Battaglia di Campaldino
Coordinate: 43°44′15.4″N 11°45′09.43″E / 43.737611°N 11.752619°E
Battaglia di Campaldino parte delle battaglie tra guelfi e ghibellini | |||
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Diorama della battaglia di Campaldino, alla Casa di Dante | |||
Data | 11 giugno 1289 | ||
Luogo | Piana di Campaldino, Poppi, Italia | ||
Esito | vittoria dei guelfi | ||
Schieramenti | |||
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La battaglia di Campaldino si combatté l'11 giugno 1289 fra i guelfi, prevalentemente fiorentini, e ghibellini, prevalentemente aretini, alla quale parteciparono, tra gli altri, Dante Alighieri e Cecco Angiolieri. La vittoria dei guelfi, dovuta soprattutto al ruolo di Corso Donati, costituì un evento chiave nel processo di progressiva affermazione dell'egemonia di Firenze sulla Toscana.
Fasi preparatorie[modifica | modifica wikitesto]
Preparazione dell'esercito guelfo[modifica | modifica wikitesto]
Le insegne di guerra furono consegnate il 13 maggio, a Firenze. Fu preparato un campo presso Badia a Ripoli con l'intenzione di muovere verso Arezzo passando per il Valdarno. La prima strategia decisiva fu quella di valicare, invece, il passo in prossimità dell'attuale Consuma e procedere verso Arezzo passando dal Casentino. Fu una decisione inaspettata e rischiosa, dovuta in gran parte ai suggerimenti degli aretini di parte guelfa esuli a Firenze.
Le vie di accesso al Casentino erano impervie, generalmente sorvegliate e sormontate da castelli nemici come Castel San Niccolò, Montemignaio, Romena. La mattina del 2 giugno i guelfi si misero in marcia e misero in atto questa decisione: guadarono l'Arno fra Rovezzano e Varlungo e si diressero verso Pontassieve. Quindi presero a scalare alacremente il monte che porta all'attuale Consuma.
Prima di giungere in Casentino bivaccarono in località Fonte allo Spino, dove le truppe trovarono ristoro. I condottieri erano Guillaume de Durfort e Aimeric de Narbonne, coadiuvati da Vieri de' Cerchi, Bindo degli Adimari, Corso Donati e Barone dei Mangiadori, Ugolino de' Rossi, podestà di Firenze[1].
Preparazione dell'esercito ghibellino[modifica | modifica wikitesto]
Diorama della battaglia di Campaldino, Museo della Casa di Dante, Firenze |
Appena giunta la notizia della via percorsa dai guelfi, i ghibellini dovettero agire di conseguenza e si misero in marcia da Arezzo verso Bibbiena, per cercare di difendere i castelli dei Guidi e degli Ubertini. I capi ghibellini erano Guglielmino degli Ubertini, vescovo di Arezzo (armato di mazza per non contravvenire al medievale precetto che gli uomini di chiesa non potessero spargere sangue sui campi di battaglia), coadiuvato da Guglielmino Ranieri dei Pazzi di Valdarno, detto Guglielmo Pazzo, da Guidarello di Alessandro da Orvieto, Guido Novello dei Conti Guidi, Bonconte da Montefeltro e Loccio, suo fratello. Molti di questi erano reduci dai combattimenti vittoriosi del 1288 contro Siena e Massa[2]. Ad Arezzo erano convenute truppe ghibelline da tutta Italia.

La battaglia[modifica | modifica wikitesto]
La scelta di passare dal passo dell'attuale Consuma e dal Casentino si dimostrò vincente per la parte guelfa. I castelli casentinesi, colti di sorpresa, non si opposero al passaggio dell'esercito e questo dilagò nelle vallate sottostanti. I ghibellini non avevano altra scelta che dare battaglia in campo aperto per non trovarsi assediati nei castelli e per fermare il saccheggio delle campagne. Il podestà di Arezzo inviò dunque il guanto di sfida ai capitani guelfi che furono felici di accettare.
Il luogo individuato fu la Piana di Campaldino, fra Poppi e Pratovecchio nelle vicinanze di una chiesetta chiamata Certomondo, sul lato sinistro dell'Arno. I capitani scelsero le strategie e le tattiche. I guelfi, che giunti sul posto prima degli aretini avevano scelto la posizione che permetteva di attaccare in discesa, pianificarono una tattica inizialmente difensiva, ponendo i carri con le masserizie come estrema linea di difesa. Vieri dei Cerchi aveva il compito di individuare coloro che dovevano sostenere il primo e più violento assalto. Giovanni Villani racconta che questi, vedendo poco entusiasmo, si offrì personalmente pur essendo anziano e menomato ad una gamba. I ghibellini scelsero di attaccare al centro lo schieramento nemico e prepararono dodici "paladini" per trascinare i Feditori, tra i quali c’era anche il ventiquattrenne Dante, i cavalieri della prima linea. Guido Novello comandava la cavalleria di riserva ghibellina. Corso Donati quella Guelfa. La mattina di sabato 11 giugno, San Barnaba, cominciò la battaglia. I ghibellini scatenarono una prima ondata di trecento Feditori al galoppo comandata da Bonconte da Montefeltro, seguiti da trecentocinquanta cavalieri al trotto. La fanteria seguiva di corsa. I cavalieri aretini combatterono con valore; infatti gli Aretini se pur in minoranza numerica contavano sulla loro maggiore abilità in combattimento, in quanto, a differenza di ciò che successe a Firenze, ad Arezzo non si verificò il fenomeno, come accadde in quella che diverrà la repubblica medicea, di normali mercanti armati alla guerra o, se si verificò, lo fece in minor modo rispetto alla controparte guelfa.
I Feditori guelfi di Vieri dei Cerchi serrarono le file e ricevettero l'urto in pieno. Furono quasi tutti disarcionati ma chi aveva conservato l'integrità fisica continuò il combattimento appiedato, con le asce, le spade e le mazze. Fu in questo frangente che Dante si fece prendere dal panico, come riferì lui stesso in seguito, e fuggì dal campo di battaglia.[3] I Feditori ghibellini si incunearono profondamente nelle schiere nemiche. Lo scontro divenne disordinato e si frantumò in zuffe e duelli. Entrarono in azione i balestrieri. I guelfi, ben protetti dalle mura mobili dei palvesi, tiravano a colpo sicuro da distanza ravvicinata. I ghibellini tiravano da lontano, con efficacia molto minore, anche perché la giornata era secca e si alzava la polvere.
La cavalleria guelfa era arretrata ma le ali dello schieramento, composte da fanteria, avevano retto. A quel punto cominciarono a chiudersi a tenaglia accerchiando cavalleria e fanteria ghibellina. Un certo numero di cavalieri guelfi disordinati dalla carica riuscì a ritirarsi e a prepararsi nelle retrovie a continuare il combattimento. I balestrieri di entrambe le parti intensificarono il tiro di quadrelli e verrettoni. Aimeric de Narbonne, Gherardo Vetraia dei Tornaquinci e Guglielmo de Durfort guidarono una controcarica di cavalleria al centro dello schieramento. Guglielmo di Durfort cadde nel tentativo, colpito da un quadrello. Anche Aimeric de Narbonne fu ferito al volto. I cavalieri ghibellini si avventarono verso il Tornaquinci, che reggeva le insegne. Le sorti della battaglia in quel momento erano veramente incerte.
Fu decisivo il comportamento delle riserve. Corso Donati, al tempo podestà di Pistoia, con un atto di insubordinazione, caricò per "fedire" con i suoi cavalieri, in maggioranza pistoiesi della riserva e quindi freschi. Guidò la carica verso il fianco destro dei ghibellini con grandissima efficacia perché separò i cavalieri dai fanti. Guido Novello, che osservava la mischia dalla chiesa di Certomondo non lo imitò: giudicò persa la battaglia e si ritirò coi suoi cavalieri verso il castello di Poppi.
La battaglia era decisa. La cavalleria ghibellina era accerchiata e i fanti, tagliati fuori, erano disorientati. Guglielmino degli Ubertini affrontò i nemici con i suoi fanti e fu abbattuto dopo un aspro combattimento. Caddero anche Bonconte da Montefeltro e Guglielmo Pazzi. Cominciò la fase conclusiva della battaglia: quella della "caccia" per prendere ostaggi da scambiare con riscatti e per sottrarre le insegne, l'equipaggiamento e le armi ai nemici.
Nel tardo pomeriggio scoppiò un temporale estivo. Fu dato il segnale di ritirata per sospendere la caccia.
La battaglia era finita. Si cominciarono a raccogliere e a cercare di riconoscere i caduti che furono moltissimi: da parte ghibellina si contarono circa 1700 morti; da parte guelfa se ne contarono circa 300. Vennero sepolti in grandi fosse comuni in prossimità del Convento di Certomondo. All'interno della stessa chiesa si è sempre ritenuto fosse stato sepolto il vescovo Guglielmo Ubertini e il recente ritrovamento di resti ossei sotto il pavimento della chiesa, all'interno di un sepolcro, sembra avvalorare tale ipotesi.
Al podestà di Firenze Ugolino dei Rossi di San Secondo fu concesso l'onore di entrare in città con il "pallio di drappo d'oro sopra il capo"[1]; inoltre furono condotti più di mille prigionieri a Firenze che in parte furono rilasciati in cambio di un riscatto. Chi non fu riscattato morì in breve tempo nelle prigioni fiorentine. Furono alcune centinaia e vennero sepolti a lato della via di Ripoli, a Firenze, in un luogo che ancora oggi si chiama "Canto degli aretini".
La battaglia nella storia[modifica | modifica wikitesto]
La battaglia di Campaldino si è trasformata presto da fatto storico a luogo letterario e artistico. Chi stendeva le cronache nell'epoca contemporanea e subito successiva alla battaglia ne parlò diffusamente. La tradizione popolare avvolse questi eventi di un alone romantico e leggendario.
Dante Alighieri, che partecipò personalmente alla battaglia fra i Feditori di Vieri dei Cerchi, diede il suo contributo riportando parte della sua esperienza nella Divina Commedia, nel canto V del Purgatorio. Da queste fonti "letterarie" i fatti ci giungono spesso distorti, come accade nelle novelle di Emma Perodi, ambientate in un Casentino mitico e goticheggiante dove Aimeric di Narbonne muore in battaglia e il suo fantasma si aggira ancora, inquieto.
Nella superba Sala delle Gesta Rossiane della Rocca dei Rossi di San Secondo (in provincia di Parma) un imponente affresco risalente alla seconda metà del XVI secolo (visibile qui) rappresenta l'epilogo della battaglia ed il trionfo di Ugolino, come descritto da coevo anonimo autore con suggestiva ottava:
Il secondo Ugolin con Americo
Del Popol Capitano, e suoi soldati
Di Toscana esce, e assalta lo nemico
Campo di Guido, forte per gli irati
Gibellini, e si 'l vínce e fa mendico
Che con quaranta due castelli equati
Al suolo, ond'egli torna, e si l'honora
Che sotto panni d'or l'accoglie Flora.
Il luogo della battaglia è ricordato da un monumento, detto "Colonna di Dante".
Note[modifica | modifica wikitesto]
- ^ a b Pompeo Litta (1781-1851), Famiglie celebri di Italia. Rossi di Parma / P. Litta. URL consultato il 27 dicembre 2017.
- ^ Memorie storiche di Massa Marittima, su archive.org.
- ^ Alessandro Barbero, Dante, Roma-Bari, Laterza, 2020. capitolo 1.
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
- Antonio Bartolini, La Battaglia di Campaldino: Racconto dedotto dalle cronache dell'ultimo periodo del secolo XIII. Con note storiche intorno ad alcuni luoghi del Casentino, Firenze, Tipografia Polverini, 1876.
- Ugo Barlozzetti, Il Sabato di San Barnaba: la battaglia di Campaldino, 11 giugno 1289-1989, Milano, Electa, 1989, ISBN 8843528548.
- Franco Cardini, Storie fiorentine, Firenze, Loggia de' Lanzi, 1994, ISBN 88-8105-006-4.
- Riccardo Nencini, La Battaglia - Guelfi e Ghibellini a Campaldino nel sabato di San Barnaba, Firenze, Polistampa, 2001, ISBN 88-596-0048-0.
Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]
- Storia di Firenze
- Carlo II d'Angiò
- Comune di Firenze
- Battaglia di Montaperti
- Congresso di Empoli
- Battaglia di Benevento (1266)
- Guelfi Bianchi e Neri
- Battaglia di Tagliacozzo
- Ordine di Parte Guelfa
- Guelfi e ghibellini
- Ronciglio
Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]
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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]
- (EN) Battaglia di Campaldino, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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