Operazione Quercia

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Operazione Quercia
Liberazione di Mussolini
parte della Campagna d'Italia
Al centro da sx: il maggiore Harald-Otto Mors, il capitano delle SS Otto Skorzeny, Benito Mussolini
Data12 settembre 1943
LuogoCampo Imperatore
Gran Sasso
EsitoLiberazione di Mussolini
Schieramenti
Comandanti
Maggiore Harald-Otto Mors
Tenente Georg Freiherr von Berlepsch
Ispettore generale Giuseppe Gueli
tenente dei carabinieri Alberto Faiola
Perdite
Alcuni feriti tra gli equipaggi di due dei nove alianti, a causa di atterraggi di fortuna2 caduti:
forest. Pasqualino Vitocco
carab. Giovanni Natali
1: al termine dell'azione vista l'impossibilità di riutilizzo, gli alianti vennero dati alle fiamme
Voci di operazioni militari presenti su Wikipedia
L'albergo in cui Mussolini era prigioniero, in una fotografia ripresa dai tedeschi il giorno della sua liberazione

L'operazione Quercia (in tedesco, Fall Eiche) fu il nome in codice di un'operazione militare durante la seconda guerra mondiale portata a termine il 12 settembre 1943 dai paracadutisti tedeschi della 2. Fallschirmjäger-Division e da alcune SS del Sicherheitsdienst, finalizzata alla liberazione di Benito Mussolini, imprigionato a Campo Imperatore sul Gran Sasso per ordine di Pietro Badoglio dopo l'Armistizio di Cassibile.

La pianificazione

Il ministro Albert Speer, nel suo libro Memorie del Terzo Reich, ricorda la reazione di Adolf Hitler alla notizia dell'arresto di Mussolini, descritta come una sorta di "fedeltà nibelungica": "Non c'era gran rapporto in cui il Führer non chiedesse che fosse fatto tutto il possibile per ritrovare l'amico disperso. Diceva di essere oppresso giorno e notte dall'angoscia".

La sera del 26 luglio 1943 Hitler convocò presso il suo quartier generale a Rastenburg, denominato in codice la "Tana del lupo", sei ufficiali scelti tra tutte le forze armate del suo paese per un'operazione segreta. Giunti al suo cospetto, egli chiese loro se conoscessero l'Italia e, in caso positivo, di esprimere un giudizio sugli italiani: le risposte furono tendenzialmente improntate sul generico ottimismo e più di uno confidò nella fedeltà degli alleati all'Asse Roma-Berlino.

Uno di loro, di nome Otto Skorzeny, 35 anni, comandante SS di un corpo di Kommando di stanza a Friedenthal, sapendo che Hitler rimpiangeva la perdita dell'Alto Adige, a suo giudizio la più bella delle regioni alpine, che per ragioni politiche aveva permesso che restasse annessa all'Italia, disse sommessamente: “Führer, io sono austriaco”. Hitler lo guardò e gli ordinò di restare, congedando invece tutti gli altri. Cominciò così l'operazione Eiche (Quercia), la liberazione di Mussolini, deposto e arrestato in Italia.

«Racconti di fughe e liberazioni, drammatiche, romantiche, talvolta fantastiche, si possono trovare nella storia, ad ogni epoca e per ogni popolo, ma la mia fuga dalla prigione del Gran Sasso anche oggi appare come la più audace, la più romantica di tutte e, nello stesso tempo, la più moderna come metodo e stile.»

Il sistema di controllo hitleriano prevedeva che i subordinati avessero compiti comuni in diversi reparti, in modo da controllarsi a vicenda. Perciò l'operazione fu eseguita dai paracadutisti e dalle SS insieme. I ruoli di comando vennero assegnati al maggiore dei paracadutisti e comandante del Lehrbataillon Harald-Otto Mors, al generale Kurt Student, fondatore dell'arma dei paracadutisti e, come precisato, al capitano delle SS Otto Skorzeny (che alla fine se ne arrogò totalmente il merito, spalleggiato in questo dalla propaganda nazista e, nello specifico, da Ernst Kaltenbrunner). Vanno distinti però chiaramente due aspetti: 1) la parte spionistica era affidata al SD, di cui Skorzeny faceva parte, perché i paracadutisti non disponevano di una struttura di intelligence; 2) la parte militare era di competenza della Luftwaffe, e segnatamente sotto la responsabilità del generale Student[1].

Hitler spiegò a Skorzeny in tono di irritazione crescente che il suo alleato, Mussolini appunto, era stato tradito e arrestato, l'Italia era pronta all'invasione da parte degli Alleati, il re insieme con Badoglio aveva tramato la caduta del fascismo e ora i due meditavano di andare dagli Alleati consegnando il prigioniero Mussolini quale capro espiatorio della decisione di andare in guerra. Infine aggiunse, come riporta lo scrittore Charles Foley, curatore della biografia di Skorzeny: “Lei, Skorzeny, salverà il mio amico”. A ogni modo, sul resoconto di Foley, va fatta più di una tara, perché non aderente ai fatti e alla ricerca storico-documentale[2].

I preparativi

Skorzeny attivò subito i suoi uomini a Friedenthal, stendendo la prima lista di equipaggiamento, che andava dalle mitragliatrici e granate alla moneta italiana, abiti civili, tinture per capelli e ad altre cose di questo genere (tutto poteva dipendere da un unico dettaglio, magari insignificante all'apparenza). Poi, il giorno dopo, con Student e il pilota personale di quest'ultimo, Heinrich Gerlach, partirono per l'Italia in aeroplano.

Arrivati a Roma raggiunsero immediatamente Frascati, dove si trovava il quartier generale del maresciallo Albert Kesselring, comandante del gruppo di armate tedesche in Italia, tenuto all'oscuro della segretissima operazione Eiche, mentre tre giorni dopo arrivarono gli uomini del SD di Friedenthal. A pranzo con Kesselring emerse subito il problema del caso Italia: con Mussolini prigioniero, il re e Badoglio potevano contrattare la pace mentre contemporaneamente davano a intendere ai tedeschi, per guadagnare tempo, di voler continuare a combattere al loro fianco.

In questo clima di diffidenze reciproche si pose il problema di scoprire dove gli italiani tenessero Mussolini; la prima notizia arrivò inaspettatamente da una lettera d'amore di un carabiniere a una ragazza: il militare scriveva dall'isola di Ponza dicendo alla fidanzata che Mussolini era confinato laggiù. Da una breve indagine si capì poi che il prigioniero era stato subito trasferito da Ponza alla Spezia, dove un incrociatore lo aveva prelevato. Il governo italiano, proprio per la mancanza dei minimi requisiti di sicurezza a Ponza, aveva trasferito per tempo l'ex dittatore sull'isola della Maddalena, presso la costa nord-orientale della Sardegna.

Skorzeny riprese le ricerche e seguendo alcune indicazioni dello spionaggio tedesco sbarcò alla Maddalena con un sottoposto, il tenente Warger (che parlava benissimo l'italiano), entrambi travestiti da marinai. Warger ebbe l'ordine di girare per le osterie fingendosi ubriaco e, durante una discussione da taverna, con un innocuo: "Scommettiamo che il Duce è morto?", riuscì ad avere l'informazione che cercava. Un ortolano del posto, che forniva quotidianamente Villa Weber di frutta e verdura, accettò la scommessa e portò il tedesco, di sera, a vedere il Duce che passeggiava in terrazza con la scorta. Il finto marinaio tedesco perse la scommessa, ma Skorzeny poté preparare il suo piano.

Skorzeny chiese un ricognitore Heinkel 111 per fotografare la zona dall'alto, ma un'avaria costrinse il pilota all'ammaraggio (risulta totalmente fantasiosa la versione in seguito diffusa da Skorzeny dell'intercettazione e dell'abbattimento da parte di caccia inglesi). Precipitato in mare Skorzeny racconterà di essere riuscito a recuperare dalla carlinga dell'aereo che stava per inabissarsi, la macchina fotografica[3]. Mezz'ora più tardi i tedeschi vennero salvati da una nave italiana: Skorzeny si trovò alquanto a disagio per dover giustificare la sua presenza. Ma i naufraghi non furono interrogati troppo minuziosamente e ben presto, con scarpe bianche e pantaloni corti prestati dall'equipaggio, Skorzeny fu di nuovo sulla terraferma, in Sardegna. Fu ricevuto dai commilitoni e venne inviato subito in Germania, dove sollecitava un'azione di forza scontrandosi però con l'informazione fornita dall'Abwehr dell'ammiraglio Wilhelm Canaris, secondo cui Mussolini era invece sull'isola d'Elba.

Hitler si convinse subito dell'esattezza delle indagini di Skorzeny, cancellò l'incursione sull'Elba e gli chiese come suggeriva di prendere il prigioniero. Skorzeny prospettò una soluzione che prevedeva una finta visita di cortesia di una flottiglia di motosiluranti tedesche alle autorità italiane e quindi, finite le procedure d'etichetta, un'unità d'assalto della Kriegsmarine si sarebbe mossa verso villa Weber. Il capitano SS non si curò affatto dell'aspetto tutt'altro che secondario di quello che era a tutti gli effetti un atto di guerra contro un Paese alleato[4].

Nell'ultima ricognizione nei pressi della villa Weber i tedeschi si imbatterono in una guardia che portava un pacco di biancheria e, nascostisi, notarono che le sentinelle alla villa, che pure c'erano, erano sin troppo rilassate. E infatti Mussolini era stato trasferito, poche ore prima che scattasse il piano tedesco per liberarlo.

Il 27 agosto, proprio il giorno prima dell'attacco previsto da Skorzeny per la liberazione del dittatore deposto, un idrovolante della Croce Rossa aveva lasciato le acque della Maddalena con a bordo il prigioniero: destinazione ovviamente ignota. Non restava che annullare l'incursione nell'isola e la battaglia che avrebbe avuto conseguenze imponderabili.

Skorzeny riprese a tessere la sua tela. Herbert Kappler, capo della Polizia tedesca a Roma, venne a sapere da un messaggio cifrato che attorno al Gran Sasso erano state "ultimate le misure di sicurezza": firmato Gueli; le spie tedesche dicevano che l'ispettore generale Giuseppe Gueli, ex questore di Trieste, era il nuovo funzionario responsabile della sicurezza di Mussolini. La notizia interessò Skorzeny il quale si gettò sulla pista, che si rivelò proficua: sull'altopiano del Gran Sasso chiamato "Campo Imperatore" era stato costruito di recente un centro di sport invernali, il cui albergo era raggiungibile solo tramite la funivia che parte da Assergi; un luogo dunque, l'altopiano, difficile da raggiungere e facilmente difendibile, con i requisiti necessari per custodire un personaggio dell'importanza di Mussolini.

Bisognava ora avere delle prove: queste vennero dal capitano medico Leo Krutoff, il quale fu incaricato di recarsi a Campo Imperatore per un sopralluogo, con la scusa di dover organizzare la convalescenza nell'albergo di soldati tedeschi malati di malaria (questo fu almeno quanto viene detto all'ignaro ufficiale medico). Krutoff tuttavia, quando giunse nel paesino di Assergi per prendere la funivia, fu bruscamente bloccato da alcuni carabinieri che gli spiegarono che la zona del Gran Sasso era stata dichiarata "zona militare"; quindi era impossibile salirvi. Kappler, a sua volta, inviò l'ufficiale delle SS Erich Priebke, il quale riferì di strani movimenti che potevano avvalorare il sospetto che proprio lì vi fosse Mussolini[5]. Skorzeny racconterà di aver deciso di sorvolare la zona con un ricognitore, e di aver scattato alcune foto con una macchina manuale (quella dell'Heinkel 111 secondo lui si era inceppata), ma si tratta di una versione falsa: le foto vennero prese dal capitano pilota della Luftwaffe Gerd Langguth[5].

Con la firma dell'armistizio niente più ostacolava l''operazione Eiche, se non il dubbio se davvero l'ex Duce fosse a Campo Imperatore. L'Italia ora era zona nemica[6], ma Campo Imperatore sembrava davvero irraggiungibile. A così alta quota un lancio dei paracadutisti sarebbe stato vanificato dalle correnti ascensionali ed era necessario impadronirsi della funivia prima che gli italiani potessero isolare l'albergo. Un audace piano elaborato dal maggiore Harald Mors, su incarico del generale Student, previde dunque l'atterraggio sul pianoro di alcuni alianti DFS 230 con un centinaio di paracadutisti. La sera prima dell'azione la radio alleata comunicò che Mussolini sarebbe stato consegnato loro dagli italiani.

L'esecuzione dell'operazione

Mussolini, circondato da ufficiali e soldati tedeschi e italiani si avvia verso l'aereo.
Fieseler Fi 156 Storch pronto per il decollo.
Paracadutisti tedeschi e sullo sfondo il piccolo aereo con cui Mussolini viene portato via.

L'operazione scattò alle 3 antimeridiane del 12 settembre, quando una colonna motorizzata agli ordini del comandante responsabile Harald Mors si mosse alla volta di Assergi. La partenza dei 10 alianti DFS 230 della 2. Fallschirmjäger-Division era prevista per le 12.30, ma venne anticipata di qualche minuto in quanto una serie di bombardieri alleati sorvolò l'aeroporto. Dato il limitato spazio a disposizione per l'atterraggio, sulle ruote degli alianti furono incastrati dei rotoli di filo spinato, per creare un forte attrito col suolo.

Durante il volo di avvicinamento l'aereo che rimorchiava il DFS con Otto Skorzeny, pilotato dal tenente Elimar Meyer, si trovò - dalla quarta posizione che aveva al decollo - a essere in testa alla formazione, dato che i primi tre Henschel avevano virato per guadagnare quota e si erano accodati alla formazione, ma non quello col capitano SS a bordo. E così si trovò davanti all'aliante dove c'era invece il tenente barone Georg von Berlepsch, comandante dell'unità d'assalto alla quale Skorzeny era stato aggregato come "consigliere politico" e con espresso divieto da parte di Student di esercitare il grado.

Gli italiani, colti di sorpresa dalla fulmineità dell'azione e da ordini a dir poco contraddittori da parte dell'ispettore Gueli, non reagirono. Per di più Skorzeny aveva avuto l'idea, stigmatizzata nell'immediato dagli ufficiali paracadutisti, di portare con sé come ostaggio il generale del Corpo degli agenti di polizia Fernando Soleti che, facendosi riconoscere dai carabinieri che presidiavano la fortezza sul Gran Sasso, intimò loro di non sparare. I soldati italiani restarono totalmente disorientati dalla presenza del generale. Alla sua vista lo stesso Mussolini, che si era affacciato alla finestra, disse: "Non sparate, non vedete che è tutto in ordine? C'è un generale italiano!".

Skorzeny si fece avanti per essere il primo a vedere Benito Mussolini, arrivò alla porta della camera del Duce che aveva visto alla finestra e spinse via un paracadutista che, rispondendo a un preciso ordine "ad personam" di Student, lo aveva preceduto. Fu Skorzeny a salutare per primo Mussolini, nonostante si fosse accordato con Student di rimanere solo un "consigliere politico", violando gli ordini che vietavano persino di scendere in picchiata, cosa che lui aveva imposto a Meyer, scompaginando la formazione e costringendo due alianti ad andare a sbattere contro le rocce circostanti. I tedeschi sistemarono la radio sul tetto dell'albergo. Dalla radio venne dato il segnale che l'albergo era in mani tedesche, il "Duce d'Italia" era vivo e non c'erano vittime.

Se sul rifugio non ci fu praticamente nessuna reazione da parte italiana, ad Assergi invece persero la vita due militari, gli unici che non si sottrassero al loro dovere in quella circostanza. Il primo fu la guardia forestale Pasqualino Vitocco, che aveva cercato di avvisare i carabinieri della presenza della colonna tedesca e venne ucciso con una raffica di mitragliatrice, dopo che gli era stato intimato l'alt. Morirà il giorno dopo all'Ospedale Civile dell'Aquila. La seconda vittima fu il carabiniere Giovanni Natale che, di guardia nella stazione intermedia della funivia, visti arrivare dei tedeschi aveva tentato una reazione ma era stato colpito a morte. Risulta pertanto del tutto arbitraria e non corrispondente alla verità, fattuale e documentale, la ricostruzione effettuata nell'«Atlante delle stragi nazifasciste» a cura dell'Anpi dove si parla di eccidio dei militari Vitocco e Di Natale, in quanto il primo era in uniforme (e individuato come militare dai tedeschi, che gli intimarono l'alt) e il secondo cercò di ingaggiare uno scontro a fuoco, come peraltro risulta dai rapporti dei carabinieri a da quello del comandante di compagnia del Lehrbataillon, tenente Karl Schulze, che non sono stati probabilmente consultati dai compilatori della scheda[7] (cfr., con dovizia di particolari Patricelli, Liberate il Duce! e Settembre 1943, i giorni della vergogna, cit). Di tutta evidenza si trattò di azioni di guerra: i rapporti della stazione dei carabinieri di Assergi escludono espressamente violenze dei tedeschi su civili, militari e persino cose. Intanto il maggiore Harald-Otto Mors, il comandante e responsabile dell'intero Lehrbataillon impegnato nelle due fasi aerea e terrestre, raggiunse l'albergo in quota con la funivia.

Dopo qualche foto, Mussolini doveva ripartire con il capitano della Luftwaffe Gerlach su uno Storch (cicogna), aereo a decollo e atterraggio breve, portato sull'altipiano dallo stesso capitano. L'aereo poteva trasportare solo un passeggero, soprattutto in partenza da una pista di decollo così corta, per questo ne era stato previsto un altro per trasportare l'ufficiale accompagnatore, che venne designato in Skorzeny, secondo i suoi espressi desideri. Il secondo aereo però non riuscì ad atterrare. Skorzeny, non si perse d'animo e nonostante il suo peso non indifferente, riuscì ugualmente a ottenere il permesso da Mors e dal pilota di poter salire sullo Storch, forse facendo pesare il suo grado o grazie a ordini "superiori" (il grado di capitano era uguale a quello di Gerlach, ma bisogna ricordare che Skorzeny apparteneva alle SS).

La pista era troppo corta così Gerlach, abile pilota, decise di far trattenere le ali dello Storch da alcuni soldati fino a raggiungere il massimo regime del motore. A un segnale, lasciato libero, l'aereo scattò in avanti verso il burrone. Scomparve per qualche momento nell'abisso, ma poi lo si poté vedere da lontano mentre si alzava verso il cielo. A Pratica di Mare, dove atterrò, Mussolini fu imbarcato su un Heinkel He 111 che lo portò a Vienna, e poi a Monaco: il 14 settembre, a Rastenburg, incontrò Hitler. Nonostante il rapporto di Mors, suffragato in tutto e per tutto da quello del generale Student, cui Hitler aveva assegnato il compito di liberare Mussolini, fosse riconosciuto come autentico e veritiero in tutte le fasi, e sin dagli anni cinquanta dagli stessi servizi segreti americani, Hitler diede invece il merito a Skorzeny, cui affidò in seguito simili e difficili imprese, che lo fecero conoscere come "L'uomo più pericoloso d'Europa"[8]. Ma nel caso dell'impresa del Gran Sasso non fu vera gloria.

Osservazioni e dubbi

Le due mitragliatrici pesanti poste sopra al tetto dell'albergo quel giorno erano state stranamente rimosse su ordine dell'ispettore Gueli e chiuse a chiave in uno stanzino; i cani da guardia tenuti alla catena o agli angoli morti dell'edificio, sempre su ordine di Gueli. Circostanze confermate dalla testimonianza dell'ultimo italiano superstite dell'evento, l'ex poliziotto Lelio Pannuti, nella trasmissione di RAI 3 Liberate il Duce! di Fabio Toncelli[9].

Altri dubbi sulla vera prigionia di Mussolini sono stati avanzati dallo scrittore Vincenzo di Michele con il suo libro Mussolini finto prigioniero al Gran Sasso[10] il quale però non fornisce alcuna fonte attendibile e/o verificabile alla sua teoria. Anche in questo caso, quando mancano documentazioni certe, l'argomentazione a contrariis esclude l'ipotesi della combine.

Un aspetto interessante seppur controverso, è dato dall'effettivo ruolo svolto dal Gen. Soleti in tutta la vicenda: in quale modo può essere interpretata la sua presenza a Campo Imperatore al fianco delle truppe tedesche? Il Soleti nel suo memoriale risalente alla fine della guerra, tende a presentare se stesso alla stregua di un ostaggio in mano nemica, condotto con la forza e contro la sua volontà sul Gran Sasso in qualità di esponente più alto in grado del corpo di Polizia; resta da spiegare per quale motivo il generale fosse presente a cena presso il comando tedesco la sera precedente l'impresa e perché avesse un appuntamento con le forze tedesche (al quale si presentò in netto ritardo) per il giorno successivo. Sorge il dubbio che il Gen. Soleti altro non fosse che il rappresentante del governo Badoglio necessario per garantire la riuscita dell'azione senza spargimento di sangue; tutto ciò rientrerebbe nel campo delle semplici supposizioni se, ad avvalorare tale assunto, non fosse intervenuta la testimonianza del G. Nelio Pannuti raccolta dal Di Michele, il quale riferisce tra l'altro che il Gen. Soleti reclamò più di una volta la restituzione della sua pistola, requisita da Skorzeny durante l'operazione, e che lo stesso Skorzeny, dopo qualche esitazione, obbedì all'ordine: quindi il Soleti non poteva essere considerato un ostaggio o un prigioniero dei tedeschi, bensì può essere considerato il rappresentante di un governo già alleato e non ancora "nemico" nell'atto di un'operazione congiunta, volta ad ottenere un risultato eclatante.[11]

Galleria d'immagini

Note

  1. ^ Patricelli, Marco, Liberate il Duce! La vera storia dell'Operazione Quercia, Milano, Mondadori (ried. Hobby & Work), 2001 (ried. 2012).
  2. ^ Patricelli, Marco, cit..
  3. ^ Non è né comprovabile né sostenibile la fantasiosa versione di Skorzeny secondo cui si sarebbe immerso con tre costole rotte per recuperare gli scatti. Si tratta di una delle tante "favole" con cui nel dopoguerra fornirà una versione addomesticata a e autoreferenziale sul suo ruolo nell'Operazione Quercia. Versione che purtroppo Foley rilancia senza alcun filtro critico né documentale.
  4. ^ Patricelli, Marco, Settembre 1943. I giorni della vergogna, Roma-Bari, Laterza, 2009.
  5. ^ a b Patricelli, Marco, cit. ut supra.
  6. ^ L'8 settembre vi era stato l'armistizio con gli Alleati. La dichiarazione formale di guerra alla Germania sarà consegnata il 13 ottobre.
  7. ^ scheda | Atlante stragi nazifasciste, su www.straginazifasciste.it. URL consultato il 15 agosto 2016.
  8. ^ Uno studio approfondito degli storici ha ormai escluso la paternità di Skorzeny come "liberatore di Mussolini sul Gran Sasso", sia per quanto riguarda il suo ruolo di ideatore, sia di comandante del blitz. Oltre al rapporto di Mors, in possesso dei servizi segreti statunitensi e da essi validato, va segnalato il reportage del 1950 sulla rivista svizzera Curieux a firma di Juergen Thorwald, quindi il reportage del 1973 Dal Gran Consiglio al Gran Sasso di Sergio Zavoli e Arrigo Petacco per la Rai, in cui sia il generale Student sia l'ex capitano Gerlach negano ogni ruolo del capitano SS. L'ampia ricerca condotta in più fasi da Marco Patricelli, che agli inizi degli Anni '90 rintracciò tutti i protagonisti in vita dell'Operazione Quercia, è assai probabilmente lo studio più documentato, completo e dettagliato su questa pagina di storia (materiale in parte confluito anche nel libro dello spagnolo Gonzales). C'è chi ha pure sostenuto che Mussolini in caso di attacco sarebbe stato condotto al rifugio Duca degli Abruzzi (allora in concessione all'Aeronautica Militare), nonché la possibilità della via di fuga verso il Versante Teramano avvalendosi peraltro dell'aiuto di Alfonso Nisi - grande armentiere abruzzese - che era presente in quei giorni all'albergo di Campo Imperatore, proprio per un invito del tenente Alberto Faiola, comandante del nucleo carabinieri addetto alla sorveglianza di Mussolini al Gran Sasso. La notizia in oggetto, in realtà, era stata anche pubblicata ai primi degli anni Sessanta dalla rivista "Storia Illustrata" anche se passò del tutto inosservata. Ma non esiste alcuna prova storica di un'attività di spionaggio da parte di pastori o finti pastori, e su questo sono eloquenti e recise le fonti tedesche. Sia Student, sia Langguth, sia Kappler, hanno sostenuto che mai vi fu la prova della presenza di Mussolini a Campo Imperatore. Se violazione della segretezza vi fu, certamente non arrivò né alla Luftwaffe né al SD e quindi non può affatto sostenersi che la prigionia di Mussolini fosse in qualche modo una finzione. Il resto sono congetture postume, come quelle su un presunto accordo per consentire il passaggio del corteo reale nella fuga di Pescara in cambio del nulla osta alla liberazione dell'ex Duce (cfr. Ruggero Zangrandi). Per completezza e per confutare molte illazioni vanno consultati tanto le memorie del capo della Polizia, Carmine Senise, quanto le memorie di Eugen Dollman.
  9. ^ RAI, Liberate il duce - testimonianza dell'ultimo italiano sul Gran Sasso ancora in vita
  10. ^ Vincenzo di Michele, Mussolini finto prigioniero al Gran Sasso Archiviato il 16 ottobre 2014 in Internet Archive.
  11. ^ Vincenzo Di Michele, L'ultimo segreto di Mussolini mediatico col minimo spargimento di sangue possibile.

Bibliografia

  • Charles Floey, Le avventure di Otto Skorzeny, Longanesi, 1971. Già edito da Longanesi nel 1955 (seconda edizione) con il titolo Teste calde, facente parte della collana Il cammeo vol. 79.
  • (EN) Óscar González López, Fallschirmjäger at the Gran Sasso, Valladolid, AF Editores, 2007, ISBN 978-84-96935-00-6.
  • (DE) Hermann Götzel, Kurt Student und seine Fallschirmjäger, Friedberg, Podzun-Pallas-Verlag, 1980, ISBN 3-7909-0131-8.
  • (DE) Georg Schlaug, Die deutschen Lastensegler-Verbände, Stoccarda, Motorbuch Verlag, 1985, ISBN 3-613-01065-8.
  • Marco Patricelli, Liberate il Duce, Milano, Mondadori, 2002, ISBN 88-04-50504-4.
  • Marco Patricelli, Settembre 1943 - I giorni della vergogna, Roma, Laterza, 2009, ISBN 88-420-8827-7.
  • (EN) John Weal, Operation Oak – The rescue of Mussolini, collana International Air Power Review, vol. 8, 2003, ISBN 1-880588-54-4.
  • Vincenzo Di Michele, Mussolini finto prigioniero al Gran Sasso, Curiosando Editore, 2011, ISBN 978-88-904990-4-3.
  • Vincenzo Di Michele , L'ultimo segreto di Mussolini , Ed. Il Cerchio , 2015 , ISBN 88-8474-422-9

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