Massacri di Dzjatlava

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Massacri di Dzjatlava
massacro
Targa commemorativa alle 3.000 vittime dei massacri di Dzjatlava.
Tipostrage
Data22 febbraio 1942
10-13 agosto 1942
LuogoGhetto di Dzjatlava
StatiBandiera della Polonia Polonia
Bandiera della Germania Germania
Coordinate53°27′N 25°24′E / 53.45°N 25.4°E53.45; 25.4
ResponsabiliSS, Ordnungspolizei, Polizia Ausiliaria Lituana e Bielorussa
Conseguenze
Morti3.000–5.000 ebrei polacchi

I massacri di Dzyatlava furono due sparatorie di massa avvenute a sei mesi di distanza durante l'Olocausto. La città di Zdzięcioł (in polacco: Zdzięcioł, in bielorusso: Dzyatlava) si trovava nel voivodato di Nowogródek della Seconda Repubblica Polacca prima della seconda guerra mondiale.[1]

Le autorità tedesche crearono il ghetto nel febbraio 1942 e vi trasferirono oltre 4.500 ebrei polacchi.[2] Due mesi dopo, alla fine di aprile 1942, lo squadrone della morte tedesco, aiutato dai battaglioni della polizia ausiliaria lituana e bielorussa,[3] circondò il ghetto e ordinò a tutti gli ebrei di lasciare le abitazioni per sottoporsi ad una "selezione".[3]

Le vittime furono scortate nella piazza principale e fatte aspettare fino all'alba: coloro che furono in possesso di un certificato di lavoro furono rilasciati insieme alle loro famiglie mentre tutti gli altri furono gradualmente portati fuori città in gruppi per il "trasferimento".

Circa 1.000-1.200 ebrei furono condotti nella foresta di Kurpiesze (Kurpyash) e assassinati il 30 aprile 1942.[3] Il secondo massacro ebbe luogo sei mesi dopo, il 6 agosto 1942, durante la liquidazione del ghetto. Circa 1.500-2.000 ebrei, forse fino a 3.000 secondo alcune fonti,[4] furono assassinati nel cimitero ebraico.[1][5][6]

Il primo massacro[modifica | modifica wikitesto]

Il 22 febbraio 1942 le autorità tedesche affissero in tutta la città dei manifesti in cui si annunciò che tutti gli ebrei dovevano trasferirsi nel ghetto, istituito intorno alla sinagoga e alla scuola Talmud Torah. Il 29 aprile i tedeschi arrestarono lo Judenrat e all'alba del 30 aprile i residenti nel ghetto furono svegliati dai colpi di arma da fuoco. Gli ebrei furono portati al vecchio cimitero, dentro il ghetto e allo stesso tempo, i tedeschi e i loro collaboratori locali, sia bielorussi che lituani, iniziarono a cacciare gli ebrei dalle loro case, picchiando, prendendo a calci e sparando ai riluttanti a obbedire.[3] Ci fu quindi una selezione: le donne, i bambini e gli anziani furono mandati a sinistra, i giovani operai specializzati a destra.

Circa 1.200 giovani furono fatti marciare fino alla foresta di Kurpyash, a sud della città, dove erano state preparate in anticipo alcune fosse e fucilati a gruppi di venti. Durante la sparatoria si presentò il commissario distrettuale tedesco per rilasciare coloro che avevano un certificato attestante la professione insieme alla propria famiglia, in questo modo un centinaio di persone tornarono nel ghetto.[3]

Il secondo massacro[modifica | modifica wikitesto]

Il 10 agosto 1942 iniziò il secondo massacro e continuò per tre giorni poiché molti ebrei si nascosero nei bunker preparati in precedenza.[3] Durante lo sgombero del ghetto, circa 2.000[7] - 3.000 ebrei furono fucilati in tre fosse comuni nel cimitero ebraico, circa 1.000 persone per ciascuna fossa comune. Poco più di 200 artigiani ebrei furono trasferiti nel ghetto di Navahrudak. Diverse centinaia di ebrei fuggirono nella foresta una volta terminato il massacro, dove riuscirono a sopravvivere fino alla liberazione.

Tra gli ebrei nei campi di lavoro di Dworets, Navahrudak e in altre città limitrofe si sparse la voce del distaccamento partigiano Zhetel formato dai sovietici: circa 120 ebrei si unirono allo Zhetel nelle foreste di Lipichany dopo essere riusciti a fuggire dal massacro dell'agosto 1942.[8]

Anche il distaccamento Zhetel comandato da Hirsch Kaplinski pretese a sua volta vendetta sui collaborazionisti locali. Un atto che ebbe luogo nel villaggio di Molery il 10 settembre 1942: dopo aver eliminato due collaborazionisti, i partigiani ebrei informarono anche l'anziano del villaggio e gli abitanti del villaggio sui motivi precisi per cui avevano effettuato questa rappresaglia.[5] Si stima che circa 370 partigiani ebrei di Dzyatlava sopravvissero alla guerra.[9]

Ad oggi, dei due cimiteri ebraici della città, solo uno ha delle tombe identificate.[7]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Shmuel Spector, Geoffrey Wigoder, Zdzieciol, in The Encyclopedia of Jewish Life: Before and During the Holocaust, NYU Press, 2001, p. 1498, ISBN 0814793568.
  2. ^ Krzysztof Bielawski, Getto w Zdzięciole (Diatłowie), su sztetl.org.pl, Virtual Shtetl, POLIN Museo della storia degli ebrei polacchi, 29 dicembre 2011.
  3. ^ a b c d e f Gerlach, pp. 206, 614, 702.
  4. ^ News from Abroad: Symbolic soil from USSR (PDF), in AJR Information, vol. 38, n. 1, Association of Jewish Refugees in Great Britain, gennaio 1983, p. 4. URL consultato il 12 gennaio 2013 (archiviato dall'url originale il 14 luglio 2014).
  5. ^ a b Zdzięcioł (Zhetel) USHMM, Washington, DC. Source: The United States Holocaust Memorial Museum Encyclopedia of Camps and Ghettos, 1933–1945. In the article "Zdzieciol (Zhetel)", the claim is being made that the atrocity was committed by (quote): "German and local Polish police forces". It is based on a story told by a 12-year-old boy called Chaim Weinstein, who survived by hiding in a group of laborers. However, there were no such police forces in Dzyatlava. The child's recollections show his inability to distinguish between the non-Jewish assailants; nevertheless, it appeared in a collection published in 1957 by Baruch Kaplinsky in Tel Aviv, entitled Pinkas Zhetel (The Register for Zhetel) and reprinted from there.
  6. ^ Holocaust Chronology of 1942, su jewishvirtuallibrary.org.
  7. ^ a b Virtual Shtetl, Zdzięcioł History, su sztetl.org.pl, Museum of the History of Polish Jews, Warsaw. URL consultato il 13 gennaio 2013 (archiviato dall'url originale il 24 settembre 2015).
  8. ^ Yitsḥaḳ Arad, Jews and Armed Resistance, in The Holocaust in the Soviet Union, University of Nebraska Press, 2009, p. 508, ISBN 978-0803220591. URL consultato il 13 gennaio 2013. Ospitato su Google books.
  9. ^ The International School for Holocaust Studies, Diatlovo (PDF), su www1.yadvashem.org, Shoah Resource Center. URL consultato il 13 gennaio 2013.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]