Spoliazioni napoleoniche

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«Cittadino generale, il Direttorio esecutivo è convinto che per voi la gloria delle belle arti e quella dell'armata ai vostri ordini siano inscindibili. L'Italia deve all'arte la maggior parte delle sue ricchezze e della sua fama; ma è venuto il momento di trasferirne il regno in Francia, per consolidare e abbellire il regno della libertà. Il Museo nazionale deve racchiudere tutti i più celebri monumenti artistici, e voi non mancherete di arricchirlo di quelli che esso si attende dalle attuali conquiste dell'armata d'Italia e da quelle che il futuro le riserva. Questa gloriosa campagna, oltre a porre la Repubblica in grado di offrire la pace ai propri nemici, deve riparare le vandaliche devastazioni interne sommando allo splendore dei trionfi militari l'incanto consolante e benefico dell'arte. Il Direttorio esecutivo vi esorta pertanto a cercare, riunire e far portare a Parigi tutti i più preziosi oggetti di questo genere, e a dare ordini precisi per l'illuminata esecuzione di tali disposizioni.»

«La Repubblica francese, con la sua forza e la superiorità del lume e dei suoi artisti, è l'unico paese al mondo che può dare una dimora sicura a questi capolavori. Tutte le altre nazioni devono venire a prendere in prestito dalla nostra arte.»

Ingresso a Parigi del corteo delle opere rubate da Napoleone dopo la prima Campagna d'Italia
Ricostruzione della Trinità adorata dalla famiglia Gonzaga quale essa poteva apparire prima di essere tagliata dai francesi
Scuola di Atene, Raffaello, Vaticano. I funzionari napoleonici espressero l'obiettivo di staccare gli affreschi di Raffaello in Vaticano.

I furti napoleonici[1][2], o più correttamente “spoliazioni napoleoniche[3][4], furono una serie di sottrazioni di beni, in particolare opere d'arte (ed in genere di opere preziose), attuate dall'esercito francese (o da funzionari napoleonici) nei territori del Primo Impero francese, quali la penisola italiana, la Spagna, il Portogallo, i Paesi Bassi e il Belgio, l'Europa centrale. Le spoliazioni vennero costantemente perpetrate nell'arco di venti anni, dal 1797 fino al Congresso di Vienna nel 1815. Secondo lo storico Paul Wescher, le spoliazioni napoleoniche rappresentarono "il più grande spostamento di opere d'arte della storia", che provocò anche diversi danni in quanto "è difficile stabilire con esattezza quante opere d'arte di valore unico andarono distrutte o disperse in quei giorni".[5]

In Italia le spoliazioni napoleoniche sconfinarono nel vandalismo. Secondo lo storico dell'arte Steinman[6], gli ufficiali francesi progettarono di staccare gli affreschi di Raffaello dalle Stanze Vaticane[7] e di spedire in Francia la Colonna Traiana[8], probabilmente a pezzi. I napoleonici bruciarono il Bucintoro, la nave ammiraglia della flotta, forse per ottenerne l'oro delle decorazioni, fusero il tesoro della Basilica di San Marco, cosi da poter pagare l'esercito, e smantellarono l'Arsenale di Venezia, ancora colmo dei trofei militari della Serenissima. I napoleonici tagliarono a pezzi il più grande Rubens in Italia, la Trinita Gonzaga, per poterlo vendere meglio sul mercato, mentre i due pannelli laterali vennero spediti a Nancy ed ad Anversa, dove ancora oggi si trovano. Alla ricerca di oro, gli ufficiali francesi tentarono anche di fondere le opere del manierista Benvenuto Cellini[9].

Durante il Congresso di Vienna, Austria, Spagna, stati tedeschi e Inghilterra ordinarono l'immediata restituzione di tutte le opere sottratte "senza alcun negoziato diplomatico" sostenendo che "la spoliazione sistematica di opere d'arte è contraria ai principi di giustizia e alle regole della guerra moderna". Venne affermato il principio di come non ci potesse essere alcun diritto di conquista che permettesse alla Francia di detenere il frutto di spoliazioni militari e che tutte queste opere d'arte dovessero essere restituite.[10] Secondo la storica Mackay Quynn[11], in occasione dei rimpatri delle opere d'arte dopo i Congresso di Vienna, gli stati europei si trovarono davanti a costi di trasporto elevatissimi e alla resistenza dell'amministrazione francese. I Prussiani, falliti i tentativi di mediazione e vedendosi negato l'accesso alle gallerie del Louvre, minacciarono di spedire in prigione in Prussia il Direttore Vivant Denon se questi non avesse lasciato agire i propri ufficiali. In meno di qualche settimana i capolavori dei Prussiani erano imballati fuori dal Louvre per la spedizione[12]. La Spagna inviò funzionari dell'esercito insieme a un discreto numero di militari prima delle conclusioni del Congresso di Vienna, i quali, rompendo i portoni del Louvre, si ripresero tutte le opere con la forza. Anche Belgio ed Austria mandarono il proprio esercito, senza attendere la conclusione del Congresso di Vienna. Giova ricordare come i furti napoleonici ebbero lunghi strascichi nella storia europea. Durante la guerra franco-prussiana, la Germania di Bismarck chiese alla Francia di Napoleone III la restituzione delle opere d'arte ancora detenute dai tempi delle spoliazioni napoleoniche ma che non erano state restituite.

I cavalli bronzei di piazza San Marco vengono inviati a Parigi. Venezia, 1797.

Per quanto riguarda le città italiane, queste si mossero disunite, lente e disorganizzate, prive del supporto di un esercito nazionale, di un corpo diplomatico motivato (mancando rappresentanti italiani al Congresso di Vienna), e nel disinteresse delle dinastie straniere a i simboli nazionali, oltre che a pagare di tasca propria le spese di spedizione[13]. Per la Lombardia, che era sotto gli Asburgo d'Austria, il governo di Vienna non richiese le opere d'arte portate via dalle chiese, come l'Incoronazione di spine è di Tiziano, commissionata per la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, che non fu restituita perché non fu richiesta ufficialmente al Governo francese. Il governo toscano, allora sotto gli Asburgo-Lorena, non richiese i capolavori sottratti alle chiese sostenendo che sarebbero serviti a pubblicizzare la grandiosità dell'arte toscana, lasciando così in Francia capolavori assoluti quali le stigmate di San Francesco di Giotto, la Maestà di Cimabue o L'Incoronazione della Vergine del Beato Angelico, ritenendo di aver recuperato le opere di maggior valore. Per Parma, sotto ex-moglie di Napoleone, Maria Luigia, adottò un'istanza mediatrice, lasciando metà delle opere in Francia. Il governo pontificio preferì non richiedere tutto, soprattutto i quadri conservati nei musei delle province francesi come molti Perugino sottratti alle chiese di Perugia, per non turbare la ri-cristianizzazione delle campagne francesi uscite dal giacobinismo. La situazione venne sbloccata solo parzialmente quando il Duca di Wellington si offrì di finanziare le spese di rimpatrio delle opere d'arte in Italia. Antonio Canova, delegato dallo Stato della Chiesa ai rimpatri, era dotato di documentazione archivistica assai limitata, e mancava di funzionari dell'esercito propri. Secondo il catalogo del Canova, dei 506 dipinti portati in Francia, 248 rimasero in Francia, 249 tornarono in Italia, 9 vennero indicati come non rintracciabili, raro caso in Europa di opere catalogate e non restituite.[14][15]

Storia

Le celebrazioni

Colonna Traiana, Foro Traiano. Il generale Pommereul, progettava di rimuovere la Colonna Traiana e spedirla in Francia[8], probabilmente tagliandola a pezzi. L'assistente di Pommereul, Daunon, scriveva tal proposito il 15 Aprile 1798: "Spediremo un obelisco", in tal modo riferendosi alla colonna di Traiano.
La Maestà di Cimabue, in origine a Pisa nella chiesa di San Francesco, oggi conservata presso il Louvre, Parigi
La Vergine col Bambino tra i santi Domenico e Tommaso d'Aquino è un affresco staccato di Beato Angelico, già nel convento di San Domenico a Fiesole, ed oggi conservato nel Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo. Risale al 1435 circa e misura 196x184 cm.
Sposalizio della Vergine, Perugino, Musée des Beaux-Arts, Caen

Nel giorno nono di Termidoro dell'anno VI (27 luglio 1798) prese luogo la più grande celebrazione di una vittoria militare che si fosse vista a Parigi fino a quel momento. L'evento è impresso su una famosa stampa presso la Biblioteca Nazionale di Parigi[16]. Questa mostra l'arrivo del primo convoglio con i beni confiscati al termine della Campagna d'Italia di Napoleone a Champ de Mars, di fronte all'École Militaire di Parigi. Per l'occasione erano stati ben potati gli alberi e chiamati gli studenti dell'Ecole Polythecnique a partecipare tra i pubblico. Nelle stampe d'epoca si notano i cavalli della Basilica di San Marco a Venezia su un carro trainato da sei cavalli, preceduto da uno con una gabbia di leoni e succeduto da quattro dromedari. Davanti un pannello che dichiara: "La Grèce les ceda; Rome les a perdus; leur sort changea deux fois, il ne changera plus" (la Grecia li cedette, Roma li ha persi, la loro sorte cambiò due volte, ora non cambierà più). In questa processione erano inclusi l'Apollo del Belvedere, la Venere de' Medici, il Discobolo, il Laocoonte, e una sessantina di altre opere tra cui nove Raffaello, due Correggio, collezioni minerali e antiquarie, diversi animali esotici, ma anche diversi manoscritti dal Vaticano datati prima del 900 d.C.[17] L'attenzione popolare era attratta dagli animali esotici e dalla Vergine di Loreto, ritenuta opera di San Luca e capace di realizzare miracoli.[18]

Polittico San Pietro, Perugino
Personificazione del Tevere con Romolo e Remo, marmo pentelico, ottenuto col Trattato di Tolentino, Louvre; Rimase al Louvre nel 1815 perché ritenuto troppo grande e pesante per il trasporto.

I francesi avevano giustificato le spoliazioni di opere d'arte sia in virtù al diritto di preda sia a teorie più oscure. Una petizione di artisti francesi riteneva che le opere servissero come ispirazione per il progresso delle arti repubblicane e per educare il pubblico francese come fecero i romani trasportando opere d'arte dalla Grecia a Roma[19]. Il luogotenente Hussars riteneva che le opere fossero rimaste "imprigionate da troppo tempo...queste opere immortali non più in terra straniera, ma portate nella patria delle arti e del genio, nella patria delle libertà e della sacra eguaglianza: la Repubblica Francese"[20]. Ancora, "statue che i francesi hanno prelevato dalla degenere Chiesa Romana per adornare il grande Museo di Parigi, per distinguere i più nobili tra i trofei, il trionfo della libertà sulle tirannie, della conoscenza sulla superstizione"[21]. Ancora, il vescovo Henri Gregoire davanti alla Convenzione del 1794: "Se le nostre armate vittoriose entrassero in Italia, l'asportazione dell'Apollo del Belvedere e dell'Ercole Farnese sarebbe la più brillante delle conquiste. È la Grecia che ha decorato Roma: perché i capolavori delle repubbliche greche devono decorare il paese degli schiavi (i.e. l'Italia)? La Repubblica Francese dovrebbe essere la loro sede definitiva." Di fronte a queste rapine, alcuni come Quatremère de Quincy, allievo del Winckelmann, ricordò come le più grandi opere del genio umano, quali il Colosseo, Villa Farnesina, la Cappella Sistina o le Stanze vaticane, non potessero essere rimosse ed anzi sfidò la retorica dei dell'amministrazione napoleonica argomentando che per riscoprire le opere del passato, occorrerebbe "rivolgersi alle rovine in Provenza, investigare le rovine di Arles, Orange, e restaurare il bell'anfiteatro di Nîmes", invece di spogliare Roma.[22] In occasione del Trattato di Tolentino, Lettres à Miranda Quatremère de Quincy retierava l'esistenza di un forte rapporto che lega l'opera d'arte al luogo cui è stata destinata e il contesto in cui essa viene prodotta. Quatremère sosteneva che sradicando l'opera dal contesto in cui è stata creata e destinata venisse irrimediabilmente compromessa la sua leggibilità autentica, e ne assumesse una nuova, estranea alle sue finalità. Quatremère de Quincy credeva che l'arte italiana potesse essere soltanto studiata in Italia per essere pienamente compresa, biasimando le ruberie dei napoleonici.[23] A tal proposito si ricordi come il capo militare a Roma di Napoleone, il generale Pommereul, avesse progettato di per rimuovere la Colonna Traiana e spedirla in Francia[8], probabilmente tagliandola a pezzi. L'assistente di Pommereul, Daunon, scriveva tal proposito il 15 Aprile 1798: "Spediremo un obelisco", in tal modo riferendosi alla colonna di Traiano. Questo proposito irrazionale venne solo bloccato dai costi di trasporto e dagli enormi ostacoli amministrativi pontifici che rallentarono il processo.[24]

Madonna col Bambino, sant'Anna e quattro santi, Pontormo, Louvre
Asclepio Albani, con restaurii del Cavaceppi; ottenuto grazie al Trattato di Tolentino; Louvre

Il sacco d'Italia

Bambino con oca, oggi al Louvre; scoperto nel 1792 presso la Villa dei Quintili sulla Via Appia, anticamente presso la Collezione Braschi e poi ceduto attraverso il Trattato di Tolentino

La prima campagna d'Italia aveva portato un grandissimo numero di oggetti di valore di tutti i tipi, da quando nel maggio del 1796 vennero firmati gli armistizi coi Ducati di Modena e di Parma fino al Trattato di Campoformio con la Repubblica di Venezia nel 1797. Milano era stata saccheggiata per prima come le collezioni dei Gonzaga di Mantova. Ai duchi di Modena e Parma si era imposto di consegnare venti dipinti dalle loro collezioni private e dalle collezioni pubbliche, che presto diventarono 40, 50 e poi se ne perse il numero. In giugno, sia il Re di Napoli sia il Papa firmarono armistizi in cui si impegnavano a consegnare 500 manoscritti antichi dal Vaticano e un centinaio di dipinti e busti, specialmente i busti di Marco e Giunio Bruto Capitolino. I manoscritti vennero scelti da Joseph de la Porte du Theil, erudito francese che conosceva bene le biblioteche vaticane e prelevò tra gli altri la Fons Regina, la biblioteca della Regina Cristina di Svezia.

Pala Barbadori, dipinto da Fra Filippo Lippi, Louvre, Parigi
proveniente dalla sagrestia di Santo Spirito di Firenze
Sarcofago delle Muse, anticamente presso i Musei Capitolini, rastrellato dai funzionari francesi, oggi al Louvre

Il Papa fu obbligato a pagare le spese di trasporto dei manoscritti e delle opere fino a Parigi. Saccheggi avvennero anche nelle Biblioteca Apostolica Vaticana, le Biblioteca Estensi di Modena, quelle di Bologna, Monza, Pavia e Brera ed infine nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. Successivamente, il Trattato di Tolentino aggiungeva opere dai tesori di Ravenna, Rimini, Perugia, Loreto e Pesaro. In Vaticano, gli ufficiali napoleonici aprirono le stanze del Papa, spogliandole sia per arricchimento degli stessi ufficiali e sia per Napoleone, mentre i medaglioni in oro e argento del Vaticano venivano fusi[25]. La biblioteca privata di papa Pio VI venne comprata dal funzionario Daunou e nel 1809 la collezione di marmi del principe Borghese venne venduta a Napoleone, messo in gravi difficoltà finanziarie a causa della pesante tassazione patrimoniale imposta dai francesi. Il Principe Borghese non ottenne neanche tutte le somme promesse, ma venne pagato in terreni requisiti alla Chiesa e in diritti minerari in Lazio, che successivamente dovette restituire ai legittimi proprietari con il Congresso di Vienna[26]. W. Buchanan, antiquario inglese, nel 1824 notava come Napoleone avesse "imposto una pesante tassazione sui principi e la nobiltà romana...che si era opposta alla sua armata, e, come notava che le sue richieste venivano corrisposte dai proprietari, rinnovava le richieste nella misura in cui notava che i proprietari di opere d'arte detenevano ancora tesori: così fu che i Colonna, Borghese, Barberini, Chigi, Corsini, Falconieri, Spada e molte altre famiglie nobili di Roma furono obbligate a vendere le loro opere per dimostrare che non avevano più i mezzi per sostenere il pagamento delle tasse".[27] A Venezia, i cavalli di bronzo di San Marco, attribuiti per tradizione al bronzista di Alessandro Magno, Lisippo, vennero spediti a Parigi, le Nozze di Cana del Veronese venne tagliata in due e spedita al Louvre. L'Arsenale di Venezia venne smantellato, i cannoni, le armature più belle e le armi da fuoco vennero spedite in Francia, altri vennero fusi[28]. Talvolta l'incompetenza dei commissari francesi incaricati delle requisizioni fece sì che alcuni capolavori rimanessero in loco, come fu per la Sacra conversazione di Piero della Francesca poiché ritenuta di scarsa importanza, o per La Velata di Raffaello poiché attribuita a Sustermans.[29]

Orazione nell'orto di Andrea Mantegna, Tours, Musée des Beaux-Arts
in origine a Verona presso San Zeno

Spoliazioni nel Ducato di Modena

L'armistizio tra Napoleone e il Ducato di Modena venne stipulato il 17 maggio a Milano da parte di san Romano Federico d'Este rappresentante del Duca Ercole III. La Francia richiedeva la consegna di venti dipinti dalle collezioni d'Este e una somma in denaro tripla rispetto a quella dell'armistizio con Parma. La prima spedizione venne curata da Giuseppe Maria Soli, direttore dell'Accademia Atestina di Belle Arti, che si occupo della selezione dei dipinti, che furono levati dagli appartamenti del Duca d'Este, e spediti a Milano nel 1796 coi commissari Tinet e Bethemly. Tuttavia, arrivati in Francia vennero giudicati mediocri da Lebrun e Napoleone dichiarò infranto l'armistizio col duca d'Este a causa della violazione delle clausole.

Il 14 ottobre, Napoleone entrò a Modena con due nuovi commissari Garrau e Saliceti che si recarono più volte a setacciare le gallerie delle medaglie e la galleria del palazzo ducale per prelevare la collezione di cammei e pietre dure incise. Il 17 ottobre, dopo aver prelevato dalla biblioteca ducale numerosissimi manoscritti e libri antichi, vengono spediti 1213 oggetti: 900 monete romane imperiali in bronzo, 124 monete dalla colonie romane, 10 monete d'argento, 31 contornati, 44 monete di città greche, 103 monete dei pontefici inviati alla Bibliothèque Nationale di Parigi e da allora li conservati.[30] La moglie Giuseppina nel febbraio del 1797 non fu da meno: alloggiando a Palazzo ducale di Modena volle vedere la collezione di cammei e pietre preziose, ma non si accontentò di guardarle e ne prese circa duecento, oltre a quelli di cui si impossessarono alcuni aiutanti di campo del marito che la accompagnavano. Vennero spediti al Louvre 1.300 disegni trovati nelle collezioni estensi[31], 16 cammei in agata, 51 pietre dure e diversi vasi in cristallo di rocca, dove si trovano da allora.[32] Il 20 ottobre vennero requisiti il busto di Lucio Vero e Marco Aurelio, un disegno della colonna traiana, e un altro coi busti degli imperatori. Saliceti e Garrau prelevarono a titolo personale diversi cammei con montatura in oro e oro smaltato. La seconda spedizione di dipinti avvenne il 25 ottobre, quando Tinet, Moitte e Berthelmy scelsero 28 dipinti da spedire a Parigi, insieme con altri 554 disegni, quattro album per un totale di 800 disegni. Numerosissimi dipinti della scuola emiliana rimasero in Francia:

Ceduta con il Trattato di Firenze (1801)
Atena di Velletri, Louvre, ceduta con il Trattato di Firenze (1801)

Spoliazioni nel Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla

Con l'armistizio del 9 maggio 1796, il Ducato di Parma e Piacenza devono consegnare 20 quadri, poi ridotti a 16, identificati da commissari francesi. A Piacenza vengono scelte due tele conservate in Cattedrale di Parma: si tratta del Funerale della Vergine e gli Apostoli al sepolcro della Vergine di Ludovico Carracci, che vengono portate al Louvre. Nel 1803, per ordine del ministro Moreau de Saint Mery, furono tolti gli intagli e gli ornati di palazzo Farnese, da San Sisto il quadro dell’Incoronata coi SS. Anselmo e Martino di Giuseppe Mario Crespi, dal Duomo i due quadri del Lanfranchi di Sant’Alessio e San Corrado, da San Lazzaro la tavola di S. Rocco opera di Giuseppe Ribeira. Ettore Rota pubblica alcune tabelle riassuntive: 55 opere dal ducato di Parma, Piacenza e Guastalla e 8 oggetti in bronzo da Veleja dei quali 30 opere restituite e 8 oggetti di bronzo restituiti.[33] Il San Corrado del Lanfranco e l’Incoronata dello Spagnolo rimangono in Francia dove sono ancora visibili. Le restanti opere risultano disperse. A Parma, a partire dal 1803, dopo la costituzione del Dipartimento del Taro da parte dei francesi, il museo archeologico ducale venne spogliato dei pezzi più prestigiosi, che furono portati a Parigi, come la Tabula alimentaria traianea e la Lex Rubria de Gallia Cisalpina.

Dioniso e poeta drammatico, ottenuto con il Trattato di Tolentino, Louvre

Spoliazioni nel Granducato di Toscana

Incoronazione della Vergine di Beato Angelico, in origine a Fiesole il convento di San Domenico, oggi conservata presso il Louvre, Parigi
Stigmate di San Francesco di Giotto, Louvre, in origine a Pisa nella chiesa di San Francesco
Il Cammeo Gonzaga è un'opera della glittica arte ellenistica in sardonice (15,7x11,8 cm), databile forse al III secolo a.C. e conservato oggi nel Museo dell'Ermitage a San Pietroburgo

Le spoliazioni nel Granducato di Toscana vennero portate a termine dallo stesso direttore del Louvre, Vivant Denon.Tra l'estate e l'inverno 1811, setacciò prima Massa, Carrara, Pisa, poi Volterra e infine Firenze. Ad Arezzo, Vivant Denon prelevò L'Annunciazione della Vergine, dipinto da Giorgio Vasari, proveniente dalla soppressa chiesa di S. Maria Novella d’Arezzo, che all'epoca era tenuta in gran considerazione, mentre a Prato La Natività, dipinto da Fra Filippo Lippi, oggi al Musée du Louvre, proveniente dal Convento di Santa Margherita. In ciascuna annotò le opere da spedire a Parigi.

A Fiesole presso il Convento di San Domenico, vennero prelevati:

A Pisa Denon selezionò nove dipinti e un bassorilievo, ma di queste non tornarono diverse opere e a tutt'oggi rimangono in Francia:

San Tommaso d'Aquino fra i Dottori della Chiesa di Benozzo Gozzoli, oggi al Musée du Louvre, in origine proveniente dal Duomo di Pisa, particolare

A Firenze, Vivant Denon rovistò nel deposito del convento di Santa Caterina. Dalla chiesa di Santa Maria Maddalena de' Pazzi di Firenze spedì:

Dall’Accademia delle Belle Arti di Firenze a Firenze, Vivant Denon individuò:

Dalla chiesa di Santo S. Spirito di Firenze spedi:

Tra le altre opere inviate da Denon, si ricordano:

Spoliazioni nella Repubblica di Venezia

La commissione francese incaricata di spedire i capolavori in Francia era guidata da Monge, Berthollet, Berthélemy e Tinet, che in precedenza erano passati a Modena. Vennero fuse le opere in oro e argento accumulate nel corso di secoli presso la Zecca di Venezia e spedite in Francia.[34]

Nozze di Cana del Veronese, in origine presso il refettorio benedettino dell'Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, oggi conservata presso il Louvre, Parigi

Venne fuso il tesoro della Basilica di San Marco e con l'oro liquefatto furono pagati i soldati francesi.

Crocifissione di Andrea Mantegna, Tours, Musée des Beaux-Arts, in origine a Verona presso San Zeno
Traiano Albani, ottenuto col Trattato di Tolentino, Louvre

Gli ordini religiosi vennero abrogati e furono abbattute 70 chiese. Circa 30.000 opere d'arte sparirono o furono vendute[35]. Il Bucintoro, la nave ducale, fatta a pezzi assieme a tutte le sculture, che furono arse nell'isola di San Giorgio Maggiore per fondere la foglia d'oro che le ricopriva. L'Arsenale di Venezia venne smantellato, i cannoni, le armature più belle e le armi da fuoco vennero spedite in Francia, altri vennero fusi[28]. Si fusero oltre 5.000 cannoni facenti parte dell'armeria - museo, nonché le armi antiche, i cannoni e le pietraie in ferro e in rame che erano il vanto dell'Arsenale e frutto delle conquiste e delle vittorie della Repubblica vennero spedite nei musei francesi.[36] Presso l'Hôtel National des Invalides conosciuto come Les Invalides, si ospita anche il celebre Musée de l'Armée. Il Museo è tra i più grandi musei d'arte e di storia militare del mondo, inclusi un cannone in bronzo di fattura veneziana, da 36 libre non destinato ad uso militare, fuso dalla Serenissima per celebrare l'alleanza tra il regno di Danimarca e di Norvegia e la Repubblica di Venezia, i cui emblemi sono posti ad ornamento dell'arma stessa. Il cannone i questione porta la data di fusione: Anno Salutis. MDCCVIII.[37] Le Nozze di Cana del Veronese un tempo presso il refettorio benedettino dell'Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia a vennero tagliate in due e spedite al Louvre, dove si trovano ancora. La Pala di San Zeno del Mantegna, in origine a Verona presso San Zeno, venne tagliata e spedita in Francia. Le predelle sono oggi rimaste in Francia al Louvre mentre il pannello principale è tornato a Verona, rompendo l'autenticità del capolavoro per sempre. A Verona, la collezione Gazola di fossili dal monte Monte Bolca (in gran parte costituita da reperti di pesci appartenenti all'Eocene) venne confiscata nel maggio 1797 e depositata presso Museo nazionale di storia naturale di Francia a Parigi, dove si trova ancora oggi dal Settembre 1798. Sembra che Gazola fosse stato retrospettivamente compensato[38] con un'annuita dal 1797 e una pensione dal 1803. Ad ogi modo Gazola ricostitui una seconda collezione di fossili anch'essa confiscata e portata a Parigi nel 1806.[39] Nell'aprile 1797 i francesi rimossero il leone e le famose statue in bronzo dei cavalli di San Marco, che la tradizione attribuiva a Lisippo, il bronzista di Alessandro Magno. Quando Napoleone decise di commemorare le sue vittorie del 1805 e 1806, ordino la costruzione dell'Arco di Trionfo in piazza du carrousel e che i cavalli fossero posti in cima come unico ornamento dell'arco. Il Leone alato di San Marco non fece più ritorno, mentre gli austriaci si premunirono di ottenere il recupero dei cavalli ma non delle glorie sottratte all'Arsenale.

Spoliazioni a Mantova

A farne le spese a Mantova le opere di alcuni degli artisti più importanti che lavoravano per i Gonzaga. Tra le principali opere non restituite e provenienti da Mantova e dalle collezioni dei Gonzaga:

Madonna della Vittoria, Mantegna
Trasfigurazione di Cristo, Rubens
*Crocifissione con i dolenti e san Domenico, Beato Angelico, già nel convento di San Domenico a Fiesole ed oggi conservato nel Louvre di Parigi. Risale al 1435
  • Tentazioni di Sant’Antonio abate, di Paolo Veronese, tra le 10 tele del Duomo di Mantova, commissionate ad artisti veronesi e mantovani dal cardinale Ercole Gonzaga alla metà del millecinquecento. Oggi si trova al Museo di Caen, in Normandia.
  • Battesimo di Cristo, di Pietro Paolo Rubens per la cappella maggiore della chiesa della Trinità dei Gesuiti. L’opera si trovava sulla parete sinistra, di fronte alla Trasfigurazione. Il dipinto e nel Musee des beax arts di Anversa.
  • Trasfigurazione di Cristo, di Pietro Paolo Rubens per la chiesa dei Gesuiti. L’inaugurazione del trittico si tenne il 5 giugno 1605, festa della SS.Trinità, e le opere di Rubens diventarono subito una meta per i visitatori della città, oggi al Museo di Nancy.
L'Incoronazione di spine è un dipinto a olio su tela, misurante 303x180 cm, eseguito dal pittore italiano Tiziano Vecellio tra il 1542 e il 1543. È conservato nella stanza 6 dei dipinti italiani, all'interno del Musée du Louvre di Parigi.

Spoliazioni nella Lombardia Austriaca

I francesi entrarono a Milano nel 1796 in concomitanza con la prima Campagna d'Italia di Napoleone. Nel maggio 1796 a Milano ancora si combatteva al Castello Sforzesco che già il commissario Tinet era all'Ambrosiana, dove requisiva il disegno preparatorio di Raffaello per la Scuola di Atene al Vaticano, dodici disegni e il Codice Atlantico di Leonardo, il prezioso manoscritto delle Bucoliche di Virgilio con le miniature di Simone Martini, e cinque paesaggi dipinti da Jan Brueghel per Carlo Borromeo conservati presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano dal 1673.[40] L'Incoronazione di spine, eseguita da Tiziano Vecellio tra il 1542 e il 1543 su commissione della Confraternita della Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, fu spedito al Louvre. Il Codice Atlantico venne restituito non-integro all'Ambrosiana. Infatti diversi fogli del Codex sono conservati a Nantes e a Basilea, mentre tutti gli altri quaderni e scritti autografi di Leonardo sono conservati nella Bibliothèque National de France di Parigi.[41] Dalla Pinacoteca di Brera, vennero prelevate:

Spoliazioni nel Regno di Sardegna

Con l'armistizio di Cherasco, 100 opere italiane e fiamminghe vennero cedute alla Francia. Torino venne ammessa al territorio francese e la scuola piemontese non era conosciuta, quando non era considerata marginale. Ciò evitò un massiccio prelievo di opere che si vide invece nei territori delle repubbliche sorelle. L'attenzione francese si rivolse a documenti, codici dei Regi Archivi e ai pittori di scuola fiamminga nelle collezioni sabaude. In occasione del rimpatrio del Martirio di Santo Stefano di Giulio Romano alla città di Genova, Vivant Denon, direttore del Louvre, sostenne che l'opera era stata "offerta in omaggio al governo francese dal consiglio comunale di Genova" e che il trasporto avrebbe messo a rischio la fragilità dell'opera, ben sapendo tuttavia che l'opera era stata sostanzialmente confiscata come tributo culturale e dando contestualmente ordine al ministero degli interni francese di bloccare alla dogana l'opera senza menzionarne né la fragilità né la legittimità delle istanze piemontesi[42].

Spoliazioni nel Regno di Napoli

Nel 1799, il generale Jean Étienne Championnet attuò la stessa politica nel Regno di Napoli, come risulta da una missiva inviata al direttorio il 7 ventoso anno VII (25 febbraio 1799):[43]

«Vi annuncio con piacere che abbiamo trovato ricchezze che credevamo perdute. Oltre ai Gessi di Ercolano che sono a Portici, vi sono due statue equestri di Nonius, padre e figlio, in marmo; la Venere Callipigia non andrà sola a Parigi, perché abbiamo trovato nella Manifattura di porcellane, la superba Agrippina che attende la morte; le statue in marmo a grandezza naturale di Caligola, di Marco Aurelio, e un bel Mercurio in bronzo e busti antichi del marmo del più gran pregio, tra cui quello d'Omero. Il convoglio partirà tra pochi giorni.»

Le spoliazioni napoleoniche non furono limitate ai dipinti e alle sculture, ma riguardarono anche i patrimoni librari e le oreficerie. Gran parte di questi oggetti preziosi non fecero più ritorno. Durante l'occupazione francese, il danno al patrimonio culturale ed artistico napoletano fu immenso. Un durissimo colpo venne inferto nel 1799 con l'arrivo a Napoli dei francesi e la breve istituzione della Repubblica Napoletana: temendo il peggio, l'anno precedente Ferdinando aveva già trasferito a Palermo quattordici capolavori. I soldati francesi depredarono infatti numerose opere: dei millesettecentottantatré dipinti che facevano parte della collezione, di cui trecentoventinove della collezione Farnese e il restante composto da acquisizioni borboniche, trenta furono destinati alla Repubblica, mentre altri trecento vennero venduti, in particolar modo a Roma. Diverse opere d'arte presero la via della Francia[44] a causa delle spoliazioni napoleoniche al Musee Napoleon, ovvero l'attuale Louvre. Secondo il catalogo del Canova[45], nessuna delle opere d'arte ritorno in Italia.[46] A titolo di esempio:

  • L'adorazione dei magi, dello Spagnoletto, ora al Louvre
  • La Sacra Famiglia dello Schedoni, anticamente ospitato presso la chiesa di Capodimonte, andò al Louvre dal 1802 dove si trova ancora oggi
  • La Vergine con il Bambin Gesù di Cimabue, anticamente ospitato presso le Gallerie di Capodimonte, fu al Louvre fino al 1802, erede diretto del Musee Napoleon, e poi al Museo di Lille nel 1872, dove rimane da allora
  • San Luca e la Vergine, di Giordano, prima al Louvre poi al Musée de Lyon
  • Morte di Sofonisba, del Calabrese, oggi al Musée de Lyon
  • La Visitazione, di Sabbatini, oggi a Montpellier
  • Venere ed Adone, di Vaccaro, oggi al musée d'Aix-en-Provence

Spoliazioni nello Stato della Chiesa

Durate l'occupazione francese, i funzionari napoleonici divennero avidamente interessati al distacco degli affreschi. Per dare un senso delle dimensioni delle spoliazioni perpetrate in Italia, lo storico dell'arte Steinman[6] ha documentato come i francesi avessero ambizioni grandiose a Roma. Le intenzioni del capo militare a Roma di Napoleone, il generale Pommereul, il quale voleva cercare di trovare un modo per rimuovere la Colonna Traiana e spedirla in Francia[8]. Tuttavia il vero obiettivo, come scriveva Steinman, era di staccare gli affreschi nelle Stanze Vaticane di Raffaello e spedirle in Francia.

Durante l'occupazione francese, numerose opere d'arte vennero spedite in Francia come spoliazioni napoleoniche[47], e la maggior parte di queste non fece più ritorno.[48] Secondo il Catalogo del Canova[49], le opere che vi erano conservate fino a prima del periodo napoleonico e che non vennero restituite, a Palazzo Braschi sono:

  • Ritratto equestre dell'ambasciatore di Spagna, Van Dyck, portata al Musee Napoleon, oggi Louvre
  • Uomo seduto ai piedi di un albero, Viruly, portata al Musee Napoleon, oggi Louvre, e poi andata persa durante i recuperi del Canova
  • I venditori cacciati dal tempio, di Braschi, portata al Musee Napoleon, oggi Louvre, e poi andata persa durante i recuperi del Canova
  • La Vergine, Gesu e San Giovanni Battista, di Giulio Romano, portata al Musee Napoleon, oggi Louvre
  • San Francesco, Albani, portata al Musee Napoleon, oggi Louvre
  • Vergine e Gesu, di Fasolo, portata al Musee Napoleon, oggi Louvre
  • La Vergine di Loreto, Raffaello (copia), portata al Musee Napoleon, oggi Louvre
  • Emmaus, lo Strozzi, oggi al Musée de Grenoble
  • San Sebastiano, Orbetto, oggi al musée de Bordeaux

Dalla chiesa di San Francesco a Ripa:

Da villa Albani

  • Il Salvatore del mondo, Carlo Dolci, portato al Musee Napoleon, oggi al Louvre
  • Vergine e Gesù, Fasolo, portato al Musee Napoleon, oggi al Louvre
  • Vergine e Gesù, Vannucci, portato al Musee Napoleon, oggi al Louvre

A Todi presso il Convento di Montesanto, il cronista padre Cesario da Montegiove, prima di iniziare a parlare dell'anno 1810, esclama: «Passiamo, mio lettor, con mesto volto/ al secol ladro, lussurioso e stolto». Infatti, l'11 giugno del 1810, il governo francese, guidato dall'imperatore Napoleone Bonaparte, ordinò ai frati di fare l'inventario di tutta la roba, e costrinse la famiglia religiosa ad abbandonare il Convento, per far posto ad un ospizio. I frati dovettero abbandonare la casa religiosa per farvi ritorno solo nel 1815, quando la persecuzione della Chiesa da parte del governo francese cessò.

Museo del Louvre

Napoleone attuò nel campo dei beni culturali una politica di spoliazione delle nazioni vinte, incamerando opere d'arte dai luoghi di culto del clero, dalle corti reali e dalle collezioni nobili e private delle famiglie dell'Ancien régime[2] che, a scopi propagandistici, trasferiva in prima battuta nel palazzo del Louvre di Parigi dove aveva voluto nel 1795 il Musée des Monuments Français oltre che in altri musei di Francia.

La collezione del Museo del Louvre fu inizialmente costituita da reperti tratti dalle collezioni borboniche e dalle famiglie nobili francesi, oltre che da fondi ecclesiastici. Ma già in occasione della prima campagna di guerra nei Paesi Bassi (1794-1795) incamerò oltre 200 capolavori di pittura fiamminga, tra i quali almeno 55 Rubens e 18 Rembrandt.[2] Con la successiva Campagna d'Italia del 1796 portò in Francia altri 110 capolavori grazie all'armistizio di Cherasco (1º maggio 1796).[2] Stessa sorte subirono, con il trattato di Tolentino (22 gennaio 1797), numerose opere d'arte dello Stato Pontificio. La politica di trasferimento in Francia dei beni dei territori italiani occupati rispondeva a un preciso ordine del direttorio, che il 7 maggio 1796 inviò a Bonaparte le seguenti direttive:

«Cittadino generale, il Direttorio esecutivo è convinto che per voi la gloria delle belle arti e quella dell'armata ai vostri ordini siano inscindibili. L'Italia deve all'arte la maggior parte delle sue ricchezze e della sua fama; ma è venuto il momento di trasferirne il regno in Francia, per consolidare e abbellire il regno della libertà. Il Museo nazionale deve racchiudere tutti i più celebri monumenti artistici, e voi non mancherete di arricchirlo di quelli che esso si attende dalle attuali conquiste dell'armata d'Italia e da quelle che il futuro le riserva. Questa gloriosa campagna, oltre a porre la Repubblica in grado di offrire la pace ai propri nemici, deve riparare le vandaliche devastazioni interne sommando allo splendore dei trionfi militari l'incanto consolante e benefico dell'arte. Il Direttorio esecutivo vi esorta pertanto a cercare, riunire e far portare a Parigi tutti i più preziosi oggetti di questo genere, e a dare ordini precisi per l'illuminata esecuzione di tali disposizioni[50]

Proprio i trattati di pace furono lo strumento legale usato da Napoleone per legittimare queste spoliazioni: tra le clausole faceva rientrare la consegna di opere d'arte (oltre all'imposizione di tasse a titolo di tributi di guerra). Queste stesse opere erano già state individuate in precedenza da una specifica commissione composta da specialisti,[51] al seguito del suo esercito, guidata dal barone Vivant Denon che seguì personalmente, a questo scopo, sette campagne di guerra. Tutte le opere di maggior pregio erano destinate al Louvre, mentre quelle meno importanti furono collocate nei musei francesi di provincia (Reims, Arles, Tours).

La Restaurazione e le restituzioni

All'indomani della sconfitta di Napoleone nella battaglia di Waterloo (18 giugno 1815) i regni d'Europa inviarono a Parigi propri commissari artistici ed eserciti per pretendere la restituzione delle opere (per esempio Antonio Canova partecipò in rappresentanza dello Stato Pontificio).[2][52]

Come scriveva il Courier di Londra il 15 ottobre 1815, l'opinione pubblica nei paesi alleati protestava contro l'arroganza dei francesi: " gli ufficiali francesi tornano a Parigi, e, girando senza uniforme, aizzano il popolo. Al ritirarsi delle truppe alleate, l'insolenza dei parigini aumenta. Vogliono la rimozione degli articoli sulle opere d'arte. Perché? In base a quale diritto? Il diritto di conquista? Ebbene, non hanno loro perso già due volte? Insistono a invocare il diritto di preda? Allora perché non consentiamo agli Alleati di saccheggiare la Francia di ogni opera che valga la pena di rimuovere e che avevano in proprietà fino al periodo di Bonaparte?". Come diceva Lord Liverpool ai rappresentanti inglesi a Parigi "La parte ragionevole del mondo sta con chi vuole la restituzione ai proprietari. È desiderabile, in punto di politica da perseguire, rimuoverli dalla Francia, poiché ricordano le memorie delle loro conquiste e alimentano la vanità e lo spirito militare della loro nazione".[53] Ancora, il Corriere di Londra scriveva: "Il Duca di Wellington arriva alle conferenze diplomatiche con una nota in mano in cui si richiede espressamente che tutte le opere vengano restituite ai legittimi proprietari. Ciò ha generato grande attenzione, e i Belgi, che hanno enormi richieste da fare, e sono stati ostinatamente opposti alla permanenza delle opere d'arte in Francia, non hanno aspettato che gli venisse detto che potevano incominciare a riprendersi ciò che vi era di loro. I valorosi Belgi sono già sulla via per la restituzione dei loro Rubens e dei loro Potter".

I Prussiani furono i primi a muoversi con re Federico Guglielmo II, che delegò von Ribbentropp, trisavolo di Ribbentropp, insieme a Jacobi, di occuparsi delle restituzioni. Questi ordinarono a Vivant Denon di restituire tutti i tesori prussiani, ma il direttore del Louvre oppose la mancanza di una specifica autorizzazione da parte del governo francese. Von Ribbentropp allora minacciò di mandare soldati prussiani a prelevare le opere e portare Denon in prigione in Prussia se non avesse lasciato agire Jacobi. In meno di qualche settimana, tutti i tesori prussiani erano fuori dal Louvre e in deposito per la spedizione in Prussia[12]. I prussiani aiutarono anche gli altri stati tedeschi settentrionali a recuperare le loro opere. Nel settembre 1814, l'Austria e la Prussia ottennero indietro tutti i loro manoscritti. La Prussia recuperò tutta la statuaria, 10 Carnach e 3 Correggio. Il Duca di Brunswich ottenne 85 dipinti, 174 porcellane di Limoges, 980 vasi in majolica.

Quando i soldati olandesi arrivarono al Louvre, Vivant Denon negò loro accesso e scrisse allora a Talleyrand allora al Congresso di Vienna: "Se cediamo alle richiese di Olanda e Belgio, neghiamo al museo uno dei più importanti cespiti, quello dei fiamminghi (...) La Russia non è contraria, l'Austria ha già ottenuto tutto indietro, praticamente anche la Prussia. C'è solo l'Inghilterra, che non avrebbe niente da chiedere indietro, ma che siccome ha appena rubato i Marmi Elgin dal Partenone, ora pensa di poter far competizione con il Louvre, e vuole spogliare questo museo per raccoglierne le briciole "[54]. I francesi volevano tenere i trofei raccolti da Napoleone ed argomentavano che tenere le opere d'arte in Francia fosse un gesto di generosità nei confronti dei paesi di provenienza ma anche un tributo all'importanza di ciascun paese.

Il 20 settembre 1814, Austria, Inghilterra e Prussia si accordarono che tutti gli oggetti d'arte dovessero essere restituiti ai loro proprietari. Lo Zar non era parte di questo accordo, e si oppose, avendo appena acquistato per l'Hermitage diverse opere d'arte vendute frettolosamente dai discendenti di Napoleone e avendo ricevuto in dono dalla stessa Giuseppina Bonaparte un cameo vaticano di Tolomeo e Arsinoe noto come Cammeo Gonzaga.[55]

Per quanto riguarda le città italiane, queste si erano mosse tardi e in modo disorganizzato, a causa della loro divisioni. Solo per quanto concerne i dipinti, su 506 opere catalogate che avevano preso la via della Francia, infatti, ne fu restituita meno della metà, 249 opere. Il Duca di Brunswick da solo ottenne 85 dipinti e tutti i suoi 980 vasi di maiolica. Le opere rimanenti (per la gran parte dallo Stato Pontificio, ma anche del Ducato di Modena e del Granducato di Toscana) rimasero invece in Francia. Il 24 ottobre 1815, terminate le trattative, fu organizzato un convoglio di 41 carri che, scortato da soldati prussiani, giunse a Milano da dove le opere d'arte furono instradate verso i legittimi proprietari sparsi per la penisola. Le collezioni di camei, disegni e altre opere minori rimasero in Francia e ne vennero perse le tracce.

Il 24 ottobre 1815, 41 carri trainati da 200 cavalli per un peso complessivo di 49 tonnellate, lasciò Parigi per raggiungere l'Italia. Accolti da un popolo esultante, esultò anche Giacomo Leopardi nel 1818 per le opere «ritornate alla patria».[56]

Ares Borghese, Louvre

Degna di nota la vicenda dei cavalli di San Marco. Secondo il corrispondente del Corriere di Londra: "Ho appena visto che gli austriaci stanno togliendo i cavalli in bronzo dall'arco. L'intera corte delle Tuileries, piazza de Carousel sono piene di fanti austriaci e di cavalleria armata, e nessuno è autorizzato ad avvicinarsi, le truppe ammontano a diverse migliaia, con folle di francesi in tutte le vie che guardano e danno sfogo alle loro emozioni con grida ed imprecazioni...". Il Leone alato della Serenissima in bronzo era stato issato su una fontana agli Invalides. Quando gli operai cercarono di rimuoverlo, cadde a terra e si ruppe in migliaia di pezzi, con grande risate e delizia della folla di francesi ivi accorsa[57].

A differenza delle confische di opere d'arte in Olanda, Belgio e paesi renani dal 1794 al 1795 da parte dei funzionari del direttorio, Napoleone legalizzò tutte le cessioni di opere d'arte attraverso trattati in Italia. Le restituzioni amareggiarono i francesi, al punto che lo stesso Stendhal, in merito alla spedizione di un gruppo di dipinti verso Milano, scrisse "Gli alleati hanno preso 150 dipinti. Spero di essere autorizzato a osservare che noi li abbiamo presi attraverso il Trattato di Tolentino, gli alleati si prendono i nostri dipinti senza trattato"[58]. In altre parole, le acquisizioni francesi erano legalizzate attraverso trattati, le appropriazioni degli alleati erano mere confische.

Vecchio macellaio, ottenuto col Trattato di Tolentino, Louvre


Omero Caetani, marmo pentelico, ottenuto col Trattato di Tolentino; Louvre

Restituzione, smantellamento ed eredità

Imperatrice Sallustia Orbiana, ottenuta col Trattato di Tolentino, Louvre

L'mmacolata Soult di Murillo, dal nome del maresciallo francese Nicolas Jean-de-Dieu Soult che la requisì durante le guerre napoleoniche e la portò a Parigi, i cui eredi nel 1852 lo cedettero allo Stato francese (che l'acquistò per 615.300 franchi d'oro, la cifra più alta pagata fino ad allora per un quadro), venne collocata al museo del Louvre fino al 1941, quando la tela venne scambiata con il Ritratto di Maria Anna d'Austria di Diego Velázquez, e ceduta alla Spagna tra il Regime di Vichy e la Spagna di Francisco Franco.

Come ricordato, tra il 1814 ed il 1815 il Museo Napoléon venne smantellato (sebbene alcune opere vi rimasero intenzionalmente o dimenticate). Paul Wescher sottolineò ciò che rimase di quell’esperienza, scrivendo “Il grande Museo di Napoleone non finì tuttavia con la dispersione materiale dei suoi capolavori. Il suo esempio stimolante gli sopravvisse a lungo, contribuendo in modo decisivo alla formazione di tutti i musei europei. Il Louvre, museo nazionale di Francia, aveva dimostrato per la prima volta che le opere d’arte del passato, anche se raccolte dai principi, appartenevano in realtà ai loro popoli, e fu questo principio (con l’eccezione della collezione reale britannica) a ispirare i grandi musei pubblici dell’800.” Paul Wescher sottolineò ancora come “Il ritorno delle opere d’arte trafugate ebbe poi, di per se stesso, un effetto notevole e inatteso.... Esso contribuì a creare la coscienza di un patrimonio artistico nazionale, coscienza che nel ‘700 non esisteva.”

Nel 1994, l’allora direttore generale del Ministero dei Beni Culturali, Francesco Sisinni, riteneva che ci fossero le condizioni culturali per il rientro delle Nozze di Cana del Veronese. Nel 2010, lo storico Ettore Beggiatto, già assessore regionale del Veneto ai lavori pubblici e consigliere regionale per quindici anni, scrisse una lettera all'allora première dame Carla Bruni per sollecitare il ritorno dell’opera medesima.[59]

Diverse personalità pubbliche si sono pronunciate sulle opere oggi in Francia a seguito delle spoliazioni napoleoniche. Alberto Angela dichiara " È pieno di opere sottratte da Napoleone con i fucili spianati; quando giro tra quelle sale e leggo il cartellino Campagna d'Italia avverto un moto di fastidio profondo: vuol dire che è stata razziata"[60].

L'Egitto ha fatto richiesta di restituzione della Stele di Rosetta scoperta ed esportata dall'Egitto al British Museum dopo l'occupazione francese dell'Egitto. Zahi Hawass, autorità suprema per le antichità egiziane, all'indomani della restituzione da parte del Louvre delle pitture staccate dalla tomba Tetiki, sovrano della 18ª dinastia sepolto a Luxor che il Louvre aveva acquistato in violazione delle norme internazionali sulla circolazione di opere d'arte, ha affermato: «Non ci fermeremo. Ora vogliamo ottenere anche la restituzione di altri sei reperti conservati al Louvre, fra i quali lo Zodiaco di Dendera». Lo Zodiaco di Dendera venne tagliato e spostato in Francia durante la Restaurazione ed è oggi al Louvre.

Il catalogo del Canova

Canova aveva a disposizione una lista di quadri che erano stati portati in Francia.[61] Di sotto la lista riportata da più fonti francesi[62]. Da notare come alcune opere si persero durante il tragitto in Francia o non vennero mai rintracciate.[63] Canova si occupò principalmente di opere figurative e scultoree, lasciando da parte le arti minori.[64]

Luogo e data di prelievo Quadri prelevate Quadri riacquisite nel 1815 Opere rimaste in Francia Opere disperse
Milano. Maggio 1796 19 6 11 2
Cremona. Giugno 1796 6 2 4
Modena. Giugno 1796 20 10 10
Parma. Giugno 1796 15 12 3
Bologna. Luglio 1796 31 15 16
Cento. Luglio 1796 12 6 6
Livorno. Luglio 1796 1 0 1
Modena. Ottobre 1796 30 11 19
Loreto. Febbraio 1797 3 1 2
Perugia. Febbraio 1797 30 10 20
Mantova. Febbraio 1797 4 0 4
Foligno. Février 1797 1 1 0
Pesaro. 1796 7 3 4
Fano. 1797 3 0 3
Roma. 1797 13 12 1
Verona. Mai 1797 14 7 7
Venezia. Settembre 1797 18 14 4
TOTALE 1796-1797 227 110 115 2
Roma. 1798 14 0 14
Torino. 1799 66 46 20
Firenze. 1799 63 56 0 7
Torino. 1801 3 0 3
Napoli. 1802 7 0 7
Roma (San Luigi dei Francesi). 26 0 26
Parma. 1803 27 14 13
TOTALE 1798-1803 206 116 83 7
Savona. 1811 6 3 3
Genova. 1811 9 6 3
Chiavari. 1811 2 1 1
Levanto. 1811 1 1 0
La Sapienza. 1811 1 1 0
Pisa. 1811 9 1 8
Firenze. 1811 9 0 9
Parma. 1811 5 2 3
Foligno. 1811 1 1 0
Todi. 1811 3 2 1
Perugia. 1811 10 5 5
Milano (Brera). 1812 5 0 5
Firenze. 1813 12 0 12
TOTALE 1811-1813 73 23 50
TOTALE GENERALE 506 249 248 9

Rimaste in Francia (elenco parziale)

Opere ritornate (elenco parziale)

Ritornate in Austria (elenco parziale)

Galleria d'immagini

Note

  1. ^ Paul Wescher, I furti d'arte. Napoleone e la nascita del Louvre, Einaudi, Torino, 1988
  2. ^ a b c d e Marco Albera, I furti d'arte. Napoleone e la nascita del Louvre, Cristianità n. 261-262, 1997
  3. ^ Mauro Carboni, La spoliazione napoleonica Archiviato il 29 ottobre 2013 in Internet Archive.
  4. ^ B. Cleri, C. Giardini, L'arte conquistata: spoliazioni napoleoniche dalle chiese della legazione di Urbino e Pesaro, Artioli, 2010 ISBN 978-8877920881
  5. ^ L’ENORME RAZZIA DI OPERE D’ARTE FATTA IN ITALIA DA FRANCIA NAPOLEONICA E GERMANIA NAZISTA. PRIMA DI DAR LEZIONI DI EUROPEISMO RESTITUISCANO QUELLE MERAVIGLIE CHE RACCHIUDONO LA NOSTRA IDENTITA’, su Lo Straniero, 25 novembre 2018. URL consultato il 9 febbraio 2019.
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  7. ^ Steinmann, E., “Die Plünderung Roms durch Bonaparte”, Internationale Monatsschrift für Wissenschaft, Kunst und Technik, 11/6-7, Leipzig ca. 1917, p. 1-46, p. 29..
  8. ^ a b c d Steinmann, E., “Die Plünderung Roms durch Bonaparte”, Internationale Monatsschrift für Wissenschaft, Kunst und Technik, 11/6-7, Leipzig ca. 1917, p. 1-46, p. 29..
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Bibliografia

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Voci correlate

Collegamenti esterni

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