I cretesi

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
I cretesi
Tragedia di cui restano frammenti
Scultura raffigurante Euripide, conservata presso la galleria del Colosseo
AutoreEuripide
Titolo originaleΚρἡτες
Lingua originaleGreco antico
Generetragedia
AmbientazioneCreta
Prima assoluta435 a.C.
Teatro di Dioniso, Atene
Personaggi
 

I cretesi (Κρἡτες) è una tragedia perduta di Euripide, composta nel 435 a.C. Ne restano una decina di frammenti, tra i quali uno di circa quaranta versi.

Trama[modifica | modifica wikitesto]

Come in molti casi, nonostante alcuni dubbi, i frammenti della tragedia si possono ricollocare agevolmente grazie alla testimonianza di Igino, che afferma[1]ː

«Pasifae, figlia del Sole e moglie di Minosse , per diversi anni non fece offerte alla dea Venere. Per questo Venere ispirò in lei un amore innaturale per un toro. Nel momento in cui Dedalo arrivò lì come esule, lei gli chiese di aiutarlo. Per lei fece una giovenca di legno, vi mise sopra la pelle di una vera giovenca e in questa lei giacque con il toro. Da questo rapporto partorì il Minotauro, con testa di toro ma corpo umano. Poi Dedalo fece per il Minotauro un labirinto con un'uscita introvabile in cui era confinato. Quando Minosse venne a sapere della faccenda, fece imprigionare Dedalo, ma Pasifae lo liberò dalle sue catene. E così Dedalo fece delle ali, le mise a sé e a suo figlio Icaro e volarono via da quel luogo.»

Dopo un prologo divino (forse recitato sia da Poseidone che da Afrodite, irati rispettivamente contro Minosse e Pasifae), Minosse scopre dalla Nutrice che sua moglie ha partorito un mostruoso neonato con la testa di toro. Manda, quindi, a chiamare un coro di suoi fedeli sacerdoti, che informa sull'accaduto e a cui chiede il da farsi.

Accusata pubblicamente dal marito, Pasifae risponde precisamente ad ogni accusa, ma, insensibile ai ripetuti ammonimenti del coro, Minosse decide che Pasifae e la Nutrice siano rinchiuse in un oscuro carcere e messe a morte senza indugio. Forse, dopo un colloquio nel quale Minosse rimproverava a Dedalo di aver messo la sua arte a servizio dell’insana passione di Pasifae, padre e figlio, rinchiusi nel Labirinto (ma evidentemente non sorvegliati), progettavano la fuga, ne preparavano i mezzi e la mettevano in atto nonostante le prudenti obiezioni di Icaro.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Fabulae, XL.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Euripide, I Cretesi, a cura di R. Cantarella, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1963.
  • Euripide, Cretesi, Introduzione, testimonianze, testo critico, traduzione e commento a cura di A. T. Cozzoli, Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2001.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Controllo di autoritàVIAF (EN293434961 · GND (DE4390376-9 · BNF (FRcb16139134j (data) · J9U (ENHE987007366284405171