Marcello Colafigli

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Marcello Colafigli

Marcello Colafigli, detto anche Marcellone (Poggio Mirteto, 12 novembre 1953), è un mafioso italiano, uno dei boss dell'organizzazione criminale romana nota come la Banda della Magliana tra le più potenti e pericolose mafie italiane tra la fine degli anni settanta all'inizio degli anni novanta.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Orfano di madre e sopravvissuto a un parto gemellare in cui il fratello nacque morto, Marcello Colafigli compie gli studi superiori nell'istituto per geometri[1]. Aveva un altro fratello di nome Alberto che gravitava intorno alla banda ma con ruoli marginali dediti allo spaccio morto prematuramente negli anni '90. La sua natura malavitosa, però, prenderà in lui il sopravvento e, assieme all'amico fraterno Franco Giuseppucci, si organizza spesso in diverse batterie dedite alle rapine. Gli altri malavitosi riconoscono in lui una forza fisica indescrivibile e una violenza nei modi e nelle reazioni che gli fanno ben presto guadagnare il soprannome di Marcellone.

«Colafigli aveva studiato da geometra ma fisicamente era una specie di orso. Un uomo dotato di una forza disumana. In tribunale da solo ha scosso la gabbia dove eravamo chiusi, con un pugno ha incrinato il vetro blindato. Ma se lo rimproveravo per qualcosa, si faceva rosso in viso come un bambino e la peggiore parolaccia che conosceva era perbacco»

La Banda della Magliana[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Banda della Magliana.

Introdotto nel nucleo originario della Banda della Magliana fin dagli albori dallo stesso Giuseppucci, il 7 novembre del 1977, partecipa al sequestro del duca Grazioli, considerato l'atto di nascita della Banda stessa.[3] Sarà poi uno dei killer, assieme a Nicolino Selis, Giovanni Piconi, Renzo Danesi e Giorgio Paradisi che il 25 luglio 1978, nel parcheggio dell'ippodromo romano di Tor di Valle, uccisero Franco Nicolini (detto Franchino Er criminale), padrone assoluto di tutte le scommesse clandestine dell'ippodromo e le cui attività illegali avevano suscitato l'interesse della neonata Banda che, da quel momento in poi, ebbe via libera per poter gestire una gigantesca fonte di guadagno. Il 27 agosto partecipò all’omicidio di Sergio Carozzi, un commerciante di Ostia che aveva osato denunciare per estorsione Nicolino Selis, in quei giorni uscito dall’ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino (FI) con un permesso premio; a crivellare di colpi Carozzi fu Edoardo Toscano mentre suoi complici furono Colafigli (verrà condannato a 27 anni di carcere), Fabrizio Selis, Renzo Danesi, Enzo Mastropietro e Libero Mancone.[4]

Nella suddivisione del territorio per lo smercio della droga, Colafigli (assieme ad Abbatino e a Gianfranco Sestili) controllava la zona della Magliana e di San Paolo. Verso la fine degli anni ottanta, attraverso i suoi contatti, Marcellone fece arrivare via mare diversi carichi di eroina dalla Sicilia tramite il clan mafioso di Totò Riina.

Partecipò in prima linea anche alla vendetta nei confronti del clan Proietti accusati dell'omicidio del suo amico fraterno Franco Giuseppucci. Il 16 marzo 1981, nei pressi di via di Donna Olimpia, nel quartiere romano di Monteverde, assieme ad Antonio Mancini uccise Maurizio Proietti detto "il pescetto". Nel furibondo scontro a fuoco che ne seguì, Colafigli e Mancini, lievemente feriti, iniziarono a sparare sulla polizia facendosi scudo con un bambino, ma vennero poi arrestati all'interno di un appartamento dello stabile nel quale si erano barricati. Maurizio Abbatino in sede processuale racconterà di essere stato presente sul posto insieme a Raffaele Pernasetti e Giorgio Paradisi in macchina e di essere andati via con l'arrivo della polizia; il pentito disse di essersi precostituito un alibi: insieme a Edoardo Toscano doveva risultare essere a casa di Alvaro Pompili a Filettino (FR). Durante il confronto in aula Mancini, Colafigli e Pernasetti però smentirono Abbatino.[5]

In seguito ai fatti di via di Donna Olimpia, per Colafigli si aprirono le porte del carcere con l'accusa di omicidio. Ma grazie al grande potere corruttivo della banda, riuscì ad ottenere diverse perizie mediche false e per lui iniziò un lungo girovagare nei manicomi giudiziari dove trascorse gran parte degli anni a venire. Non arrivò mai però il proscioglimento promesso a Maurizio Abbatino dal capo della cancelleria Ezio Pierantozzi attraverso giudici compiacenti; Pierantozzi ed Elio Della Corte verranno poi condannati per millantato credito pluriaggravato per aver truffato la Banda ed essersi intascati soldi e regali.[6]

Contemporaneamente in quegli stessi anni, con l'avvento al potere del gruppo dei testaccini, guidato da Enrico De Pedis, e la mutazione della banda in un'organizzazione più imprenditoriale e mafiosa, il capitolo delle faide interne tra il clan di Renatino e quello dei maglianesi di Abbatino, Toscano e Colafigli, tocca il suo punto di scontro più sanguinoso. Di fatto, quando i testaccini smisero di rispettare la regola di aiutare i compagni in cella, Colafigli e Toscano iniziarono a maturare dei seri propositi di vendetta.[7]

«Colafigli e Toscano avevano deciso di far fuori 'Renatino'. Io, siccome De Pedis, attraverso Fabiola Moretti, provvedeva alle mie esigenze e a quelle della stessa Moretti, mi ero intromesso tra gli uni e l'altro, per evitare che a De Pedis potesse accadere qualcosa»

Edoardo Toscano, all'epoca ancora latitante, si mise quindi alla ricerca di De Pedis deciso ad ucciderlo, ma Renatino, informato dei loro propositi omicidiari e giocando d'anticipo, sul tempo escogitò a sua volta una trappola per ucciderlo (Toscano fu assassinato ad Ostia il 16 marzo del 1989), prima di essere ucciso lui stesso. All'interno del manicomio giudiziario di Reggio Emilia conosce due cani sciolti toscani che gli danno la disponibilità a uccidere De Pedis. Quattro mesi dopo la morte di Toscano, l'8 luglio del 1989, Colafigli, approfittando di un permesso premio, riesce ad evadere dal manicomio. Assume una nuova identità (un documento falso con il nome di un tale Vito Berdini) e compie alcuni viaggi all'estero, probabilmente per affari riguardanti lo spaccio di droga.[9]

Dopo vari abboccamenti finiti male, la mattina del 2 febbraio 1990 il gruppo dei maglianesi, capeggiati da Colafigli, riesce finalmente ad attirare De Pedis (che nell'ultimo periodo girava sempre assieme a dei guardaspalle) in un'imboscata, con la complicità di Angelo Angelotti (che già in passato era stato legato alla famigerata banda romana e che, nel 1981, con le sue "soffiate" aveva permesso a Danilo Abbruciati di uccidere Massimo Barbieri), che lo convince a recarsi presso la sua bottega di antiquario di via del Pellegrino, nei pressi di Campo de' Fiori. Terminato l'incontro, De Pedis sale a bordo del suo motorino Honda Vision e si avvia verso casa; viene però subito affiancato al civico 65 di via del Pellegrino da una potente moto con a bordo due killer assoldati per l'occasione che gli sparano un solo colpo alle spalle uccidendolo all'istante davanti ad alcuni passanti. Nei pressi sono appostati diversi membri della banda con funzione di copertura e supporto. I due killer pare siano Dante Del Santo detto "il cinghiale" e Alessio Gozzani, anche se poi quest'ultimo verrà scagionato dall'accusa di essere stato alla guida della moto, che più probabilmente veniva condotta da Antonio D'Inzillo deceduto latitante in Sudafrica nel 2008.

«Intorno c'erano un toscano, tre o quattro romani compresi Colafigli e Carnovale, Antonio D'Inzillo a bordo di una moto e dietro un toscano che chiamavano il cinghiale [Del Santo, ndr]. De Pedis aveva capito che non era una questione di quadri, è salito sul suo scooter e ha tentato la fuga. La moto gli si è avvicinato e ha iniziato a sparare.»

Carnovale e Colafigli si allontanano insieme da Roma, fanno tappa ad Ancona, dove da sotto al carcere fanno sapere tutto ad Antonio Mancini, e poi a Venezia dove sono raggiunti da D’Inzillo e Angelotti. Quest’ultimo si ferma per poco perché il giorno dopo torna a Roma mentre gli altri proseguono per l’Austria dove sono fermati alla frontiera. C’è un successivo viaggio in Olanda ma la polizia tedesca arresta D’Inzillo, ricovera Colafigli in un ospedale psichiatrico giudiziario e rispedisce indietro Carnovale come “indesiderato”.[11]

Il mese seguente il fratello di Maurizio Abbatino, Roberto, viene brutalmente assassinato con 35 coltellate da alcuni esponenti della Banda interessati a scoprire dove si sia rifugiato il boss. Uno degli esecutori è il Angelotti e i complici sarebbero Colafigli e Libero Mancone ma l'accusa, alla quale non crede neanche Maurizio, in tribunale non riuscirà a essere provata.[12]

Il 26 luglio dello stesso anno, mentre è alla guida di una Fiat Uno, nei pressi di via Giustiniano Imperatore, nel quartiere romano di San Paolo, Colafigli viene fermato da alcuni agenti in borghese della squadra mobile che con una raffica di mitra ne bloccano la fuga. Con lui viene tratto in arresto un ex terrorista neofascista dei NAR, Fausto Busato, all'epoca in semilibertà.[9]

Condannato all'ergastolo per tre omicidi, gli viene però riconosciuta una infermità mentale con diagnosi che andavano dalla “psicosi schizofrenica paranoide”, alla “personalità epilettoide”, alla “sindrome borderline”. Nel 2012 è tornato a Roma.[13] Nel 2021 mentre usufruiva della semilibertà è stato trovato in compagnia di pregiudicati in un bar di Ostia e per questo è stato introdotto nuovamente nel carcere a scontare l'ergastolo.

Colafigli nella cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Dichiarazioni di Marcello Colafigli - Processo alla Banda della Magliana (Abbatino + 97), 3 giugno 1996, Radio Radicale
  2. ^ L'Unità, Noi Quelli Della Magliana, 10 dicembre 2007 Archiviato il 4 marzo 2016 in Internet Archive.
  3. ^ Nottecriminale.it, La vera storia della Banda della Magliana, su nottecriminale.it. URL consultato il 9 ottobre 2012 (archiviato dall'url originale il 13 marzo 2012).
  4. ^ Raffaella Fanelli, Le origini della banda, in La verità del Freddo, 1ª ed., Milano, Chiarelettere, 2018, p. 147, ISBN 9788832960389.
  5. ^ Filmato audio Processo alla Banda della Magliana confronti, su YouTube, 1º luglio 2018. URL consultato il 14 aprile 2020.
  6. ^ Raffaella Fanelli, I segreti della Magliana, in La verità del Freddo, 1ª ed., Milano, Chiarelettere, 2018, p. 33, ISBN 9788832960389.
  7. ^ Bianconi, 2005, p. 211.
  8. ^ Bianconi, 2005, p. 213.
  9. ^ a b Marcello Colafigli, “er bufalo” di San Paolo, su coreonline.it, C.O.R.E. Informazione dal territorio. URL consultato il 30 dicembre 2015.
  10. ^ Atlantide con Andrea Purgatori, su la7.it. URL consultato il 7 aprile 2020 (archiviato dall'url originale il 6 aprile 2020).
  11. ^ Raffaella Notarile, Morte di un boss. la faida interna, in Segreto criminale, 1ª ed., Roma, Newton & Compton, 2010, pp. 182-183.
  12. ^ Raffaella Fanelli, Le origini della banda, in La verità del Freddo, 1ª ed., Milano, Chiarelettere, 2018, pp. 100-101, ISBN 9788832960389.
  13. ^ Marcello Colafigli torna a Roma dopo quasi 20 anni

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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