Paolo Frau

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Paolo Frau (Roma, 5 dicembre 1949Roma, 18 ottobre 2002) è stato un criminale italiano noto come membro della Banda della Magliana.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nato a Ostia[1],"Paoletto" si fece ben presto conoscere dalle forze dell'ordine per alcuni reati alla detenzione di sostanze stupefacenti, attività che svolgeva spesso insieme al suo amico Ettore Maragnoli.[2] Un altro suo soprannome era occhi di ghiaccio. Nel 1980, poco prima dell'omicidio di Giuseppucci, entrò a far parte nel nucleo originario della Banda della Magliana in quanto amico fraterno di Renatino De Pedis. Tramite quest'ultimo, Frau fece la conoscenza di Danilo Abbruciati e gli venne subito affidata la gestione, per conto della banda stessa, di Ostia.

Arrestato nel 1993,[3] riuscì a sopravvivere ai tanti procedimenti a suo carico, fino ad essere assolto in appello nel maxiprocesso alla Banda.

Dopo la fine del sodalizio criminale della Magliana, assunse il controllo delle nuove attività sul litorale, dal racket delle estorsioni [4] Frau venne assassinato il 18 ottobre del 2002, nei pressi della sua abitazione sita in via Francesco Grenet ad Ostia Lido: mentre si apprestava a salire a bordo della sua auto, un killer con il volto coperto dal casco integrale, lo colpì con tre pallottole a bruciapelo prima di darsi alla fuga in moto. Il delitto è a tutt'oggi irrisolto.[5]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Fabrizio Peronaci, Banda della Magliana: i volti, dal Presidente al Giuda, su Corriere della Sera, 15 marzo 2016. URL consultato il 24 maggio 2021.
  2. ^ MAFIA: CHI ERA PAOLO FRAU, UCCISO DAI KILLER AD OSTIA NEL 2002/SCHEDA, su www1.adnkronos.com. URL consultato il 24 maggio 2021.
  3. ^ Roma criminale, duplice omicidio a OstiaTorna lo spettro della banda della Magliana su Il Fatto Quotidiano, 23 novembre 2011
  4. ^ 'Quelle «mele marce» nel parcheggio del porto turistico, in Corriere della Sera, 5 novembre 2004.
  5. ^ Massimo Lugli, Banda della Magliana, presi gli eredi nuovi boss alleati di mafia e camorra, in La Repubblica, 5 novembre 2004. URL consultato il 5 luglio 2012.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]