Islam

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Il nome di Allāh in lingua araba.

L'Islam è una religione monoteista manifestatasi per la prima volta nella Penisola araba, nella cittadina higiazena de La Mecca, nel VII secolo dell'era cristiana, per opera di Maometto (in arabo محمد? Muḥammad), considerato dai musulmani l'ultimo profeta inviato da Dio (in arabo الله? Allāh) al mondo intero per ribadire definitivamente la Rivelazione, annunciata per la prima volta ad Adamo (آدم ʾĀdam), il primo uomo.
Con circa 1,6 miliardi di seguaci, ossia il 23% della popolazione mondiale,[1][2] l'Islam è la seconda religione del mondo per consistenza numerica e vanta un rateo di crescita particolarmente significativo.[3][4][5]

Il 13% dei musulmani vive in Indonesia, che è anche il paese musulmano più popoloso, il 25% nell'Asia Meridionale, il 20% in Vicino e Medio-Oriente e il 15% nell'Africa sub-sahariana.[6] Minoranze considerevoli si ritrovano anche in Europa, Cina, Russia e Americhe.

Etimologia e significato

Dettaglio interno della Moschea Shaykh Lotf Allah di Isfahan (Iran)

Islàm (con accento sull'ultima sillaba, in arabo إسلام? Islām) è un sostantivo verbale traducibile «sottomissione, abbandono, consegna totale [di sé a Dio]»[7][8] che deriva dalla radice aslama, congiunzione causale di salima («essere o porsi in uno stato di sicurezza»), ed è collegato a salām («pace»).[9] Nel linguaggio religioso, il concetto è traducibile con la parafrasi: «entrare in uno stato di pace e sicurezza con Dio attraverso la sottomissione e la resa a Lui»[10] Nel Corano talvolta assume la caratteristica di una qualità interiore del fedele: «Allah apre il cuore all'Islàm a coloro che vuole guidare»[11]; altri versi collegano Islām e Dīn, approssimativamente traducibile «religione»: «Oggi ho reso perfetta la vostra religione [dīn], ho completato per voi la Mia grazia e Mi è piaciuto darvi per religione l'Islàm.»[12]. Altri ancora descrivono l'Islam come «l'atto di ritorno a Dio», piuttosto che un'affermazione verbale di fede.[13] La parola Islam perciò non è legata a una personalità o a un gruppo etnico, bensì all'idea centrale del suo credo religioso.[14]

Nel hadith di Gabriele (ḥadīth Jibrīl) l'Islàm è presentato come parte di una triade composta da imān («fede») e iḥsān («eccellenza»), dove la definizione teologica dell'Islam sarebbe il Tawḥīd, quella storica l'affermazione di fede nella missione profetica di Maometto, quella dottrinale nel rispetto dei Cinque Pilastri.

I pilastri dell'Islam

Preghiera al Cairo, Egitto, 1865.

Gli arkān al-Islām ("Pilastri dell'Islam") sono i cinque doveri assolutamente cogenti per ogni musulmano osservante (pubere e sano di corpo e di mente) per potersi definire a ragione tale. Essi sono:

Ašhadu an la ilàha illa Allàh - wa ašhadu anna Muhammadan Rasùl Allàh , cioè: "Testimonio che non c'è divinità se non Dio (Allàh) e testimonio che Muhammad è il Suo Messaggero". Per essere valida, la shahāda deve essere recitata con piena comprensione del suo significato e in totale sincerità.[15] Essa è sufficiente, da sola, a sancire l'adesione all'Islam di chi la pronuncia.[16]
  • la ṣalāt, preghiera canonica da effettuare 5 volte al giorno, in precisi momenti (awqāt) che sono scanditi dal richiamo (in arabo: audio ) dei muʾadhdhin (in arabo مؤذن?, muezzin) che operano nelle moschee (oggi spesso sostituiti da registrazioni diffuse con altoparlanti);
  • la zakāt, versamento in denaro - obbligatorio per ogni musulmano che possa permetterselo - che rende lecita la propria ricchezza; da devolvere nei confronti di poveri e bisognosi. Nella quasi totale assenza oramai dello Stato-percettore, che era dotato di appositi funzionari (ʿummāl, pl. di ʿāmil) con ampi poteri cogenti, la zakāt è oggi prevalentemente autogestita dal pio musulmano, anche se esistono organizzazioni che forniscono aiuto ai fedeli per raccogliere fondi da destinare a opere pie per la cui realizzazione la giurisprudenza islamica ha previsto da sempre l'utilizzo delle somme raccolte con questa pratica canonica.[17] La somma da versare, a cadenza annuale, viene calcolata sulla base di un imponibile del 2.5% sul capitale finanziario del fedele, e vale anche per le aziende. L'OCHA ha calcolato che i volumi annuali di tali versamenti siano, come minimo, superiori anche di quindici volte ai valori totali delle donazioni a livello mondiale[18][19];
  • Ṣawm ramaḍān (in arabo صوم رمضان?), ovvero digiuno - dal sorgere al tramonto del sole - durante il mese lunare di Ramadan per chi sia in grado di sostenerlo senza sensibili inconvenienti di salute;
  • ajj (in arabo الحج?), pellegrinaggio canonico a Mecca e dintorni, nel mese lunare di Dhū l-ḥijja, per chi sia in grado di sostenerlo fisicamente ed economicamente.

In ambienti come quelli sciita, kharigita e sunnita-hanbalita si aggiunge un sesto pilastro: il jihād,[20] ma se nella sua accezione di "jihād maggiore" (akbar, dice la giurisprudenza), teso cioè a combattere gli aspetti più deteriori dell'animo umano, esso è accettato da ogni scuola di pensiero sunnita come un potenziale sesto pilastro, la sua accezione di "impegno sacro armato" è talmente densa di condizioni e limitazioni da non consentire che il "jihād minore" (aghar) sia accettato sic et simpliciter dal madhhab hanafita, malikita e sciafeita come sesto degli arkān al-Islām.

Ecumenismo islamico

L'Islam è considerato dai suoi fedeli come l'insieme delle rivelazioni elargite da Allah all'umanità fin dall'epoca del suo primo profeta, Adamo. Dal punto di vista dei musulmani, l'Islam non deve quindi essere considerata come l'ultima Rivelazione in ordine di tempo rispetto alle altre due grandi fedi monoteistiche (Ebraismo e Cristianesimo), ma come l'ennesima riproposizione della volontà divina all'umanità, resa necessaria dalle continue distorsioni (taḥrīf) intervenute come effetto del fluire del tempo e dell'azione (talora maliziosa) degli uomini. Torah (Tōrāh), Salmi, Avesta e Vangelo (Injīl), cui si aggiungeranno in seguito anche i Veda dell'Induismo, sono perciò considerati testi che, in origine, non contenevano rivelazioni diverse da quella coranica.

Per questo motivo è corretto definire Maometto "Sigillo dei profeti" (khaṭam al-nabiyyīn) ed è un principio fondamentale per la fede islamica credere che con la sua morte sia terminato per sempre il ciclo profetico, tanto che viene accusato di massima empietà (kufra), e di fatto posto al di fuori dell'Islam, chiunque lo dichiari riaperto. Nell'Islam non vengono pertanto disconosciuti il Vecchio e il Nuovo Testamento, della cui origine celeste non si discute, riconoscendo per logica conseguenza il carisma dei profeti vetero-testamentari (da Adamo a Noè, da Abramo a Mosè), come pure quello di Gesù. Secondo i musulmani, il Corano è però l'unica e non più modificata affermazione della volontà divina, destinata a perdurare inalterata fino al Giorno del Giudizio.

Dio

La formula che apre tutte le sure del Corano, tranne la nona: "Bi-smi 'llāhi al-Rahmāni al-Rahīmi" (In nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso)
Lo stesso argomento in dettaglio: Dio (Islam).

Nel Corano, la Sura CXII - al-Ikhlāṣ o "del culto sincero" - fornisce la definizione che Dio dà di sé:

Dì «Egli, Dio, è uno, Dio, l'Eterno. Non generò né fu generato e nessuno Gli è pari»(in arabo: audio ).[21]

Questa sura è considerata la perfetta sintesi dell'Unità islamica, o Tawhid, che a sua volta incorpora le caratteristiche di Dio: egli è Unico (wāḥid) e Uno (aḥad).
Avendo tali caratteristiche, l'Islam rigetta apertamente la Trinità e la visione divina di Gesù, ma ne attende il ritorno alla fine dei tempi.[22] Dio, entità completamente trascendente, esiste senza avere luogo e sovraintende la vita degli uomini,[23] senza che questi possano vederlo[24], ma è pronto ad aiutarli qualora ne avessero bisogno[25] ed è all'uomo "più vicino della vena giugulare".[26] rendendo superflua ogni intermediazione sacerdotale. Attraverso i suoi 99 nomi - i più conosciuti dei quali sono il Misericordioso (al-Raḥmān) e il Compassionevole (al-Raḥīm) - è possibile invocarlo,[27] ma data la sua natura trascendente e oscura all'uomo "Non v'ha simile a Lui cosa alcuna",[28] non può essere raffigurato in alcun modo; l'Islam inoltre rifiuta radicalmente l'idea che Dio assomigli in qualche modo alla sua creatura umana o che vi sia il benché minimo spazio per una concezione antropomorfica di Allāh.
I 99 nomi di Dio mirano a qualificarne l'Essenza (kawn), esplicitata attraverso tale elenco di attributi: egli sarebbe dunque tra le altre cose, l'Eterno (Ṣāmad[29]), la Verità (al-Ḥaqq[30]), l'Esistente di per sé (al-Ḥayy al-Qayyūm[31]), il Sublime (al-ʿAẓīm[32]), il Potente (Qadīr,[33]), Il Sapiente (al-Ḥakīm[34]), ma anche al-Badīʾ, "Il creatore di ogni cosa".[35] La sua Onniscienza è chiaramente enunciata:

"È il Primo e l'Ultimo, l'Evidente e il Nascosto, e conosce tutto."[36]

Luoghi di culto

Lo stesso argomento in dettaglio: Architettura islamica.
La Moschea Blu di Istanbul.
Moschea Wazir Khan, Lahore.

Luogo deputato (ma non indispensabile) alla Ṣalāt è la moschea (in arabo masjid, al plurale masājid). Non necessariamente delegata a fini liturgici, essa funge anche da luogo d'incontro, di studio e persino di riposo. Al suo interno si usano compiere, oltre alle cinque preghiere giornaliere obbligatorie, oltre a celebrare la rottura del digiuno del ramaḍān, o raccogliere e ridistribuire i fondi della zakāt.

Dal punto di vista storico, oggi si ritrovano ancora nelle moschee di tutto il mondo elementi introdotti dalle prime moschee di Mecca e Medina: è il caso del mihrab, del minbar, e di un largo cortile esterno, il sahn (che poi si sarebbe diffuso anche alle case private), in cui spesso si trovano fontane, o ḥawḍ, indispensabili al compimento delle abluzioni necessarie per il conseguimento della purificazione rituale.

La moschea rappresenta di gran lunga l'espressione più importante dell'architettura islamica, a sua volta influenzata dalle normative che regolano l'arte sacra in generale: non vi sono quindi ospitate, in linea generale, rappresentazioni umane o animali. La geometria assume dunque un ruolo di collegamento fra realtà umana e trascendenza divina, data la natura infinita e onnipresente, Una e Unica di Allāh. Per proiettare questi principi, appartenenti alla dottrina teologica islamica o Tawḥīd, nella moschea si utilizzano forme e decorazioni tese a trasmettere al fedele la consapevolezza riguardante la stretta correlazione esistente fra il mondo esterno delle forme e quello interiore delle realtà divine, essendo entrambe, per la concezione islamica, appartenenti ad Allāh, considerato sia al-Ẓāhir, "Manifesto", sia al-Bātin, "occulto".[37] A causa di questo stretto rapporto fra teologia e geometria gli architetti musulmani progredirono notevolmente nelle scienze matematiche, scoprendo, per esempio, formule che in Occidente sarebbero diventate note solo nel XX secolo.[38] Principali espressioni di questa ricerca sono il girih e l'arabesco.
La contrarietà a rappresentare immagini umane è dettata dall'assenza nel pensiero islamico sunnita del concetto di santità e dalla possibilità che un qualsiasi essere umano - con l'eccezione di Maometto - possa intercedere per l'essere umano presso Dio, oltre che dalla precisa determinazione d'impedire qualsiasi degenerazione idolatrica del culto.

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Il Taj Mahal, ad Agra.

Rituali e Liturgie

Il predicatore sudafricano Ahmed Deedat[39] sostiene che l'origine di alcune pratiche devozionali canoniche debba essere rintracciata in quelle di diversi profeti dell'Islam precedenti a Maometto, come Abramo, Mosè o Gesù. Essi sarebbero:

  • il rimuovere le scarpe nei luoghi sacri, secondo quanto Dio disse a Mosè sul Monte Sinai[40];
  • il compiere le abluzioni rituali, o wuḍūʾ, secondo ciò che Dio comandò a Mosè e Aronne[41];
  • Il prostrarsi con il viso rivolto a terra, o sujūd, così come venne fatto da Gesù[42], Abramo[43], Mosè[44] e Giosuè.[45];
  • il digiuno, o ṣawm, simile a quello del tutto miracoloso compiuto da Gesù (di cui non si conoscono i particolari di svolgimento) per 40 giorni e 40 notti.[46]

La venerazione delle reliquie è considerata una degenerazione della fede[47], così come, in generale, la credenza nella possibilità che i santi (Wali) possano intercedere per i viventi; posizioni nate su impulso di versetti perentori.[48] Vi sono tuttavia delle eccezioni, del tutto minoritarie e principalmente aventi base etnica,[49] per quanto riguarda le reliquie; mentre sui santi gli sciiti e talune confraternite Sufi si discostano dall'ortodossia Sunnita.

Fra le pratiche devozionali, la preghiera obbligatoria - ṣalāt - è considerata la più importante:

«La Preghiera è il pilastro della religione. Chiunque ometta intenzionalmente di compierla, ha distrutto la propria religione»[50]

Altre pratiche, eseguite particolarmente all'interno delle confraternite mistiche diffuse in tutto il mondo islamico, sono:

  • la Murāqaba o meditazione, ampiamente praticata da Maometto nei suoi ritiri sul monte Ḥirāʾ;
  • il dhikr, definito come "ricordo" o "invocazione di Dio", che nasce sulla scorta di numerosi versetti coranici come coloro che credono, coloro che cui si tranquillano i cuori al ricordo di Dio (non è cvol ricordo di Dio che si tranquillano i cuori?) - coloro che credono, coloro che operano il bene, ad essi fortuna, ad essi ritorno buono, a la fine![51]. Da ripetere per lo più in silenzio, è usualmente costituito dalla prima parte del tawḥīd: lā ilāha illā Allāh o dal takbīr: Allāh[u] Akbar, o dal semplice Huwa (Egli);
  • il movimento rotatorio su se stessi dei Dervisci, particolarmente praticata dall'ordine dei Mevlevi.

Sebbene queste pratiche possano svolgersi anche in solitaria, ciò solitamente non avviene. Infatti, in assenza del clero il musulmano è responsabile del proprio Īmān (fede) ed è per questo esortato a circondarsi della compagnia di persone rette che possano aiutarlo a percorrere il cammino sulla via di Allah, come dice lo Shaykh Abu Madyan Shu'ayb:

Il piacere della vita è solo nella compagnia dei fuqarāʾ.[52] Essi sono i sultani, i maestri e i principi. Il faqīr è colui che ha abbandonato la futile ricerca di questo mondo per intraprendere la ricerca del Reale, ovverosia, del segreto della Sua esistenza. Il primo requisito di questa ricerca è la compagnia delle altre persone che desiderano acquisire tale scienza. Essere parte di esse significa condividerne le difficoltà e le gioie. Da principio, il faqīr vede le manchevolezze dei fuqarāʾ. Quando impara che essi sono uno specchio per lui — come insegna il famoso ḥadīth[53] — cessa di combatterli e nel suo cuore comincia a sorgere l’amore per gli amanti di Allah. In tal modo si approssima allo Shaykh.[54]

Profeti

Lo stesso argomento in dettaglio: Maometto.

I musulmani dichiarano che la loro religione si riallaccia direttamente alle tradizioni religiose che sarebbero state predicate dal patriarca biblico Abramo, considerato da Maometto come il suo più autorevole predecessore. La ragione è che l'Islam è (almeno inizialmente) la religione degli arabi, discendenti da Ismaele, mentre gli ebrei sarebbero i discendenti da Isacco e i cristiani sarebbero gemmati dall'ebraismo come una setta ebraica che con Paolo di Tarso iniziò ad accogliere anche i non-ebrei. E Ismaele ed Isacco erano figli di Abramo, sebbene il primo fosse di madre araba e il secondo israelita (fatti tuttavia senza particolare significato in una cultura patrilineare e patriarcale). È per questo che, in chiave puramente formale, l'Islam viene classificato come religione abramitica, al pari dell'Ebraismo e del Cristianesimo.

Il primo profeta islamico sarebbe peraltro stato Adamo e, dopo di lui, Nūḥ (Noè). Sono annoverati fra i tanti profeti islamici, dopo Ibrāhīm (Abramo), i suoi figli Isḥāq (Isacco) e Ismāʿīl (Ismaele), Yaʿqūb (Giacobbe), Yūsuf (Giuseppe), Mūsā (Mosè), Dāwūd (Davide), Sulaymān (Salomone), Yaḥyā (Giovanni Battista) e, prima di Muḥammad, ʿĪsā ibn Maryam (cioè Gesù di Nazareth figlio di Maryam, ossia quella che in altro contesto è chiamata Maria),[55] Maria è considerata anche nel Corano come esempio sublime di devozione femminile a Dio.

Dopo Maometto, chiamato per questo "il sigillo dei profeti" (khātim al-anbiyāʾ), è un dogma per l'Islam che la profezia abbia termine e credere nella riapertura del ciclo profetico è senz'altro considerato dal sunnismo e dallo sciismo kufra.

Culto

Mentre il culto per Dio, chiamato Allah, è immutabile e del tutto indifferente all'epoca e allo spazio fisico in cui esso è praticato, la liturgia espressa potrà in varie occasioni adattarsi invece al tempo e al luogo in cui il fedele vive. Ciò è in perfetta coerenza col principio condiviso che l'Islam sia una religione wusṭa, cioè collocata su una linea "mediana" rispetto agli opposti estremi costituiti dall'ateismo da un lato e da un formalismo rigido di facciata, non pervaso dalla reale comprensione e dalla tolleranza nei confronti di chi sbaglia.[56] È nota l'affermazione di Muḥammad, secondo cui l'Islam aborre gli eccessi e il fanatismo, basandosi sull'assunto, più volte ribadito nel Corano, che "Dio non ama gli eccessivi" (II:190; VI:141; VII:31; XVII:26-27; XXV:67; XLIV:31 e LVII:23). Per questo motivo l'estremo rigore sul piano sia della lettera, sia dei contenuti della Legge, corrisponde nei fatti a un'estrema flessibilità.

Una visione etnocentrica del culto islamico ha però portato, durante il corso della storia europea, a dei grossi fraintendimenti: se per gli europei medioevali Muḥammad era uno scismatico cristiano[57][58] questa credenza si è evoluta nel corso dei secoli, fino a trasformare i musulmani in "maomettani"; credenza questa parzialmente diffusa anche nel secolo ventesimo - possibilmente alimentata da una visione dell'Islam speculare a quella che i cristiani hanno della propria religione e in particolare della figura di Cristo, divinizzata e dunque adorata. In realtà un musulmano che adorasse Muḥammad, o qualsiasi altro profeta prima di lui, commetterebbe l'errore gravissimo di scambiare i messaggeri, cioè i profeti inviati da Dio sulla terra per annunciare la rivelazione monoteista, con il messaggio, il Dio Unico (wāḥid) e Uno (aḥad) che non ha generato e non è stato generato (lam yalid wa lam yūlad) che avrebbe incaricato Muḥammad di annunciare l'ultima, definitiva rivelazione, rendendolo così "sigillo dei profeti" (khātim al-anbiyāʾ).

Testi fondamentali

La Cupola della Roccia a Gerusalemme, la terza città santa dell'Islam

I testi fondamentali a cui fanno riferimento i musulmani sono, in ordine di importanza:

Lo stesso argomento in dettaglio: Corano.
  • il Corano (letteralmente "Recitazione"), che è considerato dai musulmani espresso parola per parola da Dio (Allah). I musulmani ritengono che Maometto abbia ricevuto il Corano da Dio attraverso l'Arcangelo Gabriele, che glielo avrebbe rivelato in lingua araba.[59] È per questo che i fondamentali atti liturgici islamici sono recitati in tale idioma in tutto il mondo musulmano. Dopo la Rivelazione ricevuta da Maometto l'Islam crede, per dogma, che nessun altro profeta sarà più identificato da Dio fra gli uomini. Secondo i fedeli, il Corano non venne messo immediatamente per iscritto: Maometto, secondo un'ipotesi fatta propria anche dai musulmani, sarebbe stato analfabeta.[60] e che il Corano sarebbe stato perfettamente assimilato da lui per grazia divina, sì da poterlo recitare senza esitazioni e impacci ai suoi seguaci che, sovente, lo memorizzarono a loro volta. Solo più tardi (sotto il califfo Uthman) fu messo per iscritto (dai kuttāb) e sistemato con una serie di accorgimenti grafici (i punti diacritici delle varie consonanti arabe omografe e le vocali, o ḥarakāt), all'epoca del governatorato dell'omayyade al-Ḥajjāj b. Yūsuf, verso la fine del VII secolo-inizi dell'VIII. Epoca dopo la quale il testo sacro è rimasto assolutamente immutato.
Lo stesso argomento in dettaglio: Sunna.
  • la Sunna (letteralmente "consuetudine") è costituita da una serie di detti, fatti, silenzi o inazioni, di Maometto. Essa è dunque basata su ḥadīth (tradizioni giuridico-religiose), raccolti e tramandati da testimoni ritenuti sicuri. È stata messa in forma scritta solo nel III secolo del calendario islamico (IX secolo) nei Sei libri (al-kutub al-sitta), i più importanti dei quali sono universalmente considerati dai musulmani quelli di Bukhārī e di Muslim mentre gli altri furono composti da Ibn Māja, al-Nasāʾī, al-Tirmidhī e Abū Dāwūd al-Sījistānī. Gli sciiti affiancano loro le opere quali l'al-Kāfī fī ʿilm al-dīn di Abū Jaʿfar Muḥammad b. Yaʿqūb al-Kulīnī/al-Kulaynī (m. 939); il Kitāb man lā yaḥḍuruhu l-faqīh di Abū Jaʿfar Muḥammad b. ʿAlī, altrimenti noto come al-Bābūya al-Qummī (m. 991) e il Tahdhīb al-aḥkām di Abū Jaʿfar Muḥammad b. al-Ḥasan al-Ṭūsī (m. 1067 o 1068).

I musulmani credono che siano d'ispirazione divina, ma corrotti dal tempo o dalla malizia degli uomini:

Il dilemma se trattare gli induisti come politeisti cui offrire l'opportunità fra conversione o morte fu superata grazie all'interpretazione di numerosi dotti musulmani, secondo cui anche i Veda sarebbero stati un testo d'origine divina, per quanto particolarmente corrotti.

Accanto alle sacre scritture, e da esse direttamente ispirata, v'è un'immensa letteratura prodotta nei secoli dalla comunità dei dottori appartenenti sia all'Islam sunnita sia a quello sciita: testi di fiqh (giurisprudenza), di kalām (teologia), di tasawwuf (mistica). Non è da trascurarsi infine che, soprattutto per quanto riguarda la mistica islamica o sufismo, molta pregevole letteratura è stata prodotta in versi da autori di espressione araba e persiana soprattutto, ma anche in turco, urdu ecc.

Obblighi morali e sociali

Moschea del Profeta a Medina, seconda città sacra dell'Islam.

Il musulmano ha dunque il dovere di assolvere al "jihād maggiore", additato letteralmente come "sforzo" o "impegno [del singolo] sulla Strada di Dio" (jahada fī sabīl Allāh), nella speranza di poter vedere nell'Aldilà il Suo Volto (li-wajhihi), grazie alla riuscita impegnativa lotta contro le pulsioni negative del proprio corpo e del proprio spirito.
Nella sua veste "minore", il jihād viene definito e differenziato dalla sharīʿa. Se infatti un'offesa o un'aggressione sono portate dalla Dār al-Ḥarb nel cuore della dar al-Islam, l'impegno a prendere le armi per contrastare ed eliminare l'oltraggio incombe su tutta la Umma, mentre se si intendesse realizzare l'espansione dei confini fisici e spirituali della Umma, l'impegno al jihād incomberebbe esclusivamente su volontari espressi dalla Umma. Nel primo caso si parla allora di far ʿayn (obbligo individuale), nel secondo invece di far kifāya (obbligo collettivo).

Generico obbligo è anche quello di "ordinare il bene e vietare il male" (al-amr bi-l-maʿrūf wa nahy ʿan al-munkar) ovunque essi si presentino, ricorrendo a ogni mezzo lecito e necessario (con la mano, la parola, la penna o la spada), laddove il bene e il male sono determinati esplicitamente da Dio nel Corano, dovendosi intendere come Bene la sua volontà e Male il disobbedirgli.

Nessuna "teologia naturale" è ammessa, che possa far presumere all'intelligenza umana di penetrare razionalmente i confini tra il Volere di Dio e la Sua non-Volontà, essendo la creatura umana tenuta ad assoggettarsi senza distinguo al dettato coranico. In senso letterale, la parola "Islàm" significa infatti sottomissione, abbandono o obbedienza a Dio. Abbandono a un Progetto divino che concerne l'umanità intera e che l'uomo non può conoscere per la sua intrinseca limitatezza, al quale tuttavia esso si dovrà abbandonare, fiducioso della bontà e della misericordia divina.

Dio - al contrario di quanto pensavano i mutaziliti - si crede non conceda il libero arbitrio all'uomo, essendo ogni atto (compreso quello umano) creato da Dio. Egli dà all'uomo tutt'al più il possesso (iktisāb) dell'atto compiuto, mentre il presumere di poter creare qualcosa o di penetrare l'insondabile Volontà divina sono peccati di massima superbia, con la conseguenza che il Volere divino dovrà essere accettato senza condizione alcuna da parte delle Sue creature.

Questo avviene non solo nelle pratiche di culto - il cui obbligo non si considera assolto convenientemente senza l'osservanza precisa delle loro minuziose modalità (precise ritualità da osservare nel corso del pellegrinaggio obbligatorio alla Mecca e nei suoi dintorni) -, ma anche nell'ottemperare alle precise e cogenti norme alimentari che, secondo lo schema vetero-testamentario, non si giustificano con motivazioni di carattere razionale, in grado cioè di essere percepite dall'intelligenza umana, ma che devono essere accettate come tutto il resto "senza chiedersi il come e il perché" (bi-lā kayfa).

Assenza di clero

Folla di pellegrini nella Spianata Sacra della Mecca, la città più santa dell'Islam per la presenza della Kaʿba.

Le correnti principali dell'Islam non ammettono né riconoscono clero e tanto meno gerarchie (indirettamente una forma di ambiente clericale esiste però nell'ambito sciita, in cui si crede che l'"Imam nascosto" eserciti un'ineffabile influenza sui marja' al-taqlid, dal momento che si crede non possa esistere alcun intermediario fra Dio e le Sue creature.

Da non confondere col clero è la categoria degli imam: musulmani che per le loro conoscenze liturgiche sono incaricati dalla maggioranza dei fedeli di condurre nelle moschee la loro preghiera obbligatoria.

Neppure gli ʿulamāʾ, che si limitano a interpretare il Corano, possono essere avvicinati a una forma di clero, anche se, nell'assolvere alla loro funzione, di fatto tendono a riaffermare il ruolo privilegiato che deve svolgere la religione islamica nella società.

A un ben delimitato ambito giuridico vanno invece ricondotti i mufti, che sono autorizzati a esprimere pareri astratti nelle diverse fattispecie giuridiche, indicando se una data norma sia o meno coerente con l'impianto giuridico islamico.

Similmente devono essere considerati i qāḍī che, storicamente, erano di nomina governativa e chiamati a giudicare in base alle norme della sharīʿa all'interno di particolari tribunali (definiti sciaraitici) che, un tempo, caratterizzavano le società islamiche ma che sono stati progressivamente soppiantati nella maggioranza dei Paesi islamici da tribunali statali che agiscono in base a una normativa che fa riferimento a codici, per lo più d'ispirazione occidentale, anche se ispirati alla tradizione normativa sciaraitica.

Forma di ricerca interiore, il misticismo dell'Islam, è incarnato dai sufi.

Il fatto di interfacciarsi direttamente col sacro e di non ammettere intermediari tra uomo e Dio non rende necessaria la figura del sacerdote (cui quindi non sono, almeno nel Sunnismo, minimamente assimilabili gli ʿulamāʾ o i mufti). Diverso il caso dello Sciismo, dove gli Ayatollah fungono in qualche misura da intermediazione tra i devoti e l'"Imam nascosto", la cui parusia è attesa alla fine dei tempi ma che agisce ineffabilmente proprio attraverso i dotti.

Scuole giuridiche e teologiche

Lo stesso argomento in dettaglio: Fiqh, Kalam e Madhhab.
Distribuzione delle scuole giuridico-religiose islamiche nel mondo.

Se ognuno è sacerdote di sé stesso e responsabile dei suoi errori, il discrimine fra quanto è considerato consono all'Islam e quanto gli è contrario potrà scaturire solo dall'approfondito dibattito fra esperti "dottori" (ʿulamāʾ) che abbiano compiuto i necessari studi all'interno di strutture d'insegnamento religioso, la cui affidabilità sia riconosciuta senza riserve.

Esiste in materia un pluralismo di scuole giuridiche (madhhab) e teologiche, con numerose diverse interpretazioni di una stessa fattispecie giuridica (salvo, ovviamente, l'impossibilità di discutere gli assetti dogmatici dell'Islam, che non sono contestabili, per non incorrere automaticamente nella condanna di kufra - infedeltà massima - che fa conseguire la qualifica di "eretico" - kāfir, pl. kāfirūn). Tutte le cosiddette "scienze religiose" (ʿulūm dīniyya) tendono alla formazione di un consenso maggioritario (ijmāʿ) circa il modo d'interpretare il disposto coranico e sciaraitico. Tale consenso potrà comunque mutare nel tempo, in caso si esprima in tal senso una nuova maggioranza. Si parla di una vera e propria "polverizzazione" dei modi di giudicare della umma, divisa in numerose scuole teologiche e giuridiche, alle quali potrebbe aggiungere anche l'enorme differenziato panorama costituito dalle confraternite mistiche, tanto che qualcuno ritiene che, più che parlare di Islam, si dovrebbe parlare di "pluralità di Islam" (Islams in inglese).

Gruppi religiosi

Lo stesso argomento in dettaglio: Sunnismo e Sciismo.
File:Muslim in the world.png
Stati con popolazione di religione islamica.
Area di diffusione dell'Islam: in arancio il territorio degli Sciiti, in verde quello dei Sunniti.

I musulmani vengono differenziati in:

  • un gruppo maggioritario (duodecimano, o imamita o ithnaʿashariyya),
  • un gruppo minoritario (ismailita, o settimano o sabaʿiyya). Gruppi di Ismaeliti sono presenti in India,
  • un gruppo più esiguo, detto "zaydita" e prevalente in Yemen, teorizza la possibilità che a guidare legittimamente la Comunità islamica (Umma) possa essere qualsiasi discendente del Profeta purché questi agisca concretamente contro i musulmani usurpatori del califfato e reprobi, con deciso impegno militante e che non lasci spazio a un comodo quietismo limitato a un'attività puramente teoretica.
  • Ibaditi, oggi maggioritari nel solo Oman, ma presenti anche in qualche località del Nordafrica e dell'Africa Orientale.

Di derivazione islamica, ma considerati eterodossi, sono invece:

  • Gli Alawiti, appartenenti a una setta minoritaria d'ispirazione sciita ma con forti tratti gnosticheggianti. Esprime il gruppo dirigente in Siria fin dall'epoca del Presidente Ḥāfiẓ al-Asad.
  • I Drusi, di originaria ispirazione ismailita (ma presto abbondantemente diversificatisi), sorti in età fatimide all'epoca dell'Imàm-califfo al-Ḥākim e presenti in Libano, nella regione montagnosa dello Shūf, in Siria (Golan, Gebel Druso) e Israele.
  • I Bahá'í, a loro volta gemmati dal Babismo, costretti dalla Rivoluzione Islamica dell'Iran a rifugiarsi in India e in Occidente (soprattutto Canada e Stati Uniti). Sono considerati tuttavia appartenenti a una religione completamente distaccata dall'Islam, e non una sua eterodossia.
  • Gli Aleviti appartenenti a una setta minoritaria d'ispirazione sciita duodecimana, ma con forti aspetti prossimi allo gnosticismo. Sono presenti soprattutto in Turchia dove rappresentano almeno il 15% della popolazione.
  • Gli Ahl-e Ḥaqq, presenti in Iraq e in Iran, di ispirazione sciita ma marcatamente eterodossa.
  • Gli Aḥmadiyya di Qādyān (India settentrionale) e Lahore (Pakistan), fondati da Mirza Ghulam Ahmad.
  • I Sikh, presenti in India, sono nati dopo Muḥammad e ritengono validi alcuni punti del credo islamico (tra cui il monoteismo). Sono considerati tuttavia appartenenti a una religione completamente distaccata dall'Islam, e non una sua eterodossia.
  • Gli yazidi, il cui sincretismo include anche alcuni elementi dell'Islam, pur discostandosene sostanziosamente.
  • La Nation of Islam presente negli Stati Uniti, di ispirazione sunnita ma marcatamente eterodossa, tanto da essere considerati dagli storici delle religioni come appartenenti a una religione ormai completamente distaccata dall'Islam, e non una sua eterodossia.

Modelli ispiratori

Quali siano stati i modelli religiosi ispiratori è ancora argomento di discussione fra gli storici delle religioni. Se infatti si può parlare, coi dovuti distinguo, di debiti contratti verso il Giudaismo, lo Zoroastrismo, il Cristianesimo orientale e, più ancora, verso il credo delle comunità ebraico-cristiane attive nella stessa Penisola araba - debiti per molti versi e in diversa misura difficilmente negabili - non manca però chi sostiene l'indubbia esistenza di una matrice indigena sud-arabica che affrancherebbe l'Islam da una sorta di tutela strettamente allogena. Del resto non sono episodiche le prove, epigrafiche, artistiche (statuaria votiva) e archeologiche, circa l'esistenza di culti monoteistici negli ambienti culturali sud-arabici e il loro lento accostamento a forme sempre più spiccatamente monoteistiche.[61]

Che l'Islam appartenga al medesimo contesto di valori dell'Ebraismo e del Cristianesimo, viene sottolineato dalla sua inclusione tra le cosiddette religioni abramitiche.[62][63]

Differenze fra i concetti di Islam e Islamismo

Lo stesso argomento in dettaglio: Islamismo e Antislamismo.

Quanto al lessico impiegato, se in contesti linguistici diversi da quello italiano la differenza fra il termine Islam e Islamismo è abbastanza sfumata, in italiano una diversità sostanziale invece esiste, perché con la parola Islam s'intende quell'insieme di atti di fede, di pratiche rituali e di norme comportamentali che è praticato da sunniti e sciiti che, insieme, rappresentano quasi il 99% dei fedeli musulmani, mentre il termine Islamismo indica di fatto una concezione dell'uomo e del mondo che si ispira ai valori dell'Islam ma che si esprime a livello più propriamente politico.

La disciplina che studia l'Islam è tradizionalmente detta in italiano islamistica, e islamisti sono detti i suoi cultori e studiosi. Sennonché, per l'improprio uso fattone da alcuni media generalisti, il termine "islamista" può essere percepito come sinonimo di "estremista islamico", generando disagio per gli studiosi della materia, che potrebbero in alternativa ricorrere al gallicismo islamologi, se esso non risultasse estraneo alla tradizione accademica.[64] Islamistica resta perciò la dizione accademica della branca disciplinare relativa alla cultura dell'Islam.

Altra fonte di confusione terminologica si ha negli ultimi anni con il crescente e improprio uso come sostantivo dell'aggettivo islamico.[65] Il sostantivo che si riferisce a chi professa la religione islamica è infatti musulmano (nell'uso corretto si dovrebbe dire: i musulmani e non gli islamici). L'uso dell'aggettivo come sostantivo, così come il sostantivo islamista - del tutto sconosciuto a qualsiasi autorevole dizionario italiano, se non nel senso di "studioso dell'Islam" - sembra coniato dalla sbrigativa volontà di indicare i militanti di movimenti radicali di matrice islamica che spesso tracimano nel terrorismo, finendo col conferire a quest'ultimo uso una sfumatura negativa che, invece, è evidentemente estranea al termine "musulmano". Ciononostante si assiste a una sua crescente diffusione nei mezzi di comunicazione di massa come semplice sinonimo di quest'ultimo sostantivo/aggettivo.

La fede per i musulmani è basata sui "cinque pilastri". Per essere un "uomo dell'Islam" si deve possedere perfettamente la fede (īmān) in questi principi ed esercitare il bene e la pietà (birr). Le parole "Islam" e "salam" (pace) hanno la stessa radice consonantica e sono come fuse. L'Islam si configura quindi come "intima pace dell'uomo con Dio" e il mùslim (musulmano) è colui che si affida con pienezza al Signore. Questo fiducioso abbandono è manifestato dal credente assolvendo per quanto può ai doveri espressi dai cinque arkān al-Islām, vale a dire i cinque "pilastri della fede islamica".

L'Islam non è soltanto una religione, nel senso tecnico del termine (cfr. il latino religio), che si basi principalmente su un'intima persuasione di fede, ma è anche (e non secondariamente) un'ortoprassi, una serie cioè di azioni e comportamenti obbligatori, perché giudicati "corretti".[66] I comportamenti esteriori sono giudicati secondo la sharīʿa, la disciplina legale islamica, mentre per quelli interiori il solo giudice è Dio. Ciò non toglie che, dopo un lungo e animato dibattito teologico durato quasi un secolo,[67] mirante a determinare se per potersi definire "musulmano" bastasse l'imān (la fede) o se invece essa dovesse accompagnarsi o addirittura essere subordinata alle opere (aʿmāl) la risposta è stata quella di dare assoluta preminenza alla prima, tant'è vero che per essere considerato a pieno titolo "musulmano" è sufficiente una seria shahāda, anche se un musulmano non potrà poi esimersi dall'esprimere coerentemente nei fatti della vita la profondità e la sincerità della sua fede. Questo di per sé eliminerebbe la necessità di parlare di un "integralismo islamico", dal momento che l'Islam ha per definizione un approccio "integrale" alla realtà fenomenologica, senza alcuna separazione fra aspetti mondani e ultramondani.

Islam politico

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia dei popoli islamici e Islamismo.

Dal 632 al 1924 l'Islam politico si è sviluppato nel califfato. Dal 1969 i paesi musulmani fanno riferimento per la difesa dei valori dell'Islam all'associazione Organizzazione della Conferenza Islamica. Dal 1945 quelli arabofoni fanno anche riferimento, ma essenzialmente politico, alla Lega Araba. Oggi sono 6 i paesi retti ufficialmente da una repubblica islamica, anche se ci sono paesi a maggioranza musulmana che sono repubbliche democratiche (vedi Indonesia, Turchia). Gli altri Stati a maggioranza musulmana sono o monarchie assolute o dittature o repubbliche (o monarchie costituzionali) democratiche solo nominalmente (Tunisia, Egitto), anche se dopo la primavera araba questi paesi sembra possano entrare a far parte delle democrazie islamiche.

Concezione del mondo

Questa dottrina, che non compare nel Corano e negli hadith, è stata elaborata da Abū Ḥanīfa al-Nuʿmān e da altri pensatori musulmani nell'arco di cinque secoli. Un periodo di espansione territoriale per l'Islam, che per questo aveva necessità di dotarsi di una visione geo-politica del mondo che, secondo questa concezione, sarebbe diviso in tre parti:

  • Il "Territorio (lett. "Casa") dell'Islam", o "Dār al-Islām"[68] (o Dārunā, "Il nostro territorio"), dove vivono i musulmani sotto la protezione della Legge islamica e i popoli sottomessi (dhimmī). Gli uomini appartenenti a fedi diverse da quella islamica, fino all'età contemporanea, furono infatti assoggettati al pagamento di un tributo personale, la jizya, che garantiva loro la protezione da aggressione esterne, venendo esentati dal servizio militare, dal pagamento della zakat - tassa riservata ai soli musulmani - venendo garantiti nel godimento di una sostanziosa, anche se limitata, indipendenza amministrativa.[69] Le interpretazioni dei teologi musulmani differiscono sulla possibilità di accettare come dhimmī fedeli di religioni differenti da quella dei cristiani, ebrei, zoroastriani e sabei ma, storicamente, si accettò anche l'Induismo come religione proteggibile, in quanto esso poteva vantare un testo scritto (i Veda) che fu considerato anch'esso ispirato divinamente. I teologi hanafiti considerano Dār al-Islām anche un territorio non più sotto controllo musulmano che però permette ancora l'amministrazione del culto e la protezione, sia ai musulmani che ai dhimmī,[70] ma anche il giurista malikita siciliano, l'Imām al-Māzarī, affermò questo principio riferendosi al periodo in cui i musulmani erano governati dai Normanni. In tal modo egli legittimava la loro permanenza nell'isola, da cui essi sarebbero invece dovuti emigrare qualora la Sicilia fosse stata da considerare Dār al-ḥarb, ossia "Territorio della Guerra".

Contestato invece l'uso dell'espressione "Dār al-Salām[senza fonte]", "Territorio della Pace", malgrado l'uso fattone in una fatwa di al-Azhar circa l'obsolescenza concettuale della divisione del mondo tra Dār al-Salām (definizione che sembrerebbe usata come sinonimo di Dār al-Islām) e Dār al-ḥarb.[71]

  • Il "Territorio della Tregua", "Dār al-ʿahd"[72] o "Dār al-Hudna", territorio non islamico in cui però l'Islam è praticabile liberamente. Non può essere attaccato e, al contrario, deve essere difeso dai musulmani che hanno stabilito un patto con le autorità del paese; i musulmani devono anche rispettarne gli usi e i costumi. Se però la controparte rompe i patti, può trasformarsi in Dar al-Harb.[73]
  • Il Territorio della Guerra, o "Dār al-ḥarb" (talora chiamato "Dār al-kufr", "Casa dell'empietà"[74]) riguarda invece i territori confinanti con quelli islamici (ma anche all'interno di quelli[75]) che non hanno un accordo di pace o di non-aggressione con i paesi musulmani circostanti. Secondo alcuni giuristi musulmani, un territorio a maggioranza musulmana conquistato da forze non-islamiche diventa Dār al-ḥarb. Secondo molti storici, dopo la scomparsa dell'ultimo grande califfato, quello Ottomano, e la frammentazione degli Stati islamici seguita al Colonialismo, questo concetto ha perso molto del suo significato.[76]

Va comunque sottolineato che tali distinzioni appartengono alla discussione sviluppatasi in età islamica classica e che oggi essa non ha più motivo di essere riproposta, salvo da parte di chi auspica un ritorno a un autoreferenziale Islam delle origini.

«La dottrina islamica contemporanea tende a considerare la contrapposizione tra dār al-Islām e dār al-ḥarb come superata: la esistenza di trattati e istituzioni internazionali universali impone di considerare i paesi non musulmani come dār al-ʿahd, almeno in assenza di uno stato di guerra effettiva.»

Il proselitismo è un obbligo morale per il musulmano (daʿwa, "appello" alla conversione) contro il paganesimo e l'idolatria, ma non riguarda i popoli monoteisti, che in diversa misura posseggono già una parte della Rivelazione tramite l'uso delle Sacre Scritture, che sono sempre ispirate dallo stesso Dio, ma rese incomplete e corrotte per via della manipolazione umana. Le popolazioni del Libro sono innanzitutto ebrei e cristiani, ma nel corso dell'espansione islamica vi furono compresi anche mandei, mazdei, induisti e buddisti. Maometto stesso ha sottolineato in vari hadith della sua Sunna il portato della Rivelazione coranica.
Specificando con precisione quali differenze vi siano tra fede e sottomissione politica e impositiva per le Genti del Libro, cui la Umma islamica deve garantire il libero esercizio del proprio credo nei territori dell'Islam, pur dovendo rinunciare a qualsiasi forma di proselitismo e pur accettando, in quanto comunità protette, la superiorità politica dell'Islam, la lealtà verso la Umma in quanto entità politica e il pagamento di un tributo. Questa sostanziale "tolleranza religiosa" fu tra i fattori che permisero la veloce conquista dei territori dell'Impero bizantino, dove le eresie cristiane (come il monofisismo) erano invece pesantemente combattute e dove la tassazione era più alta di quella richiesta dagli arabi conquistatori.

Note

  1. ^ Executive Summary, su The Future of the Global Muslim Population, Pew Research Center. URL consultato il 22 dicembre 2011.
  2. ^ Table: Muslim Population by Country | Pew Research Center's Religion & Public Life Project, su features.pewforum.org, 27 gennaio 2011. URL consultato il 23 luglio 2014.
  3. ^ The List: The World's Fastest-Growing Religions, su foreignpolicy.com, Foreign Policy, 14 maggio 2007. URL consultato il 24 settembre 2013.
  4. ^ PBS - Islam: Empire of Faith - Faith - Islam Today.
  5. ^ Lippman, Thomas W., No God But God, su usnews.com, U.S. News & World Report, 7 aprile 2008. URL consultato il 24 settembre 2013.
  6. ^ Mapping the Global Muslim Population - PewResearch
  7. ^ Voce Islàm del Vocabolario Treccani Online
  8. ^ La pronuncia piana (Īslam) va pertanto considerata un errore dovuto alla banale ignoranza delle regole grammaticali della lingua araba oltre che a una forma di ipercorrettismo: come per esempio in Ìraq o Ìran anziché Iràq e Iràn, si ritira l'accento per reazione alla tendenza a pronunciare come parole piane tecnicismi che sono in realtà parole proparossitone (cfr. Paolo D'Achille, L'italiano contemporaneo, ed. il Mulino, Bologna, 2010, ISBN 978-88-15-13833-0, p. 112).
  9. ^ http://dictionary.reference.com/browse/islam
  10. ^ On Developing Theology of Peace in Islam
  11. ^ Corano, VI:125
  12. ^ Corano V:3
  13. ^ L. Gardet; J. Jomier, s.v. «Islam», in: The Encyclopaedia of Islam Online.
  14. ^ Seyyed Hossein Nasr, The Heart of Islam: Enduring Values for Humanity, 2002
  15. ^ Riguardo alla necessità o meno di recitare la shahāda di fronte a validi testimoni, si legga: # Are witnesses needed for a non Muslim to take shahada? – Shaykh Saalih Fawzan
  16. ^ A tale determinazione non si è giunti immediatamente, né pacificamente. Per oltre un secolo si è infatti discusso se per essere musulmano fosse sufficiente la sola fede o se essa dovesse essere accompagnata da opere coerenti. La discussione non era puramente teorica, in quanto derivava dalla penosa condizione in cui si trovavano i convertiti non-Arabi (mawālī), cui si obiettava la non compiuta conoscenza della Sharīʿa e delle complesse liturgie del culto per seguitare ad assoggettarli ai gravami fiscali cui erano tenuti i sudditi "protetti" (dhimmi), appartenenti cioè alla cosiddetta Ahl al-Kitāb, "Gente del Libro". Sarà solo la vittoria degli Abbasidi e la loro politica che attuava l'universalismo islamico a convincere i teologi della sufficienza della sola retta fede per fare acquisire la condizione giuridica e morale di musulmano.
  17. ^ Queste organizzazioni sono controllate in Occidente dalle autorità delegate alla pubblica sicurezza per evitare che con le somme raccolte si finanzino operazioni belliche spacciate per jihād.
  18. ^ The Muslim Zakat: a vision of the "big society"?... UN office for the Coordination of Humanitarian Affairs (UNOCHA), included estimates that each year, somewhere between US$200 bn and US$1 trn (£130 bn and £645 bn respectively) are given as mandatory and voluntary donations across the Muslim world. At the low end of this estimate, this is 15 times more than global humanitarian aid contributions in 2011.
  19. ^ Numerosi versi del Corano (2:62; 5:69; 18:88; 25:70) equiparano la "fede" religiosa (īmān) e l' "opera pia" (ʿamal ṣāliḥ) di cui la zakāt rappresenta l'eccellenza.
  20. ^ Il sostantivo è maschile in arabo ed è del tutto scorretto renderlo femminile per la persistente volontà di tradurlo esclusivamente come "guerra".
  21. ^ Traduzione di Alessandro Bausani (Il Corano, Firenze, Sansoni, 1961, p. 496).
  22. ^ E quando fu proposto ad esempio il figlio di Maria, ecco che il tuo popolo vociferò, - dicendo: “È costui migliore dei nostri dèi?”. Ma non ti propongono questo paragone altro che come pretesto di disputa, ché son gente amante di liti. - Egli non è che un Servo cui concedemmo i Nostri favori e ne facemmo un esempio pei Figli d'Israele - (ché, se volessimo, faremmo ereditare la terra, dopo di voi, ad angeli) - ed egli non è che un presago dell'Ora: pertanto non dubitate ch'essa venga, e seguite Me; questo è il retto sentiero. (Corano|Cor., XLIII:57-61, trad. di A. Bausani, cit., p. 365).
  23. ^ "Qualunque sia la situazione in cui ti troverai, qualunque sia il brano del Corano che reciterai, voi non farete nulla senza che Noi assistiamo a quel che fate, nulla sfugge al tuo Signore, fosse pure del peso di una tarma, nulla sulla terra e nulla in cielo, più piccolo o più grande di questo, tutto è scritto in un libro chiaro". (Corano, Sūrat Yūnus, ossia "di Giona", X:61, trad. di Ida Zilio-Grandi, a cura di A. Ventura, Milano, Mondadori, 2010, p. 126.
  24. ^ Non l'afferrano gli sguardi ed Egli tutti gli sguardi afferra. (Cor., VI:103)
  25. ^ Quando i Miei servi ti chiedono di Me, Io sono vicino; ed esaudirò la preghiera di chi prega quando Mi prega; ma essi Mi rispondano e credano in Me, a che possano essere nel vero. (Cor., II:186)
  26. ^ Invero abbiamo creato l'uomo, sappiamo che cosa gli sussurra l'anima sua, e siamo più vicini a lui della sua vena giugulare. (Cor., L:16, trad. e note di M. M. Moreno, Torino, UTET, 1967, p. 473).
  27. ^ E Dio possiede i nomi più belli, invocatelo dunque con quel nome (Sūrat al-Aʿrāf, VII:180)
  28. ^ Cor., XLII:11
  29. ^ Cor., CXIX:1
  30. ^ Cor., XX:114
  31. ^ Cor., XX:111
  32. ^ Cor., LXIX:33
  33. ^ Cor., LXVII:1
  34. ^ Cor., LXXVI:30
  35. ^ Cor., VI:101
  36. ^ Cor., LVII:3, versione I. Zilio-Grandi-A. Ventura, p. 338.
  37. ^ Riguardo all'importanza della geometria nell'arte e nella teologia islamica si possono leggere gli interventi della studiosa presso il reparto di Studi sulle civiltà islamiche all'Università dell'Aga Khan a Londra, Valerie Gonzalez: Geometry and Islamic Art(in inglese), oppure la versione in Italiano: La geometria nell’arte islamica e quelli di Christopher E. Longhurst, Th.D alla Pontificia Studiorum Universitas a Sancto Thoma Aquinate in Urbe, Roma:Theology of a Mosque
  38. ^ Il Professor Peter J. Lu dell'Università di Harvard ha condotto un approfondito studio sull'argomento, disponibile qui. Esso ha anche attirato l'attenzione della stampa internazionale Il segreto dell'architettura islamica medioevale "Usa formule matematiche del XX secolo".
  39. ^ Come i profeti Abramo, Mosè, Gesù e Muhammad (pace su ognuno di loro) pregavano?, [www.islamhouse.com/d/files/it/ih_articles/single/it_prophets_pray.pdf su www.islamic-invitation.com].
  40. ^ Giosuè 5:15
  41. ^ (Esodo 40: 31.32)
  42. ^ (Matteo 26:39)
  43. ^ (Genesi 17:17)
  44. ^ (Numeri 20:6)
  45. ^ Giosuè 5:15
  46. ^ Matteo 4:1-2
  47. ^ Enciclopedia Treccani, 2009, Reliquie.
  48. ^ Mi fu detto: "Rendi a Dio culto puro, e non essere uno dei pagani, - e non invocare in luogo di Dio chi non può darti né giovamento né danno. Se lo farai sarai tra gli iniqui. (Sūrat Yūnus, X:105-106)
  49. ^ Treccani 2009| Si citano Bījāpur (Deccan), Rohrī (Sind), Aḥmadābād, Gaur, Delhi; talune zone dell'Africa
  50. ^ Biḥār al-anwār, vol. 82, pagg. 203 e 209.
  51. ^ Corano, XIII:28-29
  52. ^ Definizione del termine Il sufismo nelle parole degli antichi; riassumibile in uomini poveri o umili di fronte a Dio
  53. ^ "il credente è lo specchio del credente" (Abū Dāwūd, 49)
  54. ^ Tratto da "I cento passi" dello Shaykh Abdalqadir as-Sufi al-Murabit
  55. ^ Si veda Gesù secondo l'Islam.
  56. ^ Si veda in merito quanto affermato da Ahmad ibn Hanbal e dal suo tardo epigono, Ibn Taymiyya, secondo cui «un musulmano non deve mai stancarsi di ammonire il fratello che sbaglia», rendendo così illegittima qualsiasi sanzione personale del peccatore.
  57. ^ Dante Alighieri nella Divina Commedia rappresenta Maometto e Alì insieme agli scismatici,
  58. ^ Brunetto Latini nel suo Li livres dou tresor lo rappresenta come un cardinale con mire papali
  59. ^ Questa posizione è stata contestata, recentemente, da Cristoph Luxenberg (Die syro-aramaeische Lesart des Koran; Ein Beitrag zur Entschlüsselung der Qur'ansprache, Berlino, 2000), il quale - nel solco della corrente degli studiosi iper-scettici che fa capo a John Wansbrough - considera invece che la composizione originale del Corano sia avvenuta in ambito siro-aramaico.
  60. ^ Il suo analfabetismo serve a stornare da lui il sospetto che la rivelazione coranica fosse nient'altro che una sua composizione poetica e che Maometto fosse per ciò stesso invasato dai jinn, ispiratori dei poeti ma anche apportatori di follia,
  61. ^ Claudio Lo Jacono, «La cultura araba preislamica». Relazione presentata al convegno Internazionale Corano e Bibbia organizzato da Biblia (Napoli, 24-26 ottobre 1997). Atti a cura di R. Tottoli, Morcelliana, Brescia, 2000, pp. 117-131.
  62. ^ Religion, Religions, Religious, essay by Jonathan Z. Smith, published in book: Mark C. Taylor (a cura di), fifteen, in Critical Terms for Religious Studies, University of Chicago Press, 1998, p. 430, ISBN 978-0-226-79156-2.
  63. ^ Jacques Derrida, Once More, Once More: Derrida, the Jew, the Arab, introduction to Gil Anidjar, Acts of Religion, Routledge, New York & London, 2001.
  64. ^ Si veda anche Franco Cardini nella nota 2 a p. 14 del suo "Al-Andalus al tempo di Moshe ben Maimon", in (a cura di Geri Cerchiai e Giovanni Rota) Maimonide e il suo tempo, Franco Angeli, Milano, 2007.
  65. ^ Cfr. il Dizionario Enciclopedico Italiano (DEI) dell'Istituto Treccani, vol. VI: «islàmico agg. (pl. m. -ci). Dell'Islam: religione i., cultura i.; più genericam., che appartiene all'islamismo, inteso non solo come religione ma come sistema politico, sociale e culturale: popolazioni i.; il mondo i.; la civiltà islamica».
  66. ^ Denominati ʿibādāt se riferiti alle attività cultuali, muʿāmalāt se riferiti alle relazioni tra gli uomini.
  67. ^ Il voler subordinare la fede alle opere fu la logica perseguita dagli Omayyadi per motivi essenzialmente politici e fiscali, al fine cioè di poter seguitare a percepire le imposte non-islamiche anche da chi - i mawālī - si era invece convertito, pur senza aver ancora bene imparato le ritualità e le liturgie previste dall'Islam.
  68. ^ Sull'uso di tale espressione, ormai puramente accademica, si vedano per tutti Alberto Ventura, "L'islām sunnita nel periodo classico (VII-XVI secolo)", in: Islam, a cura di Giovanni Filoramo, Roma-Bari, Storia delle religioni Laterza, 19992, p. 155 o Armand Abel, s.v. «Dār al-Islām», in: The Encyclopaedia of Islam, con annessa Bibliografia.
  69. ^ Link
  70. ^ Oxford Islamic Studies - Dar al-Islam
  71. ^ Articolo di Muhammad Khalil, sulla rivista Al-Sharq al-Awsaṭ, 30 (2006), p. 22, sulla fatwa di al-Azhar circa l'obsolescenza concettuale della distinzione dottrinale classica tra Dār al-Salām e Dār al-ḥarb.
  72. ^ Così in al-Sarakhsī (m. 1106), commentatore hanafita di al-Shaybānī nel suo Mabsūṭ, 30 voll., Il Cairo, 1906/1324 E., X, p. 2.
  73. ^ Dar al-Hudna
  74. ^ Si veda A. Morabia, Le Gihad dans l'Islam médiéval, p. 201.
  75. ^ David Santillana, Istituzioni di diritto musulmano malichita - con riguardo anche al sistema sciafiita, 2 voll., Roma, Istituto per l'Oriente, 1925, I, p. 97.
  76. ^ Oxford Islamic Studies

Bibliografia

Introduzioni più recenti, in italiano o tradotte:

Introduzioni di autori musulmani e simpatizzanti:

  • Sadik J. Al-Azm, L'illuminismo islamico, Roma, Di Renzo Editore, 2001.
  • Toufiq Fahd, «L’Islam», in Storia delle religioni, vol. IX, a cura di H.-C. Puech, Bari, Laterza, 1977 (rist. dalla stessa casa editrice sotto il titolo Storia dell’islamismo).
  • Sayyid Hosein Nasr, Ideali e realtà dell'Islam, Milano, Rusconi, 1988
  • Albert Hourani, Storia dei popoli arabi. Da Maometto ai nostri giorni, Milano, Mondadori, 1998
  • Tariq Ramadan, Maometto. Dall'islam di ieri all'islam di oggi, Torino, Einaudi, 2007
  • Allama Tabataba'i, Muhammad alla luce dell'islam, Camagnola, 1982
  • Martin Lings, Il profeta Muhammad. La sua vita secondo le fonti più antiche, SITI, Trieste 1988
  • F. Schuon, Comprendere l'islam, Milano, SE, 1989
  • Abu l-Ala Mawdudi, Conoscere l'islam, Roma, Ed. Mediterranee, 1873
  • Fazlur Rahman, La religione del Corano, Milano, Saggiatore, 1968

Su temi più particolari:

  • W. Ende-U. Steinbach, L'islam oggi, EDB, Bologna 1991
  • Maurice Borrmans, Islam e Cristianesimo. Le vie del dialogo, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993
  • J. Jomier, Per comprendere l'islam, Roma, Edizioni Borla, 1996
  • H. Kragg, Maometto e il cristiano. Un problema che attende risposta, Torino, 1986
  • Pier Giovanni Donini, Il mondo islamico. Breve storia dal Cinquecento a oggi, Bari-Roma, Laterza, 2003
  • G. Finazzo, I musulmani e il cristianesimo - Alle origini del pensiero islamico (secc. VII-X), Roma, Edizioni Studium, 2005.
  • Gustav E. von Grunebaum, Classical Islam: a History 600 AD to 1258 AD, Chicago, 1970.
  • Hugh Kennedy, The Prophet and the Age of the Caliphates, London-New York, Longman, 1986.
  • Giorgio Levi Della Vida, Arabi ed Ebrei nella storia, Napoli, Ricciardi, 1984.
  • Bernard Lewis, Uno sguardo dal Medioriente, Roma, Di Renzo Editore, 1999.
  • Robert Mantran, L’espansione musulmana dal VIII all’XI secolo, Milano, Mursia, 1978.
  • Carlo Saccone, Allah il Dio del Terzo Testamento. Letture coraniche, Milano, Medusa, 2006
  • Maurice Lombard, Splendore e apogeo dell'Islam: VIII-XI secolo, Milano, Rizzoli-BUR, 1991
  • Tariq Ramadan, Essere musulmano europeo, Troina (En), Città aperta, 2002
  • M. Khalid Rhazzali, L'islam in carcere. L'esperienza religiosa dei giovani musulmani nelle prigioni italiane, FrancoAngeli, Milano, 2010
  • Ciro Sbailò, Il Governo della Mezzaluna. Saggi sul diritto islamico, Leonforte, Euno, 2010
  • IDEM, Principi sciaraitici e organizzazione dello spazio pubblico nel mondo islamico. Il caso egiziano, Padova, CEDAM, 2012
  • Joseph Schacht, Introduzione al diritto musulmano, Torino, Ed. Fondazione Giovanni Agnelli, 1995
  • R. Schulze, Il mondo islamico del XX secolo. Politica e società civile, Milano, Feltrinelli, 1998

Su Europa e Islam:

  • Massimo Introvigne, Islam. Che sta succedendo? Le rivolte arabe, la morte di Osama bin Laden, l'esodo degli immigrati, Milano, Sugarco, 2012, ISBN 978-88-7198-618-0
  • Norman Daniel, Gli Arabi e l'Europa nel Medioevo, Bologna, il Mulino, 1981 (rist. 2007)
  • William Montgomery Watt, L'islam e l'Europa medievale, Milano, Mondadori, 1991
  • Maxime Rodinson, Il fascino dell'islam, Bari, Dedalo, 1988
  • Franco Cardini, Europa e Islam. Storia di un malinteso, Roma-Bari, Laterza, 1999
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  • S. Hunke, Allahs Sonne ueber dem Abendland. Unser arabisches Erbe, Stuttgart, DVA, 1989
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  • Francesco Gabrieli - Umberto Scerrato, Gli Arabi in Italia (cultura, contatti, tradizioni), Milano, Garzanti (già Scheiwiller), 1979
  • Michele Amari, Storia dei musulmani in Sicilia, 3 volumi, revisione a cura di C. A. Nallino, Catania, Romeo Prampolini, 1933-39
  • F. Maurici, Breve storia degli Arabi in Sicilia, Palermo, Flaccovio Ed., 1999

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