Storia di Amalfi

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Voce principale: Amalfi.
Bandiera della Repubblica di Amalfi

«. . . la più prospera città di Longobardia, la più nobile, la più illustre per le sue condizioni, la più agiata ed opulenta. Il territorio di Amalfi confina con quello di Napoli; la quale è bella città, ma meno importante di Amalfi.»

Secondo il Chronicon Amalphitanum, il villaggio di Amalfi era stato fondato da un gruppo di Romani che, diretti a Costantinopoli, avevano fatto naufragio sulle coste pugliesi; poi, dopo aver fondato Melphi (oggi Melfi), si erano spinti verso sud per stabilirsi sulla costiera amalfitana. Amalfi era nata, tra i monti Lattari e il Tirreno, come un piccolo villaggio di pescatori.

I Bizantini, per difendersi dall’invasione dei Longobardi di Alboino, trasformarono il villaggio in fortezza (castrum). Gli Amalfitani, a ridosso della montagna che li isolava dagli agglomerati campani del golfo di Salerno, dovettero espandere le loro attività sul mare con il commercio. La posizione strategica in cui sorgeva Amalfi, tra le montagne e il mare, fece acquisire al piccolo agglomerato una notevole importanza durante la lotta tra Bizantini e Longobardi.

L'influenza napoletana-bizantina non impedì agli abitanti di Amalfi di godere di una sostanziale "autonomia periferica" che andò sempre più rafforzandosi. Ciò permise un notevole sviluppo dei traffici della gente della costiera amalfitana. Essi erano, inoltre, agevolati anche dalle buone relazioni con Napoli e Bisanzio. Intorno all’836 i commerci condotti da Amalfi erano in piena espansione e raggiungevano i territori dell’Italia meridionale fino alla Sicilia e quelli dell’Africa mediterranea, ormai da molto tempo sotto il dominio degli arabi.

La libertà

L'Italia attorno al 1000, il piccolo territorio di Amalfi è colorato in giallo brillante.

Nell'839, sempre nel contesto della lotta fra Longobardi e Bizantini, la filobizantina Amalfi viene assalita ed espugnata dal longobardo, principe di Benevento, Sicardo, poi assassinato in una congiura di palazzo. In seguito alla tragica morte di Sicardo e la lotta per la successione al Principato di Benevento, gli amalfitani si ribellarono riuscendo a cacciare il presidio longobardo. Il primo settembre dell'839 acquista l’autonomia amministrativa, anche se sussisteva una formale tutela di Bisanzio, tramite il Ducato di Napoli; ma era un principio di libertà.

Con la ripresa della politica espansionistica degli Arabi del Magreb, il duca di Napoli Sergio fu costretto a costituire una lega campana a cui aderirono Gaeta, Sorrento e Amalfi. Allorché i Musulmani tentarono di penetrare in Roma, attraverso il Tevere, la lega campana, spronata dal pontefice Leone II, mobilitò la sua flotta e sconfisse gli invasori alle foci del fiume romano. Amalfi, nonostante fosse impegnata in un conflitto armato contro i musulmani, continuò ad avere rapporti commerciali, sia pure in misura ridotta, con i mercanti arabi della Sicilia, della Spagna e dell’Africa.

La vita degli abitanti di Amalfi si svolgeva essenzialmente sul mare, data la sua particolare posizione geografica, tra la costa e i monti. Alle attività legate al commercio si interessavano tutti gli abitanti, non esclusa la nobiltà che era tradizionalmente più legata alla proprietà fondiaria. La prassi commerciale era regolata secondo le norme delle tavole amalfitane, una delle basi del diritto societario moderno. Lo sviluppo dei commerci favorì logicamente l’espansione degli Amalfitani verso i territori del Mediterraneo centrale e orientale dove sorsero i primi stanziamenti di mercanti che divennero coloni. È del 996 la sicura conoscenza di una numerosa e forte colonia al Cairo.

Per un errore di interpretazione di un testo latino, che riferiva invece che l'invenzione della bussola era attribuita dallo storico Flavio Biondo agli Amalfitani, il filologo Giambattista Pio sostenne che la bussola fosse stata inventata dall'amalfitano Flavio Gioia. Nel testo in questione (Amalphi in Campania veteri magnetis usus inventus a Flavio traditur), tuttavia, non bisogna intendere Flavio come l'inventore della bussola, ma solo come colui che ha riportato la notizia: appunto Flavio Biondo[1]. Tuttavia pare che proprio i navigatori amalfitani siano stati tra i primi ad usare quello strumento, ed il nome corretto del probabile inventore della bussola sarebbe Giovanni Gioia[2]. In realtà già da tempo la bussola era stata importata dall'oriente e marinai del mediterraneo già la utilizzavano; Gioia avrebbe solo perfezionato lo strumento rendendolo più stabile.

La crisi

Nella seconda metà del secolo XI il piccolo Ducato di Amalfi venne a trovarsi in seria difficoltà, all’interno di un contesto che vedeva alternarsi le lotte tra i capi normanni, gli imperatori d’Oriente e d’Occidente e la Chiesa di Roma, con continui rivolgimenti nei principati campani.La comunità amalfitana decise di rinunciare alla propria indipendenza chiedendo la protezione di Roberto il Guiscardo. Nell’ottobre del 1126, durante il governo di Guglielmo, terzo duca di Puglia, i maggiorenti amalfitani, che godevano di larga autonomia amministrativa, conclusero un accordo riguardante i commerci con la Repubblica di Pisa. Questo trattato rispondeva ai rapporti amichevoli esistenti da diversi decenni tra le due città marinare per la complementarietà dei loro interessi di mercato.

Il pontefice Innocenzo II (anche se preoccupato per la crisi scismatica provocata dall’antipapa Anacleto II) e il nuovo imperatore Lotario II, iniziarono una guerra contro Ruggero II di Sicilia, nella quale intervennero diversi principati nonché le Repubbliche di Pisa e di Genova. Quando la guerra si diffuse anche in Campania, i Pisani che con Napoli e con altre città della regione (tra cui la stessa Amalfi) avevano stretto rapporti di affari, raccolsero l’invito del pontefice per un diretto intervento. Il 4 agosto 1135 attaccarono la non più libera città di Amalfi, ritenendo che la convenzione del 1126 non fosse più valida per la soggezione ai rivali Normanni. Saccheggiate le navi alla fonda nel porto e quasi distrutto l’abitato, i Pisani furono attaccati dall’esercito di Ruggero II, proveniente da Aversa attraverso le montagne. Si verificarono diversi scontri nei quali, soprattutto lungo la costiera amalfitana, si impegnarono le milizie pisane, ma al guerra terminò favorevolmente per Ruggero II, il quale ottenne nel luglio del 1139 riconoscimento dalla Chiesa e dall’Impero della piena giurisdizione su tutta l’Italia meridionale e Amalfi era caduta per sempre sotto la sua dominazione.

La libertà di Amalfi non ritornò mai più. La decadenza politica di Amalfi non significò, però, la fine delle colonie d’oltremare e del commercio che rimase attivo anche nei secoli che seguirono, nonostante gli attacchi continui. A prolungare la crisi ci fu poi nel 1343 un devastante maremoto che le diede il definitivo colpo di grazia: non tanto perché gran parte della città fu distrutta, ma poiché gli arsenali (nei quali si costruivano le galee grazie alle quali Amalfi era stata padrona dei mari) vennero irrimediabilmente danneggiati e resi, di fatto, inservibili.

Voci correlate

Note


Bibliografia

  • Patricia Skinner, Family Power in Southern Italy: The Duchy of Gaeta and its Neighbours, 850-1139. Cambridge University Press: 1995.
  • John Julius Norwich, I Normanni nel Sud: 1016-1130. Mursia, Milano 1971 (ed. orig. The Normans in the South 1016-1130. Longmans: Londra, 1967).
  • John Julius Norwich. Il Regno nel Sole. I Normanni nel Sud: 1130-1194. Mursia, Milano 1972 (ed.orig. The Kingdom in the Sun 1130-1194. Longman: Londra 1970).
  • Donald Matthew, I Normanni in Italia, Laterza, Bari-Roma 1997 (ISBN 8842050857), (ed. orig. The Norman Kingdom of Sicily, Cambridge University Press, 1992).
  • Hubert Houben, Ruggero II di Sicilia: un sovrano tra Oriente e Occidente. Laterza, Roma 1999.
  • Ferdinand Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, Parigi 1907. Ed. it: Storia della dominazione normanna in Italia ed in Sicilia, trad. di Alberto Tamburrini, Cassino 2008. ISBN 9788886810388