppure davanti alla visione di opere del giovanissimo Correggio.[5] Della Madonna cucitrice esiste anche una variante firmata ma non datata, esposta alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, ritenuta da parte della critica anch'essa del periodo giovanile ma molto più probabilmente venne dipinta diversi anni, dopo viste le contaminazioni del Lotto e del Previtali che qui si possono osservare.[6][7]

Nel 1502 è alle prese con la realizzazione di una tela, raffigurante i Santissimi Caterina, Sebastiano e Rocco, per l'altare maggiore della chiesa di Santa Caterina presso Ognissanti a Verona (chiesa non più esistente), lavoro oggi andato perduto.[8] Un estimo della contrada di Santa Maria in Organo dello stesso anno lo indica come pictor, facendo così presumere che fosse già in possesso di una propria bottega.[9] Da qui le tracce biografiche di Giovan Francesco si perdono fino al 1508. Da un atto notarile sappiamo che in quell’anno era già rimasto vedovo della moglie, figlia di Baldassarre Gandoni, morta nel mettere alla luce il figlio Bernardino.[10][9] Molto probabilmente, a seguito della perdita della moglie egli si recò a Milano (si stima intorno al 1507) al fine di apprendere lo stile dell’arte lombarda, ove si fermerà per un paio di anni per poi farvi spesso comunque ritorno nel corso della sua vita.[11]

Sempre nel 1508 sono documentati diversi suoi lavori: l'Adorazione del Bambino, oggi esposto al Museo di Castelvecchio di Verona, una Madonna, ora a Lipsia e l'affresco dell'Annunciazione per l'oratorio di San Gerolamo di Verona (oggi Museo archeologico al teatro romano); i tutti questi lavori è palese l’influenza degli stili appresi durante la sua permanenza a Milano.[12] Già da queste sue prime opere si nota quanto Caroto sia, e sempre di più lo sarà, disinteressato verso la pittura tradizionale della scuola veneta e veronese[13] preferendo ispirarsi ad altri modelli e artisti, quali il già citato Lorenzo Costa e Andrea Solari, dimostrando che la giovanile propensione verso lo stile del Mantegna fu solo l’inizio di una continua ricerca che si estenderà negli anni per quasi tutta la penisola italiana.[14]

Pietà della lacrima, Museo di Castelvecchio. Secondo lo storico Antonio Avena si notano gli influssi del maestro Liberale da Verona.[15]

Della prima attività del Caroto è forse possibile anche attribuirgli la pala d'altare dell'abside, L'Arcangelo Michele e i Santi Cosma e Damiano, della Chiesa di Santa Maria della Carità di Mantova, ma i pareri tra gli storici dell’arte sono assai contrastanti.[13]

Di certa attribuzione e ben più importante per la sua carriera è la già citata decorazione dell'estradosso dell'arco trionfale dell'oratorio di San Gerolamo, citato anche dal Vasari e firmata dal pittore veronese con l’iscrizione posta in bassa "A.D. M.D.V.III.I.F CAROTUS FA". Qui caroto raggiunge alti livelli stilistici, riuscendo a ricreare un’intimità spirituale tra i personaggi della scena sacra grazie ad una felice scelta di semplicità e sobrietà dell’intero impianto pittorico.[16] Probabilmente Caroto fu anche autore di altri affreschi del convento di San Gerolamo, purtroppo il pessimo stato in cui oggi si presentano rendono assai ardua qualsivoglia interpretazione e attribuzione.[17]

Intorno al 1510 Caroto dipinge la predella Morte, funerali e seppellimento della Vergine, in cui non si può far meno di notare una certa affinità con i temi del suo maestro, Liberale da Verona, e con la serie di tele Trionfi di Cesare del Mantegna.[18]

Le sue Storie dell’infanzia di Cristo, oggi conservate agli Uffizi di Firenze, dipinte su due facciate, furono probabilmente portelle dell'altare dei Magi nella chiesa di San Cosimo a Verona. All’intero Caroto dipinse, su di un lato, Due pastori adoranti e San Giuseppe, mentre nell’altro una Circoncisione. All’esterno una Strage degli Innocenti e Fuga in Egitto. A proposito di questo lavoro e delle influenze che la cutura emiliana ebbe si di esso, il Vasari ebbe a dire:

«Le prime opere che facesse, uscito che fu di sotto al Mantegna, furono in Verona nella chiesa dello spedale di S. Cosimo all’altare de’ tre Magi, cioè i portegli che chiuggono il detto altare, ne’ quali fece la Circoncisione di Cristo et il suo fuggire in Egitto, con altre figure»

Secondo lo storico dell’arte Dal Bravo, queste tavole possono essere datate intorno al 1507, o comunque ascrivibili ai primi lavori del pittore, ritenendosi propedeutiche per i suoi successivi lavori.[20] Secondo altri, come Fiorio, gli elementi decorativi presenti nella Strage di ispirazione bramantesca impongono una collocazione più tarda, probabilmente intorno al 1511, quando Caroto era già stato a Milano e dunque era venuto in contatto con gli ambienti correlati all’opera del Bramante. In pratica, Fiorio pone questo lavoro nel periodo immediatamente precedente a quando Giovan Francesco si stabilirà presso Guglielmo IX del Monferrato.[6]

Soggiorno a Casale Monferrato

Giovan Francesco Caroto, Annunciazione, collezione privata. Quest'opera, più tarda del primo soggiorno a Casale, ricorda molto lo stile lombardo e in particolar modo la composizione dell'omonimo quadro di Andrea Solari.

La fase intermedia dell'attività pittorica del C. va indubbiamente messa in relazione con il suo interesse per la pittura lombarda ed è collegabile con il soggiorno del pittore a Milano, riferitoci dal Vasari. Nell'ambiente cosmopolita di colui che divenne conte di Sesto Calende nel 1514, egli entrò probabilmente attorno a questa data in contatto con il Bramantino, con il Luini, con e con l'arte fiamminga. Mentre era a Milano, il C. fu "chiamato da Guglielino marchese di Monferrato" (Vasari, p. 283).

Un momento fondamentale per il proseguo della sua attività artistica avvenne nel 1511 quando il pittore veronese decise di spostarsi a Milano dove ebbe modo di conoscere e apprezzare l'arte dei pittori leonardeschi (in particolare di Bernardino Luini e Cesare da Sesto) e dei fiamminghi, da sempre molto in voga nella capitale lombarda. Nei primi anni del 1500, Milano era, infatti, considerata un importatissimo centro culturale e artistico. Qui erano attivi artisti del calibro di Vincenzo Foppa, Bergognone, Butinone e Bramantino. Attratto, probabilmente, da una scena artistica così vivace, Caroto vi si stabilì.[21] Dall'anno successivo la sua residenza risulta stabile a Casale Monferrato su invito di Guglielmo IX, suo mecenate, dove si fermerà per almeno 5 anni circa.[22]

Poco ci è rimasto dei lavori di Caroto a Casale; sappiamo che dipinse la cappella ove era solito ad ascoltare la Messa, la chiesa e il castello di San Domenico, ma di tutto ciò non ne rimane traccia in quanto entrambi gli edifici furono più volte rimaneggiati nel tempo. Notevoli attenzioni dovette dedicare all'esecuzione dei ritratti delle dame di servizio della marchesa, oltre che a quello del primogenito della casata.[23] A proposito della sua abilità come ritrattista, Vasari racconta un aneddoto in cui vede Giovan Francesco gareggiare a Milano contro un pittore fiammingo in una contessa che alla fine lo vide perdere solo perché, racconta sempre lo storico aretino, il personaggio da egli scelto non era giovane e bello come quello dipinto dal suo avversario.[24]

Del soggiorno a Casale è giunta fino a noi un tela raffigurante una Pietà, datata 1515 e oggi facente parte della collezione privata. Essa è considerata una delle opere più significative di questo periodo del Caroto. Nonostante la critica rilevi un decadimento qualitativo del dipinto rispetto a precedenti opere, in essa si colgono tutte le novità stilistiche in cui, il pittore venese, era venuto in contatto in quegli ultimi anni, con non pochi richiami alla pittura fiamminga e allo sfumato leonardesco.[25][26] Questi influssi si rivedranno più avanti in molte altre opere, tra cui il suo San Giovanni in Patmos, collocabile verso la fine del secondo decennio del XVI secolo, conservato alla Galleria nazionale di Praga.[27]

E' probabile ma non certo che, già nel 1518 a seguito della morte Guglielmo del Monferrato, Caroto faccia ritorno nella sua città natale. Tuttavia, grazie ad alcuni documenti rinvenuti dallo storico dell'arte Alessandro Baudi di Vesme, sappiamo che nel corso successivo della sua vita farà più volte ritorno a Casale, ove vantava la proprietà di alcuni terreni; certamente è documentata la sua presenza qui nel 1523.[23]

Rientro a Verona

Polittico della chiesa di San Giorgio in Braida, del Caroto sono il San Sebastiano, a sinistra, il San Rocco, a destra.[N 3]
Predella del polittico di cui sopra, opera del Caroto.

Una delle prime opere di Caroto che compie nella città natale dopo avervi fatto ritorno è un polittico per un altare laterale della chiesa di San Giorgio in Braida. Di questo polittico sono suoi il San Rocco, alla sinistra, il San Sebastiano, sulla destra, la lunetta con Trasfigurazione e la predella inferiore che comprende Orazione nell'orto, Deposizione e Resurrezione, mentre gli altri due dipinti sono attribuiti al Brusasorzi e a Angelo Recchia. I quest'opera, Giovan Francesco mette in luce quanto di meglio appreso durante i suoi soggiorni lombardi, passati a studiare gli stili leonardeschi, arrivando a realizzare una delle sue opere più artisticamente elevate.[28] Gli sfumati, ottenuti con diverse stesure di velature e colore, conferiscono una espressione malinconica ai due santi realizzando un "sottile intrico culturale" tra gli stili del Bramantino e del Costa.[29]

In questo periodo è, probabilmente, da collocarsi anche la sua tela raffigurante Santa Caterina d'Alessandria e dipinta per la chiesa di Madonna di Campagna (opera tarda del celebre architetto veronese Michele Sanmicheli) e oggi conservata presso il museo di Castelvecchio.[30] Anche quest'opera risente in modo particolare delle influenze della pittura lombarda, che continuerà ad imperversare nei lavori di Caroto a seguito dei suoi continui viaggi a Casale. Nello specifico lo stile si rifà a quello dei pittori seguaci di Raffaello, moltiplicatisi nel milanese dopo il ritorno del Luini da Roma. Inoltre la postura e l'atteggiamento di Santa Caterina ricorda la Santa Barbara del Boltraffio e la fisionomia dei dipinti di Leonardo da Vinci.[31]

Fanciullo con disegno, già Verona, Museo di Castelvecchio

La predisposizione di Caroto alla sperimentazione, al virtuosismo e all'astrazione formale raggiunge il suo apice in una fantasiosa rivisitazione di un'opera Puttino che gioca del Luini che il pittore veronese realizza nella tela Fanciullo con disegno, probabilmente la sua più celebre opera, oggi conservata al Museo di Castelvecchio. L'originalità del soggetto, un fanciullo raffigurato mentre si volge allo spettatore ridendo e mostrando un suo infantile disegno, rappresenta quasi un unicum in un'epoca in cui era assai raro rappresentare un bambino come figura autonoma. Inoltre, la modernità dell'idea insita nell'aver messo nelle sue mani un disegno contribuisce a rendere l'opera ancora più singolare.[24] Vi sono state diverse letture circa la sua possibile datazione ma oggi si tende a collocarla prossima alla realizzazione della Santa Caterina, per via di alcuni lineamenti del fanciullo che ricordano quelli della santa.[32] Circa il riconoscimento del soggetto raffigurato, la mancanza di una identificazione sessuale e di un chiaro riferimento all'appartenenza sociale, escludono che si tratti di un rampollo della nobiltà, facendo piuttosto pensare che sia da ricercare tra i conoscenti più stretti dell'artista o addirittura tra i suoi figli.[24]

Diversi documenti attestano la presenza, intorno al 1523, di Caroto nel Monferrato, probabilmente recatosi qui per alienare alcuni beni fondiari. E', probabilmente, a questo temporaneo soggiorno che si deve la realizzazione di un San Sebastiano per la chiesa di Santo Stefano.[12] In questo dipinto l'artista veronese, che si firma sulla corazza del santo gettata a terra, si dimostra particolarmente originale nel linguaggio, riprendendo tuttavia il tema del nudo già trattato nella Pietà; la sua maestria lo afferma decisamente tra i pittori rinascimentale, completo e capace di padroneggiare la tecnica del chiaroscuro.[33] Il dipinto trae una chiara ispirazione dai pittori lombardi ma sono stati notati anche delle relazioni con lo stile del Bramante e del Correggio.[6] Il ritorno a casale, e quindi il rinnovato contatto con gli artisti lombardi, ispira a Caroto un'ulteriore tela, a cui deve notevoli prestiti dai lavori di Giampietrino, raffigurante una Sofonisba beve il veleno (oggi a Castelvecchio), sebbene sia da notare che la protagonista sia stato talvolta identificata anche con Cleopatra o Artemisia invece che con la regina cartaginese riconosciuta invece dai più.[34]

Fatto ritorno a Verona, nel 1524 realizza un affresco, Dio Padre e le sette Virtù, per il palazzo Poratalupi commissionato da Giulio della Torre.[6] A partire da questi anni, lo stile del Caroto muterà nuovamente, orientandosi sempre di più verso quelli in voga a Roma e che si erano diffusi in Lombardia grazie alla circolazione delle stampe dei lavori di Raffaello e all'abbandono della città eterna da parte di molti artisti a seguito dello storico sacco che flagellò la città. Questo nuovo modo di concepire la pittura da parte di Giovan Francesco inizierà a vedersi nell'affresco realizzato nel 1524 per Giulio della Torre e arriverà alla sua massima espressione nella predella di San Bernardino, ora conservata a Bergamo. I continui viaggi di Giovan Francesco contribuirono anche ad importare a Verona queste contaminazioni stilistiche, andando ad influire su alcuni pittori locali come Francesco Morone e il Torbido.[35]

Nel 1527, Caroto, realizza le tavole Natività di Maria e Strage degli Innocenti che costituirono, secondo quanto riferisce Vasari, una predella per la chiesa di San Bernardino a Verona e oggi conservate all'Accademia Carrara. Secondo lo storico Dal Bravo, queste due opere sono riconducibili alle “composizioni di Benvenuto Tisi da Garofalo; allo stile lombardo prediletto si sovrappone un gusto orientato verso le composizioni raffaellesche note per le stampe o le mediazioni di artisti emiliani come Ludovico Mazzolino".[36][37]

Nuovi influssi da Mantova

San Giovanni in Patmos, 1528 circa, Praga, Narodni Galerie.

Per quanto riguarda la produzione artistica di Giovan Francesco nel terzo decennio del XVI secolo, la critica si è spesso dimostrata particolarmente ingenerosa, sollevando alcui dubbi riguardo un presunto eccesso di versatilità dovuta ai diversi stili che si fondevano insieme nei suoi lavori. Tuttavia, alcuni ritengono che queste critiche siano frutto anche di alcune attribuzioni non del tutto corrette di molte opere.[38] In ogni caso, in questo periodo ai suoi dipinti si aggiungono ulteriori elementi stilistici provenienti dagli influssi di Giulio Romano e del Parmigianino. Si ritiene che Caroto sia venuto a contatto con la pittura mantovana a seguito di numerosi viaggi che qui fece per incontrare Margherita Paleologa, figlia di Guglielmo del Monferrato e amica del pittore dai tempi del soggiorno a Casale, che aveva nel frattempo sposato il duca di Mantova Federico II Gonzaga.[39]

Il 1528 fu, probabilmente, per Giovan Francesco Caroto l'anno in cui godette di maggior ispirazione artistica. Di questo periodo fu la realizzazione di una delle sue opere più note, la pala Maria e i santi per la chiesa di San Fermo Maggiore, un lavoro che si guadagnerà le lodi di Giorgio Vasari e l'apprezzamento di tutti gli storiografi veronesi che lo indicheranno come il suo capolavoro per la ricchezza dei suoi contenuti stilistici in cui non manca il "consueto senso di arcaismo" tipico del pittore veronese.[40] Lo storico dell'arte Adolfo Venturi rileva che Caroto “attinge in quest’opera a un raffaellismo molto elevato” ricordando molto le soluzioni adottate dal maestro urbinate per la sua Madonna di Foligno, sebbene non arrivando a tali risultati di gestione dello spazio.[41] Nello stesso anno realizza una Annunciazione, a lungo conservata a presso Villa Costanza a San Pietro in Cariano (e oggi facente parte di una collezione privata, forse negli [[Stati Uniti] e inizialmente dedicata alla chiesa veronese di San Bartolomeo Apostolo.[6] Sempre del 1528 è il già citato San Giovanni in Patmos (conservato a Praga, Narodni Galerie) inizialmente pensato per far parte di una composizione più ampia, opera di alto livello a detta di molti critici.[42][6] Tra il 1530 e il 1531 firma due Sacra Famiglia, la prima conservata a Milano e la seconda al museo di Castelvecchio di Verona, entrambe attinenti allo stile manieristico con inequivocabili richiami ai modi di Giulio Romano.[6]

Vasari racconta che, all'inizio degli anni '30 del 1500 a Caroto venne offerto di decorare il coro del Duomo di Verona, una commissione di grande prestigio che tuttavia il pittore veronese rifiutò. Secondo il pittore e storico aretino, tale rifiuto si spiega nella voglia di Giovan Francesco di mantenere la propria indipendenza, essendo che gli affreschi sarebbero dovuti essere eseguiti su disegni di Giulio Romano. Non ci è dato sapere se questo racconto corrisponda alla verità, tuttavia il lavoro fu poi assegnato al Torbido che vi lavorò a partire dal 1534.[43]

Ultimo periodo

Madonna in trono e Santi, 1540 ca, Duomo di Trento

Secondo la critica moderna, sono attribuibili a Giovan Francesco Caroto sei paesaggi dipinti sulle spalliere dei banchi della tribuna della chiesa di Santa Maria in Organo risalenti anch'essi agli anni 1530.[N 4] Questi, in passato, furono attributi al Brusasorzi ma in seguito correttamente ascritti a Caroto in seguito ad una analisi effettuata da Antonio Avena, successivamente confermata dalla firma del pittore veronese ritrovata durante un restauro.[44]

Sempre di questi anni, la Resurrezione di Lazzaro, oggi conservata al Palazzo Arcivescovile di Verona e firmata con monogramma e datata 1531, è un'interessante opera in cui Caroto offre una splendida vista della città Natale, posta sullo sfondo, in cui è chiaramente riconoscibile il ponte di Castelvecchio illuminato dal tramonto.[45] Il ricorso ad un fondale così ricco e raffigurante paesaggi reali locali, riavvicina Giovan Francesco alla scuola veronese di pittura e allo stile del fratello più aderente alla tradizione veronese.[46]

Alcuni affreschi del ciclo Storie del Vecchio Testamento per il lato settentrionale della navata centrale della chiesa di Santa Maria in Organo. Dall'alto in basso: Davide e Golia, Mosè riceve le tavole, passaggio del Mar Rosso. In fondo i tondi San Michele Arcangelo, Monaco Olivetano, San Giovanni Evangelista

Il terzo decennio del cinquecento fu, per Caroto, un periodo di grande impegno che si tradusse in opere di pregio che coniugano "gli influssi della cultura romana con nuovi accenti personali".[47] Uno degli esempi più esplicativi di questo periodo, nonostante vi siano stati in passato alcuni dubbi sulla corretta attribuzione, è un ciclo di affreschi dipinto sulla parete settentrionale della navata centrale della chiesa di Santa Maria in Organo, antistanti a quelli dipinti dal Giolfino. Questo ciclo comprende quattro scene bibliche, Storie del Vecchio Testamento, separate da finti pilastri con architrave e raffiguranti nello specifico il Passaggio del Mar Rosso, la Consegna delle tavole a Mosè, un David e Golia e Elia rapita in cielo. Queste scene sono, poi, completate da quattro tondi raffiguranti due Olivetani, San Michele Arcangelo e San Govanni Evangelista.[48] Questi affreschi rappresentano una prova di vivace qualità del pittore veronese in cui attinge a piene mani dallo stile e dai modelli di Giulio Romano.[49]

Riguardo alla raffigurazione dei due olivetani negli affreschi di Santa Maria in Organo c'è da dire che, sia Giovan Francesco che il fratello Giovanni, eseguirono almeno altri tre ritratti di monaci benedettini durante la loro vita. Ciò fa supporre che i due Caroto vantassero solidi contatti, seppur non documentati, con il clero regolare che a quel tempo risiedeva nel monastero dei Santi Nazaro e Celso a Verona. Tra queste opere, di Giovan Francesco è conservata al museo di Castelvecchio una tela, Giovane monaco benedettino, che, viste le assomiglianze con la sua Sofonisba, viene generalmente attribuita ad una produzione relativamente giovanile del pittore, seppur con alcune riserve.[50]

Alcuni critici tendono ad attribuire a Giovan Francesco anche un ciclo di affreschi, Storie dell'Apocalisse, per Villa Del Bene a Volargne (comune di Dolcè), realizzati in collaborazione con il fratello e al giovane Domenico Brusasorzi. Tuttavia, la non eccelsa qualità dell'opera inducono alcuni dubbi su questa attribuzione. E' probabile che il contributo di Giovan Francesco sia alquanto marginale e che la datazione sia attribuibile agli ultimi anni di vita del pittore quando la sua produzione si era oramai fatta qualitativamente più debole.[51][52]

Le sue ultime opere di valore, le pale d'altare Sposalizio di Santa Caterina (1540 per la chiesa di Santa Caterina Martire a Bionde di Salizzole), Sant'Orsola e le undicimila vergini (1545 per la chiesa di San Giorgio in Braida[29]) e San Martino e il Povero (per la chiesa di Santa Anastasia), appaiono ormai fredde e superficiali e sanciscono la fine della produzione pittorica del Caroto. A tal proposito, Vasari ebbe a dire: "fatto vecchio cominciò a ire perdendo nelle cose dell'arte".[53]

Il 29 aprile del 1555 Caroto redige il suo testamento in cui si dice che è "adversa corporis valetudine oppressus" e dunque si può intuire che sia morto poco dopo, certamente nello stesso anno.[N 5] Sempre secondo Vasari, Caroto venne sepolto nella "nella cappella di San Nicolò della Madonna dell'Organo che egli aveva delle sue pitture adornata", ove riposa anche sua fratello Giovanni.[54][55] Di queste pitture, oggi rimangono solo le già citate quattro scene dell'antico testamento affrescate sul lato sinistro della navata centrale.[56]

Opere

Giovanni Francesco Caroto, Sofonisba beve il veleno, Museo di Castelvecchio, Verona
Giovanni Francesco Caroto, Giovane monaco benedettino, Museo di Castelvecchio, Verona

Segue un elenco delle principali opere di Giovan Francesco Caroto[57]:

Opere attribuite

  • Sangue del Redentore e i santi Maurizio e Sebastiano, (1506-1508), Redondesco, chiesa parrocchiale di San Maurizio martire.[58][59]
  • Didone abbandonata, 1505-1510, olio su tavola, 128x119, Amsterdam.[60]
  • Santissimi Michele, Cosma, Damiano, 1506 circa, olio su tela, 210x147 cm, Mantova, Chiesa della Carità.[61]
  • Sibilla, 1540 circa, olio su tela, 73x63 cm, Mantova, Palazzo Ducale.[59]
  • Ecce Homo fra i Santissimi Bernardino, Francesco, Antonio e Chiara, 1520 circa, olio su tela, 207x205 cm, Verona, Museo di Castelvecchio, Verona.[62]

Note

Esplicative

  1. ^ A proposito di Paolo Veronese, Giorgio Vasari dice: "Costui essendo in Verona nato d’uno scarpellino o, come dicono in que’ paesi, d’un tagliapietre, et avendo imparato i principii della pittura da Giovanni Caroto veronese". Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori.
  2. ^ Vasari scrive: "...dopo avere apparato i primi principii delle lettere, essendo inclinato alla pittura, levatosi dagli studii della grammatica, si pose a imparare la pittura con Liberale veronese, promettendogli ristorarlo delle sue fatiche. Così giovinetto, dunque, attese Giovanfrancesco con tanto amore e diligenza al disegno, che con esso e col colorito fu nei primi anni di grande aiuto a Liberale". Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori.
  3. ^ Il San Giuseppe al centro è del pittore ottocentesco Angelo Recchia.
  4. ^ Inizialmente Antonio Avena datò questi paesaggi al primo decennio del 1500, dunque ai primi anni della carriera del Caroto. Grazie al confronto con alcune soluzione stilistiche adottate dal pittore nel corso della sua carriera e allo studio di alcuni documenti di inventario rinvenuti negli archivi della chiesa di Santa Maria in Organo, Maria Teresa Franco Fiorio attribuisce l'opera nella produzione più tarda del Caroto, introno ai primi anni del 1530. In Fiorio, 1971, pp. 61.
  5. ^ Infatti Giovan Francesco Caroto non viene menzionato né nell'anagrafe dell'anno 1556 né nell'estimo del 1558. In Fiorio, 1971, p. 23.

Bibliografiche

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  3. ^ Fiorio, 1971, p. 18.
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  5. ^ Fiorio, 1971, pp. 18-19, 26-27.
  6. ^ a b c d e f g Caroto, Giovanni Francesco, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  7. ^ Fiorio, 1971, p. 81.
  8. ^ Fiorio, 1971, p. 29.
  9. ^ a b Simeoni, 1904, p. 66.
  10. ^ Fiorio, 1971, pp. 19-20.
  11. ^ Fiorio, 1971, p. 19.
  12. ^ a b Fiorio, 1971, p. 20.
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  14. ^ Fiorio, 1971, pp. 29-30.
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  56. ^ Fiorio, 1971, p. 23.
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  59. ^ a b Fiorio, 1971, p. 107.
  60. ^ Fiorio, 1971, p. 105.
  61. ^ Fiorio, 1971, p. 106.
  62. ^ Fiorio, 1971, p. 108.

Bibliografia

  • Carlo Del Bravo, Per G. F. Caroto, in Paragone, n. 173, 1964, ISBN non esistente.
  • Maria Teresa Franco Fiorio, Giovan Francesco Caroto, editrice "Vita Veronese", 1971, ISBN non esistente.
  • Paola Marchiori, Maestri della pittura veronese, a cura di Pierpaolo Brugnoli, Banca Mutua Popolare di Verona, 1974, ISBN non esistente.
  • Paola Marini, Gianni Peretti, Francesca Rossi (a cura di), Museo di Castelvecchio. Catalogo generale dei dipinti e delle miniature delle collezioni civiche veronesi, Vol. 1: Dalla fine del X all'inizio del XVI secolo, Silvana, 2010, ISBN 9788882154257.
  • Luigi Simeoni, Nuovi documenti sul Caroto, in L'Arte, VII, 1904, ISBN non esistente.
  • Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, Edizione Giuntina, 1568, ISBN non esistente.
  • Giuseppe Franco Viviani (a cura di), Chiese di Verona, Società Cattolica di Assicutazioni, 2002, ISBN non esistente.
  • Diego Zannandreis, Le vite dei pittori, scultori e architetti veronesi, a cura di Giuseppe Biadego, Verona, Stabilimento Tipo-Litografico G. Franchini, 1891, ISBN non esistente.

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