Macalda di Scaletta: differenze tra le versioni

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===Macalda nelle cronache aragonesi===
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[[File:Beatrix karlove.jpg|thumb|280px|[[Carlo I d'Angiò|Carlo d'Angiò]]]]
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Varie sono le sfumature della figura di Macalda nelle fonti coeve: [[Bartolomeo di Neocastro]], nella sua ''[[Historia Sicula]]'', si mostra a lei particolarmente avverso, ispirato da evidenti motivi politici: dopo il successo della rivolta [[ghibellini|ghibellina]] del Vespro, pur essendosi schierata con i vincitori, «Macalda rappresenta i nobili siciliani di [[Guelfi|tradizione guelfa]] che si erano espressi nella ''[[Communitas Siciliae|Comunitas Siciliae]]''»<ref name="Fiume176"/>, un effimero esperimento politico di autonomismo che aveva preceduto l'avvento aragonese. Tuttavia c'è chi crede che questo non sia sufficiente a giustificare l'astio del cronista, la cui narrazione su Macalda diventa «particolarmente velenosa, al punto di giustificare il sospetto che l'austero e dotto storico messinese sia stato una delle vittime del fascino della donna»<ref name="Fiume175">Marinella Fiume, ''Siciliane. Dizionario biografico'', E. Romeo, 2006 ISBN 9788874280575 (p. 175)</ref>.


Varie sono le sfumature che la figura di Macalda assume nelle fonti coeve: [[Bartolomeo di Neocastro]], nella sua ''[[Historia Sicula]]'', si mostra a lei particolarmente avverso, ispirato da evidenti motivi politici: dopo il successo della rivolta [[ghibellini|ghibellina]] del Vespro, pur essendosi schierata con i vincitori, «Macalda rappresenta i nobili siciliani di [[Guelfi|tradizione guelfa]] che si erano espressi nella ''[[Communitas Siciliae|Comunitas Siciliae]]''»<ref name="Fiume176"/>, un effimero esperimento politico di autonomismo che aveva preceduto l'avvento aragonese. Tuttavia, c'è chi crede che questo non basti a giustificare l'astio del cronista, la cui narrazione su Macalda diventa «particolarmente velenosa, al punto di giustificare il sospetto che l'austero e dotto storico messinese sia stato una delle vittime del fascino della donna»<ref name="Fiume175">Marinella Fiume, ''Siciliane. Dizionario biografico'', E. Romeo, 2006 ISBN 9788874280575 (p. 175)</ref>.
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È stato finemente notato come Desclot, in questo passo, abbia leggermente corretto il tiro rispetto a una precedente versione della sua ''Crònica'', operando una sottile [[autocensura]] a fini di [[propaganda|propagandistica]]: in una prima stesura, infatti, Macalda era definita ''leyal'' (leale); poi, dopo la caduta in rovina della donna per il suo presunto complottismo, quell'attributo non era, evidentemente, più utilizzabile in maniera neutra, e fu quindi sostituito con «bella»<ref>[[Ferran Soldevila|Ferran Soldevila i Zubiburu]], ''[[Pietro II d'Aragona|Pere II el Gran]]: el desafiament amb [[Carlo I d'Angiò|Carles d'Anjou]]'', [[Estudis Universitaris Catalans]], IX (1915-1916). Monografia pubblicata in ritardo, con separata tiratura, il 1919, dopo la [[prima guerra mondiale|Grande Guerra]] (ora in: Ferran Soldevila i Zubiburu, ''El desafiament de Pere el Gran amb Carles d'Anjou'', Barcelona, 1960)</ref>

È stato finemente notato come Desclot, in questo passo, abbia leggermente corretto il tiro rispetto a una precedente versione della sua ''Crònica'', operando una sorta di sottile [[autocensura]] a fini [[propaganda|propagandistica]]: in una prima stesura, infatti, Macalda era definita ''leyal'' (leale); poi, caduta in rovina la donna per il suo presunto complottismo, quell'attributo non era evidentemente più utilizzabile in maniera neutra, e fu quindi sostituito con «bella»<ref>[[Ferran Soldevila|Ferran Soldevila i Zubiburu]], ''[[Pietro II d'Aragona|Pere II el Gran]]: el desafiament amb [[Carlo I d'Angiò|Carles d'Anjou]]'', [[Estudis Universitaris Catalans]], IX (1915-1916). Monografia pubblicata in ritardo, con separata tiratura, il 1919, dopo la [[prima guerra mondiale|Grande Guerra]] (ora in: Ferran Soldevila i Zubiburu, ''El desafiament de Pere el Gran amb Carles d'Anjou'', Barcelona, 1960)</ref>


====Virtù militari di Macalda====
====Virtù militari di Macalda====
Sulle virtù militari della donna, sottolineate da [[Bernat Desclot|Desclot]], e sul suo portamento marziale, la [[tradizione (filologia)|tradizione]] su Macalda è concorde.
Sulle virtù militari della donna, sottolineate da [[Bernat Desclot]], e sul suo portamento marziale, la [[tradizione (filologia)|tradizione]] su Macalda è concorde.
Anche altri autori, anche quando non ispirati da una pari benevolenza, se non addirittura animati da aperta ostilità, convergono nel definirla valorosa nelle armi e capace di districarsi con eroico coraggio tra i pericoli della guerra<ref name="Amico458">[[Vito Maria Amico|Vito Amico]], ''Dizionario topografico della Sicilia'', Volume 2, tradotto dal [[lingua latina|latino]] da Gioacchino Di Marzo, Ed. Salvatore di Marzo, 1859 (Nota del curatore, p. 458)</ref>.
Altri autori, anche quando non ispirati da benevolenza, se non addirittura animati da aperta ostilità, convergono nel definirla valorosa nelle armi e capace di districarsi con eroico coraggio tra i pericoli della guerra<ref name="Amico458">[[Vito Maria Amico|Vito Amico]], ''Dizionario topografico della Sicilia'', Volume 2, tradotto dal [[lingua latina|latino]] da Gioacchino Di Marzo, Ed. Salvatore di Marzo, 1859 (Nota del curatore, p. 458)</ref>.


===Il primo matrimonio con Guglielmo d'Amico===
===Il primo matrimonio con Guglielmo d'Amico===
La giovanissima Macalda fu presa in moglie da [[Guglielmo Amico]], già [[barone]] di [[Ficarra]], poi spogliato dei beni ed esule al tempo degli Svevi<ref name="Amari174"/>, il quale inutilmente sperava, con queste sue seconde nozze, di rientrare in possesso del feudo perduto di Ficarra.
La giovanissima Macalda fu presa in moglie da [[Guglielmo Amico]], già [[barone]] di [[Ficarra]], poi spogliato dei beni ed esule al tempo degli Svevi<ref name="Amari174"/>, il quale inutilmente sperava che le seconde nozze gli permettessero di rientrare in possesso del feudo perduto di Ficarra.


Le sue speranze si rivelarono però mal riposte: Guglielmo Amico cadde in disgrazia e concluse la sua esistenza ridotto in povertà. La vedova Macalda, senza rimpianti, abbandonò il marito morente nell'Ospedale dei [[Templari]], e si mise a vagare a lungo in abito di [[frate minore]], soggiornando in varie provincie tra [[Messina]] a [[Napoli]], esibendo un contegno non impeccabile<ref name="Amari174">[[Michele Amari]], ''La guerra del vespro siciliano o Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII'', Volume 1, Tipografia Helvetica, 1845 (p. 174)</ref>. A Napoli, in particolare, intrecciò una relazione di natura [[incesto|incestuosa]] con un suo parente. Tornata a Messina si infilò non riconosciuta in casa di un altro parente, con il quale impegnò una nuova relazione sessuale al limite dell'[[incesto]].
Le sue speranze si rivelarono però mal riposte: Guglielmo Amico cadde in disgrazia e concluse la sua esistenza ridotto in povertà. La vedova Macalda non ebbe rimorsi: abbandonò senza rimpianti il marito morente nell'Ospedale dei [[Templari]], e si mise a vagare a lungo in abito di [[frate minore]], soggiornando in varie provincie tra [[Messina]] a [[Napoli]], ed esibendo un contegno non impeccabile<ref name="Amari174">[[Michele Amari]], ''La guerra del vespro siciliano o Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII'', Volume 1, Tipografia Helvetica, 1845 (p. 174)</ref>. A Napoli, in particolare, avrebbe intrecciato una relazione di natura [[incesto|incestuosa]] con un suo parente. Tornata a Messina si infilò non riconosciuta in casa di un altro parente, con il quale impegnò una nuova relazione sessuale al limite dell'[[incesto]].


Quindi, per volere di [[Carlo I d'Angiò|Re Carlo]], Macalda fu confermata nel possesso dei beni del marito morto.
Quindi, per volere di [[Carlo I d'Angiò|Re Carlo]], Macalda fu confermata nel possesso dei beni del marito morto.

Versione delle 22:00, 8 set 2010

La Rocca di Scaletta, che diede i natali a Macalda
Il pozzo di Gammazita, legato all'omonima leggenda catanese, presso il Castello Ursino

Macalda (Machalda) di Scaletta (Scaletta, 1240 ca.[1]morta dopo il 3 dicembre 1307) fu una dama di compagnia e un'avventuriera siciliana, di umilissime origini, nota per la condotta politica spregiudicata, per l'inclinazione al tradimento coniugale, politico e umano[2], e per i facili e promiscui costumi sessuali, la cui dissolutezza, sfiorata anche dal «sospetto di incesto»[2], tendeva a degenerare in un «esibizionismo venato di ninfomania»[2].

Educata alle armi, coraggiosa, dotata di un portamento marziale, cinica e ambiziosa, Machalda fu una personalità femminile che dispiegò la sua influenza dapprima nella cerchia di Carlo d'Angiò e poi presso la corte di Pietro III d'Aragona, la cui persona Macalda, secondo un cronista, tentò inutilmente di concupire. Le sue qualità ne fecero una protagonista di un'epoca di transizione e di violenti rivolgimenti nella storia del Regno di Sicilia, segnata dalla rivolta dei Vespri e dal tumultuoso avvicendamento tra il dominio Angioino e quello Aragonese.

Intrigando a corte, ma anche rivaleggiando spavaldamente con la regina Costanza di Hohenstaufen, Macalda ebbe infatti un ruolo importante nel favorire inizialmente, e in séguito far precipitare, le fortune politiche del suo secondo marito, il vecchio Alaimo da Lentini, che era stato uno dei maggiori fautori di quella rivolta.

La parabola sociale e politica di Macalda, e della sua umilissima stirpe, può essere considerata come un caso esemplare e paradigmatico del tipo di mobilità sociale attraverso cui, in un contesto tardo medievale normanno-svevo, una famiglia ambiziosa poteva giungere in poche generazioni all'emancipazione dalla povertà e da condizioni subalterne[3], in un percorso spettacolare che dalla miseria giungeva ad attingere le alte sfere reali[4].

La vicenda di Macalda ha lasciato dietro sé una riconoscibile traccia storica, ricevendo trattamenti diversi dalle cronache sincrone: una di queste, la Historia Sicula del coevo cronista messinese Bartolomeo di Neocastro filo-aragonese, è a lei estremamente avversa, ma i comprensibili motivi politici che ispirano Neocastro non sembrano sufficienti a giustificare la sua acrimonia, così eccessiva, per alcuni, da autorizzare il sospetto di trovarsi di fronte a «una delle vittime del fascino della donna»[5].

Di Macalda, oltre all'educazione militare, è nota anche una qualità poco usuale per una donna del tempo, la conoscenza del gioco degli scacchi, per la quale le si può riconoscere una sorta di primato storico nell'universo femminile e in quello scacchistico siciliano.

La sua singolare figura, abitando le pagine della cronaca e della storia, è trasfigurata anche nel folklore e nell'immaginario collettivo, rendendo Macalda la protagonista di miti, tradizioni e leggende popolari, come quella messinese del pozzo di Gammazita. Un'eco distante della passione di Macalda per il sovrano aragonese, narrata dal caustico Neocastro, sembra riverberare anche nella narrazione boccaccesca, in un ben più rarefatto contesto cortese e cavalleresco, quando nel Decameron[6] si narra del perduto amore di Lisa Puccini per Re Piero di Raona[7].

Biografia

Origini

Interno del castello di Scaletta

La bisnonna di Macalda

La sua famiglia era di umilissima estrazione sociale, e versava inizialmente in pessime condizioni economiche, condizioni dalle quali avrebbe saputo però abilmente affrancarsi grazie a un'ascesa sociale il cui apice sarebbe stato toccato proprio da Macalda[3]. La bisnonna, infatti, conduceva la sua esistenza "sotto il sole e la pioggia" davanti alla Porta Judaeorum di Messina, dove si guadagnava da vivere smerciando generi alimentari su un banchetto all'aperto, e riuscendo in tal modo a metter da parte anche qualche soldo[3].

Ascesa sociale e politica

Matteo Selvaggio

Figlio della venditrice ambulante fu un tale Matteo Selvaggio (qui cognominabatur salvagius), il futuro nonno di Macalda, egli stesso, agli inizi del XIII secolo, in età sveva, nient'altro che un semplice servo o milite alle dipendenze del custode del castello demaniale di Scaletta[8], un presidio destinato al controllo del transito sulla strada che da sud raggiungeva Messina da Catania e Siracusa[3].

Intorno al 1220, morto il castellano, Matteo Selvaggio riuscì ad assumerne l'ufficio per concessione dell'imperatore Federico II di Svevia[8]. Un ulteriore e decisivo passo in avanti lo dovette poi a un colpo di fortuna, il rinvenimento di un tesoro nascosto nel castello[3]. Spogliatosi della miseria, volle sbarazzarsi anche del poco onorevole cognome avito. Attribuendosi la titolatura di Scaletta, Matteo volle sancire in questo modo il nuovo avanzamento di status[3].

Giovanni di Scaletta, padre di Macalda

Il progresso economico gli aprì la possibilità di un ulteriore passo, avviare il figlio Giovanni agli studi giuridici[3]. Quel titolo di studio, come avverte Neocastro, in quel contesto sociale, era in grado di conferire grande prestigio a chi lo avesse conseguito: e così fu anche con Giovanni al quale immancabilmente si schiusero più ampi orizzonti e nuove opportunità, tra cui anche la strada maestra verso un matrimonio altolocato, sugellato con una nobildonna siciliana del casato dei Cottone[3]. Nel castello di Scaletta, nacquero da quel matrimonio due figli: il primogenito fu Matteo II al quale fece séguito, in un'epoca intorno al 1240[1], la sorella Macalda[8] a cui sarebbe toccato in sorte il passo definitivo nell'arrampicata sociale, l'acquisizione del prestigio politico ancora mancante[9].

Macalda nelle cronache aragonesi

Carlo d'Angiò

Varie sono le sfumature che la figura di Macalda assume nelle fonti coeve: Bartolomeo di Neocastro, nella sua Historia Sicula, si mostra a lei particolarmente avverso, ispirato da evidenti motivi politici: dopo il successo della rivolta ghibellina del Vespro, pur essendosi schierata con i vincitori, «Macalda rappresenta i nobili siciliani di tradizione guelfa che si erano espressi nella Comunitas Siciliae»[2], un effimero esperimento politico di autonomismo che aveva preceduto l'avvento aragonese. Tuttavia, c'è chi crede che questo non basti a giustificare l'astio del cronista, la cui narrazione su Macalda diventa «particolarmente velenosa, al punto di giustificare il sospetto che l'austero e dotto storico messinese sia stato una delle vittime del fascino della donna»[5].

Bernat Desclot, cronista catalano[10] a lei contemporaneo, pur uomo di parte aragonese, si esprime sulla sua figura con toni più favorevoli. Al capitolo 96 della sua Crònica del Rey en Pere[11] egli la definisce «molto bella e gentile, e valente nel cuore e nel corpo, generosa nel donare e, a tempo e luogo, valorosa nelle armi al par d'un cavaliere»[8].

È stato finemente notato come Desclot, in questo passo, abbia leggermente corretto il tiro rispetto a una precedente versione della sua Crònica, operando una sorta di sottile autocensura a fini propagandistica: in una prima stesura, infatti, Macalda era definita leyal (leale); poi, caduta in rovina la donna per il suo presunto complottismo, quell'attributo non era evidentemente più utilizzabile in maniera neutra, e fu quindi sostituito con «bella»[12]

Virtù militari di Macalda

Sulle virtù militari della donna, sottolineate da Bernat Desclot, e sul suo portamento marziale, la tradizione su Macalda è concorde. Altri autori, anche quando non ispirati da benevolenza, se non addirittura animati da aperta ostilità, convergono nel definirla valorosa nelle armi e capace di districarsi con eroico coraggio tra i pericoli della guerra[8].

Il primo matrimonio con Guglielmo d'Amico

La giovanissima Macalda fu presa in moglie da Guglielmo Amico, già barone di Ficarra, poi spogliato dei beni ed esule al tempo degli Svevi[13], il quale inutilmente sperava che le seconde nozze gli permettessero di rientrare in possesso del feudo perduto di Ficarra.

Le sue speranze si rivelarono però mal riposte: Guglielmo Amico cadde in disgrazia e concluse la sua esistenza ridotto in povertà. La vedova Macalda non ebbe rimorsi: abbandonò senza rimpianti il marito morente nell'Ospedale dei Templari, e si mise a vagare a lungo in abito di frate minore, soggiornando in varie provincie tra Messina a Napoli, ed esibendo un contegno non impeccabile[13]. A Napoli, in particolare, avrebbe intrecciato una relazione di natura incestuosa con un suo parente. Tornata a Messina si infilò non riconosciuta in casa di un altro parente, con il quale impegnò una nuova relazione sessuale al limite dell'incesto.

Quindi, per volere di Re Carlo, Macalda fu confermata nel possesso dei beni del marito morto.

Secondo matrimonio con Alaimo da Lentini e coinvolgimento nella Guerra del Vespro

Stemma familiare della famiglia Lentini

Sempre per volere regio, la donna fu data in sposa ad Alaimo da Lentini[13], al tempo molto in auge nella cerchia angioina, già sposato in prime nozze con un'altra donna di nome Macalda.

Quando i fasti di Alaimo presso la corte angioina andarono declinando, fu anche grazie agli intrighi dell'influente moglie se egli riuscì ad accrescere reputazione e credito presso i siciliani, divenendo uno dei principali ispiratori dei Vespri siciliani, e poi presso la corte aragonese.

Scoppiata la rivolta, quando Alaimo partì per l'assedio di Messina, Macalda diventò governatrice di Catania facendo le veci del marito[13].

In quell'occasione, immemore dei benefici ricevuti da re Carlo, Macalda si rese protagonista a Catania di uno spregiudicato tradimento ai danni dei francesi che si erano rivolti a lei negli strepiti del Vespro: dopo aver simulato accoglienza, li spogliò dei beni per consegnarli poi in balia del popolo[13].

Le mire sessuali su Pietro d'Aragona

Sempre al periodo dei Vespri, successivo allo sbarco di Pietro d'Aragona in Sicilia, risale un intrigo da lei ordito nel tentativo di guadagnarsi il ruolo di «favorita» del re[14] un episodio che getta ulteriore luce sul suo spregiudicato arrivismo.

In quel tempo, venuta a conoscenza dell'arrivo dell'aragonese a Randazzo, gli si presentò in pompa magna, adornata in superbe vesti marziali, con in mano una mazza d'argento, animata da intenzioni di concupiscenza sessuale che si fecero presto esplicite[15]. Portata di fronte al re, gli si rivolse con queste parole:

Pietro III (riconoscibile dalla corona) dirige lo sbarco a Trapani della flotta aragonese il 30 agosto 1482. Miniatura dalla Nova Cronica di Giovanni Villani (manoscritto della Biblioteca Vaticana)
(LT)

«Ego sum Machalda Alaymi militis de Leontino, expectans regnum tuum, sicut et ceteri Siculi; dies hec felix, dies hec mihi consolacionis et gaudii est, qua Siciliam propter te Dominus de sui miseria liberavit»

(IT)

«Macalda son io, o re e signore, moglie di Alaimo milite da Leontino, e il tuo regno ho aspettato come tutti gli altri Siciliani. Di gran consolazione e gaudio è per me questo felice giorno, in cui la Sicilia, per opera tua, liberò il Signor dalla sua miseria»

Il re, rifuggendo a quel tempo da avventure amorose, fece finta di non intenderne le mire e, pur onorandola e trattandola con cortesia, la condusse di persona all'albergo con un corteo di cavalieri[15]. Il contegno di Pietro non fece desistere Macalda dalle sue mire: mostrando di non darsene a intendere, si mise a seguire l'aragonese nel suo itinerario attraverso l'isola[15].

Giunto il re a Furnari, nei pressi di Milazzo, mentre era già notte gli si accostò e ottenne udienza un uomo senescente, in stato d'indigenza, d'aspetto miserabile, coperto di cenci di pelle dell'Etna: era il messinese Vitale del Giudice (Vitalis de Judice), un tempo amico e sodale di Manfredi, poi ridotto in stato di mendicità dalla coerente fedeltà da lui coltivata verso la dinastia sveva[14]. Il vecchio mise in guardia il re dalla volatilità delle alleanze politiche in terra siciliana e, in particolare dall'incostanza di Alaimo, già traditore di Manfredi e Carlo d'Angiò, ma reso ancor peggiore da condizionamenti e intrighi che, a dire del canuto mendico, egli subiva da Macalda e dallo scellerato padre di lei, Giacomo Scaletta[14]. Il re non sembrò dargli troppo peso e lo congedò gentilmente dicendo che il suo desiderio in quella terra era di farsi amici e non di coltivare o fomentare sospetti su eventi passati. Il giorno dopo, comunque, ricordandosi degli ammonimenti di quel vecchio vendicativo, decise di svelenire il clima promulgando un'amnistia per chiunque si fosse macchiato di reati politici[14].

In località Santa Lucia Macalda chiese ospitalità al re, già acquartierato nel casale, adducendo a motivo la mancanza di alberghi in quel piccolo borgo, essendo lei giunta per ultima. Il re gli concesse allora le sue stanze ma, non volendo abboccare, si trasferì in un albergo, dove però si vide nuovamente raggiunto dall'insistente Macalda[15]. Ancora una volta il re lasciò cadere nel vuoto le profferte amorose della donna: chiamò il suo maggiordomo e provò ad accomiatarsi per la notte, ma, di fronte all'insolenza di Macalda, che rimaneva incollata alla sedia, pensò bene di liberarsi dall'imbarazzo chiamando in stanza i proprietari e i loro familiari, intrattenendosi a lungo con quell'uditorio in vari discorsi e divagazioni, tra cui un'ostentazione della sua provata fedeltà coniugale[17]. Il conciliabolo continuò fino all'alba, finché il re, dovendo partire in armi, si congedò da tutti i suoi interlocutori, vanificando l'occasione inseguita dalla donna[17][14].

Macalda e Alaimo alla corte del Regno di Sicilia

Macalda e Alaimo fecero parte della nuova corte, così intimi del re da essere ammessi a sedere anche alla sua mensa[11][18].

Alaimo, nelle intenzioni del re, ebbe un ruolo di primissimo piano: quando Pietro lasciò il Regno per la Francia, dovendo affrontare Re Carlo in quel celebre duello di Bordeaux che non avrà mai luogo, il re aragonese scelse proprio Alaimo, come Giustiziere, e Giovanni da Procida, come cancelliere, per affiancare i due reggenti, la moglie Costanza e l'infante Giacomo[19]. Alaimo era così l'unico siciliano in un governo in cui Costanza aveva il delicato compito di gestire e mediare le tensioni politiche e le spinte autonomistiche che attraversavano l'isola, di cui Alaimo, già capitano di Messina ai tempi della Communitas Siciliae, era «il più autorevole esponente»[19]. Alle cure di Alaimo, inoltre, il re affidò la custodia delle persone dei suoi familiari[19].

La rivalità con Costanza di Hohenstaufen

Una rara raffigurazione di Costanza al seguito di re Pietro che bacia l'inferma Lisa nell'episodio di Pampinea nel Decameron[6], lontana eco del trasporto amoroso di Macalda per il re[7]

Ma la sconfitta inflittale dalla fedeltà coniugale ostentata da Pietro d'Aragona, ferì gravemente il suo orgoglio femminile, inducendo Macalda a comportamenti astiosi, con atti di gelosia ed emulazione nei confronti della corte e, segnatamente, della regina Costanza di Hohenstaufen.

Macalda prese a sfidarla apertamente, atteggiandosi ad altezza reale, e diede mostra di snobbare e sminuire a tal punto da rifiutarsi finanche di chiamarla "regina", limitandosi, nella sua alterigia, al riduttivo appellativo "madre di Giacomo"[17].

Macalda inaugurava così una stagione di folle e dispendiosa rivalità con le altezze reali, che la portò a rifiutare la benevolenza della regina, della cui persona evitava accuratamente la frequentazione, se non nelle occasioni in cui vantarsi di una particolare acconciatura o in cui far sfoggio di qualche speciale veste intessuta in porpora imperiale.

Gli episodi di questa rivalità menarono gran scandalo nell'ambiente, mettendo a dura prova la benignità e la proverbiale pazienza della regina[19].

Aneddotica su Macalda e la regina Costanza

Su tale rivalità a senso unico, sono tramandati alcuni aneddoti

In occasione di una malattia, la debilitata Costanza si era recata al duomo di Monreale entrando a Palermo in lettiga, anziché a cavallo com'era suo solito[20]. Macalda non perse l'occasione per emularla: in perfetta salute e senza alcun'altra ragione, sfilò per le strade di Palermo in una lussuosa lettiga bardata di panno rosso, retta a spalle, riottosamente, da militi del marito e contadini del suo paese[20]. Lo stesso fece, rientrando a Catania, durante l'ingresso a Nicosia, vessando i riluttanti portatori, fino a costringerli a esporsi a lungo, fermi, alle intemperie.

Rimasta incinta, iniziò a lamentare un presunto stato di infermità, grazie al quale pretese e ottenne di poter dimorare nel convento dei Frati minori: questa convivenza era necessaria, a suo dire, per garantirle l'agognata tranquillità a distanza dagli strepiti del popolo, ma questa prossimità forzata tra sacro e profano, apparve scandalosa ai più.

Poco dopo il parto, Macalda si rese protagonista di un nuovo affronto alla regina che, insieme ai suoi figli Giacomo e Federico, si era offerta di tenere a battesimo il neonato, allora di quindici giorni. Macalda finse di indugiare, accampando la futile scusa della fragile costituzione del bambino, non in grado, a suo dire, di sopportare l'acqua del fonte battesimale. Ma tre giorni dopo, senza alcuna valida ragione, lo fece battezzare pubblicamente da persone prese dal popolo, snobbando platealmente l'offerta reale.

In altra occasione, narra Bartolomeo di Neocastro, l'Infante Giacomo, sotto la reggenza di Costanza, si diede a passare in rassegna le contrade dell'isola accompagnato da trenta cavalieri. Macalda, come era suo costume[21], si intromise subito ad accompagnarlo, ma volle farlo con la consueta tracotanza, atteggiandosi a «giustiziere quanto il marito»[21], scortata da un corteo comparabile per lusso ma immensamente superiore per numero, e di aspetto piuttosto equivoco: lo stuolo a cui si accompagnava contava infatti ben «trecentosessanta uomini d'arme, di dubbia fede o sospetti, spigolati apposta da varie terre»[21], un nutrito manipolo di scherani più che un corteo di cavalieri.

Furono anche questi suoi comportamenti a determinarne la disgrazia, e a favorire e accelerare quella del suo consorte Alaimo[17].

La caduta in disgrazia di Alaimo, l'arresto di Macalda

Giacomo II, principale avversatore di Macalda e Alaimo
File:Roger of Lauria.jpg
L'ammiraglio aragonese Ruggiero di Lauria, destinatario del feudo di Ficarra dopo la disgrazia di Macalda

L'evento che fece precipitare la reputazione di Alaimo fu infine il suo comportamento indulgente nei confronti del principe di Salerno Carlo lo Zoppo, figlio di Carlo d'Angiò.

Ormai caduto in disgrazia, sospettato di congiura, Alaimo incontrò la forte ostilità di Giacomo II d'Aragona: bersagliato da accuse debolmente fondate, fu invitato da Giacomo a recarsi in visita dal Re Pietro in Aragona[22]. Partì per Barcellona il 19 novembre 1284, incontrando la cordiale accoglienza del re, da cui fu tenuto però sotto una sorveglianza così stretta da potersi considerare prigioniero[22]. La partenza di Alaimo mise in fermento il suo entourage e diede intanto la possibilità ai suoi oppositori di individuarne i presunti complici[22].

Seguirono quindi degli arresti che finirono per colpire anche Macalda, imprigionata insieme ai figli nel castello di Messina, poco dopo la partenza del marito[22], il 19 febbraio 1285[23]. Sorte ben peggiore era già toccata poco prima a suo fratello Matteo junior, giustiziato ad Agrigento, il 13 gennaio 1285, per decapitazione a fil di mannaia[23].

Alaimo fu trattenuto a lungo in Spagna, risparmiato dalla sincera benevolenza di cui poteva ancora godere presso Pietro d'Aragona[24] finché quest'ultimo fu in vita. Morto però il Re d'Aragona, Alaimo non sopravvisse all'avversione di Giacomo II d'Aragona, che convinse il fratello primogenito Alfonso III a darglielo in consegna[24]: nell'agosto 1287[24], senza che ancora fosse esaudita la sua pretesa di un regolare processo, fu affidato agli inviati di Giacomo, Gilberto de Castelletto e Bertrando de Cannellis, apparentemente per essere rispedito in Sicilia; durante quel viaggio che avrebbe dovuto ricondurlo in patria, a lui e a suo nipote Adenolfo da Mineo fu letta la condanna a morte pronunciata da Giacomo, poi sommariamente eseguita per annegamento di entrambi[24]: quando la nave era ormai in vista della costa, furono avvolti in lenzuoli zavorrati e gettati vivi in mare[25] (la cosiddetta mazzeratura).

Insieme alla storia di Macalda e Alaimo, si consumava anche la parabola del Vespro: molte delle grandi attese suscitate al suo nascere erano rimaste deluse, mentre lo sviluppo degli eventi aveva finito per fagocitare anche protagonisti di primissimo piano, come Gualtieri di Caltagirone, giustiziato nel 1283 proprio per mano di Alaimo, allora Gran Giustiziere del Regno, e come Palmeri Abbate, guardato con sospetto e messo momentaneamente in disparte per presunta intelligenza col nemico[26]. La coscienza di questa metamorfosi può cogliersi nelle amare parole con cui Macalda stigmatizza l'imprevista piega assunta dagli eventi[26]. Ecco come Macalda si sarebbe espressa, rivolta all'ammiraglio Ruggero di Lauria, venuto avidamente a farle visita in carcere per riavere il possesso le carte del feudo di Ficarra a lui spettante:

«Noi lo abbiam chiamato e fattolo nostro compagno non già nostro Signore; ma egli recatosi in mano il dominio del regno, noi suoi sozii tratta siccome servi»

Macalda, giocatrice di scacchi

Il castello Matagrifone, carcere di Macalda e dell'emiro Ibn Sebir

La cattività di Macalda ha permesso di rivelare anche un'altra sua inaspettata qualità, quella di scacchista: sappiamo infatti che, durante la reclusione sofferta nel castello Matagrifone di Messina, Macalda si intratteneva nel gioco degli scacchi con l'emiro Margam Ibn Sebir, anch'egli costretto in prigionia[27][28] dopo essere stato catturato, in fuga verso Tunisi, mentre cercava di scampare all'incursione navale portata contro l'isola di Djerba dall'ammiraglio Ruggero di Lauria.

Anche in quegli incontri, l'altezzosa Machalda non mancava di stupire gli astanti e i suoi carcerieri per la «vivacità e l'immodestia degli abiti»[28] da lei sfoggiati.

Macalda è quindi, senza distinzioni di genere, la prima scacchista di cui si abbia evidenza storica in Sicilia: bisognerà infatti attendere circa due secoli e mezzo, e l'epoca dell'imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V, per avere da Pietro Carrera le prime tre menzioni storiche di scacchisti siciliani, i palermitani Armini e Branci, e Don Matteo li Genchi di Termine, autore di alcune stanze sulle leggi del gioco di scacchi[29].

Morte di Macalda

Dall'epoca della sua reclusione, dopo le notizie sulla sua orgogliosa allocuzione a Ruggero di Lauria e quelle sui suoi intrattenimenti nel carcere di Matagrifone, di Macalda si perde praticamente ogni traccia nelle cronache coeve, un silenzio che ha autorizzato gli storici a presumerne la morte pochi anni dopo. Esiste tuttavia un documento d'archivio che ce la ricorda ancora in vita il 3 dicembre 1307, quando Macalda Scaletta, a fronte di probabili difficoltà finanziarie della seconda vedovanza[30], sottoscrive un contratto con cui affitta a tale Mastro Pagano Barberio, per una durata di 22 anni, servitia et operas di una sua serva Anna, di origine greca (ancillam de Romania)[31] La data del 3 dicembre 1307, diviene così il terminus post quem per la morte della donna, che alcuni autori, ad esempio, collocano convenzionalmente al 1305[5].

Macalda nell'immaginario

Travalicando il perimetro della storia, la vicenda di Macalda è entrata nell'immaginario popolare: la sua figura popola miti, tradizioni e leggende popolari, come quella messinese del pozzo di Gammazita.

Un'eco distante della passione di Macalda per il sovrano aragonese sopravvive nella vicenda di Lisa Puccini, e del suo perduto innamoramento per Re Piero di Raona[7] nella novella narrata da Pampinea durante la decima giornata del Decameron di Giovanni Boccaccio[6]. Enorme è però la disparità di accenti che separa la velenosa cronaca di Bartolomeo di Neocastro dall'episodio boccaccesco, circonfuso dalle virtù cortesi e cavalleresche che si attagliano alla figura del re Pietro[7]. È possibile che, in Neocastro, la versione dell'aneddoto sia frutto di un'elaborazione malevola, per avvalorare o giustificare a posteriori il ruolo nefasto che Macalda avrebbe avuto nell'indurre Alaimo da Lentini al presunto tradimento: questo potrebbe spiegarne anche il diverso trattamento che Desclot riserva all'innamoramento di Macalda[7] nella sua Crònica catalana[11].

Il fatto poi che Boccaccio, pur non conoscendo l'opera di Desclot, sia venuto a conoscenza di una storia somigliante, potrebbe indicare che una versione cortese dell'aneddoto sia potuta circolata, forse oralmente, in ambienti disparati, magari trasformandosi attraverso i percorsi tipici della tradizione orale, prima di giungere all'orecchio dell'autore del Decameron[7].

Note

  1. ^ a b 1235, secondo Marinella Fiume, Siciliane. Dizionario biografico, E. Romeo, 2006 ISBN 9788874280575 (p. 175)
  2. ^ a b c d Marinella Fiume, Siciliane. Dizionario biografico, E. Romeo, 2006 ISBN 9788874280575 (p. 176)
  3. ^ a b c d e f g h Salvatore Fodale, Il povero, p. 49, in Condizione umana e ruoli sociali nel Mezzogiorno normanno-svevo, Edizioni Dedalo, 1991 ISBN 8822041437
  4. ^ Altro esempio di affluenza sociale, della stessa epoca normanno-federiciana, è quello di Giovanni Moro, figlio di una schiava saracena, che dalla originaria condizione servire si innalzò fino al rango di intimo consigliere di Federico II di Svevia.
  5. ^ a b c Marinella Fiume, Siciliane. Dizionario biografico, E. Romeo, 2006 ISBN 9788874280575 (p. 175)
  6. ^ a b c Boccaccio, Decameron (X, 7)
  7. ^ a b c d e f (CA) Stefano Maria Cingolani, Historiografía, propaganda i comunicació al segle XIII: Bernat Desclot i les dues redaccions de la seva crònica, Institut d'Estudis Catalans, 2006 ISBN 978-84-72-83841-3 (p. 433)
  8. ^ a b c d e Vito Amico, Dizionario topografico della Sicilia, Volume 2, tradotto dal latino da Gioacchino Di Marzo, Ed. Salvatore di Marzo, 1859 (Nota del curatore, p. 458)
  9. ^ Salvatore Fodale, Il povero, p. 50, in Condizione umana e ruoli sociali nel Mezzogiorno normanno-svevo, Edizioni Dedalo, 1991 ISBN 8822041437
  10. ^ Desclot (dësklòt), Bernat, da Enciclopedia biografica universale, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, (on line)
  11. ^ a b c (CA) Crònica del Rey en Pere e dels seus antecessors passats per Bernat Desclot, ab un prefaci sobre'ls cronistas catalans per Joseph Coroleu, Cap. XCVI, Edició 1885
  12. ^ Ferran Soldevila i Zubiburu, Pere II el Gran: el desafiament amb Carles d'Anjou, Estudis Universitaris Catalans, IX (1915-1916). Monografia pubblicata in ritardo, con separata tiratura, il 1919, dopo la Grande Guerra (ora in: Ferran Soldevila i Zubiburu, El desafiament de Pere el Gran amb Carles d'Anjou, Barcelona, 1960)
  13. ^ a b c d e Michele Amari, La guerra del vespro siciliano o Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII, Volume 1, Tipografia Helvetica, 1845 (p. 174)
  14. ^ a b c d e Steven Runciman, I vespri siciliani, 1997, Edizioni Dedalo, ISBN 8822005082 p. 301
  15. ^ a b c d Michele Amari, La guerra del vespro siciliano o Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII, Volume 1, Tipografia Helvetica, 1845 (p. 263)
  16. ^ Bartolommeo di Neocastro, Historia Sicula, in chiusura del capitolo L.
  17. ^ a b c d Michele Amari, La guerra del vespro siciliano o Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII, Volume 1, Tipografia Helvetica, 1845 (p. 264)
  18. ^ Michele Amari, La guerra del vespro siciliano o Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII, Volume 1, Tipografia Helvetica, 1845 (p. 176)
  19. ^ a b c d I. Walter, «COSTANZA di Svevia, regina d'Aragona e di Sicilia», in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, (on line)
  20. ^ a b Steven Runciman, I vespri siciliani, 1997, Edizioni Dedalo, ISBN 8822005082 p. 327
  21. ^ a b c Michele Amari, La guerra del vespro siciliano o Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII, Volume 1, Tipografia Helvetica, 1845 (p. 255)
  22. ^ a b c d Steven Runciman, I vespri siciliani, 1997, Edizioni Dedalo, ISBN 8822005082 p. 328
  23. ^ a b Michele Amari, La guerra del vespro siciliano o Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII, Volume 1, Tipografia Helvetica, 1845 (p. 258)
  24. ^ a b c d P. Giunta, «ALAIMO (Alaimus, Alaimu, Alamo) da Lentini (di Latino, di Leontino)», in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, (on line)
  25. ^ Bartolommeo di Neocastro, Historia Sicula, cap. CIX
  26. ^ a b Salvatore Tramontana, Gli anni del Vespro: l'immaginario, la cronaca, la storia, Ed. Dedalo, 1989 ISBN 8822005252 p. 44
  27. ^ Santi Correnti, La Sicilia del Seicento, società e cultura, Mursia, 1976, pp. 216-217
  28. ^ a b Steven Runciman, I vespri siciliani, 1997, Edizioni Dedalo, ISBN 8822005082 p. 329
  29. ^ Pietro Carrera, Il gioco de' scacchi, 1617 (Cap. XII, pag. 88)
  30. ^ Clifford R. Backman, The Decline and Fall of Medieval Sicily: Politics, Religion, and Economy in the Reign of Frederick III, 1296-1337, Cambridge University Press, ISBN 9780521521819 (p. 293)
  31. ^ Archivio di Stato di Palermo, Miscellanea Archivistica, II^ Serie, n. 127A, fol. 99 (3 dicembre 1307)

Bibliografia

Voci correlate

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