Livermorio

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Livermorio
   

116
Lv
 
               
               
                                   
                                   
                                                               
                                                               
   

moscovio ← livermorio → tennesso

Generalità
Nome, simbolo, numero atomicolivermorio, Lv, 116
Seriemetalli del blocco p
Gruppo, periodo, blocco16, 7, P
Configurazione elettronica
Configurazione elettronica
Configurazione elettronica
Termine spettroscopico4S3/2
Proprietà atomiche
Peso atomico293 u
Configurazione elettronica[Rn] 5f14 6d10 7s2 7p4
e per livello energetico2, 8, 18, 32, 32, 18, 6
Stati di ossidazione2, 4
Proprietà fisiche
Stato della materiapresumibilmente solido
Altre proprietà
Numero CAS54100-71-9
Energia di prima ionizzazione723,6 kJ/mol

Il livermorio (precedentemente noto col nome sistematico temporaneo ununhexio, o eka-polonio) è un elemento superpesante sintetico della tavola periodica, che ha come simbolo Lv e numero atomico 116.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il 6 dicembre 2000, la sintesi del livermorio è stata annunciata da un gruppo composto da scienziati russi del Joint Institute for Nuclear Research dell'Università di Dubna e scienziati statunitensi del Lawrence Livermore National Laboratory, coadiuvati dal personale del Research Institute of Atomic Reactors di Dimitrovgrad e dello State Enterprise Electrohimpribor di Lesnoj.

Il gruppo ha riportato di aver bombardato del plutonio-244 (elemento 94) con del calcio (elemento 20), producendo appunto atomi di Livermorio (elemento 116). Questi atomi, secondo quanto riportato, sono decaduti in flerovio (elemento 114) in 47 ms.

Il nome, assegnato nel dicembre 2011 dalla IUPAC, è in onore del Lawrence Livermore National Laboratory di Livermore, in California[1].

La scoperta del livermorio e dell'oganesson annunciata nel 1999 dal Lawrence Berkeley National Laboratory, è stata ritrattata in seguito allo scandalo della falsificazione delle prove da parte di un ricercatore (Victor Ninov).[2]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) iupac.org. URL consultato il 20 dicembre 2011 (archiviato dall'url originale il 4 febbraio 2012).
  2. ^ (EN) Rex Dalton, The stars who fell to Earth (PDF), in Nature 420, 2002.

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