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Vitigno
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Sinonimi{{{sinonimi}}}
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Bandiera dell'Italia Italia
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Voce principale: Milano.

La cucina milanese è fortemente caratterizzata dagli elementi del territorio, quali la risicoltura e l'allevamento di bovini e suini, e annovera numerosi piatti rigorosamente locali. Nello stesso tempo, il ruolo di centro di scambio come capoluogo di una vasta regione, ne ha fatto anche una sorta di sommatoria delle cucine e tradizioni gastronomiche della Lombardia, con in più influenze e scambi con quelle dei dominatori che si sono succeduti nel tempo.

Tra i piatti più noti vi sono il risotto giallo con lo zafferano, la cotoletta,[1] la cassoeula con vari tagli di maiale e verza, piatto calorico adatto alla stagione invernale (simile al bottaggio); tra i dolci abbiamo, il panettone, che altro non era che il pane[2] grande preparato in occasione delle solennità natalizie.

Prima dell'evento ricordato come "mucca pazza" erano molto diffusi l'ossobuco alla milanese e il fritto misto alla milanese (con cervella e animelle). Il fritto è quasi del tutto scomparso per la difficoltà di reperire gli ingredienti di base e la disabitudine al loro uso. Al di là di ciò, negli ultimi cinquant'anni vi è stata una progressiva omologazione del gusto milanese agli usi alimentari nazionali: meno diffusi i grassi animali, più olio tra i condimenti a scapito del burro, larga diffusione della pasta (prima usata soprattutto come involucro di ripieni) in tutti i suoi formati.[3]

Risaie a Vermezzo, alle porte di Milano. La risicoltura, nel XVI secolo, cambiò le abitudini alimentari milanesi

Storia

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Milano.
Un angolo del vecchio Verziere, nel 1920
Pollame in una salumeria di via Spadari 1930[4]
La peschiera dei giardini di via Guastalla, accanto alla Cerchia del Navigli

La cucina in epoca celtico-romana

La fertilità della terra e un'irrigazione efficace sino dai tempi dei Romani, che ha sempre reso abbondante il foraggio[5] con la conseguente disponibilità di bestiame da carne e da latte, sono i punti di partenza per una cucina ricca di ingredienti e con forte caratterizzazione stagionale. La storia di Belloveso e della migrazione dei Galli Biturgi che convissero con gli Insubri e fondarono Milano ci racconta le vicende di un territorio fertile, in grado di sfamare una popolazione numerosa. Gli ingredienti caratteristici dell'epoca pre-romana vennero quindi introdotti dai celti, ai quali si deve il primato della coltivazione di cereali come segale, orzo e grano, quest'ultimo dedicato alla produzione del pane bianco; tale tipo di agricoltura era resa particolarmente favorevole dalle pianure acquitrinose tipiche del territorio[6]. Ai celti si deve anche l'allevamento del maiale da cui si ricavava il lardo, utilizzato come condimento in numerosi piatti della tradizione locale. Fu proprio in tale epoca, quindi, che si delinearono i fondamentali indirizzi culinari che averbbero poi caratterizzato la cucina del territorio milanese nei secoli a venire: ne sono un esempio le pultes, impasti realizzati con farine di cereali e legumi e antenate della polenta[7] e la tecnica di cottura denominata stufatura[8].

I coloni romani mantennero la cucina celtica introducendo la carne di agnello e capretto[9].

Il Medioevo

L'Alto Medioevo rappresentò un periodo di decadenza per Milano e di conseguenza la sua cucina ne risentì. Tra il III e il IV secolo d.C., infatti, molte popolazioni invasero e saccheggiarono la città causando un pesante impoverimento degli abitanti, i quali dovettero ripiegare sull'utilizzo di ingredienti miseri, costituiti principalmente da prodotti da raccolta come bacche, radici ed erbe, inoltre la carne bovina venne temporaneamente abbandonata. Procopio di Cesarea descrive la drammatica situazione alimentare dei milanesi dell'epoca:

«Per la mancanza di cibo che molti non disdegnavano di mangiar cani, sorci ed altri animali abborriti prima per cibo dell’uomo»

A causa del dominio dei Longobardi, la differenza tra ricchi e poveri si fece sempre più evidente; infatti, mentre i ceti meno abbienti continuavano ad utilizzare ingredienti poveri nella loro cucina, verso l'VIII secolo la classe più ricca poté godere di una vasta abbondanza e varietà di cibarie (cereale, pollame e selvaggina) cotte nella creta secondo l'usanza longobarda[11].

Verso l'anno 1000 l'economia vide una forte ripresa di cui beneficiò anche l'agricoltura che tornò ad essere abbondantemente praticata. Emblematici di questa ritrovata ricchezza sono sicuramente i banchetti orditi dai canonici di Sant'Ambrogio come testimonia Pietro Verri, il quale racconta le pietanze consumate in tali occasioni:

(LA)

«in prima appositione, pullos frigidos, gambas de vino, et carnem porcinam frigidam: in secunda, pullos plenos, carnem vaccinam cum piperata, et turtellam de lavezolo: in tertia, pullos rostidos, lombolos cum panitio, et porcellos plenos»

(IT)

«Nella prima portata, polli freddi. gambe cotte col vino, e carne porcina fredda; nella seconda, polli ripieni, carne vaccina condita col pepe, e una piccola torta del laveggiuolo[12]; nella terza, polli arrostiti, lombetti col panico [o con pane gratuggiato][13], e salami»

Nel Pieno Medioevo, dal XI al XII secolo sono le scritture monastiche sulla compravendita di fondi e mulini (molandina) a dare l'idea della varietà di granaglie che entravano nella dieta, assieme a oli ottenuti da noci, lino o ravizzone.

È con Bonvesin de la Riva che il repertorio degli ingredienti diventa tanto dettagliato da far comprendere anche come questi potessero essere consumati[15]. Il racconto della complessa e capillare organizzazione dei mercati descrive una società divisa tra fornitori e consumatori non produttori, di gente che "andava a fare la spesa" e di come si nutriva. Sempre Bonvesin descrive nel suo De quinquaginta curialitatibus ad mensam del 1288 uno spaccato dei cibi, delle abitudini e dei comportamenti a tavola adottati dai milanesi.[16]. Importante testimonianza delle abitudini culinarie della nobiltà di questo periodo sono offerte dal dettagliato resoconto del banchetto offerto il giorno 15 giugno 1368 da Galeazzo Visconti e avvenuto nel palazzo dell'Arengario in occasione delle nozze della figlia Violante con Lionello, secondogenito di Edoardo III d'Inghilterra: diciotto copiose imbandigioni che comprendevano, tra i vari ingredienti, maiali, lucci, lepri e vitelli:

«Dirò l'imbandigione,
la prima porcelletti si se dava;
Erano tutti d'intorno dorati,
E per la bocca foco si mostrava.»

Ciò che cambia radicalmente l'agricoltura e soprattutto le abitudini alimentari dei milanesi è la diffusione della risicoltura attorno alla metà del XV secolo: essa è resa possibile su larga scala dalle grandi bonifiche viscontee e sforzesche nella bassa Milanese e nel Pavese. Nel 1475 Galeazzo Maria Sforza espresse il suo apprezzamento nei confronti del cereale quando donò dodici sacchi di semente al Duca di Ferrara Ercole I, sottolineando in una lettera come da ognuno si avranno dodici sacchi, al posto dei sette che si otterrebbero dal grano[18].

La dominazione spagnola

Tra il XVI e il XVII Milano subì la dominazione spagnola, la quale portò un periodo di depressione economica ma anche di piatti che sono poi entrati nella tradizione della cucina milanese come la cassoeula e i mondeghili. Piatti molto graditi dalla nobiltà erano uova cotte in acqua di rose, pesce al latte di mandorle e torta allo zafferano[19].

Tra i ceti meno abbienti, tuttavia, la situazione era decisamente diversa: guerre, peste, carestie, spopolamento dei campi e delle campagne erano i fattori che più contribuivano alla situazione di degrado che imperversava e che quindi influenzava inevitabilmente le abitudini alimentari del popolo; scriveva a tal proposito nel 1602 il canonico bolognese G. B. Segni:

«Di segatura sottile d'arbori giovani, come peri, meli, ceriegi e scorze loro in forno e polverizzate... con gramigna, rape e finocchio fermentato si compone una specie di pane che, essendo ben cotto, sostenta i poveri... Di sementi coltivanti, seccati e polverizzati , di castagne, di giande, di farina di ogni sorta di piante e di legumi... si cava una sorta di pane...»

Conseguenza di tale povertà dilagante fu l'adozione del mais nelle cucine della classe povera a causa del suo basso costo dovuto ad un rendimento ben maggiore di quello offerto dal grano, è quindi in questo periodo che la polenta rappresentò uno dei piatti tipici del popolo[21], veniva infatti consumata in quantità così elevate da provocare la pellagra[22].

La dominazione austriaca

Il XVIII secolo fu caratterizzato dalla presenza degli Austriaci. Durante tale periodo Milano e la Lombardia vissero anni finanziariamente floridi grazie alla considerevole quantità di investimenti agricoli che rimise in sesto l'economia locale. La cucina milanese venne quindi positivamente influenzata da questa ripresa economica e dall'avvento dell'Illuminismo che portò uno stile cuilinario più complesso e raffinato oltre che nuovi ingredienti esotici come caffè, cacao e , ma anche pomodori i quali fino al Settecento venivano usati solo come pianta ornamentale perché ritenuti velenosi[23]. Il cibo cominciò ad essere concepito anche come una componente culturale della società piuttosto che come un semplice mezzo di sostentamento o di piacere fisico; una tendenza di questo tipo è ritrovata in alcune lettere del filosofo Pietro Verri in cui egli elogia la delicatezza della cucina proposta durante il soggiorno presso la residenza di un amico e contemporaneamente disprezza quella dai sapori più forti:

«Le carni viscide o pesanti, l'aglio, le cipolle, le droghe forti, i cibi salati, i tartuffi, e simili veleni della natura umana sono interamente proscritti da questa mensa, dove le carni de' volatili e di polli, le erbe, gli aranci e i sughi loro principalmente hanno luogo»

Il periodo napoleonico

Il XIX secolo viene considerato come caratterizzato dalla presa di coscienza dell'importanza storica che la cucina milanese rivestiva nei confronti della tradizione cittadina; da questa consapevolezza emerse quindi l'esigenza di formare una letteratura che mantenesse viva la cultura gastronomica dell'epoca come ad esempio Il cuoco piemontese[25] ridotto all'ultimo gusto con nuove aggiunte ad uso anche della nostra Lombardia (1832) libro che riprendeva il precedente Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi aggiungendo ricette lombarde[26]. Altri scritti dell'epoca degni di nota sono Il cuoco senza pretese (1836) e La cucina facile, economica e salubre (1844)[27].

Nacquero in questo periodo locali più prestigiosi delle già esistenti osterie, destinati quindi all'alta borghesia: tra questi spiccano il Vauxhall sulla Strada Marina, noto soprattutto per l'ambiente raffinato ed esclusivo che era solito creare mediante un biglietto di ingresso dal prezzo proibitivo per chi non fosse benestante[28], e il Monte Tabor, celebre ristorante in zona Porta Romana che rappresentava una meta particolarmente interessante per i giovani dell'epoca, attratti in special modo dalle montagne russe costituenti parte integrante del locale[29]. Testimonianze importanti dei piatti preferiti dai ceti abbienti sono fornite dai menù che offrivano ristoranti e alberghi di lusso: l'esempio più rappresentativo è certamente quello della carta delle vivande offerta dal prestigioso Albergo Europa nel 1836, composto da ben 140 pietanze, tra cui la cotoletta (qui denominata semplicemente fritta), carni alla gradella (cioé alla griglia), polpette, arrrosti di tacchino e pesci lessi quali storione e trota. Tra i formaggi, erano censiti gorgonzola, grana e stracchino[27].

Dopo l'unità d'Italia

La Milano italiana affrontò, sul finire dell'Ottocento, un elevato incremento dell'industrializzazione e quindi della popolazione: si astistette a ingenti flussi migratori verso la città con conseguente aumento della disoccupazione e quindi della povertà; questa condizione si ripercosse inevitabilmente sulle classi operaie del territorio, le quali, come emerso dall'inchiesta che il ministro dei lavori pubblici Stefano Jacini promosse nel 1877, si nutrivano principalmente di polenta e baccalà fritto, accompagnati da pane di mistura e avanzi di salumeria[30].

La classe benestante, invece, continuava a godere di una cucina complessa, questa volta arricchita dal convogliare in città di alcuni cuochi molto prestigiosi che servivano le più note famiglie nobiliari quali Giuseppe Sorbiatti, inventore della moderna cotoletta alla milanese[31] e Carlo Molina, cuoco del conte Ernesto Turati[32]. Comincia in questi anni anche l'apertura verso tradizioni alimentari provenienti dall'estero, il cui esempio più emblematico è rappresentato dall'apertura della celebre azienda gastronomica Peck ad opera di un salumiere di Praga[33].

Il Novecento

Nella prima metà del XX secolo, la cucina milanese attraversò un periodo di crisi, nei ristoranti, infatti, le tradizioni culinarie meneghine vennero sostituite da quelle toscane, più saporite e genuine; fino al secondo dopoguerra, quindi, la gastronomia locale si ritrovava solamente nelle case e non più nei locali[34].

Bisogna attendere gli anni '70 per veder rifiorire la gastronomia meneghina grazie allo chef Gualtiero Marchesi, che nel 1977 aprì un locale di cucina tradizionale rivisitata ottenendo due stelle dalla guida Michelin e, nel 1986, il massimo punteggio dalla guida francese[35].

Ingredienti principali

Le carni

La carne è largamente presente nella cucina milanese della tradizione; tra le varietà più utilizzate si annoverano sicuramente la carne di bovino e di suino.

Alcuni piatti tradizionali, derivati dei periodi di carestia che la città ha attraversato, impiegano le parti "povere" di questi animali come animelle, cervella e fegati di manzo utilizzati nel fritto misto oppure la tempia di maiale per preparare il tradizionale piatto del giorno dei morti.

Carni suine

I piatti a base di maiale impiegati nella cucina milanese sono per la maggior parte invernali, poiché l'abbattimento del bestiame era previsto per l'autunno inoltrato. Le parti più utilizzate dell'animale sono quelle non adibite alla produzione degli insaccati come la cotica, il piede e la coda, tutte impiegate nella cassoeula, o la tempia che abbinata ai ceci costituisce il piatto tipico da consumare il giorno dei morti.

Gli antipasti

Oltre ai salumi, con caratteristiche assai varie secondo la provenienza dalle diverse aree attorno alla città, ricordiamo:

  • nervetti (nervitt), i tendini rotulei e dello stinco del vitello in insalata[36]
  • gamberi di fiume lessi
  • aspic, con gelatina di brodo di carne
  • galantina, di probabile origine francese, ritagli di pollame o cacciagione aromatizzati con pistacchi o altro e insaccati a mo' di spessa salsiccia o messi in gelatina[37]
  • Paté, pasticcio di fegato e burro, variamente aromatizzato (indispensabile il cognac), passato al setaccio e coperto o guarnito di gelatina
  • salame Milano, un insaccato di maiale a grana molto fine e di grosse dimensioni, tagliato sottile[38]
  • conserve sotto aceto delle verdure locali: cetrioli bianchi, cipolline, peperoncini verdi lunghi, pomodori acerbi, rape, giardiniera
  • acciughe sotto sale, dissalate e mangiate col burro e pane, ma soprattutto usate come ingredienti in varie salse.

Primi piatti

Risotto alla milanese (ris giald) e altri risotti

Riso Carnaroli, la varietà più adatta per preparare il risotto

La preparazione prevede soffritto leggero di cipolla e midollo di bue in burro, tostatura del riso Carnaroli o Maratelli, sfumatura con vino bianco e aggiunta di brodo a mestoli fino a cottura, continua mescolatura con cucchiaio di legno, a metà della quale si aggiungerà lo zafferano e il formaggio grattugiato e i gastronomi sono concordi. Le "interpretazioni" nascono sulla quantità e qualità degli ingredienti e su quale sapore fare emergere al momento della "spiattatura".

Varianti più comuni:[39]

  • senza lo zafferano (bianco, alla monzese)
  • con la zucca
  • con luganega (salsiccia) al posto del midollo
  • rosso, con pomodoro
  • con i funghi (freschi o essiccati, bianco o giallo)
  • cont i ortiggh (cime di luppolo)
  • con gli asparagi
  • con crostacei (un tempo code di gamberi di fiume)
  • con i legumi (fasoeu, borlott fagioli; scisger ceci o fave o piselli)
  • con gorgonzola (o altri formaggi morbidi al posto del grana)
  • al vino
  • mantecato (con più grana e burro crudo a cottura ferma)
  • con le rane (servivano quelle piccole, di fosso o risaia, ora introvabili)
Milano, (1920) un venditore di acciughe
Un venditore di gamberi (1920)

Le varianti si possono ricombinare a piacere.[40] Per il risotto avanzato, il "salto": formato un tortino basso, lo si fa scaldare in tegame con burro caldo in due tempi, fino alla formazione di una crosticina abbrustolita e compatta. I bravi cuochi sono in grado di rovesciare il tortino con un solo deciso gesto del polso, per l'appunto, un salto.

  • In cagnone (a la lodesana, lodigiana): una preparazione asciutta diversa dal risotto. Bollito in acqua, passato in tegame in burro, aglio e salvia e cosparso di abbondante grana; sia l'acqua di cottura, sia il soffritto di salvia si possono insaporire a piacere.[41]

Come "piatto unico" il risotto giallo si può accompagnare all'ossobuco, agli involtini, al rostin negaa, al manz in grass de rost, ai quaj (quaglie); bianco, a filetti di persico fritti in burro e salvia o in cotoletta.

Minestre in brodo

Il minestrone (minestron a la milanesa). Partendo da cotiche di maiale, pancetta a pezzettini e un battuto di lardo e la dote (sedano, prezzemolo e carote) in acqua fredda si aggiungono tutte le verdure disponibili in ordine inverso ai tempi di cottura, indispensabili fagioli (abbondanti) e patate; le verdure devono sobbollire per almeno due ore. Alla fine, la verza e il riso, cotto invece a fiamma vivace. Il disfarsi di alcuni ingredienti, renderà più corposo e saporito il brodo.[42]

"Fra noi, il riso si suole maritare con erbaggi e legumi e carnaggi...usanze che si possono dire quasi esclusivamente nostre",[43] dice il Cherubini passando all'elenco delle zuppe che ne comprende ben trenta, tra le quali ricordiamo le più caratteristiche:

  • riso e fave (ris e basgiàn)
  • riso e polmone (ris e corada)
  • riso e prezzemolo (ris e erborinn)
  • riso e latte (ris e lacc)
  • riso e rane (ris e rann)
  • riso e patate (ris e pomm de terra)
  • riso e fagioli o altri legumi (ris e fasoeu)
  • riso e biete (ris e meregold)
  • riso e rape ( ris e rav)
  • riso e asparagi (ris e sparg)
  • riso e pomodoro (ris e tomates)
  • riso e zucca (ris e zucch).

Altre:

Piatti di carne e di pesce

La lontananza del mare non ha mai impedito la presenza del pesce, naturalmente d'acqua dolce, nella cucina milanese. Già nel XII secolo esisteva un mercato del pesce, diviso in piccolo e grosso, davanti a Santa Tecla.[46][47] Il reticolo di fiumi, rogge, canali abbondava di pesce e più tardi, con la risicoltura, l'abbondanza crebbe ulteriormente, perché alla presenza dei pesci mangiatori di larve era affidato il controllo dei parassiti[48] La pesca era un'attività fiorente sui fiumi anche in forme professionali, ad esempio l'Olona dal 1780 venne diviso in tratte (otto nel 1811, sette fino alla darsena nel 1899, quando l'attività cominciava a essere compromessa dagli scarichi industriali) e furono queste a essere date in affitto dal Consorzio del fiume.[49]

  • Trippa in umido (busecca). In alternativa, può essere considerata una zuppa, un piatto unico o una pietanza. Rosolate per dieci minuti le trippe miste degli stomaci di vitello[50] in un soffritto di burro, lardo, cipolla, sedano a pezzetti, carote a fettine e salvia, si aggiunga acqua, un pezzo di coda di manzo, pomodoro e fagioli borlotti. Due ore e mezzo di cottura con coperchio, a fuoco lento lasciando riposare alla fine per potere "schiumare" (sgrassare); servire con abbondante formaggio grattugiato.[51] Una variante: foliolo coi borlotti, foijoeu cont i borlott.[52]
  • Cotoletta o costoletta alla milanese (coteleta): costoletta di vitello tagliata dal carré, con l'osso, impanata e fritta nel burro a fiamma vivace. Per una buona riuscita, di vitello giovane (civett), di spessore costante, frollata almeno un giorno, accuratamente mondata da ogni "legamento" con l'osso, sfibrata col batticarne. Passarle leggermente nell'uovo sbattuto e impanare in mollica non vecchia di pane bianco, appena prima della cottura; friggere in padella piatta col burro a color nocciola.[53]
  • Ossobuco (òsbus a la milanesa): trancio di stinco di vitello o manzo in umido. Infarinare leggermente e rosolare a fiamma vivace in burro su entrambi i lati, adagiare su un soffritto di cipolla, carote e sedano, con pomodoro, bagnare con vino bianco, coprire e fare cuocere a fuoco lento per un'ora e mezzo rabboccando con brodo. La cottura è a punto quando la carne si stacca dall'osso. Poco prima cospargere di gremolada (trito) di prezzemolo, poco aglio e rosmarino, con scorza di limone.[54] Da solo o, meglio, sul risotto giallo.
  • Cassoeula (bottaggio di verze) È la posciandra, antico piatto celtico (stufato di carni di maiale in verdure) descritto anche da Pietro Verri nella sua Storia di Milano con riferimento all'XI secolo e alla cottura rituale della vivanda propiziatrice della pioggia.[55] Cotture separate: breve per costine e salsicce (luganeghitt) e (più prolungata) per piedino, guancia, musetto, cotiche e parti più resistenti; frequenti sgrassature. Le verze, abbondanti, solo all'ultimo perché non si disfino. Servita su polenta.
  • Rustìtt negàa (letteralmente Arrostini annegati, nodini di vitello con burro e salvia, prima rosolati e poi annegati con vino e brodo, da cui il nome)
  • Fritto misto alla milanese:[56] cervella, animelle (laccett)[57], fegato e rigaglie di pollo.
  • Tempia di maiale e ceci (tempia e scisger) piatto tradizionale per il giorno dei morti e nel mese di novembre.
  • Polpette (mondeghili, polpett) di carne già cotta,[58] legate con pan grattato, uova, salame crudo o mortadella, prezzemolo tritato e spezie. Stufate avvolte in foglie di verza trattenute con filo di refe le seconde, o leggermente appiattite e fritte a fiamma vivace nel burro le prime[52]
  • Lumache alla milanese (sgusciate, con cipolla, acciughe e prezzemolo; aglio, farina e vino). Piatto dalla lunghissima preparazione, per il laborioso spurgo dei molluschi prima a freddo e poi a bollore. Per la cottura finale e perché il "sughetto" sia della giusta consistenza, un'ora a fiamma lentissima rimescolando di continuo
  • Rane fritte: ben lavate e asciugate con un panno, leggermente infarinate, ben dorate in burro spumante
  • Rane in guazzetto: si inizia come le precedenti, a fuoco vivo, lasciandole dorare per bene, poi si aggiunge vino bianco, si sfuma e si addensa con un po' di farina, aggiungendo un trito di prezzemolo e aglio. Si prosegue la cottura a fuoco lento rabboccando con brodo[60]
  • Luccio (''lusc'') in stufato.[61] Le carni, saporite ma tigliose, richiedono una lardellatura prima della cottura. Vivacemente rosolato su un letto di cipolla, carote e sedano, si continua la cottura sfumando di vino e tenendo umido con acqua a fuoco lento. Sfilettato, si irrora dal sughetto di cottura passato al setaccio[60]
  • Anguilla coi borlotti e Anguilla e pesci d'acqua dolce in carpione. Spellata e divisa a tocchi l'anguilla viene rosolata vivacemente con la salvia, irrorata di vino bianco e accompagnata con un po' di concentrato di pomodoro stemperato in acqua o brodo e dai borlotti già quasi cotti prima in acqua.[62] Per la marinatura, si prosegue la cottura iniziale, si dispongono i pezzi ben serrati in una terrina coperti dal carpione. Per quest'ultimo, soffriggere nel condimento usato per il pesce, alloro, rosmarino, chiodi di garofano, aglio, cipolla a rondelle, pepe. Aggiungere abbondante aceto e portare a ebollizione. Lasciare marinare l'anguilla per quattro giorni.[63]
  • Asparagi alla Milanese. Da un ortaggio molto comune nel territorio, sia coltivato sia spontaneo, una ricetta oramai universale, con formaggio grattugiato e uova in cereghin.[64]

Piatti della consuetudine

Comuni a tutta la regione e in genere alla Valle padana, altri piatti che si consumavano abitualmente sulle tavole milanesi. La polenta,[65] cibo di poveri e di ricchi a seconda di come la si accompagnava (polenta vedova, da sola,[66] polenta accomodada, condita o fritta): polenta e latte, polenta e formaggio (gorgonzola, stracchini) con o senza burro, polenta pasticciata, (pastizzada, con salsiccia, grana e funghi), polenta e merluzzo (piatto tipico del venerdì).[67]

Altro piatto importante nell'uso (soprattutto domenicale), il bollito misto, derivato probabilmente dalla tradizione piemontese, (less) accompagnato con mostarda o salsa verda.(prezzemolo, acciughe, aglio). Ancora carni: fritt de less (cotoletta di carne bollita avanzata), manz in grass de rost (manzo al grasso di arrosto), polpett de la serva, fegato alla milanese, involtini di vitello alla milanese, vitello tonnato, scaloppine di vitello al marsala o al prezzemolo, piccata di Vitello al prezzemolo, pulpet de la sigula, involtini di vitello ripieni di parmigiano, prosciutto e prezzemolo.

Verdure (funghi) impanate con uovo e fritte, cardi alla besciamella, fiori di zucca fritti, barbabietola rossa in insalata, pasticcio di patate, sformato di spinaci, oltre alle foglie e ai tuberi di stagione crudi o lessati e ai conosciutissimi asparagi alla milanese con uova al burro e formaggio grattugiato. Per le classiche uova, due modi nostrani nel definirle: al tegame col burro, in cereghin (in chierichetto), e sode, dimezzate, in ciappa (in chiappa).[68] Cotture tipiche: in frittata (fertada)[69], uova sbattute con pomodoro in padella, al tegame coi porri.

I formaggi tradizionali della cucina milanese, consumati per "accomodare" i cibi ma anche come pietanza, fanno riferimento a tipologie ben precise: il grana o formaggio da grattugiare (formagg de granna), nella varietà lodigiana, per ragioni di vicinanza geografica. Il gorgonzola e gli stracchini molli, il taleggio, il quartirolo e il mascarpone. Non manca il fritto: ricottina (mascherpa) fritta nel burro.[70]

Pane

La Micchetta, pl. micchett, è il pane bianco di farina di frumento in piccola pezzatura, tipico di Milano. Piccino e gentile lo diciamo micchetta, piccino e dozzinale micca, grosso miccotta o pagnotta. Il termine pan (pane) si riferisce esclusivamente a quello grosso da una libbra e vendesi a peso mentre micch e micchett si vendono a numero.[44] Essendo il frumento quello più apprezzato e costoso, un tempo si faceva il pane anche con farine mescolate a quelle di altri cereali (granturco, miglio, segale, orzo) o anche di legumi secchi come i ceci o farina di patate. La più nota di queste varianti è il pan de mej (pane di farina di granturco o di miglio), chiamato anche pan giald, pane giallo. Oggi la michetta è considerata "pane comune", quello più economico, e i gusti si sono evoluti verso forme più elaborate di panificazione, con particolare attenzione alle tipicità di altre regioni. Dal pane derivano ancora diverse varietà di prodotti da forno, con l'aggiunta per esempio di uvette, o diverse lievitazioni o piccole quantità di burro o altri condimenti per trasformarlo in pizze e focacce. Anche da questo punto di vista però la tradizione si è omologata alla media del paese e i prodotti in vendita nelle panetterie sono molto simili a quelli di tutto il resto d'Italia.

Dolci

Milano, castagnaccio a porta Nuova (1920)

Il panaton, panettone compare nel Varon Milanes, prima del 1606,[71] ed è così definito: pan grosso quale si suol fare il giorno di Natale; col tempo, la grafia muterà leggermente (panatton), ma non la ricetta: pasta di pane, burro, uova, zucchero, uva passerina (ughett), sottoposto[72] a una lievitazione più prolungata per conferirgli leggerezza; caratteristica anche l'incisione sulla faccia superiore (a mandorla) che con la cottura si apre a "molti cornetti". Oggi, con il pandoro di Verona è il dolce nazionale in occasione delle ricorrenze natalizie.[73]

La stagione autunnale porta la busecchina (letteralmente trippetta) dolce di castagne secche, ammollate per una notte bollite lentissimamente fino a che abbiano riassorbito quasi l'acqua di cottura e aggiungendo al ristrettissimo brodo un bicchiere di vino dolce: servite tiepide in ciotole, affogate nella panna liquida o guarnite da quella montata, o entrambe le cose. Il castagnaccio (pattona, pan de castegn) è prodotto da forno molto diffuso e ne esiste una versione milanese, ma le castagne e i loro venditori fanno parte dell'iconografia milanese della prima metà del secolo scorso: sono i fironatt,[74] venditori di collane di castagne affumicate, il Gigi della gnaccia o quel della gnaccia, i venditori di castagnaccio e quei di brusaa o di scott, i caldarrostai o i venditori di marroni lessati.[75]

Due torte della tradizione milanese sono la meneghina e la bertolda o bertuldina, entrambe da cuocere in teglia al forno: la prima con uova, farina bianca, farina di nocciole, latte, lievito e zucchero, mele da mescolare a spicchi nell'impasto prima della messa in forno. La seconda con farina bianca e farina gialla "fioretto" a grana molto fine, impastate con uova, abbondante burro fuso, latte, scorza di limone grattugiata, lievito. Di farina gialla, ma a grana grossa, anche il Pan Mejin, versione dolce e variamente arricchita del pane giallo.

La carsenza (crescenza) in dialetto indica sia il piccolo formaggio molle (stracchino) un tempo schiacciato e tondeggiante, sia le focacce salate o dolci tipiche del Capodanno come recita il Rajberti nella poesia più sopra. Il Banfi[76] ne ricorda sei: con uova e zucchero, con lo strutto, di pasta di bonbon, di pasta dura, frolla o di marzapane. Per la ricorrenza dei defunti si preparavano gli oss de mord (ossa da mordere) e gli oss o pan di mort (ossa o pane dei morti), entrambi a base di mandorle, durissimi i primi in forma di biscotti, più masticabili i secondi, tondi e simili nella forma al panforte[77].

Per carnevale, come un po' dappertutto, tortelli e chiacchiere, ma qui un tempo rigorosamente fritti, mentre oggi sono cotti al forno. Da ricordare due dolci poveri, che si preparavano in casa: la cutiscia, pastella di farina e acqua, un pizzico di bicarbonato per sostituire il lievito e un po' di zucchero, poi fritta in oli de linosa, olio di lino, oggi d'oliva[78] e la frittura dolce, a base di semolino:[79] l'aggiunta di un cucchiaino di cacao tra gli ingredienti ne darà la variante al gusto di cioccolato.

Un tonico, più che un dolce, la intraducibile rossumada a ressumada: tuorlo d'uovo sbattuto con zucchero e vino rosso, per gli adolescenti in crescita e le persone affaticate; faceva parte di quelli che oggi chiamiamo i "rimedi della nonna" che non vanno assolutamente somministrati a minorenni. Si può fare anche con marsala[80] o brodo[81]. Ha un inventore, invece, Domenico Barbaja, la barbajada, la bevanda di cioccolato, caffè e latte che dalla metà dell'Ottocento accompagna la degustazione dei dolci milanesi.[82]

Specialità difficilmente classificabili

  • Cervellaa, la cervellata. In milanese, salumieri o pizzicagnoli si chiamano cervellee e il termine è legato per l'appunto alla cervellata, "una sorta di salsiccia alla Milanese", dice il Vocabolario della Crusca nell'edizione, la quarta, del 1729[83] che tutti producevano e su cui si misurava la loro abilità. Il problema nasce dal fatto che, a quanto pare,[84] di cervella non ce n'era. Questa "salsiccia" è citata, nel XV secolo, nel Libro de arte coquinaria di Maestro Martino[85], che forse ne è anche l'inventore. Nel primo capitolo, tra gli ingredienti (coscia magra di maiale o di vitello, buon grasso di porco o di vitello battuti il più finamente possibile al coltello, cacio vecchio e cacio grasso, buone spezie, due o tre uova, zafferano, il tutto accuratamente mescolato e insaccato in budello di maiale e legato lungo o curto come vuoi) la cervella non compare. È il Cherubini ad argomentare nell'Ottocento che troppi sarebbero stati i maiali da macellare, vista l'esigua dimensione del loro cervello, per soddisfare la pretesa di aggiungerne anche solo un poco nella diffusissima produzione dell'insaccato[86] e opina che, forse, nell'antichità si era potuto fare e il nome era poi sopravvissuto. Secondo Maestro Martino era da consumarsi lessata, ma ancora nel XIX secolo era usata come "base" nella confezione di diversi piatti che richiedevano un soffritto iniziale (per esempio nel risotto) o per preparare brodi. La sua produzione si ridusse fino a sparire alla metà del secolo scorso: oggi è ricomparsa tra le specialità della più nota salumeria-gastronomia di Milano, proprio nella ricetta quattrocentesca.
  • Torta alla milanese.[87] Di un altro grande gastronomo, l'Artusi, è la ricetta di questa specialità che nonostante il nome e alcuni degli ingredienti non è un dolce. Si parte da carne magrissima lessata o arrostita tritata finissima al tagliere, la si mescola con cioccolata sciolta, aggiungendo pinoli e uva sultanina e mettendo al forno tra due strati di pasta frolla. "Non ha bastanti meriti per figurare in una tavola signorile e per piatto di famiglia è alquanto costoso", commenta l'Artusi stesso, ma ne fornisce la ricetta come specialità meneghina.

Vini

Milano e il suo territorio non hanno viticoltura, se si eccettua San Colombano, amministrativamente milanese ma più vicina a Lodi. Non è stato sempre così: leggendo i due Brindisi di Meneghino all'osteria di Carlo Porta,[88] si scopre un lungo elenco di terre e vigneti all'intorno della città, qualcuno addirittura in quella che oggi consideriamo l'area urbana, e il poeta ne magnifica le qualità paragonandoli addirittura con i grandi vini del continente. Certamente una campanilistica "licenza poetica", ma sappiamo che tutto l'Alto Milanese, prima della bonifica Villoresi, fino alla fine del XIX secolo, aveva la viticoltura come attività agricola preminente.[89]. El vin nostran non era sufficiente comunque ai consumi milanesi e si ricorreva all'importazione, sia dalla regione, sia da quelle vicine sia, infine, di robusti vini da taglio dal Meridione e ancora oggi trani è sinonimo di osteria e tranatt è l'ubriacone. Nelle osterie venivano serviti anche piatti caldi, in particolare la trippa; un vecchio detto milanese in latino maccheronico recita infatti: post crostinum vinum, post vinum crostinum, è meglio ber a stomaco pieno[90]

Note

  1. ^ Le espressioni dialettali usate, sono riprese dal "Vocabolario milanese-italiano" di Francesco Cherubini, edizioni 1814, 1839 e 1841, che su ingredienti, cibi e cucina molto si diffonde (da Google Libri); le altre ripropongono, nella grafia originale, espressioni degli autori direttamente citati
  2. ^ "Te se'l el dolz el pussee san, perché fioeu del santo pan" (trad: Sei il dolce più sano, perché figlio del santo pane) Giuseppe Fontana, Ode al panettone, sestine, 1938
  3. ^ Le descrizioni riportate di seguito rispecchiano invece meticolosamente le ricette della tradizione di volta in volta citate
  4. ^ L'esercizio esiste ancora oggi ed è la più nota "salumeria" di Milano
  5. ^ Riprendere le marcite
  6. ^ Guatteri 2004, pp. 2-3
  7. ^ Marco Gavio Apicio, De re coquinaria.
  8. ^ Marco Riva, Rossano Nistri e Domenica Paoloazzi, Codice della cucina lombarda, Milano, 2011, p. 89.
  9. ^ Guatteri 2004, p.4
  10. ^ Procopio di Cesarea, Storia delle guerre, VII, IV secolo, p. 21.
  11. ^ Guatteri 2004, p.10
  12. ^ sorta di pasticcio ripieno
  13. ^ ritenuta l'antenata dell'odierna cotoletta
  14. ^ Pietro Verri, Storia di Milano, Milano, 1783, p. 167.
  15. ^ Bonvesin de la Riva, De magnalibus urbis Mediolani, IV, 1288.
  16. ^ Bonvesin de la Riva, De quinquaginta curialitatibus ad mensam, 1288.
  17. ^ Bonamente Aliprandi, Chronicon Mantuanum Poema, II, 1414.
  18. ^ Lettera a Nicolò de Roberti (oratore di Ercole I), settembre 1475
  19. ^ Giovanna Cavallazzi, Gau Falchi, La storia di Milano, Zanichelli, 1989.
  20. ^ Il pane e la morte - Alimentazione e rituali agrari, su geocities.ws.
  21. ^ Franco Cazzola, L'introduzione del mais in Italia e la sua utilizzazione alimentare, p. 109.
  22. ^ Francesco Frapolli, Animadversiones in morbum vulgo pellagram, Milano, 1771.
  23. ^ Guatteri 2004,p.16
  24. ^ Gulio Carcano, Scritti vari di Pietro Verri, II, Firenze, Felice Le Monnier, 1854, p. 180.
  25. ^ I piemontesi erano ritenuti eccellenti cuochi in quanto di cultura gastronomica molto vicina a quella francese
  26. ^ Giovanni Silvestri, Il cuoco piemontese ridotto all'ultimo gusto con nuove aggiunte ad uso anche della nostra Lombardia, V, Milano, 1825.
  27. ^ a b Guatteri 2004, p.17
  28. ^ Rosanna Pavoni, Cesare Mozzarelli, Milano 1848-1898: Tra un regno e l'altro, Marsilio Editori, 2000, p. 245.
  29. ^ Francesco Pirovano, Nuova guida di Milano, Milano, 1824, p. 432.
  30. ^ Francesco Nobili-Vitelleschi, Atti della giunta per la inchiesta agraria sulla classe agricola, Roma, 1883.
  31. ^ Giuseppe Sorbiatti, Gastronomia Moderna, Milano, 1855.
  32. ^ Aldo Barilli, Il ventre di Milano, Milano, Longanesi, 1977, p. 16.
  33. ^ Gaetano Afeltra, Storia di Peck, lo "Sbafing Club" dei milanesi, su archiviostorico.corriere.it, 21 febbraio 1999. URL consultato il 4 settembre 2014.
  34. ^ Guatteri 2004, p.18
  35. ^ Biografia di Gualtiero Marchesi, su gualtieromarchesi.it. URL consultato il 4 settembre 2014.
  36. ^ Insalata di nervetti-tradizioni gastronomiche-LOMBARDIA
  37. ^ Ricette cucina, Galantina di pollo in gelatina
  38. ^ Il panino perfetto | Panino d'autore - il blog del panino gourmet by Negroni
  39. ^ I riferimenti successivi sono tratti da Giuseppe Fontana, Martino Vaona, Milano a tavola, Gianni Brera, Ermanno Sogliani, Il cucchiaio d'argento
  40. ^ Fa on risott, in milanese significa "fare confusione"
  41. ^ F. Cherubini: con acciuga
  42. ^ Ricetta ricavata da El minestron, di Giuseppe Fontana. Il Fontana, gastronomo e poeta milanese, fu chef del ristorante Savini, in Galleria a Milano, dal 1905 al 1929
  43. ^ Francesco Cherubini, Vocabolario milanese-italiano, 1841
  44. ^ a b Cherubini, 1841
  45. ^ Fabiano Gualtieri, La cucina milanese, pag.105, Ulrico Hoepli, Milano, 2004
  46. ^ È l'area che, secoli più tardi diventerà piazza del duomo
  47. ^ Spinelli Marina, Uso dello spazio e vita urbana a Milano tra XII e XIII secolo: l'esempio delle botteghe di piazza Duomo, in Paesaggi urbani dell'Italia padana nei secoli VIII-XIV, Capelli, Bologna 1988, pp. 253-273
  48. ^ Alla monda, manuale, l'estirpazione di vegetali estranei. Oggi i due compiti sono affidati ad antiparassitari e a diserbanti selettivi chimici
  49. ^ Macchione
  50. ^ L'avviso delle osterie Giovedì trippa nasceva dal ritmo lavorativo del macello cittadino: i bovini si macellavano nella notte sul lunedì e mentre le frattaglie fresche (cervella, animelle, fegato eccetera) raggiungevano i beccai il lunedì stesso, le trippe bisognose di una lunga lavorazione e precottura, giungevano sui banconi all'alba del giovedì
  51. ^ M. Vaona, La cusinna de Milan
  52. ^ a b Milano a Tavola
  53. ^ Consigli di Giuseppe Fontana (I cotelett a la milanesa)
  54. ^ Suggerimenti di Giuseppe Fontana: I òsbus a la milanesa
  55. ^ http://www.anticacredenzasantambrogiomilano.org/link/default.htm La cucina, la "posciandra"
  56. ^ Sulla predilezione della cucina milanese per i fritti, citiamo un vecchio adagio: "Fritt in bonn anca i sciavatt" (fritte sono buone persino le ciabatte)
  57. ^ <"Ch'è un mangiar delicato", F. Cherubini
  58. ^ Frusta, la definisce il Cherubini.
  59. ^ da L'arte di convitare spiegata al popolo
  60. ^ a b Milano a tavola
  61. ^ in milanese lusc vale anche scaltro, furbo, svelto, per la difficoltà del pesce nel farsi catturare
  62. ^ Milano a tavola, pag. 51
  63. ^ Per altre qualità di pesce possono variare gli aromi, ma il procedimento è identico. Ermanno Sagliani
  64. ^ Cletto Arrighi, òna bonna spargiada (una scorpacciata di asparagi)
  65. ^ Solitamente preparata con farina gialla a grana medioalta e consistente; scodellata è alta e lascia sulle pareti del paiolo una ghiotta crosta dorata; altrimenti, polentina: Ermanno Sagliani, op. citata
  66. ^ Insaporita sfregandola su un'aringa affumicata, Brera, op citata; mangià pan e polenta, proverbio milanese
  67. ^ Usuale, ma di evidente importazione; nessun vocabolario ottocentesco (Cherubini, Arrighi, Banfi) riporta la parola merluzz
  68. ^ Per estensione, ciapp è anche il giorno di Pasqua: sô su i uliv, acqua sui ciapp (sole sulle palme, acqua su Pasqua), proverbio milanese
  69. ^ Giuseppe Banfi ne ricorda cinque come abituali sulle mense milanesi: a la certosinna, cont el salam o rognosa (col salame, detta "rognosa"), cont i erb amar (erbe amare), cont el ripien (ripiena di trippa), cont i scigol (con le cipolle)
  70. ^ Cherubini
  71. ^ http://www.digitami.it/risorsa.srv?docId=88
  72. ^ Cherubini, Banfi, Arrighi, Fontana, opere citate
  73. ^ La produzione natalizia supera largamente i cento milioni di pezzi http://www.dolceitalia.net/aidinforma.asp?id=70
  74. ^ Il firon, in milanese è la spina dorsale e le lunghe trecce a quattro fili di castagne, la ricordano
  75. ^ Il piccolo commercio ambulante a Milano è stato diffuso almeno fino agli anni settanta: Raffaele Carrieri, opera citata, pagine 156-158 e Milano, il volto della città perduta pagine 426-435
  76. ^ opera citata
  77. ^ Per entrambi, http://www.anticacredenzasantambrogiomilano.org/link/default.htm Cucina
  78. ^ http://www.asl.como.it/anziani/upload/ricette_sito_anziani.pdf pagina 86
  79. ^ Frittura dolce - Le ricette della nonna
  80. ^ Era stato il modello per i numerosi marsala e liquori all'uovo che sono stati commercializzati fino al secolo scorso per le loro "proprietà benefiche"
  81. ^ Cherubini, opera citata
  82. ^ http://www.comune.milano.it/portale/wps/wcm/jsp/fibm-cdm/FDWL.jsp?cdm_cid=com.ibm.workplace.wcm.api.WCM_Content/ATTIVITAPRODUTTIVE_DECO_ParteSeconda/50844900494add3e8fcacf9c8589a8c0/PUBLISHED&cdm_acid=com.ibm.workplace.wcm.api.WCM_Content/Scheda%20Barbajada%20-%205acbfc80494afacd93a7d79c8589a8c0/5acbfc80494afacd93a7d79c8589a8c0/false
  83. ^ Nel 1691 (terza edizione), la definizione era semplicemente "Sorta di salsiccia"; nella quinta 1863 diventa: "Sorta di salsiccia alla milanese, fatta di carne e di cervelli triturati e imbudellati con spezierie ed altro"
  84. ^ Cherubini, Arrighi e altri
  85. ^ Nel testo conservato all'Università di Marburg, in Germania, nella versione curata da Candida Martinelli http://italophiles.com/maestro_martino.pdf
  86. ^ <"...propiissimo cibo di Milano", lo definisce nel 1606 la seconda edizione del Varon Milanes, in una grafia leggermente diversa, sciervelaa
  87. ^ Pellegrino Artusi, ricetta n.642 da La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene
  88. ^ 1810, Ditiramb per el matrimoni di S.M. l'Imperador Napoleon... e 1815 Per l'entrada in Milan de sova S.C. Maistaa I.R.A. Francesch primm...
  89. ^ Terren de vin, terren de poverin (in italiano: terreno da vino, terreno da poveri). Le stesse ragioni che ne hanno portato all'espianto non facevano dei vigneti un'attività redditizia. Banfi, opera citata
  90. ^ Cherubini, 1840.

Bibliografia

  • Francesco Cherubini, Vocabolario milanese-italiano, Stamperia Reale, Milano, 1814
  • Giuseppe Banfi, Vocabolario Milanese-Italiano: ad uso della gioventù, presso la Libreria di educazione di Andrea Ubicini, Milano, 1857 (da Google Libri)
  • Cletto Arrighi, Dizionario milanese-italiano con repertorio italiano-milanese, Hoepli, Milano, ristampa 2005 (da Google Libri)
  • La cusinna de Milan, Giuseppe Fontana, editrice La Prora, Milano, 1938
  • Raffaele Carrieri, Milano, 1865- 1915, Edizioni della Chimera, Milano, 1945
  • Il cucchiaio d'argento, Editoriale Domus, Milano,1950
  • Fontana, Le ricette del Savini 1967, Brenner editore, Milano.
  • Martino Vaona, La cusinna de Milan, Milano, Libreria Milanese, 1988.
  • AA. VV., 2000, i ristoranti d'Italia, Roma, Le guide dell'Espresso, 1999.
  • AA. VV., 2011, i ristoranti d'Italia, Roma, Le guide dell'Espresso, 2010.
  • AA. VV., Milano a tavola, Milano, Libreria Milanese, 2002.
  • AA. VV., 2011, i ristoranti d'Italia, Roma, Le guide dell'Espresso, 1999.
  • Gianni Brera e Luigi Veronelli, La pacciada, mangiarebere in pianura padana, Milano, Mondadori,1972
  • Gennaro Barbarisi, Guido Bèzzola (a cura di), Carlo Porta, poesie con testo a fronte, Aldo Garzanti editore, Milano, 1975
  • Guida d'Italia - Milano, Touring Club Italiano9, 1985
  • Ermanno Sagliani, La tradizione gastronomica italiana, la Lombardia, Edizioni Sipiel, Milano, 1991
  • Arcano, Motti e detti milanesi, La Martinella di Milano, Libreria Milanese, Milano, 1994
  • Enciclopedia di Milano, Milano, Franco Maria Ricci Editore, 1997.
  • Bonvesin da La Riva, De magnalibus Mediolani, testo critico, traduzione e note a cura di Paolo Chiesa, Libri Scheiwiller, Milano, 1998
  • Paolo Accomo, La storia del riso in http://www.risoitaliano.org/ , 2004
  • Giovanna Cavallazzi, Gau Falchi, La storia di Milano, Zanichelli, 1989.
  • Marco Gavio Apicio, De re coquinaria, I sec. d.C..
  • Fabiano Guattieri, La cucina milanese, Ulrico Hoepli Editore Milano, Milano, 2004
  • Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l'arte del mangiar bene
  • Pietro Verri, Storia di Milano, Milano, 1783.
  • AA VV, Gambero Rosso Milano2011, Gambero Rosso editore, Roma, 2010
  • Fabiano Guatteri, La cucina milanese, Milano, Hoepli Editore, 2004.

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Sintassi

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  • colore = Inserire il colore della bacca.
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  • regione_{{{paese}}}2 = Vedi il parametro precedente. Possono essere inseriti al massimo 12 parametri regione.
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  • DOC = Inserire il nome di un vino DOC prodotto con questo vitigno tra parentesi quadre.
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  • IGT = Inserire il nome di un vino IGT prodotto con questo vitigno tra parentesi quadre.
  • IGT2 = Vedi sopra. Possono essere inseriti al massimo 19 parametri IGT.
  • paese2 = Inserire il codice ISO a tre lettere di un paese in cui è coltivato il vitigno. Possono essere inseriti al massimo 6 paesi.
  • regione_{{{paese2}}} = Regole analoghe al parametro regione_{{{paese}}}.
  • denominazione = Inserire la denominazione (l'equivalente delle DOCG, DOC o IGT) utilizzata nel parametro paese2 senza le parentesi quadre
  • vino_{{{denominazione}}} = Inserire un vino della denominazione indicata al parametro precedente tra le parentesi quadre. Il nome del parametro è costruito così: vino_{{{parametro denominazione}}} (senza le parentesi graffe). Esempio: se denominazione=AOC, il parametro sarà vino_AOC.
  • vino_{{{denominazione}}}2 = Vedi parametro precedente. Possono essere inseriti al massimo 7 vini per ogni denominazione.
  • denominazione2 = Vedi parametro denominazione. Possono essere inserite al massimo 3 denominazioni per paese e devono essere indicate così:

per il paese2 possono essere inseriti i parametri da denominazione a denominazione3;
per il paese3 possono essere inseriti i parametri da denominazione4 a denominazione6;
per il paese4 possono essere inseriti i parametri da denominazione7 a denominazione9;
per il paese5 possono essere inseriti i parametri da denominazione10 a denominazione12;
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  • no_denominazione = Inserire il nome di un vino senza denominazione tra le parentesi quadre.
  • no_denominazione2 = Vedi parametro no_denominazione. Possono essere inseriti al massimo 7 vini senza denominazione per ogni paese e devono essere indicati così:

per il paese2 possono essere inseriti i parametri da no_denominazione a no_denominazione7;
per il paese3 possono essere inseriti i parametri da no_denominazione8 a no_denominazione14;
per il paese4 possono essere inseriti i parametri da no_denominazione15 a no_denominazione21;
per il paese5 possono essere inseriti i parametri da no_denominazione22 a no_denominazione28;
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  • foglia = Caratteristiche della foglia (es. Foglia media, Foglia pentalobata, Foglia trilobata)
  • grappolo = Caratteristiche del grappolo (es. Grappolo compatto, Grappolo medio, Grappolo cilindrico, Grappolo piramidale)
  • acino = Caratteristiche dell'acino (es. Acini di dimensione media, Acini grandi, Acini ovoidali, Buccia pruinosa)
  • vino = Caratteristiche del vino con vinificazione in purezza (es. e Rosso rubino. Al palato è Caldo, Fruttato, tannico).
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(legenda colori)

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Esempi d'uso

Vitigno
Dettagli
SinonimiWikipedia
Paese di origineBandiera dell'Italia Italia
Colorerosso
Bandiera dell'Italia Italia
Regioni di coltivazioneLombardia
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